La legge di conversione n. 7 del 2020 ha parzialmente modificato la disciplina relativa ai diritti della difesa in ordine all’esame ed all’estrazione di copia degli atti relativi alle intercettazioni, all’esito dell’ordinanza cautelare.
È opportuno evidenziare come la previsione originaria di cui all’art. 293 cod. proc. pen. non disciplinava espressamente tali facoltà; successivamente, il d.lgs. n. 216 del 2017 aveva previsto la possibilità di ottenere copia dei verbali, integrando in tal senso l’art. 293, comma 3, cod. proc. pen.
Tale previsione era stata soppressa dal d.l. n. 169 del 2019 ed è stata ripristinata solo in sede di conversione.
Deve rivelarsi, peraltro, come la previsione in esame costituisca il recepimento di garanzie riconosciute dalla Corte costituzionale alla difesa dell’indagato sottoposto a misura cautelare.
Sul tema, infatti, è intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 336 del 2008, con la quale era stata dichiarata la parziale illegittimità dell’art. 268 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell'adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate.
Il difensore dell’indagato, dunque, ha diritto di ricevere la trasposizione, su supporto idoneo, delle registrazioni al fine di procedere all’ascolto diretto e, quindi, di avere cognizione integrale delle stesse e non del solo verbale riassuntivo redatto dalla polizia giudiziaria.
Sul punto la Corte costituzionale ha chiaramente affermato come «l'ascolto diretto delle conversazioni o comunicazioni intercettate non possa essere surrogato dalle trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria, le quali possono essere, per esplicito dettato legislativo (art. 268, comma 2, cod. proc. pen.), anche sommarie.
È appena il caso di osservare che l'accesso diretto alle registrazioni può essere ritenuto necessario, dalla difesa dell'indagato, per valutare l'effettivo significato probatorio delle stesse.
La qualità delle registrazioni può non essere perfetta ed imporre una vera e propria attività di “interpretazione” delle parole e delle frasi registrate, specie se nelle conversazioni vengano usati dialetti o lingue straniere.
In ogni caso, risultano spesso rilevanti le intonazioni della voce, le pause, che, a parità di trascrizione dei fonemi, possono mutare in tutto o in parte il senso di una conversazione.
Non v'è dubbio che la trascrizione peritale dei colloqui costituisce una modalità di valutazione della prova più affidabile di quanto non sia l'appunto dell'operatore di polizia ed, a maggior ragione, la sintesi che può essere contenuta nei “brogliacci”. Il perito è un esperto, dotato di apparecchiature specifiche, ed opera nel contraddittorio tra le parti, eventualmente per il tramite di consulenti.
Lo stesso fornisce una trascrizione letterale, ma anche indicazioni ulteriori, quando necessarie (intonazione della voce, lunghezza di una pausa etc.), che possono incidere sul senso di una comunicazione.
La trascrizione peritale può contenere anch'essa componenti interpretative, ma è garantita dalla estraneità del suo autore alle indagini e dal contraddittorio.
È evidente che, in assenza della trascrizione effettuata dal perito, l'interesse difensivo si appunta sull'accesso diretto, tutte le volte in cui la difesa ritiene di dover verificare la genuinità delle trascrizioni operate dalla polizia giudiziaria ed utilizzate dal pubblico ministero per formulare al giudice le sue richieste.
Si tratta proprio della fattispecie normativa oggetto del presente giudizio.
La possibilità per il pubblico ministero di depositare solo i “brogliacci” a supporto di una richiesta di custodia cautelare dell'indagato, se giustificata dall'esigenza di procedere senza indugio alla salvaguardia delle finalità che il codice di rito assegna a tale misura, non può limitare il diritto della difesa ad accedere alla prova diretta, allo scopo di verificare la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento restrittivo della libertà personale».
Alla luce della ratio sottesa alla decisione della Consulta, ne consegue che l’ascolto diretto e la copia delle intercettazioni costituisce una facoltà difensiva non comprimibile, la cui violazione dà luogo ad un’ipotesi di nullità a regime intermedio (sul punto la giurisprudenza è costante, a partire dalla sentenza Sez. U, n. 20300 del 22/4/2010, Lasala, Rv.246907, pur con divergenze di soluzioni in ordine alle modalità della richiesta di copia ed alla necessità di specificare che la richiesta è avanzata in vista del riesame; tra le tante, si veda Sez. 2, n.27865 del 14/05/2019, Sepe, Rv. 277016; Sez. 6, n. 37476 del 3/07/2017, Rv. 271371; Sez. 6, n. 22145 del 3/12/2014, Germani, Rv. 263635).
Fonte: Relazione n. 35/2020, a cura dell'Ufficio del Massimario, sulle novità normative apportate dalla legge 28 febbraio 2020, n. 7, di conversione in legge con modificazioni del decreto legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni.