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Favoreggiamento dell'immigrazione clandestina: il reato è assorbito da quello di tratta di persone.

Approfondimenti


Indice:


1. Premessa

E' noto che l'art. 12 T.U. imm. contiene, in esordio, tanto nel comma 1 che nel comma 3 (fattispecie, quest'ultima, che riveste, alla pari di quelle delineate dai successivi commi 3-bis e 3-ter, mera natura circostanziale: Sez. U, n. 40982 del 21/06/2018, P., Rv. 273937-01), una clausola di riserva, rappresentata dall'inciso "salvo che il fatto costituisca più grave reato", idonea a riflettere il principio di assorbimento (o consunzione) di fattispecie incriminatrici concorrenti.


2. Il primo orientamento

Secondo un primo orientamento, fatto proprio da Sez. 5, n. 20740 del 25/03/2010, Ikponwmasa, Rv. 247658-01, la clausola di riserva sopra richiamata opera indipendentemente dal principio di specialità, e di conseguenza dal raffronto tra norme, nonché tra interessi tutelati, escludendo la punibilità della condotta di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina ogniqualvolta la stessa si traduca "in fattore costitutivo di attuazione di una più grave violazione".

Tanto si ricaverebbe dal testuale richiamo al "fatto", anziché alla "disposizione di legge" (art. 15 c.p.), il quale attesterebbe il carattere sussidiario, e di chiusura, della previsione.

Qualora, dunque, l'agevolazione all'ingresso illegale in Italia di uno straniero costituisca, al contempo, un mezzo per realizzare la tratta del medesimo, si verificherebbe assorbimento della prima condotta nella seconda, più gravemente sanzionata.


3. Il secondo orientamento

Tale approdo ermeneutico è smentito da Sez. 3, n. 50561 del 08/10/2015, G., Rv. 265647-01. Secondo tale arresto, il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, previsto dall'art. 12 T.U. imm., non è assorbito dai più gravi delitti di tratta di persone, o di riduzione in schiavitù, essendo diverso il bene giuridico tutelato dalle rispettive norme incriminatrici; la prima essendo a presidio dell'ordine pubblico e della correlata esigenza di controllo dei flussi migratori, le altre della libertà e della dignità della persona. La pronuncia di legittimità afferma espressamente che, in tema di regolamentazione penale del fenomeno migratorio, "l'inciso "salvo che il fatto costituisca più grave reato" (posto in incipit del menzionato art. 12, commi 1 e 3) presuppone, affinché il meccanismo dell'assorbimento sia operativo, che il reato più grave sia posto a tutela del medesimo interesse giuridico tutelato".

Tale ultima affermazione è replicata, quanto ai rapporti le previsioni dell'art. 12 T.U. imm. e il più grave reato di falso, da Sez. 5, n. 6250 del 21/01/2004, Vasapollo, Rv. 228087-01.


4. Sul requisito dell' identità del bene giuridico

Sul requisito della necessaria identità di bene giuridico leso, onde discernere il concorso reale o apparente di norme incriminatrici, una delle quali contenente la clausola di eccettuazione della sua applicazione a cospetto di fatti altresì riconducibili a fattispecie più severamente sanzionate, si registrano anche fuori dello stretto rapporto tra i delitti di tratta e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina - orientamenti non univoci in seno alla giurisprudenza di questa Corte.

In base alla ratio decidendi della mancata comunanza di bene giuridico tutelato, e nonostante la presenza nelle previsioni incriminatrici meno gravi di clausole di riserva corrispondenti a quella odierna, Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015, Belleri, Rv. 265045-01, esclude il fenomeno dell'assorbimento tra il reato di ricettazione e quello di interferenze illecite nella vita privata di cui all'art. 615-bis c.p., comma 2; Sez. 5, n. 30455 del 02/05/2019, D., Rv. 276347-01, ammette il concorso tra il delitto di trattamento illecito di dati personali (art. 167, comma 1, T.U. privacy) e quello di diffamazione; Sez. 5, n. 12062 del 05/02/2021, Di Calogero, Rv. 280758-02, ammette il concorso tra il medesimo reato di illecito trattamento e quello di sostituzione di persona, e Sez.2, n. 36365 del 07/05/2013, Braccini, Rv. 256876- 01, tra il primo reato e la ricettazione.

Invece si pronunciano per l'assorbimento del reato di favoreggiamento dell'immigrazione illegale in quello, più gravemente sanzionato, di sfruttamento della prostituzione dell'immigrato clandestinamente presente sul territorio nazionale, stante la presenza nel primo della clausola di riserva e nonostante la diversità di bene giuridico tutelato, Sez. 3, n. 35716 del 05/05/2011, C., Rv. 251231-01, nonché Sez. 3, n. 41404 del 07/07/2011, Y., Rv. 25129-01, e Sez. 3, n. 46223 del 02/10/2013, Maloku, Rv. 257858-01.

In tema di abuso di ufficio (fattispecie incriminatrice in cui compare, nell'incipit, la medesima clausola di riserva "salvo che il fatto non costituisca un più grave reato"), si riproducono, quanto al concorso con i reati di falso, le medesime oscillazioni. Secondo Sez. 2, n. 5546 del 11/12/2013, deo. 2014, Cuppari, Rv. 258205-01, sussiste il concorso materiale, e non si verifica assorbimento, tra il reato di falso ideologico in atto pubblico e quello di abuso d'ufficio, in quanto essi offendono beni giuridici distinti; il primo, infatti, mira a garantire la genuinità degli atti pubblici, il secondo tutela l'imparzialità e il buon andamento della pubblica amministrazione (in termini, Sez. 5, n. 3349 del 01/02/2000, Palmegiani, Rv. 215587-01; Sez. 5, n. 7581 del 05/05/1999, Graci, Rv. 213777-01).

La perentorietà di tale assunto è smentita da Sez. 6, n. 13849 del 28/02/2017, Trombatore, Rv. 269482-01, a mente della quale "non sussiste il concorso formale tra il delitto di abuso d'ufficio e quello, più grave, di falso materiale in atto pubblico, quando la condotta addebitata all'imputato si esaurisca nella mera commissione della falsità, stante la clausola di riserva di cui all'art. 323 c.p., preordinata ad evitare la doppia incriminazione, la quale, con riguardo ad un unico fatto, impone di applicare esclusivamente la sanzione prevista per la fattispecie più grave, ancorché quest'ultima abbia ad oggetto la tutela di un bene giuridico diverso da quello tutelato dalla disposizione con pena meno severa" (a quest'orientamento sostanzialmente si ispirano Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, Platamone, Rv. 254304-01; Sez. 6, n. 42577 del 22/09/2009, Fanuli, Rv. 244944-01; Sez. 5, n. 45225 del 09/11/2005, Bernardi, Rv. 232724-01; Sez. 5, n. 27778 del 19/05/2004, Piccirillo, Rv. 228681-01; Sez. 5, n. 12226 del 21/10/1998, D'Asta, Rv. 21:L928-01). Coerenti con tale ultimo indirizzo appaiono, da ultimo, Sez. 6, n. 3515 del 18/12/2019, dep. 2020, Pinto Vraca, Rv. 278324-01, e Sez. 5, n. 45992 del 07/07/2017, Jelen, Rv. 27107301, che ammettono, in tema, il concorso materiale nel caso in cui la condotta di abuso non si esaurisca nella falsificazione, e la falsità in atti sia strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323 c.p., costituendo, in tale ambito, parte soltanto di più ampia condotta penalmente rilevante.


5. Conclusione: L'adesione al primo orientamento.

La Corte aderisce al primo degli orientamenti sopra enunciati, il quale conduce ad escludere il concorso tra il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e quello di tratta, e ad affermare l'assorbimento del primo nel secondo, ogni qualvolta l'ingresso illegale nel territorio nazionale di cittadini non appartenente all'Unione Europea sia procurato mediante condotta, che, rappresentando una modalità di attuazione della tratta, sia interamente ricompresa nel perimetro consumativo di quest'ultima.

La consunzione è in tal caso imposta dalla clausola di eccettuazione, valevole ed operante rispetto alla prima fattispecie.

