La Corte di Cassazione civile, sez. I, 26/02/2024, n.5064, ha affermato: "non è configurabile un onere a carico della banca di dedurre e dimostrare quali rimesse abbiano avuto carattere solutorio, è tuttavia minata da un'incongruenza logica (potrebbe dirsi di metodo decisionale), perché, ove sia
stata proposta dal correntista una domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità di clausole contrattuali e/o all'esistenza protratta nel tempo di prassi bancarie contrarie a norme imperative e inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve esser preceduta dall'individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca".
La sentenza integrale
FATTI DI CAUSA
La Do. Fratelli Snc ha proposto ricorso per cassazione, in cinque motivi, contro la sentenza della corte d'appello di Milano, notificata il 29-10-2019, che in accoglimento del gravame del Banco BPM Spa ne ha respinto le domande finalizzate alla rideterminazione del saldo di un conto corrente aperto fin dall'anno 1981, con le conseguenti restituzioni e previo accertamento della illecita capitalizzazione degli interessi passivi (in epoca precedente e successiva all'intervento della delibera del Cicr del 9-2-2000) e dell'applicazione di interessi, commissioni di massimo scoperto e spese superiori al pattuito.
La banca ha replicato con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. - La sentenza ha sviluppato le seguenti argomentazioni.
La domanda era stata supportata dalla mera produzione del contratto e degli estratti scalari relativi al periodo dal primo trimestre 1993 al 30-9-2013, con lacune relative al 1° trimestre 1994, al 4° trimestre del 1997, a tutti i trimestri degli anni 1999, 2000, 2001 e 2002 e al 4° trimestre del 2005. Su tale documentazione contabile era stata ammessa una c.t.u. in esito alla quale la domanda era stata accolta dal tribunale di Lecco per l'importo conseguente alla rideterminazione del saldo. Sennonché la banca aveva eccepito la prescrizione decennale in relazione a tutti gli addebiti asseritamente illegittimi che fossero stati fatti mediante rimesse in conto anteriori al decennio dalla notifica della citazione, poiché da intendere, quelle rimesse, di natura solutoria; e la sentenza di primo grado aveva errato nel rigettare l'eccezione per il sol fatto che la banca non avesse indicato le rimesse aventi tale natura.
In vero il c.t.u. aveva evidenziato di non essere in grado, in mancanza di idonea documentazione, di indicare eventuali rimesse solutorie, ma sarebbe stato onere del correntista, al fine di superare l'eccezione, fornire di contro la prova dell'asserita natura ripristinatoria delle rimesse, poiché in assenza di affidamenti tutte le rimesse sono da reputarsi solutorie.
In questa prospettiva l'eccezione della banca, respinta in primo grado, è stata accolta in appello.
Dipoi - e per la parte che in effetti maggiormente rileva - la sentenza ha condiviso le censure della banca all'operato del c.t.u. quanto alla rideterminazione del saldo del conto, poiché l'attrice aveva prodotto documentazione inadeguata e incompleta, costituita dai soli estratti scalari, neppure continuativi, relativi agli anni dal 1993 al 2013, pur essendo stato il conto aperto nel 1981.
Secondo la corte d'appello soltanto la produzione degli estratti conto a partire dalla data di apertura del contratto avrebbe consentito di pervenire, attraverso l'integrale ricostruzione dei rapporti di dare/avere tra le parti, alla determinazione dell'eventuale credito del correntista e alla quantificazione degli importi da espungere, non essendo sufficienti a tale fine gli estratti conto scalari in quanto rappresentativi dei soli conteggi degli interessi attivi e passivi, senza possibilità di individuare le operazioni alla base delle annotazioni degli interessi e dei movimenti effettuati nell'arco di tempo considerato.
Da ciò la conseguenza che il metodo utilizzato dal c.t.u. per la ricostruzione del saldo non poteva considerarsi affidabile, essendosi trattato di metodo di calcolo sintetico (o del tasso medio) non scientificamente esatto, ancorché in uso dalla maggioranza della
dottrina tecnica (e dalla stessa Banca d'Italia) per mere rilevazioni statistiche.
