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Concussione e induzione indebita: non c'è mai un incontro libero della volontà delle parti


Corte di Cassazione

La massima

Il reato di concussione e quello di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l'extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l'accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l'incontro libero e consapevole della volontà delle parti (Cassazione penale , sez. VI , 22/09/2015 , n. 50065).



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 22/09/2015 , n. 50065

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 10 ottobre 2014 la Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza del G.i.p. presso il Tribunale di Roma del 17 gennaio 2013, che all'esito di giudizio abbreviato dichiarava D.N.T. e A.L. colpevoli del reato di cui all'art. 319 quater c.p., così diversamente qualificato il fatto originariamente contestato ex art. 317 c.p., condannandoli rispettivamente alle pene di anni due e mesi sei di reclusione e di anni due di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, alla confisca del denaro in sequestro ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili ( B.M. e Agenzia delle entrate), per avere abusato della loro qualità di verificatori, dipendenti presso la predetta Agenzia, nel corso di una verifica fiscale eseguita presso un negozio ("(OMISSIS)") di B. M., dapprima prospettandogli l'applicazione di sanzioni (dell'importo di circa Euro 60.000,00) di significativo rilievo economico, quindi inducendolo a promettere la somma di tremila Euro ed a consegnare, poi, quella di duemila euro, per omettere la trasmissione delle segnalazioni alle competenti autorità in relazione all'omessa regolarizzazione contributiva di due persone incontrate all'interno del negozio e ritenute dipendenti "in nero" del B..


2. Il difensore di D.N.T. ha proposto ricorso per cassazione avverso la su citata sentenza, deducendo tre motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.


2.1. Violazioni di legge ex artt. 319 e 319 quater c.p. e vizi della motivazione, per mancanza e contraddittorietà, in ordine all'erronea qualificazione giuridica del fatto, avendo la Corte d'appello omesso di valutare criticamente le dichiarazioni rese dal denunciante, B.M., equiparando la utilizzabilità dell'atto di denuncia con la sua intrinseca affidabilità sul piano probatorio.


Dalla stessa denunzia, infatti, risulta evidente che la proposta corruttiva è scaturita dal B. senza alcuna previa condotta di "suggestiva persuasione" da parte degli ispettori: non può infatti considerarsi tale la semplice esposizione delle sanzioni derivanti dalie irregolarità riscontrate e trascritte sul verbale originale, che costituisce anzi un dovere dell'agente accertatore.


Nell'immediatezza della scoperta delle irregolarità, infatti, il B. tentò di "avviare un dialogo" con gli ispettori per capire se vi fossero modalità alternative meno onerose per risolvere questione, e solo dopo la proposta corruttiva avanzata dal B. gli ispettori avrebbero usato le deplorevoli espressioni ricordate in sentenza. La dazione, pertanto, non è stata "provocata" dalla precedente condotta degli ispettori, e quanto da essi prospettato deve piuttosto intendersi come rafforzativo di una volontà corruttiva già manifestata dal B., che ha intavolato una vera e propria trattativa, con una proposta di pagamento da lui stesso avanzata - e dagli ispettori poi accettata senza dir nulla - sul presupposto della sua aspirazione ad eliminare le conseguenze di gravi irregolarità riscontrate nelle attività del negozio (irregolarità, peraltro, che dovevano ritenersi effettivamente esistenti nella vicenda in esame).


Ne deriva che il delitto di corruzione si era già consumato la mattina dell'(OMISSIS), mediante la stipula dell'atto corruttivo tra gli imputati ed il B., con l'accordo di rivedersi nel pomeriggio soltanto per la concordata consegna del denaro e del verbale modificato (eventi, questi, successivamente verificatisi ed irrilevanti al fine di modificare la qualificazione giuridica dei fatti). Lo stesso atto di denuncia è stato presentato dal B. successivamente alla conclusione dell'accordo corruttivo e non era in alcun modo riconducibile ad una sua decisione, essendo stato piuttosto determinato (come emerge dalle relative dichiarazioni testimoniali) dai convincimenti e dalle pressioni del fratello, B.F..


