RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 luglio 2020, la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna pronunciata in data 19 luglio 2019 dal Tribunale di Milano in composizione monocratica a seguito di giudizio abbreviato nei confronti di due dei coimputati, M.S. e V.B., ed ha parzialmente riformato la decisione di primo grado con riferimento all'imputato F.L.M., in favore del quale il giudice di appello ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche, giudicandole equivalenti alla contestata recidiva, rideterminando, conseguentemente, la pena.
L'accusa attiene ad una pluralità di furti pluriaggravati in concorso, commessi nei territori della provincia di Brescia e Reggio Emilia, tra il (OMISSIS) e qualificati ai sensi dell'art. 624 bis c.p., commi 1 e 3, art. 625 c.p., comma 1, nn. 2 e 5 (capi A, B3, 64, B5), ai sensi dell'art. 624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, nn. 2 e 5 (capi B1 e B2), così diversamente qualificate le imputazioni con la sentenza di condanna di primo grado, e ad un episodio di ricettazione contestato al solo F.L.M.(capo C).
2. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso tutti gli imputati, con atti sottoscritti dai rispettivi difensori di fiducia.
2.1. M.S., ritenuto responsabile di tutti gli episodi di furto contestati ai capi A e B, ha dedotto tre diversi motivi di seguito enunciati.
2.1.1 Con il primo è stata dedotta la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e) per inosservanza delle norme processuali e vizio di motivazione in ordine all'affermazione della penale responsabilità in relazione al furto aggravato di cui al capo A).
In particolare, secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero correttamente valutato le dichiarazioni rese dall'imputato e dagli stessi correi, così utilizzando per la decisione un risultato di prova diverso da quello che, invece, sarebbe emerso all'esito dell'istruttoria dibattimentale, avendo il M. ammesso di essere solo entrato nell'abitazione senza asportare alcunché.
2.1.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio. La pena base in concreto applicata, indicata in 3 anni di reclusione, non sarebbe coerente con il minimo edittale previsto nell'originaria formulazione della norma (1 anno di reclusione), applicabile ratione temporis, ma piuttosto con quello introdotto dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, inapplicabile ai fatti contestati perché ad essi successiva. Si sostiene, infatti, che la succinta motivazione offerta nel provvedimento impugnato (riferita esclusivamente alla personalità dell'imputato) condurrebbe a ritenere che il giudice di primo grado, confermato dal giudice di appello, avesse voluto irrogare il minimo edittale, in relazione al quale, ovviamente, il generale obbligo di motivazione ordinariamente si contrae, non essendo necessaria ulteriore specificazione motivazionale.
2.1.3. Con il terzo motivo è stata dedotta infine la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) per violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza della fattispecie di cui all'art. 624 bis c.p. per alcuni degli episodi contestati. Richiamata la giurisprudenza delle sezioni unite (S.U. n. 31345 del 23/3/2017), il ricorrente deduce, sotto tale profilo, da un canto, che gli esercizi commerciali all'interno dei quali si sarebbero consumati i fatti di cui ai capi B3) e B5), sarebbero per definizione luoghi normalmente accessibili al pubblico, e dall'altro che i fatti di cui al capo A) si sarebbero consumati all'interno di una casa disabitata. In entrambi i casi, quindi, difetterebbero i necessari requisiti per considerarli "privata dimora" e, quindi, le fattispecie in oggetto non sarebbero riconducibili alla ipotesi incriminatrice di cui all'art. 624 bis c.p., quanto piuttosto a quella dell'art. 624 c.p., con le conseguenti ricadute in tema di trattamento sanzionatorio previsto.
2.2. Motivi analoghi ha sollevato il coimputato V., anche egli ritenuto responsabile degli episodi di furto aggravato contestati ai capi A) e B).