II. - La società Dolce Fratelli fonda il ricorso sui seguenti motivi:
(i) violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. per aver la corte d'appello erroneamente statuito in punto di ripartizione degli oneri probatori con riferimento alla eccezione di prescrizione; si assume che per le stesse decisioni di legittimità citate dalla corte territoriale non sarebbe onere della correntista dare la prova della esistenza delle rimesse - né di natura ripristinatoria né ancor meno di natura solutoria - atteso in consolidato principio per cui l'onere probatorio di un fatto estintivo incombe al soggetto che lo abbia eccepito;
(ii) violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ. per avere la corte d'appello erroneamente valutato e statuito sull'onere della prova del correntista quanto ai fatti costitutivi della sua domanda; in particolare, la sentenza avrebbe errato nel dichiarare inidonea la documentazione prodotta dalla correntista assumendo la necessità a che la stessa dovesse comprendere anche gli estratti mensili, e avrebbe altresì errato nel sottolineare l'impossibilità di individuare in base agli estratti scalari le operazioni storiche determinative dell'andamento del conto, visto che la stessa c.t.u. aveva motivatamente stabilito la compiutezza dei documenti contabili ai fini della ricostruzione del saldo; e comunque essa correntista aveva prodotto gli estratti conto con riferimento a un limitato periodo di tempo della vita del conto perché la sua domanda era stata limitata in riferimento al detto intervallo temporale, con esplicita rinuncia a qualsiasi contestazione quanto ai periodi per i quali non era in possesso di documentazione contabile;
(iii) violazione o falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 att. cod. proc. civ. per avere la sentenza omesso di valutare la c.t.u. e comunque omesso di motivare sulle ragioni di non recepimento delle risultanze di essa;
(iv) violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. per avere la corte d'appello dichiarato inammissibile la domanda sulla errata valutazione dell'onere della prova, e per essersi pronunciata su un capo della sentenza non oggetto di gravame, non avendo la banca proposto alcuna eccezione di inammissibilità;
(v) violazione o falsa applicazione degli artt. 120 T.u.b., 7 delibera del Cicr del 9-2-2000 e 1283 cod. civ., per avere la sentenza dichiarato erroneamente la natura migliorativa della capitalizzazione degli interessi introdotta dalla delibera suddetta rispetto alla clausola anatocistica precedentemente applicata.
III. - Il primo motivo è fondato nel senso che segue.
È certamente vero, come ricorda la corte d'appello, che in tema di prescrizione estintiva, l'onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente è soddisfatto con l'affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l'indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. Sez. U n. 15895-19).
Questo principio opera, tuttavia, sul (solo) versante dell'onere di allegazione e postula una simmetria, nel senso che così come il correntista può limitarsi a indicare l'esistenza di versamenti indebiti e chiederne la restituzione previa verifica del saldo del conto, così anche la banca può a sua volta limitarsi ad allegare l'inerzia dell'attore per il tempo necessario alla prescrizione.
Dopodiché il problema della indicazione delle rimesse solutorie si sposta sul piano della prova, e presuppone che il giudice debba valutare le tesi contrapposte secondo le ordinarie regole di riparto anche ed eventualmente facendo luogo a una c.t.u.
La corte d'appello ha affermato che la c.t.u. era stata in effetti espletata, ma che per la mancanza di documentazione non era stata in grado di evidenziare l'esistenza di rimesse con funzione solutoria. Ha aggiunto che comunque il conto era risultato contraddistinto dalla mancanza di affidamenti, e da ciò ha ricavato che in definitiva tutte le rimesse erano da reputare solutorie, salvo prova contraria a onere del correntista.
Questa considerazione, per quanto possa trovare riscontro l'assunto generale secondo cui non è configurabile un onere a carico della banca di dedurre e dimostrare quali rimesse abbiano avuto carattere solutorio (v. Cass. Sez. 1 n. 19812-22), è tuttavia minata da un'incongruenza logica (potrebbe dirsi di metodo decisionale), perché, ove sia stata proposta dal correntista una domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità di clausole contrattuali e/o all'esistenza protratta nel tempo di prassi bancarie contrarie a norme imperative e inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve esser preceduta dall'individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le voci o competenze accertate come illegittime e in concreto applicate dalla banca.
Altrimenti non ha senso discorrere di versamenti in funzione solutoria.
In altre parole, il dies a quo della prescrizione non può iniziare a decorrere se non per quella parte delle rimesse sul conto corrente la cui funzione solutoria - finanche dinanzi a un conto non affidato - sia in effetti individuabile dopo la rettifica del saldo (v. Cass. Sez. 1 n. 7721-23, Cass. Sez. 1 n. 9141-20).
IV. - Pure il secondo e il terzo motivo, unitariamente esaminabili, sono fondati.
L'impugnata sentenza ha fatto leva sulla mancata produzione, da parte della correntista, degli estratti integrali dall'inizio del rapporto per affermare l'inattendibilità della c.t.u., che pure aveva concluso nel senso favorevole all'attrice.
È principio consolidato che è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte dalla c.t.u. nella propria relazione, sia quando le argomentazioni siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice possa sostituirle con altre tratte da cognizioni tecniche. E però in ambedue i casi resta l'onere del giudice di fornire un'adeguata motivazione del giudizio reso, esente da errori logici e giuridici (tra le moltissime, Cass. Sez. L 17757-14, Cass. Sez. 3 n. 200-21, Cass. Sez. 3 n. 27411-21).
Ora l'affermazione previa dell'impugnata sentenza in ordine alla necessità della produzione integrale degli estratti da parte del correntista fin dall'inizio del rapporto, anche quando sia quest'ultimo ad agire in giudizio (alla quale essenzialmente è stata affidata la critica all'operato del c.t.u.), è - nella sua assolutezza - errata.
Nel rapporto di conto corrente, una volta esclusa la validità della pattuizione di interessi ultralegali o anatocistici a carico del correntista, ed eventualmente riscontrata la mancanza di una parte degli estratti conto, occorre distinguere il caso in cui il correntista sia convenuto da quello in cui egli sia invece attore in giudizio (v. Cass. Sez. 1 n. 11543-19, Cass. Sez. 1 n. 22290-23).