Ulteriore carenza motivazionale è stata evidenziata con riguardo alla determinante questione, dalla difesa specificamente sollevata in sede di gravame, della necessità o meno di regolarizzare la posizione delle persone presenti all'interno dell'esercizio commerciale del B.: aspetto, questo, non risolto dalla Corte d'appello, benchè assumesse rilievo laddove la sentenza include la prospettazione di sanzioni eccessive ed esorbitanti tra i comportamenti di "suggestione induttiva" da parte dei pubblici ufficiali. Le irregolarità in cui versava l'esercizio commerciale del B. non erano artatamente presentate, nè erano di scarso rilievo, poichè era stata documentata, nello stesso verbale degli ispettori, una cospicua evasione contributiva, mentre le tre persone presenti all'interno dei locali al momento dell'accesso degli ispettori dovevano considerarsi, anche in ragione del contrasto rilevabile fra le loro dichiarazioni e le affermazioni del denunciante, delle dipendenti irregolari presso il negozio del B..


Irrilevanti, infine, devono ritenersi, ai fini della qualificazione della fattispecie, lo stato di agitazione del B. e la circostanza relativa al verbale lasciatogli in consegna dai pubblici ufficiali, che non depongono logicamente per la configurabilità dell'induzione indebita, mentre è stata omessa dalla Corte d'appello la valutazione delle deduzioni difensive circa il rilievo delle discrasie evidenziate dal confronto fra le dichiarazioni del fratello del denunciante, B.F., e quelle di B.M., erroneamente ritenute riscontrate dalle prime.


2.2. Violazioni di legge ex artt. 133 e 62 bis c.p., in ordine alla mancata dichiarazione di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante, nonchè in relazione alla mancata applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, avendo la Corte d'appello immotivatamente svalutato i dati inerenti all'avvenuta confessione, alla messa a disposizione di una somma di denaro adeguata a titolo di risarcimento - ma rifiutata dalla parte civile - ed allo stato di incensuratezza dell'imputato.


2.3. Violazioni di legge ex D.L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, art. 178 c.p.p., lett. c), e vizi della motivazione con riferimento alla omessa valutazione delle deduzioni difensive e degli elementi rappresentati in una memoria espressamente richiamata nell'atto di gravame in ordine alla provenienza delle somme di cui è stata disposta la confisca.


Al riguardo si deduce, in primo luogo, un vizio di interpretazione laddove la Corte d'appello, sebbene la difesa avesse dimostrato la proporzionalità del denaro in sequestro (circa centomila Euro) rispetto ai redditi, facendone rilevare la natura di risparmio, in particolare a far data dal 2008, da parte del D.N. e indirettamente della sua convivente, ha in realtà valutato non il requisito della sproporzione della cifra con i redditi, ma le modalità, asseritamente "sospette", di conservazione della somma (in contanti, con nascondimento all'interno dell'abitazione), così erroneamente applicando la su citata disposizione normativa.


In secondo luogo si deduce l'omessa considerazione delle doglianze contenute nell'atto di appello e nella memoria, per quel che attiene, in particolare: a) alla dimostrazione delle effettive possibilità di risparmio, nel corso degli anni, dell'imputato e della convivente, sia in relazione a quanto rinvenuto in banca, sia con riferimento alla entità della somma posta in sequestro; b) a due prelievi effettuati presso la Banca di Roma nell'ottobre del 2008, per un importo complessivo di cinquantamila Euro; c) alla documentazione relativa agli elenchi di tutti i numeri di serie delle banconote sequestrate, dimostrandone la successione, perfettamente compatibile con a ricezione di somme dello stipendio presso la locale sezione di tesoreria della Banca d'Italia; d) alla ricostruzione della natura lecita sia della formazione che degli sviluppi del patrimonio del D. N., con la dimostrazione che le somme transitate sui conti bancari intestati all'imputato presso la ING DIRECT provenivano interamente dai fondi già depositati sul conto corrente acceso presso l'Unicredit il 7 marzo 2006, la cui provvista si era lecitamente accumulata nel tempo secondo le modalità dettagliatamente descritte negli atti difensivi; e) all'omessa considerazione delle spiegazioni fornite riguardo ai redditi della convivente e alle ragioni dell'acquisto di un appartamento nel 2007.