A tanto non osta la diversità dei beni giuridici protetti dalla rispettive norme incriminatrici, che non è qui in discussione.


6. Le ragioni di tale scelta

Occorre muovere, al fine di giustificare tale conclusione, dai principi ripetutamente espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, La Marca, Rv. 270902-01; Sez. U, n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668-01; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, Rv. 248722-01; Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 248865-01; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, Rv. 235962-01; Sez. U, n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv. 232302-01), secondo cui, in materia di concorso di norme penali incriminatrici, per stabilire se esso sia reale o meramente apparente, opera, quale criterio valutativo fondamentale, il criterio di specialità, previsto dall'art. 15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, ossia sul raffronto logico-formale tra i rispettivi elementi costitutivi.

Deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale, e che presenta uno o più requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, per specificazione o per aggiunta, sicché l'ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell'ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 2011, Giordano, cit.). Il presupposto della convergenza di norme, necessario perché risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente, posta dall'art. 15 c.p., risulta integrato solo in presenza dli un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso l'analisi compativo-differenziale tra le norme astrattamente configurate, secondo un approccio euristico attento ai modelli di incriminazione, anziché alla casistica applicativa accidentalmente derivabile.

L'insegnamento delle Sezioni Unite è dunque consolidato nel ritenere che per "stessa materia", ai sensi dell'art. 15 c.p., debba intendersi la stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico nel quale si realizza l'ipotesi di reato; con la precisazione che il riferimento all'interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell'applicazione del principio di specialità (Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, cit.; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, cit.).

L'identità di bene giuridico protetto non e', in questo campo, "conducente", in quanto -già in relazione al criterio della specialità, e quindi a cospetto di fattispecie in rapporto di continenza logico-formale tra di loro- il "giudizio di medesimezza del fatto di reato deve essere affrancato dalle mutevoli implicazioni derivanti dall'inquadramento giuridico delle fattispecie", dovendosi tener presente che "che il fatto penalmente rilevante involge l'accadimento storicamente verificatosi, tenuto anche conto dell'oggetto fisico su cui è caduta l'azione umana" (Sez. U, n. 41588 del 2017, La Marca, cit.).

Al di là dell'applicazione del principio di specialità, è possibile derogare alla regola del concorso di reati solo quando la legge contenga l'enunciazione di apposite clausole di riserva, le quali, inserite nella singola disposizione, testualmente impongono l'applicazione di una sola norma incriminatrice prevalente, che prescinde dal raffronto astratto, di tipo logico-formale, tra fattispecie (Sez. U, n. 20664 del 2017, Stalla, cit.).

La funzione delle predette clausole di riserva è appunto quella di delimitare l'ambito di applicazione delle norme che le contengono, eventualmente concorrenti con altre norme incriminatrici, anche nelle ipotesi in cui le rispettive fattispecie non si pongano in rapporto di specialità l'una rispetto all'altra.

Con esse il legislatore intende prevenire la duplice incriminazione del medesimo fatto storico, lì dove tale esito non sarebbe scongiurato dall'applicazione del principio di specialità.

Se non si vuole allora vanificare il significato sotteso all'apposizione normativa delle clausole, il loro raggio di applicazione non può conoscere quanto al rapporto che si instaura tra il fatto oggetto della previsione di eccettuazione e le norme che potenzialmente lo incriminano - confini più ristretti di quelli contemplati nei casi in cui la risoluzione del conflitto sia interamente rimessa all'operare del criterio di specialità.

A maggior ragione, dunque, deve valere, in relazione alle predette clausole, il principio secondo il quale il "giudizio di medesimezza del fatto di reato deve essere affrancato dalle mutevoli implicazioni derivanti dall'inquadramento giuridico delle fattispecie", per cui si deve concludere che, a fronte di un fatto unico dal punto di vista naturalistico, l'esistenza della clausola consente, anzi impone, di applicare esclusivamente il trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie più grave, anche se la stessa ha ad oggetto la tutela di un bene giuridico diverso da quello presidiato dalla disposizione assistita da pena meno severa.

