RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con ordinanza in data 7 giugno 2024 il Tribunale di Civitavecchia ha convalidato l'arresto di Co.Pe., Co.Ma. e Co.Le. eseguito in data 5 giugno 2024 per il reato di cui agli artt. 110,624,625, comma 1, n. 5 e n. 7 cod. pen. Il Tribunale, di fronte ai quali gli arrestati erano stati presentati per la convalida e il contestuale giudizio direttissimo, ha ritenuto che l'arresto fosse stato legittimamente eseguito perché Co.Pe. era stato visto dai carabinieri operanti "mentre forniva il proprio contributo concorsuale all'azione criminosa svolgendo il ruolo di "palo"". Quanto a Co.Ma. e Co.Le., le due donne erano state sorprese, subito dopo la commissione del reato, mentre occultavano sotto ai vestiti alcune confezioni di crema sottratte dagli scaffali della Farmacia Ta. di L. Il Giudice ha ritenuto che la querela, presentata dal direttore della farmacia, fosse stata ritualmente proposta atteso che egli, presente nell'esercizio commerciale, era "titolare di una posizione di detenzione qualificata" dei beni sottratti. Ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari di cui all'art. 274 lett. c) cod. proc. pen. e ha disposto nei confronti di tutti gli imputati la misura cautelare dell'obbligo di dimora nel Comune di Roma.
2. Contro l'ordinanza di convalida gli imputati hanno proposto ricorso per mezzo del comune difensore munito di procura speciale.
Col primo motivo, comune a tutti i ricorrenti, la difesa deduce violazione di legge per essere stata ritenuta quale idonea condizione di procedibilità una querela proposta da soggetto non legittimato. Il difensore osserva che il direttore della farmacia non aveva, in forza di tale qualifica, alcun rapporto diretto con i beni sottratti sicché non può ritenersi che ne avesse il possesso in senso penalistico e avrebbe potuto sporgere querela solo quale rappresentante del proprietario dell'esercizio commerciale. Avrebbe pertanto dovuto documentare di essere titolare di tale potere di rappresentanza.
Col secondo motivo, riferito al solo Co.Pe., la difesa deduce violazione di legge per essere stata ritenuta la situazione di flagranza ancorché non vi fosse alcuna prova del concorso dell'imputato, con funzioni di "palo", nella sottrazione delle merci.
3. Con memoria scritta tempestivamente depositata il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso. Il difensore ha insistito per l'accoglimento con memoria del 30 luglio 2024.
4. I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
5. Col primo motivo, la difesa sostiene che la querela in atti, presentata da Ca.An., direttore della farmacia, non sarebbe stata validamente proposta. L'argomentazione sviluppata non tiene conto di quanto autorevolmente affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo le quali "il bene giuridico protetto dal delitto di furto è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali personali o di godimento, ma anche nel possesso - inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità - che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito, con la conseguenza che anche al titolare di tale posizione di fatto spetta la qualifica di persona offesa e, di conseguenza, la legittimazione a proporre querela" (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255975). In applicazione di questo principio è stata riconosciuta al direttore di un supermercato la legittimazione a proporre querela (Sez. 4, n. 8094 del 29/01/2014, Pisani, Rv. 259289) e non si vede in che modo la posizione del direttore di una farmacia potrebbe differenziarsi da quella del direttore di un grande magazzino tanto più che, nel caso di specie, al momento del furto, Ca.An. stava lavorando nella farmacia ed era dunque, in concreto, titolare di una detenzione qualificata del bene, funzionale all'esercizio del commercio" all'interno del negozio (in tal senso: Sez. 4, n. 7193 del 20/12/2023, dep. 2024, P., Rv. 285824; Sez. 5, n. 3736 del 04/12/2018, dep. 2019, Lafleur, Rv. 275342; Sez. 5, n. 11968 del 30/01/2018, Pirico, Rv. 272696; Sez. 5, n. 55025 del 26/09/2016, Mocanu, Rv. 268906).
6. Il secondo motivo, col quale la difesa contesta che l'arresto di Co.Pe. sia stato eseguito nella flagranza del reato, è inammissibile perché aspecifico. Il ricorrente non si confronta col contenuto del provvedimento impugnato limitandosi a contestare che Co.Pe. abbia svolto funzioni di "palo" senza spiegare per quali motivi le dichiarazioni rese sul punto dal verbalizzante nel corso dell'udienza (sulle quali l'ordinanza impugnata ha fondato la convalida dell'arresto) dovrebbero essere considerate inattendibili.
7. All'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che i ricorrenti non versassero in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico di ciascuno di loro, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2024.