3. Il difensore di A.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso la su citata sentenza, deducendo sei motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.


3.1. Vizi della motivazione in relazione all'art. 319 quater c.p., avendo la Corte d'appello erroneamente valutato la tesi difensiva della incolpevole presenza della ricorrente, che nella circostanza presa in esame era intenta ad espletare il suo dovere, ossia a compilare il verbale, posto che il D.N. aveva effettuato le relative contestazioni. Nè è dato sapere se il verbale sia stato modificato per ripensamenti sulle contestazioni, o per accordi intercorsi fra il B. ed il D.N..


3.2. Violazioni di legge ex art. 319 c.p. e art. 322 c.p., comma 4, e vizi della motivazione, per non avere la Corte di merito considerato che il funzionario dell'Agenzia delle entrate è tenuto, anche su richiesta, a fornire informazioni sull'entità ed i costi, per multe o contravvenzioni, previsti per ogni singola violazione: nella fattispecie in esame, è stato proprio il malizioso comportamento del B., proteso ad esplorare con cautela un'eventuale disponibilità del pubblico ufficiale all'accordo illecito, ad assumere la valenza di una seria e precisa sollecitazione corruttiva, esplicitando la sua disponibilità ad un accomodamento, tanto che i comportamenti dei due (il B. e il D.N.) si sono estrinsecati successivamente in una trattativa intavolata su un piano di parità tra le parti.


3.3. Vizi della motivazione in relazione all'art. 323 bis c.p,, erroneamente negata per la ritenuta gravità del reato, sebbene si fosse in presenza di importi modesti.


3.4. Vizi della motivazione in relazione all'art. 114 c.p., commi 1 e 3 e art. 112 c.p., n. 3, avuto riguardo al modesto e minimo apporto criminoso fornito dalla ricorrente, limitatasi a compilare un verbale, in posizione subalterna rispetto al D.N..


3.5. Vizi della motivazione in relazione alle attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., erroneamente negate per essersi l'imputata avvalsa della facoltà di non rispondere, nonchè in relazione al beneficio previsto dall'art. 175 c.p., per non avere la Corte di merito considerato il fatto che la presenza dell' A. era "muta, appena di presunta adesione all'atteggiamento del collega".


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati e vanno rigettati poichè, in relazione ad entrambe le posizioni processuali, l'adeguatezza e logicità della motivazione della sentenza impugnata non sono state affatto poste in crisi dalle su indicate doglianze, limitandosi i ricorrenti a riproporre una serie di obiezioni già esaustivamente disattese dai Giudici di merito, ovvero a prospettare critiche involgenti la valutazione dalla Corte d'appello espressa riguardo al materiale probatorio sottoposto al suo esame, così delineandone, per giunta, una contrapposta rivisitazione sulla base di ipotizzati vizi della motivazione, di cui l'analisi dell'impugnata decisione, tuttavia, non presenta alcuna traccia.


La congiunta lettura che le conformi sentenze di primo e secondo grado offrono delle emergenze processuali, sia analiticamente che globalmente valutate, accredita invero, sulla base di un ragionevole percorso logico-espositivo, il giudizio di penale responsabilità degli imputati, giustificando il relativo apprezzamento di merito non attraverso il mero assemblaggio di elementi indiziari, ma con un'attenta opera di selezione dei numerosi dati conoscitivi raccolti ed attentamente vagliati al fine di ricomporre il quadro probatorio delineato nei loro confronti dall'esito dell'istruzione dibattimentale.


Nel caso portato alla cognizione di questa Suprema Corte, in particolare, ci si trova di fronte a due pronunzie che sostanzialmente concordano nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle conformi rispettive decisioni, con una struttura della sentenza di appello che viene a saldarsi perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, in considerazione del fatto che entrambe le pronunzie hanno offerto una congrua e ragionevole giustificazione del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti dei ricorrenti.


Discende da tale evenienza, secondo una linea interpretativa in questa Sede da tempo tracciata, che l'esito del giudizio di responsabilità non può certo essere invalidato da prospettazioni alternative, risolventisi in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal Giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili, o perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, dep. 23/06/2006, Rv.


