RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 27 aprile 2023, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Monza, che, riconosciute le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata recidiva, aveva condannato An.Va. alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro.100,00 di multa per il reato di tentato furto di 4 pezzi di parmigiano, 3 pezzi di soppressa veneta, una confezione di bastoncini di cotone e una confezione di detersivo liquido, furto commesso all'interno di un supermercato. La Corte d'Appello ha disatteso i motivi di gravame, confermando la valutazione del primo giudice quanto alla ritenuta inconfigurabilità dello stato di necessità e dell'ipotesi lieve di furto per bisogno, di cui all'art. 626 n. 2 cod pen.
2. An.Va. ha proposto ricorso per il tramite del proprio difensore di fiducia, lamentando, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, lett. b) ed e) cod. proc.pen, in relazione all'art. 54 cod. pen. La Corte non aveva valutato le oggettive circostanze del fatto, e in particolare le condizioni dell'imputata, descritta dagli inquirenti come malnutrita ed estremamente debole; elemento pienamente confermato dalle risultanze della annotazione di servizio in cui dava atto che gli stessi operanti avevano provveduto all'acquisto di pane presso il supermercato per sfamare l'imputata. Era illogica ed errata l'argomentazione resa dalla Corte di merito, secondo cui il cibo che aveva tentato di sottrarre la An.Va. non era di eseguo valore né sussisteva lo stato di bisogno, potendo la An.Va. rivolgersi ad enti assistenziali: era infatti emerso che l'imputata è una senzatetto e la merce sottratta, per sua natura scarsamente deperibile, le avrebbe permesso di sostentarsi vivendo per strada; né era possibile discriminare, sotto il profilo del bisogno, tra chi asporta dal supermercato cibi più economici e chi cibi un più costosi. Soprattutto, la Corte d'Appello nulla aveva argomentato in ordine alla sentenza resa nei confronti dell'imputata da altra sezione di questa Corte di legittimità che, in analogo caso, ha annullato la sentenza impugnata sotto il profilo del mancato riconoscimento della scriminante di cui all'art. 54 cod. pen.
3. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen, in relazione agli artt. 624 e 626 cod. pen per avere la Corte d'Appello erroneamente e illogicamente affermato che l'ipotesi lieve doveva escludersi. Richiama, al riguardo, le considerazioni invocate circa il riconoscimento dello stato di necessità nonché plurime sentenze del Tribunale di Monza che avevano riconosciuto l'ipotesi di cui all'art. 626 cod. pen.
4. Con il terzo e quarto motivo lamenta violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento della attenuante di cui all'art. 62, n 4 cod. pen. e vizio di motivazione quanto alla dosimetria della pena. La Corte territoriale non aveva considerato che la merce, già di scarso valore, era stata immediatamente restituita; e non aveva offerto alcuna argomentazione riguardo ai motivi di appello inerenti al trattamento sanzionatorio.
5. Il Procuratore Generale ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
2. Vanno richiamate le motivazioni rese da questa Sezione della Corte in analogo caso riguardante l'imputata, ed in merito a motivo di ricorso del tutto sovrapponibile (sez. 4, 13 giugno 2023, n.38888, Rv.285006-0l).
