Indice:
1. La decisione
1. La decisione.
Con la sentenza Sez. U, n. 40986 del 19 luglio 2018, Pittalà, Rv. 273934, le Sezioni Unite hanno fornito la soluzione al quesito, del tutto peculiare, relativo al criterio di riferimento del tempus commissi delicti nei reati “a distanza” o di evento. Nell’occasione le Sezioni Unite hanno inteso definire i criteri per l’individuazione del momento consumativo nei reati “di durata” (reati abituali o permanenti) e, dunque, della disciplina applicabile in concreto nel caso di successione di norme penali. Nella specie, il quesito rimesso alle Sezioni Unite, come emergente dagli orientamenti giurisprudenziali in contrasto, riguardava il tema della incidenza della successione di leggi penali nei reati ad evento differito o caratterizzati da una protrazione della condotta nel tempo, ossia sulla possibilità di applicazione della norma penale vigente al momento della realizzazione della condotta quando l’evento naturalistico, ad essa conseguente, fosse intervenuto nella vigenza di una legge penale sopravvenuta più sfavorevole. Nel caso concreto l’imputato si era reso responsabile dell’investimento della vittima in prossimità di un attraversamento pedonale.
Nel capo di imputazione, in particolare, gli era stato contestato il reato di omicidio stradale di cui all’art. 589-bis cod. pen – introdotto nel nostro codice penale dall’art. 1 della legge 23 marzo 2016, n. 41 – disposizione incriminatrice entrata in vigore il 25 marzo 2016, dopo la realizzazione della condotta di investimento e prima della verificazione dell’evento lesivo.
Nella sentenza impugnata il tempus commissi delicti era stato individuato con riferimento alla data del decesso della persona offesa, verificatosi a distanza di circa sei mesi dal sinistro stradale, per gli esiti del traumatismo conseguenti all’investimento.
La pena irrogata era stata determinata con riferimento ai più severi parametri edittali previsti dalla nuova ipotesi incriminatrice dell’omicidio stradale. Avverso la sentenza di patteggiamento l’imputato proponeva ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento sulla base dell’unico motivo di doglianza della violazione del principio di irretroattività della nuova legge penale sfavorevole, sancito dagli artt. 25 Cost., 7 Convenzione EDU e 2 cod. pen.
La difesa deduceva che all’imputato era stato erroneamente ascritto il delitto di cui all’art. 589-bis cod. pen., in quanto all’epoca del verificarsi del sinistro era in vigore una disposizione penale più favorevole quoad poenam. Segnalava, quindi, l’erronea applicazione, ai fini del tempo del commesso reato, del c.d. “criterio dell’evento”, proponendo, in alternativa, l’adozione del “criterio della condotta”, unico idoneo a soddisfare l’esigenza di necessaria prevedibilità della sanzione tutelata dal precetto costituzionale che vieta l’applicazione retroattiva di trattamenti sanzionatori più severi nell’ipotesi di successione di norme penali nel tempo.
Le Sezioni Unite, nell’accogliere il ricorso, hanno affermato che la condotta costituisce il punto di riferimento temporale essenziale per l’individuazione del tempus commissi delicti nei casi in cui, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole, l’evento naturalistico cade nella vigenza di una legge penale più sfavorevole.
Solo il criterio della condotta, infatti, consente di garantire la prevedibilità delle conseguenze penali e, con essa, l’autodeterminazione della persona.
La realizzazione della condotta è il punto di riferimento temporale cui deve essere riconnessa l’operatività del principio di irretroattività ex art. 25 Cost. Il criterio dell’evento, di contro, sposterebbe in avanti detta operatività così determinando l’applicazione della legge penale sopravvenuta più sfavorevole, con un effetto di sostanziale retroattività della stessa.
2. La questione preliminare del termine per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento nel caso di deposito non contestuale della motivazione.