234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv.


235507).


Nè, peraltro, il Giudice di legittimità potrebbe sostituire una propria valutazione a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, dovendosi in questa Sede saggiare la complessiva tenuta logica della sentenza sottoposta alla sua cognizione, senza oltrepassare i limiti riconnessi all'accertamento della coerenza strutturale del discorso giustificativo, nè, tanto meno, sovrapporre un'attività di verifica, rispetto alle correlative acquisizioni processuali, della rispondenza dell'apparato argomentativo di cui il Giudice di merito si è servito, dovendo il vizio motivazionale risultare, per ciò stesso, palese e di immediata riconoscibilità, ossia di spessore tale da emergere ictu oculi.


2. Entro tale prospettiva, dunque, è agevole rilevare come la disamina della motivazione della sentenza impugnata offra una esaustiva e lineare valutazione dei diversi tasselli del quadro probatorio, la cui specifica rilevanza è stata dai Giudici di merito puntualmente apprezzata sussumendo la condotta degli imputati nello schema descrittivo della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 319 quater c.p., in quanto volta a sfruttare la posizione di preminenza da essi rivestita facendo leva sulle possibili conseguenze sanzionatone di uno degli addebiti riscontrati in occasione della verifica fiscale da essi effettuata presso il negozio del B. (ossia, l'eventualità di un impiego irregolare di alcune lavoratrici presenti all'interno dell'esercizio commerciale), così da indurlo, con toni allusivi ed ambigui, all'indebita promessa e, quindi, alla dazione di una somma di denaro.


Sul punto, in particolare, i Giudici di merito hanno, con specifiche e dettagliate argomentazioni, posto in evidenza come il D.N., dopo aver prospettato, alla presenza dell' A., l'irrogazione di pesanti sanzioni per le ragioni sopra indicate, ed aver confidato al B. che analogo controllo era stato programmato - ma non effettuato - in un altro suo punto di vendita, abbia inteso mostrare "riguardo e comprensione" nei suoi confronti, sia nel palesare la possibilità di intervenire discrezionalmente sugli accertamenti svolti, sia lasciando intendere che vi fossero segnali di apertura ad una trattativa, così da indurlo a farsi avanti per ottenere la sistemazione della vicenda: a ciò, infatti, seguirono l'offerta di una somma di denaro, la sua accettazione, l'accordo per il pagamento della somma ed un successivo incontro volto all'annullamento del verbale di accertamento.


Costante, altresì, è stato ritenuto, nella ricostruzione della dinamica dei fatti in contestazione, il raccordo operativo tra i due imputati, avendo il D.N., per tutto il tempo dell'attività di verifica, cercato il consenso dell' A. al fine di raccogliere da lei segnali d'intesa, correggere l'originario verbale e formarne uno nuovo, palesando inoltre al B. la necessità dell'apporto collaborativo della collega, tanto che, in occasione dell'appuntamento successivamente concordato fra le parti, fu proprio quest'ultima a riporre nella borsa la somma di duemila euro consegnata dal B., provvedendo poi ad estrarre dei fogli che il coimputato allegò al nuovo verbale di verifica, strappando quelli originali allegati al primo atto.


3. Le decisioni di merito, inoltre, hanno congruamente esposto le ragioni giustificative della ritenuta attendibilità della persona offesa, ponendone in rilievo l'intima coerenza logica della narrazione, unitamente alla specificità dei riscontri esterni rappresentati, in particolare, dalla deposizione - di contenuto sostanzialmente convergente, nonostante la presenza di talune marginali imprecisioni - resa dal fratello (il quale, informato dell'accaduto, l'aveva subito esortato a denunziare il fatto, rappresentando che avrebbe potuto avvertire un suo amico Carabiniere), dal successivo racconto dei fatti a quest'ultimo ( C.G.) da parte dello stesso B.F. (a sua volta esortato dal predetto Carabiniere a rivolgersi immediatamente al "112"), dall'annotazione di P.G. al riguardo operata dal C., dal contenuto dell'audio-registrazione dell'incontro pomeridiano stabilito con i verificatori e dal confronto operato fra la prima versione del verbale di verifica e quella successivamente consegnata al B. dai predetti verificatori, confronto il cui esito evidenziava che solo nel verbale originano si dava atto della presenza di tre persone - indicate come collaboratrici del B. - e soltanto ad esso erano state allegate le tre dichiarazioni da queste ultime assunte in loco.