2.2.1. Con il primo motivo denunzia violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), per inosservanza della legge processuale di cui all'art. 192 c.p.p., e carenza ed illogicità di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità dell'imputato in ordine ai reati di cui ai capi A) e B) ed in particolare quanto alla qualificazione dei luoghi di consumazione in termini di "privata dimora". I reati, si sostiene, sarebbero stati consumati in una casa abbandonata e all'interno di esercizi commerciali, intrinsecamente privi delle caratteristiche proprie richieste dalla formulazione normativa; quanto all'imputazione di cui al capo A) relativo alla casa abbandonata sarebbe stato al più configurabile il diverso reato di violazione di domicilio.
2.2.2. Con il secondo motivo denunzia violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per violazione della legge penale e carenza e illogicità di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio. Il Tribunale e la Corte di Appello, riconoscendo le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva, sarebbero giunti ad una determinazione del tutto sproporzionata rispetto all'effettiva gravità dei fatti, giustificata esclusivamente dal riferimento ai numerosi precedenti penali dai quali sarebbe gravato il V., senza valorizzare il risarcimento del danno effettuato, l'ammissione degli addebiti e la restituzione di parte della refurtiva.
2.3. Ricorre infine l'imputato F.M.L., ritenuto responsabile dei reato di furto aggravato di cui al capo A) e del reato di ricettazione di cui al capo C).
2.3.1. Con il primo motivo denunzia violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per violazione ed erronea applicazione di legge con riferimento agli artt. 125,192,530 e 546 c.p.p. e illogicità, carenza e mancanza di motivazione nella parte in cui la Corte di Appello avrebbe ritenuto la responsabilità dell'imputato in relazione alla fattispecie di furto pluriaggravato di cui al capo A) alla luce di semplici indizi non supportati da alcun riscontro, valutando in modo contraddittorio gli esiti dell'istruttoria dibattimentale (in particolare, avrebbe valutato acriticamente - nel contenuto e nella riferibilità all'imputato - le intercettazioni ambientali acquisite; avrebbe ritenuto contraddittorie ed inattendibili le chiare dichiarazioni confessorie rese dai coimputati imputati, M. e V.) e nella parte in cui avrebbe qualificato il locus commessi delicti quale "privata dimora", ai sensi dell'art. 624 bis c.p. in relazione alla casa abbandonata di cui al capo A), difettando in capo al ricorrente anche il dolo specifico della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 624 bis c.p., che deve essere inteso come consapevolezza in capo all'agente che il luogo è destinato a privata dimora.
2.3.2. Con il secondo motivo denunzia violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per erronea applicazione di legge con riferimento agli artt. 125,192,530 e 546 c.p.p. e vizio della motivazione nella parte in cui la Corte di Appello avrebbe ritenuto la responsabilità dell'imputato in relazione alla fattispecie di ricettazione di cui al capo C), fornendo una motivazione apparente in relazione alla consapevolezza in capo al ricorrente della provenienza illecita dei beni, valutando privo di efficacia probatoria l'esito negativo della perquisizione domiciliare eseguita presso l'abitazione dell'imputato e non valorizzando gli elementi allo stesso favorevoli, quali le dichiarazioni eteroprotettive del coimputato V., che ha escluso di avere consegnato la refurtiva al F..
3. I ricorrenti nei rispettivi ricorsi hanno concluso concordemente per l'annullamento della impugnata sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi di M.S. e V.B. sono parzialmente fondati in relazione al motivo comune dedotto.
2. E' parzialmente fondato, in particolare, il terzo motivo di ricorso del M. e il primo motivo di ricorso del V., nella parte in cui invocano la riqualificazione dei capi di imputazione B3) e B5) nella diversa fattispecie di cui all'art. 624 c.p., sia pure aggravata dalle circostanze di cui all'art. 625 c.p., comma 1, nn. 2 e 5.
