RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con sentenza in data 11 maggio 2023 la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza con la quale il Tribunale di Vibo Valentia aveva condannato Pa.An. alla pena ritenuta di giustizia per il reato di ricettazione e al risarcimento del danno in favore della parte civile, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato per essere il reato estinto per prescrizione e confermava le statuizioni civili.
2. Ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza di appello per violazione della legge penale (in relazione al combinato disposto degli artt. 157,648 e 712 cod. pen.) e processuale (art. 578 cod. proc. pen.) nonché per erronea qualificazione del fatto come delitto di ricettazione in luogo della contravvenzione prevista dall'art. 712 cod. pen.
Anche considerando il fatto come ricettazione, il giudice di appello non avrebbe potuto confermare le statuizioni civili in quanto il reato era estinto per prescrizione già prima della pronuncia della sentenza del Tribunale per decorso del termine decennale.
Inoltre, i giudici di merito hanno erroneamente qualificato il fatto come ricettazione: l'imputato è un semplice rivenditore al dettaglio di bombole di gas che gli vengono fornite dalla ditta distributrice, diversa da quella costituitasi parte civile; le bombole con la dicitura indelebile di un'altra ditta possono essere regolarmente utilizzate da altra ditta di distribuzione e quindi fornite al rivenditore finale senza che lo stesso risponda o partecipi consapevolmente all'eventuale ricettazione.
3. Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell'art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall'art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito nella legge 23 febbraio 2024, n. 18), in mancanza di alcuna tempestiva richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il Procuratore generale e il difensore hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
4. Premesso che il ricorrente ha interesse all'annullamento della sentenza in quanto, se si accertasse che la prescrizione era maturata già nel corso del primo grado di giudizio, le statuizioni civili andrebbero revocate (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Citaristi, Rv. 211191, confermata da Sez. U, n. 39614 del 28/04/2022, Fava, Rv. 283670, in motivazione), l'impugnazione risulta inammissibile perché proposta con motivi manifestamente infondati.
5. La qualificazione giuridica del fatto come ricettazione è stata ampiamente motivata dalla Corte di appello, che ha richiamato la normativa vigente in tema di trasferimento della proprietà delle bombole a gas e le modalità con le quali esse erano state cedute all'imputato, prive del tappo-sigillo riconducibile alla società proprietaria il cui marchio era ben impresso, con l'applicazione di un semplice adesivo di una ditta distributrice.
Proprio in ragione dell'attività svolta da Pa.An., rivenditore al dettaglio, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il dolo, quantomeno nella forma eventuale, configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell'agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio (Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324; Sez. 2, n. 25439 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179; Sez. 2, n. 41002 del 20/09/2013, Moscato, Rv. 257237) e ha correttamente richiamato il principio secondo il quale la prova della consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto può essere desunta da qualsiasi elemento e quindi anche dalla omessa o inattendibile spiegazione circa il possesso della cosa ricevuta, che è sicuramente rivelatrice di un acquisto in mala fede (Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, Ruggiero, Rv. 236914; Sez. 3, n. 43085 del 05/07/2019, De Lisi, Rv. 276935; Sez. 2, n. 27867 del 17/06/2019, Poliziani, Rv. 276666; Sez. 2, n. 25429 del 21/04/2017, Sarr, Rv. 270179; Sez. 2, n. 20193 del 19/04/2017, Kebe, Rv. 270120).
6. È priva di ogni fondamento la deduzione difensiva in ordine alla maturazione della prescrizione prima della sentenza di primo grado anche con la conferma della qualificazione del fatto come ricettazione.
La difesa ha indicato una nuova data di consumazione del reato (il 30 novembre 2008 e non il 1° dicembre 2008) sulla base di una querela allegata al ricorso senza neppure precisare se la stessa fosse o meno agli atti (si è proceduto con rito ordinario e il reato era procedibile d'ufficio) e quindi fosse utilizzabile.
Inoltre, in sede di legittimità, è precluso ogni accertamento di fatto in ordine al tempus commissi delieti (Sez. 2, n. 35791 del 29/5/2019, Di Paoli, Rv. 277495; Sez. 4, n. 47744 del 10/09/2015, Acacia Scarpetti, Rv. 265330; Sez. 5, n. 46481 del 20/06/2014, Martinelli, Rv. 261525; Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014, Laiso, Rv. 259181; Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009, Cusati, Rv. 243765).
In ogni caso, anche considerando il 30 novembre 2008, la sentenza sarebbe stata emessa esattamente dieci anni dopo (il 30 novembre 2018), quindi prima dello spirare del termine di prescrizione.
Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il decorso del termine di prescrizione inizia, per i reati consumati, dal giorno in cui si è esaurita la condotta illecita e, quindi, il computo incomincia con le ore zero del giorno successivo a quello in cui si è manifestata compiutamente la previsione criminosa e termina alle ore ventiquattro del giorno finale calcolato secondo il calendario comune (Sez. 3, n. 23259 del 29/04/2015, Richichi, Rv. 263650; Sez. 6, n. 4698 del 16/03/1998, Carpinteri, Rv. 211066; Sez. 4, n. 8083 del 26/03/1982, Magro, Rv. 155126; da ultimo v. Sez. 3, n. 2559 del 25/10/2023, dep. 2024, Cerea, non mass.), senza tenere conto dei giorni effettivi di cui è composto l'anno o il mese (Sez. 5, n. 21497 del 06/05/2010, Figliuzzi, Rv. 247413; più di recente v. Sez. 2, n. 50719 del 19/11/2019, Leva, non mass.).
Restano salve, dunque, le statuizioni civili, correttamente confermate dalla Corte di appello.
7. All'inammissibilità dell'impugnazione proposta segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso il 27 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria l'8 marzo 2024.