Nella medesima prospettiva, ancora, la Corte distrettuale ha specificamente confutato le obiezioni difensive sollevate circa la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal fratello della persona offesa (sostanzialmente confermate non solo dal contenuto della denuncia, ma anche dall'annotazione di P.G. a firma del Carabiniere C.G.) ed ha ampiamente analizzato una serie di circostanze di fatto coerentemente ritenute sintomatiche dell'assoluta incompatibilità logica della tesi difensiva incentrata sul prospettato raggiungimento di un'intesa inter pares, a seguito di una proposta corruttiva formulata dal privato. In tal senso sono state valorizzate, a titolo esemplificativo, le seguenti circostanze:


lo stato di agitazione e preoccupazione in cui la parte civile ha vissuto l'intero svolgersi della vicenda; il fatto di averne immediatamente informato il fratello, B.F., e trasmesso via fax il verbale di constatazione - con tutti i rilevi riscontrati dagli operanti - al proprio commercialista di fiducia, in modo da coinvolgerli e ricevere suggerimenti sul da farsi; l'aver tentato di registrare l'incontro, salvo spegnere subito dopo il cellulare su espresso invito del D.N.; il fatto che il primo verbale fu lasciato in consegna al B., concordando con quest'ultimo la stesura e la successiva consegna di un nuovo verbale, riveduto e corretto; il fatto che il fratello del B. informò immediatamente della vicenda un suo amico Carabiniere (che ne fece puntuale annotazione), allertando subito dopo anche il "112";


l'avere, infine, il B.M., denunciato la sera stessa il fatto ai Carabinieri, ecc..


4. Muovendo dal complesso di tali risultanze istruttorie, dunque, la Corte distrettuale ha coerentemente ritenuto sussumibile la condotta delittuosa degli imputati nel nuovo schema normativo della fattispecie incriminatrice tipizzata dall'art. 319 quater c.p., per un verso ponendo in evidenza una situazione di squilibrio, e non certo di parità, nei rapporti tra le parti, e, per altro verso, osservando come la persona offesa, nello specifico contesto emerso dalla successione dei fatti e dalla logica concatenazione del tipo di espressioni utilizzate, si sia determinata ad offrire l'esborso di una somma di denaro per conseguire un indebito vantaggio (l'annullamento del verbale in cui erano state inizialmente inserite tutte le violazioni rilevate), a fronte di un comportamento chiaramente improntato dai pubblici ufficiali ad esercitare nei suoi confronti una pressione psicologica tale da porlo in stato di soggezione, per aver fatto riferimento alla programmazione di un'analoga verifica presso un altro punto di vendita (la cui effettuazione era stata tuttavia omessa "perchè a me non piace far piangere la gente") e palesato, al contempo, margini di gestione discrezionale nell'espletamento dei controlli (anch'essa, di certo, non in linea con la funzione ricoperta), paventando subito dopo l'alternativa tra la contestazione di rilevanti sanzioni economiche ("stai proprio in una situazione grave") ed il possibile rifacimento ex novo del verbale di constatazione (qualora anche la collega del D.N., cui quest'ultimo lanciava uno sguardo d'intesa senza ricevere alcun segnale di obiezione, fosse stata d'accordo).


Ne conseguivano, pertanto, così come puntualmente descritte nella motivazione, le su indicate condotte inerenti all'offerta di denaro, all'accettazione, all'accordo per il pagamento ed alla fissazione del successivo incontro fra le parti.


I Giudici di merito, in tal modo, hanno fatto buon governo del quadro di principii stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui nello schema dell'art. 319 quater c.p. il destinatario dell'abuso induttivo, disponendo di più ampi margini decisionali rispetto alla condotta costrittiva, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, in quanto motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale (Sez. Un., n. 12228 del 24/10/2013, dep. 14/03/2014, Rv. 258470).