In via preliminare la Corte ha affrontato ex officio la questione della ammissibilità del ricorso sotto il duplice profilo della possibilità per il giudice di indicare nel dispositivo un termine per il deposito della sentenza di patteggiamento, analogamente a quanto previsto dall’art. 544 cod. proc. pen., e della decorrenza, in caso di siffatta eventuale indicazione, del termine per l’impugnazione della sentenza. In relazione al primo profilo le Sezioni Unite aderiscono all’indirizzo – pressoché consolidato – secondo il quale il giudice non può limitarsi alla mera lettura del dispositivo della sentenza di applicazione della pena, fissando un termine per il deposito successivo della motivazione (Sez. U, n. 16 del 15/12/1992 – dep. 1993 –, Cicero, Rv. 192806). L’art. 448, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che la sentenza di applicazione della pena è pronunciata “immediatamente”, locuzione espressiva di una regola che non prevede un termine legale per il deposito della motivazione (Sez. 1, n. 1609 del 02/12/2014 – dep. 2015 –, Sedicina, Rv. 262554; conf., Sez. 1, n. 5496 del 03/02/2010, Renna, Rv. 246125 e Sez. 6, n. 46291 del 09/10/2014, Altobelli, entrambe non massimate sul punto). La fissazione nel dispositivo di un termine per detto deposito, pertanto, è da ritenersi “irrituale”. Affermano, nella specie, che non può essere suscettibile di estensione la disposizione generale di cui all’art. 544, comma secondo, cod. proc. pen., dettata per la disciplina della sentenza dibattimentale, non essendo esplicitamente prevista una analoga disposizione per la sentenza di applicazione della pena concordata. La necessità di una previsione normativa espressa si deduce dal fatto che analoga disposizione è riprodotta nel codice di rito per la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato, posto che il rinvio operato dall’art. 442, comma 1, cod. proc. pen. “agli artt. 529 e seguenti” ricomprende anche l’art. 544 cod. proc. pen., e per la sentenza di non luogo a procedere ex art. 424, comma 4, cod. proc. pen. Per la sentenza di patteggiamento, di contro, l’art. 448, comma 1, cod. proc. pen. prevede che detta sentenza è pronunciata “immediatamente”, indicazione chiara della necessità della stesura contestuale della motivazione, senza che sia possibile fissare un termine per il suo deposito. La fissazione nel dispositivo di un termine per il deposito della motivazione della sentenza di patteggiamento, secondo le Sezioni Unite, pur non inficiando la validità della pronuncia, è da ritenersi “irrituale” perché non prevista dal citato art. 448 cod. proc. pen. La Corte rileva che precedenti arresti (Sez. 1, n. 26042 del 28/05/2003, Cataldi, Rv. 225273; Sez. 4, n. 43040 del 12/10/2011, Abdelkarim), discostandosi dall’orientamento che privilegia una rigorosa lettura del dato letterale della norma processuale, avevano individuato un termine legale di quindici giorni per il deposito della motivazione, pur senza dare precisa indicazione circa il fondamento normativo di tale termine “generale” e omettendo di valutare – alla luce del criterio sistematico – il contrasto con il dato testuale dell’art. 448, comma 1, cod. proc. pen. La questione conseguente attiene all’individuazione del momento della decorrenza del termine per l’impugnazione della sentenza, nel caso in cui il giudice abbia provveduto irritualmente a fissare un termine per il deposito della motivazione. Sul tema, le Sezioni Unite danno continuità all’orientamento espresso da Sez. U, n. 295 del 12/10/1993 – dep. 1994 –, Scopel, Rv. 195617 (in senso conforme, più di recente, ex plurimis, Sez. 1, n. 5496 del 03/02/2010, Renna, cit.; Sez. 4, n. 43040 del 12/10/2011, Abdelkarim, cit.), affermando che la sentenza di applicazione della pena su richiesta deliberata nel corso delle indagini preliminari, dell’udienza preliminare e nel giudizio, ma “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”, ai sensi dell’art. 448, comma 1, prima parte, cod. proc. pen., deve considerarsi pronunciata in camera di consiglio, con conseguente individuazione del termine ordinario di quindici giorni per proporre impugnazione, ai sensi dell’art. 585, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. Si dà atto, tuttavia, di un contrasto giurisprudenziale in ordine alla individuazione della decorrenza del termine di impugnazione della sentenza di patteggiamento. Secondo