Nel caso della domanda proposta dal correntista, l'accertamento del dare e dell'avere può attuarsi con l'utilizzo di prove che forniscano indicazioni certe e complete tese a dar ragione del saldo maturato all'inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto, perché l'estratto è un documento formato (e proveniente) dalla banca.
Ne segue che dinanzi a documenti esibiti dal correntista e provenienti dalla banca è ben possibile ricostruire l'effettività del saldo finale partendo da questi, e anche movendosi mediante elaborazioni tecniche dei dati emergenti dagli scalari (v. in motivazione Cass. Sez. 1 n. 16837-22 e v. pure Cass. Sez. 1 n. 10293-23, Cass. Sez. 6-1 n. 1538-22, fino alla recentissima Cass. Sez. 1 n. 1763-24).
Ove sia il correntista ad agire in giudizio per la rideterminazione del saldo e la correlata ripetizione delle somme indebitamente considerate, e il primo degli estratti prodotti rechi un saldo iniziale a suo debito, è legittimo ricostruire il rapporto con le prove che offrano indicazioni o diano giustificazione di un saldo diverso nel periodo di riferimento per effetto della eliminazione delle voci o delle competenze illegittimamente applicate a quel momento. La base del calcolo può attestarsi, in questa prospettiva, proprio sul saldo iniziale del primo degli estratti conto acquisiti al giudizio, visto che questo costituisce un documento redatto dalla controparte in funzione riassuntiva delle movimentazioni del conto corrente, e rimane, nel quadro delle risultanze di causa, il dato più sfavorevole allo stesso attore.
In questo senso devono essere fissati i principi idonei a definire la controversia.
V. - Il quarto motivo resta assorbito.
VI. - Il quinto motivo è infondato.
Costituisce affermazione pacifica che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato illegittimo, per violazione dell'art. 76 cost., l'art. 25, comma terzo, del D.Lgs. n. n. 342 del 1999, le clausole anatocistiche stipulate prima della nota delibera del Cicr del 9-2-2000 sono nulle perché stipulate in violazione dell'art. 1283 cod. civ. e basate su un uso negoziale anziché su un uso normativo (Cass. Sez. U n. 21095-04 e successive conf.).
In questo caso il giudice, dichiarata la nullità della predetta clausola per contrasto con il divieto di anatocismo, deve calcolare gli interessi a debito del correntista senza operare alcuna capitalizzazione (v. Cass. Sez. 1 n. 17150-16, Cass. Sez. 1 n. 24153-17, Cass. Sez. 1 n. 24156-17).
Ciò non toglie però che per il periodo successivo alla delibera sopra citata possa (e debba) trovare applicazione la regola di eguale periodicità stabilita dalla ripetuta delibera del Cicr in attuazione dell'art. 120 del T.u.b. (testo pro tempore), alla condizione che vi sia stato l'adeguamento dei contratti anteriormente stipulati alle previsioni della delibera stessa entro il 30-6-2000, senza peggioramento delle pattuizioni precedentemente applicate.
La corte d'appello ha affermato che questa circostanza si era verificata, e ciò costituisce esito di un accertamento di fatto.
Pertanto, a partire da tale adeguamento era (ed è) divenuta legittima la capitalizzazione trimestrale, proprio perché contraddistinta da eguale periodicità a credito e a debito.
La critica della ricorrente è incentrata sul rilievo che le nuove condizioni applicate dalla banca si sarebbero dovute considerare peggiorative se riferite (come la ricorrente assume dovuto) alla mancanza totale di capitalizzazione come esito della nullità della clausola originaria.
Ma si tratta di affermazione, da un lato, non giustificata dal precedente di questa Corte richiamato in ricorso (Cass. Sez.1 n. 26779-19), che è volto a confutare un argomento finalizzato a sovvertire la soluzione degli effetti della nullità della clausola per il periodo anteriore alla delibera del Cicr, e dall'altro comunque errata.
La condizione prevista dalla delibera Cicr quale limite della possibilità della banca di operare un valido adeguamento delle condizioni contrattuali alle disposizioni della delibera attuativa del T.u.b. è incentrata sul fatto che "le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate".
Ciò implica una valutazione relazionale tra le nuove e le vecchie condizioni del contratto, non anche invece - come capziosamente pretende la ricorrente - tra le nuove condizioni e quelle anteriori epurate da ogni forma di capitalizzazione.
A seguire la tesi, la stessa previsione di una possibilità di adeguamento sarebbe priva di senso logico, visto che, rispetto a un effetto di nullità del tipo di quello sopra considerato (incentrato sul correttivo del calcolo degli interessi a debito senza alcuna capitalizzazione), mai si potrebbe discorrere di prassi anatocistica non peggiorativa.
VII. - In conclusione, la sentenza è cassata in relazione ai primi tre motivi.
Segue il rinvio alla medesima corte d'appello, in diversa composizione.
La corte d'appello si uniformerà ai principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, rigetta il quinto e dichiara assorbito il quarto, cassa l'impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte d'appello di Milano anche per le spese del giudizio di cassazione.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile, addì 7 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2024.