Nella medesima prospettiva, inoltre, si è affermato (Sez. Un., n. 12228 del 24/10/2013, dep. 14/03/2014, Rv. 258474) che il reato di concussione e quello di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l'"extraneus", comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l'accordo corruttivo presuppone la "par condicio contractualis" ed evidenzia l'incontro libero e consapevole della volontà delle parti.


In tal senso, come si è visto, le decisioni di merito hanno motivatamente escluso qualsiasi forma di parità nella dinamica dei rapporti intercorsi fra le parti, correttamente ritenendo irrilevanti il fatto che il B. si sia determinato al pagamento per mero calcolo utilitaristico, anzichè per timore, ovvero il fatto che il primo verbale gli sia stato consegnato dai pubblici ufficiali, rimanendo per alcune ore nella sua autonoma disponibilità:


circostanza di fatto, quest'ultima, logicamente ritenuta non sintomatica di una trattativa impostata e condotta su basi paritarie, poichè un rischio per gli imputati avrebbe ragionevolmente potuto verificarsi solo a seguito della stesura del nuovo verbale riveduto e corretto, che essi tuttavia consegnarono alla persona offesa provvedendo contestualmente a distruggere le parti difformi dell'originaria stesura.


Dettagliatamente illustrate, infine, risultano le ragioni del coinvolgimento dell' A., avendo i Giudici di merito specificamente esaminato e disatteso la tesi difensiva della sua estraneità alla vicenda, avuto riguardo, in particolare, al fatto che entrambi gli imputati - fra loro, come si è già rilevato, in costante raccordo operativo - hanno accettato e ricevuto la somma di denaro corrisposta dal privato e che i due verbali di constatazione sono stati dalla stessa redatti e sottoscritti, distruggendo materialmente il primo e consegnando il secondo senza che si fosse manifestata alcuna esigenza di un tempestivo ripensamento dovuto alla necessità di un'immediata modifica del suo contenuto nel corso della relativa operazione di verifica.


Ulteriore conferma della compartecipazione della ricorrente, peraltro, è stata motivatamente desunta dal contenuto della, sia pur breve, conversazione registrata sul cellulare del B., dal cui tenore è emersa l'assicurazione, fornita dal D.N. al B., della contestuale presenza della sua collega anche in occasione del successivo incontro pomeridiano, 5. Motivatamente esclusa risulta, per l' A., la concessione delle invocate circostanze attenuanti di cui all'art. 114 c.p. - avendo i Giudici di merito posto in risalto la essenziale rilevanza del suo contributo alla realizzazione del reato (Sez. 2, n. 835 del 18/12/2012, dep. 09/01/2013, Rv. 254051) - e art. 323 bis c.p., configurabile solo quando il reato, valutato nella sua globalità, presenti una soglia contenuta di gravita (Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, dep. 31/03/2014, Rv. 259501), laddove nel caso di specie i Giudici di merito hanno posto in rilievo i dati sintomatici di una rilevante gravità del fatto, anche in ragione delle sue insidiose e scaltre modalità di realizzazione.


Parimenti infondate devono ritenersi, poi, le censure difensive da entrambi i ricorrenti prospettate in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, per la sola A., del beneficio di cui all'art. 175 c.p., poichè la Corte distrettuale ha correttamente indicato, con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, le ragioni giustificative del suo apprezzamento, incentrato su una valutazione di merito partitamente espressa riguardo alla personalità degli imputati ed alla specifica gravità del comportamento delittuoso dagli stessi tenuto:


valutazioni discrezionali, queste, effettuate nel pieno rispetto dei criteri direttivi indicati dall'art. 133 c.p. e, come tali, non assoggettabili a sindacato in questa Sede, ponendosi, di contro, le deduzioni difensive sul punto formulate nella mera prospettiva di accreditare una diversa ed alternativa valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali che giustificherebbero la concessione degli invocati benefici.


Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, d'altronde, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli, come avvenuto nel caso in esame, faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (v. Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, dep. 23/09/2010, Rv. 248244; Sez. 3, n. 30562 del 19/03/2014, dep. 11/07/2014, Rv. 260136).