un primo indirizzo, infatti, il termine di quindici giorni, operante anche nel caso in cui il giudice abbia formulato irrituale riserva di motivazione dilazionata, decorre dall’ultima delle notificazioni eseguite all’imputato o al difensore (Sez. 1, n. 5496 del 03/02/2010, Renna, Rv. 246125, cit.; Sez. 4, n. 43040 del 12/10/2011, Abdelkarim, cit.; Sez. 4, n. 31395 del 8/04/2013, Magazzù, Rv. 255988). Tale orientamento evidenzia che il riferimento al “caso previsto” o ai “casi previsti” dall’art. 544 cod. proc. pen., operato dall’art. 585, comma 1, lett. b) e c), secondo il senso reso palese dal dato testuale e dal collegamento sistematico con la lett. a) della medesima disposizione, deve essere inteso come rivolto ai soli casi in cui la riserva di motivazione è conforme alla norma richiamata, cioè all’art. 544 cod. proc. pen. relativamente alla sentenza di patteggiamento. Un diverso orientamento, invece, ritiene che il dies a quo per l’impugnazione della sentenza di applicazione della pena, nel caso di irrituale fissazione di un termine per il deposito comunicato alle parti mediante lettura del dispositivo, decorra dal giorno di scadenza dello stesso, come fissato dal giudice, e non dalla notifica o comunicazione del provvedimento, sempre che il deposito di questo intervenga entro la data stabilita nel dispositivo. In questa prospettiva, si precisa che «a norma dell’art. 548, comma 2, la notifica dell’avviso di deposito sia dovuta soltanto nel caso in cui il giudice depositi la sentenza oltre il termine indicato nel dispositivo» (Sez. 6, n. 46291 del 09/10/2014, Altobelli, Rv. 261523; conf. Sez. 5, n. 1246 del 15/10/2014 – dep. 2015, Cabras, Rv. 261725; Sez. 4, n. 18081 del 24/03/2015, Ricci, Rv. 263595). Privilegiando la richiamata interpretazione letterale delle disposizioni processuali, le Sezioni Unite recepiscono il primo dei due indirizzi, evidenziando che la fissazione nel dispositivo di un termine per il deposito della motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta, per l’imprescindibile istanza di certezza nella individuazione dei termini di impugnazione e della relativa decorrenza, non può condurre a delineare un assetto di tale disciplina del tutto praeter legem. Qualora il giudice del patteggiamento non abbia depositato la motivazione contestualmente alla decisione, ma abbia indicato in via irrituale un termine per il deposito, l’impugnazione – indipendentemente dal fatto che il “termine giudiziale” irrituale fissato sia stato o meno osservato – deve essere proposta entro quindici giorni dall’ultima notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento a norma dell’art. 585, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. Tale conclusione si fonda su un argomento valorizzato da Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249670, in ordine alla disciplina della sentenza di non luogo a procedere, secondo cui «la disposizione di cui all’art. 585, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui stabilisce che il termine d’impugnazione decorre dalla scadenza di quello “determinato dal giudice per il deposito della sentenza”, è chiaramente riferibile alle sole sentenze dibattimentali, per le quali soltanto [...] opera la previsione di cui all’art. 544, comma 3, cod. proc. pen.». La riserva di motivazione non produce alcuna nullità della sentenza, ma costituisce una irregolarità della procedura di manifestazione della decisione che incide sulla comunicazione della stessa alle parti e, dunque, sulla decorrenza del termine per impugnare ai sensi dell’art. 585, comma secondo, cod. proc. pen. (in tal senso, Sez. 1, n. 5496 del 03/02/2010, Renna, Rv. 246125, cit.).
In via conclusiva le Sezioni Unite, a risoluzione del contrasto rilevato, hanno affermato il seguente principio di diritto: «La motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta deve essere depositata contestualmente alla pronuncia; qualora la motivazione non sia depositata contestualmente, anche per l’irrituale indicazione in dispositivo di un termine per il deposito, il termine di quindici giorni per l’impugnazione della sentenza pronunciata in camera di consiglio decorre – esclusa qualsiasi nullità della sentenza stessa ed indipendentemente dal fatto che il termine irritualmente indicato dal giudice sia stato o meno osservato – dall’ultima notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento».