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Esigenze cautelari: il riesame non deve esaminare singoli elementi ma valutare il quadro complessivo (Cass. Pen. n. 10081/2025)

Imputato in manette

Con la sentenza n. 10081/2025, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Taranto, che aveva confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di A.A., avvocato accusato di peculato (art. 314 c.p.).

La Corte ha affermato il seguente principio di diritto: il giudice deve motivare in modo specifico la scelta della misura cautelare più afflittiva, valutando attentamente se misure meno gravose possano comunque garantire le esigenze cautelari.


Il caso: misura cautelare per peculato e contestazione sulla sua adeguatezza

A.A., avvocato del Foro di Taranto, era stato sottoposto agli arresti domiciliari con l’accusa di peculato, per essersi appropriato di somme di denaro ricevute dai clienti per il pagamento di contributi e tasse dovute all’erario, senza poi effettuarne il versamento.

Il Tribunale di Taranto, il 29 agosto 2024, aveva rigettato la richiesta di riesame, confermando la misura cautelare degli arresti domiciliari.

La difesa aveva chiesto la sostituzione con una misura interdittiva, evidenziando che:

  • L’imputato aveva già rinunciato e revocato tutti gli incarichi professionali.

  • Era stato cancellato dall’Albo Speciale degli Avvocati e sospeso in via disciplinare.

  • Era stata avviata una procedura di radiazione, rendendo di fatto impossibile la reiterazione del reato.

  • Il Tribunale aveva ritenuto irrilevanti queste circostanze, confermando la necessità degli arresti domiciliari.

A.A. ha presentato ricorso per Cassazione, contestando:

  1. Mancanza di motivazione sulla necessità della misura più afflittiva

Il Tribunale avrebbe ignorato gli elementi che escludevano il pericolo di reiterazione del reato, in particolare la sua impossibilità di esercitare la professione.

  1. Errata valutazione delle esigenze cautelari

Il giudice di merito avrebbe sovrastimato il rischio di inquinamento probatorio, nonostante lo stesso PM non lo ritenesse più sussistente.


La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, stabilendo che:

1. La misura cautelare deve essere proporzionata alle esigenze cautelari

Il Tribunale di Taranto ha omesso di valutare in modo adeguato la possibilità di applicare una misura meno afflittiva.

La giurisprudenza impone che il giudice motivi in modo specifico perché una misura meno grave non sarebbe sufficiente a tutelare le esigenze cautelari (Cass. Sez. U, n. 20769/2017, Bazzani).

2. La documentazione presentata dalla difesa doveva essere valutata nel suo complesso

Il Tribunale ha esaminato solo singoli elementi, senza considerare il quadro complessivo:

Il ricorrente era stato cancellato dall’Albo Speciale e sospeso dall’Ordine degli Avvocati.

Era già in corso una procedura di radiazione, che lo avrebbe reso definitivamente impossibilitato a reiterare il reato.

Il giudice di merito ha valutato separatamente questi elementi, senza considerare il loro effetto cumulativo nel ridurre il rischio di recidiva.

3. Il rischio di inquinamento probatorio era stato sopravvalutato

Il PM non aveva segnalato il rischio di inquinamento probatorio come attuale, ma il Tribunale ha comunque confermato la misura cautelare su questa base.

Il principio di legalità impone che la motivazione del giudice sia fondata su elementi concreti e non su mere ipotesi (Cass. Sez. 6, n. 38423/2022, Saviano).


Conclusioni

La sentenza ha affermato in tema di misure cautelari per i reati di peculato:

  • Il giudice deve valutare nel complesso gli elementi che incidono sulla possibilità di reiterazione del reato, senza limitarsi a esaminarli separatamente.

  • Se il rischio di recidiva è ridotto da provvedimenti già adottati (sospensione dall’Albo, cancellazione professionale, revoca degli incarichi), il giudice deve motivare in modo dettagliato perché ritiene comunque necessaria la misura più grave.

  • Non è legittimo confermare una misura cautelare sulla base di un rischio di inquinamento probatorio non più attuale.

 
 
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