La rilevata parzialità dell'offerta risarcitoria, che nel caso in esame ha riguardato, come posto in evidenza dalla Corte distrettuale, solo una delle parti civili costituite, ha coerentemente fondato, in relazione alla posizione del D.N., il motivato diniego dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, tenuto conto dei principii sul punto stabiliti da questa Suprema Corte (da ultimo, v.


Sez. 1, n. 20452 del 23/04/2015, dep. 18/05/2015, Rv. 263594; Sez. 2, n. 9143 del 24/01/2013, dep. 26/02/2013, Rv. 254880).


6. Parimenti infondato, sino a lambire i margini dell'inammissibilità, deve infine ritenersi l'ultimo profilo di doglianza oggetto del ricorso del D.N. (v. supra, il par.


2.3.), in quanto reiterativo di una serie di censure puntualmente esaminate e motivatamente disattese dai Giudici di merito.


Deve al riguardo ribadirsi la pacifica linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (Sez. Un., n. 920 del 17/12/2003, dep. 19/01/2004, Rv. 226491; da ultimo, v. Sez. 2, n. 29554 del 17/06/2015, dep. 10/07/2015, Rv. 264147, nonchè Sez. 6, n. 45700 del 20/11/2012, dep. 22/11/2012, Rv. 253816), secondo cui, in tema di sequestro preventivo di beni confiscabili a norma del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356, dalla accertata sproporzione tra guadagni (desumibili dal reddito dichiarato ai fini delle imposte) e patrimonio scatta una presunzione (iuris tantum) di illecita accumulazione patrimoniale, che può essere superata dall'interessato sulla base di specifiche e verificate allegazioni, dalle quali si possa desumere la legittima provenienza del bene sequestrato in quanto acquistato con proventi proporzionati alla propria capacità reddituale lecita e, quindi, anche attingendo al patrimonio legittimamente accumulato.


Ai fini del superamento della presunzione di illecita accumulazione, dunque, occorre fornire un'esauriente spiegazione che dimostri la derivazione dei beni oggetto di misura ablativa da legittime disponibilità finanziarie, laddove, nel caso in esame, i Giudici di merito hanno: a) dapprima - e pur tenendo conto delle ridotte disponibilità finanziarie della compagna del ricorrente - posto in rilievo il dato della notevole sproporzione fra il complesso dei redditi da lavoro dipendente da lui dichiarati nell'arco temporale 2002-2011 (pari ad un importo lordo annuo inferiore ad Euro trentamila), ovvero di quelli da fabbricato (pari a circa Euro millesettecento annui), e la somma in contanti (pari ad oltre centomila Euro) rinvenuta nella sua disponibilità (occultata all'interno di diversi mobili della sua abitazione e suddivisa in più plichi contenenti "mazzette" di banconote di diverso taglio); b) quindi, specificamente esaminato le allegazioni documentali fornite dal ricorrente, ritenendole tuttavia, con congrua ed esaustiva motivazione, assolutamente insoddisfacenti non solo in ragione delle inverosimili giustificazioni al riguardo prospettate (v. pagg. 17-18 della sentenza di secondo grado, con riferimento, ad es., all'enorme discrasia temporale fra l'epoca della documentazione prodotta e quella del sequestro, al tipo di spese che qualunque nucleo familiare, anche il più parsimonioso, è costretto ad affrontare, ovvero al fatto che, nell'occasione, sono state sequestrate banconote sostanzialmente nuove, che non potevano farsi risalire ad anni precedenti), ma anche, e soprattutto, per il fatto di non averne saputo dimostrare l'origine, poichè, trattandosi di somme di denaro, egli avrebbe dovuto provarne la diretta derivazione da uno o più atti dispositivi in grado di attribuirgliene, se non contestualmente, entro un ragionevole arco temporale, la piena disponibilità economica.


7. Per le considerazioni su esposte, dunque, i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che, avuto riguardo alla natura ed entità delle questioni dedotte, vanno complessivamente liquidate secondo le statuizioni in dispositivo meglio indicate.


P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè della somma di Euro 2.000,00 alla parte civile Agenzia delle Entrate.


Così deciso in Roma, il 22 settembre 2015.


Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2015

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