2.1. Va premesso al riguardo che la Corte territoriale, allorquando ha esaminato l'analogo motivo di appello degli imputati, ha affermato la sussistenza del reato di cui all'art. 624 bis c.p., non solo in relazione ai capi B3) e B5), ma anche ai capi B1) e B2). In realtà, con riferimento a questi ultimi due capi, già il giudice di primo grado con la sentenza aveva proceduto alla riqualificazione degli stessi nella fattispecie non aggravata, ritenendo che il furto commesso a (OMISSIS) nel capannone destinato a negozio, magazzino ed ufficio (capo B1) e il furto commesso in (OMISSIS) nell'officina meccanica "(OMISSIS)" non rientrassero nella ipotesi del furto in privata dimora, nella interpretazione datane dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 31345 del 2017 (ric. D'Amico, Rv. 270076), concernente la riferibilità del concetto di privata dimora rilevante ex art. 624-bis c.p. ai luoghi di lavoro.
La Corte di Appello, erroneamente riferendosi a tutti gli episodi di cui al capo B), ma dovendo pronunziarsi solo in relazione agli ulteriori due episodi di furto e cioè quelli avvenuti in Scandiano in data antecedente e prossima al 14.5.2017 rispettivamente nei locali della ditta Frignani Costruzioni (capo B3) e nella officina " R.M."(capo B5), nel confermare la sentenza di primo grado, ha comunque ritenuto la sussistenza della ipotesi di cui all'art. 624 bis c.p., richiamando la giurisprudenza della Suprema Corte che configura come ipotesi di furto in privata dimora quello commesso all'interno di uno stabilimento di un'azienda, in quanto tale luogo rappresenterebbe uno degli snodi fondamentali in cui si svolge la vita privata dell'imprenditore e dove sono necessariamente depositati i beni ai fini della organizzazione dell'attività di impresa (Sez.5, n. 21683 del 25/2/2014, Rv.260725).
2.1.2. La motivazione ora richiamata non tiene conto delle indicazioni fornite, successivamente alla pronunzia indicata, dalla Suprema Corte a Sezioni unite e dell'interpretazione ivi fornita del reato previsto dall'art. 624 bis c.p., anche con riferimento ai furti commessi in luoghi destinati ad attività lavorativa o professionale (Cass. SU, n. 31345 del 23/3/2017, rv 270076-01, D'Amico).
Pur constatando l'ampio campo semantico rilevante ai fini della identificazione del concetto di "privata dimora", le Sezioni Unite hanno rifiutato l'impostazione logico-interpretativa che ampliava la fattispecie astratta includendovi tanto i luoghi che erano strutturati in guisa da inibire l'accesso al pubblico (portoni, saracinesche o altri meccanismi) quanto i luoghi adibiti ad atti della vita privata (specificandosi che atti della vita privata non erano soltanto quelli della vita intima o familiare, ma anche quelli dell'attività professionale o lavorativa, o quelli posti in essere a contatto con altri soggetti, quali l'acquisto di merce in un supermercato, la fruizione di una prestazione professionale, il compimento di operazioni bancarie).
Il Supremo consesso ha, dunque, sposato un significato restrittivo, muovendo dalla lettera del testo normativo, ritenendo che nella previsione dell'art. 624 bis c.p. debbano includersi i luoghi che siano stati adibiti "in modo apprezzabile sotto il profilo cronologico allo svolgimento di atti della vita privata, non limitati questi ultimi soltanto a quelli della vita familiare e intima (propri dell'abitazione)", nonché i luoghi che, ancorché non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano, comunque, le caratteristiche dell'abitazione.
In definitiva, si è ritenuto che per poter sussumere il fatto nell'ipotesi delittuosa contemplata dall'art. 624 bis c.p. dovessero concorrere indefettibilmente tre elementi: a) l'utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) la durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) la non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.
Siffatti principi comportano l'annullamento della sentenza sullo specifico punto e il rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello competente (altra sezione della Corte di appello di Milano), che rivaluterà, alla luce delle indicazioni e della interpretazione fornite dalla Sentenza della Corte di cassazione a Sezioni unite richiamata, la corretta qualificazione delle ipotesi di cui ai capi B3) e B5).