3. In quella sede si è rilevato che "secondo consolidati principi anche risalenti nel tempo e che appare opportuno qui ribadire, la situazione preveduta dall'art 626, comma primo, n. 2, cod. pen., pur avendo alcuni elementi in comune con quella contemplata nell'art. 54, appare tuttavia da questa ben distinta: mentre infatti l'art. 54 richiede che il pericolo non sia stato volontariamente causato dal soggetto, l'art 626, n. 4, prescinde da questa condizione e richiede soltanto l'urgenza del bisogno, la quale può profilarsi anche in mancanza di un pericolo attuale come quello che caratterizza lo stato di necessità" (Sez. 2, n. 239 del 16/02/1966, Luser, Rv. 101554). Tenute presenti tali puntualizzazioni, occorre convenire sulla correttezza del percorso argomentativo, non illogico né incongruo, che si rinviene nelle sentenze di merito, ove si è esclusa la sussistenza di una situazione di vera e propria costrizione, dovuta al pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti evitabile (ciò che avrebbe scriminato l'azione: art. 54 cod. pen.), mentre si è ritenuto sussistente un generale stato di indigenza e condizioni di salute della donna tali da rendere difficile provvedere agli elementari bisogni di vita ma, comunque, stimando evitabile l'azione furtiva (qualificando conseguentemente l'agire ex art. 626, comma 1, num. 2,cod. pen)".Questa sezione ha dunque concluso nel senso che non trova applicazione la scriminante dello stato di necessità, che postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti fronteggiabile (cfr anche Sez. 3, n. 35590 del 11/05/2016, Mbaye, Rv. 267640 - 01); mentre configura il delitto di furto lieve per bisogno, di cui all'art. 626, comma primo, n. 2, cod. pen., la condotta del soggetto malnutrito e in generale stato di indigenza che si impossessi di generi alimentari di ridotto valore economico.
4. Nel caso di specie non ricorrono i presupposti della inevitabilità del pericolo e della sua involontaria causazione, non potendosi sovrapporre, come rilevato dalla Corte territoriale, uno stato di bisogno determinato dalle condizioni di indigenza e di assenza di stabile dimora con i precisi requisiti di cui all'art. 54 cod pen. Difetta, invero qualsivoglia allegazione in ordine alla natura del tutto involontaria della situazione predetta, nonché il requisito della inevitabilità del danno grave e irreparabile.
5. È invece fondato il secondo motivo.
6. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, il furto lieve per bisogno è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta sia di tenue valore e sia effettivamente destinata a soddisfare un grave ed urgente bisogno; ne consegue che, per far degradare l'imputazione da furto comune a furto lieve, non è sufficiente la sussistenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole, occorrendo, invece, una situazione di grave ed indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa (Sez. 5, n.32937del 19/05/2014, Rv. 261658, Sez. 2, n.42375 del 05/10/2012, Rv. 254348).
7. Fermo il suddetto principio, va altresì precisato che nell'ordinamento processuale penale non è previsto un onere probatorio a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l'imputato è tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013 Rv. 255916). Va poi ricordato che il furto lieve per bisogno è configurabile nei casi in cui la cosa sottratta è di tenue valore avuto riguardo all'utilizzo che l'agente si è preposto o ha realizzato con essa per soddisfare una grave ed urgente necessità (Sez. 5, n. 48732 del 13/10/2014 , Santoro, Rv. 261231 - 01; Sez. 2, n. 42375 del 05/10/2012, Michelucci, Rv. 254348 - 01; sez. 5, n.28255 del 20 aprile 2023, n.m).
8. Nel caso in esame la ricorrente ha allegato elementi dai quali risulta il grave stato di malnutrizione ed estrema debolezza tali da poter essere valutati come situazione di indilazionabile bisogno di provvedere a nutrirsi, e in particolare I' annotazione di PG del carabinieri della stazione di B del 27 maggio 2018; le sommarie informazioni testimoniali rese dalla commessa del supermercato, ove la An.Va. viene descritta come senzatetto (elemento compatibile con la sottrazione di generi alimentari durevoli e di generi destinati alla igiene personale); la CNR del 16.6.2017 in cui la An.Va. veniva descritta come senza fissa dimora; la annotazione degli operanti ove si dà atto che gli stessi acquistarono del pane per sfamare l'imputata. La Corte milanese non ha argomentato in ordine a tali elementi di fatto ed ha svolto considerazioni di carattere congetturale, quali il fatto che la merce, di valore di poco superiore ai 100 euro, fosse destinata ad essere rivenduta dalla An.Va. non per sfamarsi e lavarsi, ma per trarne guadagno.
9. Si impone quindi l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 10 ottobre 2024.
Depositato in cancelleria il 6 novembre 2024.