La giurisprudenza delle Sezioni Unite, sin qui richiamata, è univoca nel negare alla figura dell'assorbimento, che non sia consacrato da apposita clausola di eccettuazione, la funzione di utile criterio di orientamento al fine di discernere il concorso reale dal concorso apparente di norme incriminatrici.

E' stato, a ragione, osservato che le classificazioni, che a tale figura, così come a quelle della sussidiarietà e dell'antefatto o postfatto non punibili, si richiamano, sono "prive di sicure basi ricostruttive, poiché individuano elementi incerti quale dato di discrimine, come l'identità del bene giuridico tutelato dalle norme in comparazione e la sua astratta graduazione in termini di maggiore o minore intensità, di non univoca individuazione, e per questo suscettibili di opposte valutazioni da parte degli interpreti" (Sez. U, n. 20664 del 2017, Stalla, cit.).

La consunzione della fattispecie meno grave ad opera della più grave è lecitamente predicabile in presenza della clausola di eccettuazione, ma occorre evitare, mediante interpretazioni che segnino la riedizione del criterio dell'identità del bene giuridico, che il meccanismo di risoluzione dell'antinomia, positivamente regolato dal legislatore, si presti alle corrispondenti censure di fragilità dogmatica e d'incertezza applicativa, che sarebbero peraltro tali da porlo in frizione con il superiore principio di legalità.

La tesi, secondo cui la medesimezza del fatto storico, idonea a fondare, in presenza della clausola di eccettuazione, la linea di confine tra norme incriminatrici, prescinda dagli interessi giuridici rispettivamente tutelati, è raggiungibile anche alla luce della complessiva, e convergente, elaborazione della giurisprudenza, costituzionale e convenzionale, che, con specifico riferimento alla materia del divieto di bis in idem, si è particolarmente impegnata ai fini della individuazione della nozione di identità del fatto (Corte Cost., n. 200 del 2016; Corte EDU, GC, 10 febbraio 2009, Zclotoukhine contro Russia).

In particolare, secondo la richiamata giurisprudenza, sussiste identità del fatto "quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona", e l'evento può assumere rilevanza "soltanto quale modificazione della realtà materiale conseguente all'azione o all'omissione dell'agente" (cfr. in particolare, Corte Cost., n. 200 del 2016, cit.), secondo una lettura conforme all'attuale stadio di sviluppo interpretativo dell'art. 4 Protocollo CEDU n. 7.

Le argomentazioni espresse dalla Corte Costituzionale, nel delineare la nozione di idem factum, si collocano nell'alveo degli orientamenti espressi dalle Sezioni Unite, più volte richiamati, nell'individuazione dei criteri discretivi del concorso reale o apparente di norme incriminatrici, in base al quale il riferimento all'interesse tutelato dalle norme stesse non ha immediata rilevanza ai fini della risoluzione della questione; e attualizzano tale insegnamento, in conformità ai limiti imposti dalla cornice convenzionale.

Seppure, dunque, il richiamato orientamento si sia formato con espresso riferimento al problema dell'operatività del divieto di bis in idem processuale, la nozione di identità del fatto, in tal modo elaborata, appare "esportabile ai fini della individuazione dell'area di operatività delle clausole di riserva, per affinità di funzione: la finalità delle clausole di riserva, infatti, è quella di evitare comunque una doppia incriminazione, sia pure (...) per esigenze di tipo sostanziale, ma comunque in una prospettiva di contenimento dell'ordinamento penalistico, tanto da porsi oltre i limiti connaturati al principio di specialità" (negli esatti termini, Sez. 6, n. 13849 del 2017, Trombatore, cit.).

Deve essere conclusivamente affermato il principio di diritto, secondo cui il delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, previsto dall'art. 12 T.U. imm., configurabile "salvo che il fatto costituisca più grave reato", resta assorbito dal delitto di tratta di persone di cui all'art. 601 c.p., sanzionato in misura più severa, che sia realizzato mediante condotta naturalistica identica o continente; ciò, nonostante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici.


Fonte: CED Cassazione Penale

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