3. Gli ulteriori motivi di ricorso del M. risultano inammissibili in quanto manifestamente infondati.
3.1. Il primo motivo con cui il ricorrente deduce il travisamento della prova è inammissibile, non ricorrendone i presupposti, risolvendosi le censure in una non consentita lettura alternativa degli elementi di prova, basata su parziali e generici richiami alle dichiarazioni parzialmente confessorie rese dagli imputati. Al riguardo, infatti, giova rammentare che, ai fini della configurabilità del vizio di travisamento della prova dichiarativa, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406). Ciò posto, non risulta alcun travisamento, in quanto la Corte territoriale ha correttamente attribuito rilevanza alle dichiarazioni rese dai coimputati, evidenziando le apparenti contraddizioni emerse nonché la mancata decisività delle stesse ai fini del riconoscimento della penale responsabilità.
3.2. Egualmente inammissibile il secondo motivo di ricorso del M. in relazione al trattamento sanzionatorio. La Corte di Appello, nel ritenere corretta ed esaustiva la motivazione del primo giudice sul punto, ha congruamente motivato siffatta adesione evidenziando il ricco curriculum criminale e la notevole intensità del dolo in capo al ricorrente che ha perseverato nella condotta criminosa nonostante le condanne subite anche in epoca recente. "La apprezzabile professionalità delinquenziale" unita alle predette circostanze ha impedito un trattamento sanzionatorio più mite. La pena in concreto applicata, pari al medio edittale, risulta congrua, ragionevole e debitamente motivata alla luce dell'esauriente compendio probatorio.
3.3 Inammissibile in quanto manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso nella parte in cui il ricorrente invoca la riqualificazione dell'art. 624 bis c.p. avuto riguardo all'episodio di furto di cui al capo A).
Coerentemente con i principi delineati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 31345 del 23 marzo 2017, più volte richiamata, la Corte territoriale ha evidenziato che la circostanza secondo cui la casa della persona offesa sarebbe stata abbandonata è riferita solo dagli imputati, ma è priva di riscontri. Le circostanze fattuali depongono in senso contrario in ragione della indicazione del cognome del proprietario sul citofono e della presenza all'interno della casa di numerosi e preziosi oggetti quali una cassaforte, un juke box, pezzi di argento e bottiglie di liquori. La casa si presentava disabitata, ma non abbandonata.
Le argomentazioni rese sul punto dai giudici di merito appaiono solide e conformi al costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, "ai fini della configurabilità del reato, previsto dall'art. 624 bis c.p., integra la nozione di privata dimora, l'immobile che, seppure non abitato ed in cattivo stato di manutenzione, non sia abbandonato" (Sez. 4, n. 1782 del 16.01.2019, Meloni, Rv. 275073).
Applicando tali principi al caso concreto, la pronuncia impugnata risulta esente da vizi, avendo qualificato come furto in abitazione ai sensi dell'art. 624 bis c.p. la condotta posta in essere dall'imputato, introdottosi in un immobile che, seppure non abitato, non era abbandonato ed era, anzi, "connotato dalla personalità del titolare" che vi custodiva alcuni arredi di valore.
La qualificazione del fatto, alla luce dell'interpretazione della norma propugnata dalle Sezioni Unite, non consente di attribuire rilievo alla mancanza di attualità dell'uso domestico dell'immobile in cui è stato commesso il delitto.
4. Inammissibili anche gli ulteriori motivi di ricorso presentati dal V., in quanto manifestamente infondati. In relazione agli stessi possono richiamarsi le medesime argomentazioni svolte avuto riguardo al coimputato M. in quanto medesimi sono stati i motivi di censura.
4.1. Quanto al primo motivo di ricorso nella parte in cui l'imputato invoca la diversa qualificazione del reato di cui al capo A) e la conseguente riqualificazione nella meno grave fattispecie di cui all'art. 624 c.p. possono integralmente richiamarsi le motivazioni svolte per il coimputato M. nel precedente paragrafo 3.3.
4.2. Quanto al secondo motivo relativo al trattamento sanzionatorio applicato, non solo valgono le medesime considerazioni del coimputato M., ma va evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice di primo grado e la Corte territoriale, nel riconoscere le circostanze attenuanti equivalenti alle contestate aggravanti e alla recidiva, ha valorizzato proprio il comportamento processuale e il risarcimento del danno.
5. Inammissibili sono tutti i motivi di ricorso proposto nell'interesse del F..
5.1. Quanto al primo motivo, nella parte in cui l'imputato invoca la diversa qualificazione del reato di cui al capo A) e la conseguente riqualificazione nella meno grave fattispecie di cui all'art. 624 c.p., possono integralmente richiamarsi le motivazioni svolte per il coimputato M. nel precedente paragrafo. Si ribadisce che la Corte territoriale ha evidenziato che la circostanza secondo cui la casa della persona offesa sarebbe stata abbandonata è riferita solo dagli imputati, ma è priva di riscontri. Le circostanze fattuali depongono in senso contrario in ragione della indicazione del cognome del proprietario sul citofono e della presenza all'interno della casa di numerosi e preziosi oggetti quali una cassaforte, un juke box, pezzi di argento e bottiglie di liquori. La casa si presentava disabitata, ma non abbandonata.
5.1.1. Quanto alla denunciata insussistenza dell'elemento psicologico, il motivo si presenta generico nella sua formulazione. Va comunque evidenziato, che proprio con riferimento alla sussistenza del dolo in relazione alla fattispecie contestata, la Corte ha avuto modo di chiarire che "In tema di furto in abitazione, ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del reato è sufficiente che il soggetto agente si rappresenti il luogo in cui si introduce, come privata dimora, ossia come luogo idoneo a consentire lo svolgimento di attività inerenti alla sfera privata di determinate persone, indipendentemente dalla presenza fisica delle persone stesse al suo interno e dalla consapevolezza di detta presenza"(Sez.2, n. 24763 del 26/05/2015, Rv 264284).
In applicazione di siffatto principio appare esente da vizi la sentenza impugnata laddove ha ravvisato la presenza anche dell'elemento soggettivo in capo al ricorrente che, pur entrando in una casa disabitata, in ragione degli oggetti e degli arredi ivi presenti, è stato posto nelle condizioni di comprendere l'idoneità del luogo ad essere destinato a privata abitazione.
5.2. Quanto al secondo motivo, va evidenziato che sussiste il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sotto il profilo della motivazione meramente apparente, allorché il provvedimento si limiti a indicare la fonte di prova della colpevolezza dell'imputato, senza che risultino invece indicati né valutati i concreti elementi probatori raccolti dall'organo di polizia giudiziaria, sui quali, una volta acquisiti al processo, doveva esercitarsi la valutazione critica del giudice (Sez. 3, n. 7134 del 30/04/1998, Campione, Rv. 211210, sez.3, n. 49168 del 13/10/2015, Santucci Rv. 265322).
Nel caso di specie la sentenza impugnata fornisce motivazione congrua e logica in relazione agli elementi di prova raccolti a carico del ricorrente avuto riguardo al contenuto delle intercettazioni ambientali e alle risultanze del localizzatore GPS installato sulla vettura Fiat Panda, e fornisce corretta e logica motivazione in relazione alla mancata efficacia probatoria degli elementi a discarico, quali gli esiti negativi della perquisizione e le dichiarazioni eteroprotettive del coimputato V..
6. La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente ai reati contestati a M.S. e V.B. nei capi di imputazione sub B3 e B5, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Vanno dichiarati inammissibili nel resto i ricorsi di M. e V..
La declaratoria di inammissibilità del ricorso del F. comporta la sua condanna al pagamento delle spese processuali. Consegue altresì, a norma dell'art. 616 c.p.p. l'onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di Euro tremila.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai reati contestati a M.S. e V.B. nei capi di imputazione sub B3 e B5, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di M. e V..
Dichiara inammissibile il ricorso di F.M.L. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2022