La risposta
No, la precisazione della data di commissione del reato non integra una modifica del capo di imputazione in quanto non tocca il nucleo sostanziale dell'addebito, e non incide sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell'imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa proprio in quanto al tale l'errore era chiaramente evincibile e desumibile dagli atti processuali.
Lo ha affermato la Quarta sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n.47011/21 di seguito riportata.
Fatto
1. La Corte di Appello di Campobasso confermava la sentenza del Tribunale di Campobasso del 13.05.2019, che condannava I.N. alla pena complessiva di mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed Euro 170,00 di multa, in relazione al reato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95 e dichiarava la falsità della dichiarazione sostitutiva di certificazione finalizzata ad ottenere l'ammissione al gratuito patrocinio, ove si attestava falsamente la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, lasciando in bianco lo spazio del modulo della domanda relativo alla indicazione del reddito percepito. Risultava invece che nell'anno fiscale di riferimento, il 2013, il nucleo della I. aveva percepito un reddito pari a 19.310,19 sicché tale reddito superava quello previsto per l'ammissione al beneficio. Veniva altresì disposta la correzione degli errori materiali contenuti nell'imputazione originaria della sentenza appellata nel senso che laddove la data di presentazione dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello stato è indicata in 23.06.2015 deve intendersi scritto e leggersi il "23.06.2014" e là dove al terzo rigo è scritto "nell'ambito del procedimento n. 183/2016 del Tribunale di Sorveglianza deve intendersi scritto " nell'ambito del procedimento n. 349/2014 del Tribunale di Sorveglianza.
1.1. La Corte territoriale motivava sulla base della accertata falsità della dichiarazione reddituale per l'anno 2013 a fronte dell'istanza depositata in data 23.06.2014 che, lasciando in bianco l'apposito spazio dedicato alla precisazione del reddito percepito, di fatto aveva rappresentato una falsa situazione reddituale (fol 7 e 11).
2.Proponeva ricorso I.N. attraverso il difensore, deducendo i seguenti motivi:
I) violazione di legge per essere stata pronunciata una sentenza per un fatto diverso da quello contestato. Lamenta che la Corte di appello ha utilizzato illegittimamente il procedimento della correzione di errore materiale per riscrivere il capo di imputazione modificando in maniera essenziale il fatto contestato;
II) violazione di legge per aver il Giudice di appello esercitato una potestà che non le competeva in quanto riservato solo al Pubblico ministero titolare dell'esercizio dell'azione penale;
III) vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato riferito all'istanza datata 23.06.2014 nonostante che il decreto di fissazione del procedimento 349/2014 era del 25.03.2015. Inoltre lamenta che è stata ritenuta la falsità della dichiarazione che ha lasciato in bianco l'indicazione del reddito mentre in realtà l'unica dichiarazione apposta riguardava di versare in disagiate condizioni economiche.
Diritto
1.I motivi del ricorso che possono essere trattati congiuntamente sono infondati al limite dell'inammissibilità in quanto reiterano le medesime censure già proposte in appello.
La Corte territoriale con accertamento di fatto, adeguatamente motivato e privo di vizi di manifesta illogicità, insuscettibile pertanto di essere sindacato in sede di giudizio dei legittimità, (fol 9) ha affermato che dall'esame degli atti e in particolare del corpo di reato risulta che la I. ha presentato l'istanza di ammissione apponendo la data del 23.06.2014, e che, solo per un errore materiale del cancelliere, riportato per una svista nell'originario capo di imputazione, è stato attestato il deposito il 23.06.2015; analogo errore materiale ha riguardato il procedimento del Tribunale di sorveglianza n. 183/2016 (elemento peraltro non essenziale e comunque indifferente per la sussistenza del fatto reato e la salvaguardia dei diritti di difesa dell'imputata), indicato nell'originaria imputazione. La Corte territoriale ha chiarito e ricostruito attraverso l'esame degli atti processuali, conosciuti dalla difesa, la riferibilità dell'istanza di ammissione al beneficio al procedimento 349/2014 del Tribunale di sorveglianza che, con l'ordinanza n. 356/15 del 29.09.2015 depositata il 15.10.2015, aveva ammesso con riserva la I.; successivamente lo stesso il Tribunale di sorveglianza in data 15.06.2016 ha disposto la revoca del provvedimento di ammissione relativo all'istanza del 23.06.2014 nel procedimento SIUS n. 2014/349, avente ad oggetto la concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare (fol 10).
La Corte distrettuale ha dato piena applicazione al principio di diritto condiviso da questo Collegio e richiamato da varie pronunce di questa Corte (Cfr. Sez. 3 -, n. 29405 del 04/04/2019 Ud. (dep. 05/07/2019) Rv. 276547 - 01) secondo cui la precisazione della data di commissione del reato, nel caso di specie la correzione della data di presentazione della data di presentazione di ammissione al beneficio, non integra una modifica del capo di imputazione in quanto non tocca il nucleo sostanziale dell'addebito, e non incide sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell'imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa proprio in quanto al tale l'errore era chiaramente evincibile e desumibile dagli atti processuali.
Va ricordato il principio di diritto che le Sezioni unite della Corte hanno affermato in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 - 01), principio che è pienamente applicabile anche al caso omologo della mera modifica dell'imputazione, in quanto finalizzato ad ottenere una pronuncia del giudice che sia rispettosa del suddetto principio di correlazione in maniera che vi sia esatta corrispondenza tra chiesto e pronunciato e l'imputato sia posto in condizione di esercitare pieno iure il diritto di difesa costituzionalmente garantito. Secondo il principio affermato dalle Sezioni unite Carelli e, in precedenza, già declinato dalle Sezioni unite Di Francesco (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 - 01), si deve ritenere che, ai fini della modifica dell'imputazione, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, con la conseguenza che l'indagine volta ad accertare se vi sia stata vera e propria modifica dell'imputazione non si esaurisce nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra imputazione originaria e imputazione successivamente corretta perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione.
Con specifico riferimento poi alla modifica della data di consumazione del reato, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che la precisazione della data di commissione del reato, consistente nella diversa indicazione del tempus commissi delicti, non costituisce modifica dell'imputazione, rilevante ex art. 516 c.p.p., allorché non comporti alcuna significativa modifica della contestazione, la quale resti immutata nei suoi tratti essenziali, così da non incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell'imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa (Sez. 5, n. 48879 del 17/09/2018, L., Rv. 274159 - 02; Sez. 5, n. 4175 del 07/10/2014, Califano, Rv. 262844 - 01; Sez. 5, n. 48727 del 13/10/2014, Ranieri, Rv. 261229 - 01).
In altri termini, sia la correzione della data del commesso reato e sia la correzione del nome dell'acquirente della sostanza stupefacente sono stati ritenuti meri errori materiali improduttivi, in quanto tali, di recare lesione al diritto di difesa che aveva potuto perciò pienamente dispiegarsi per il semplice fatto che fosse indiscutibile, sulla base degli atti processuali conosciuti dalla difesa, quale fosse l'episodio della vita dal quale l'imputata si doveva concretamente difendere tanto più che l'istanza di ammissione al beneficio era stata presentata e datata dalla stessa.
La lesione del diritto di difesa come affermato dalla giurisprudenza di legittimità deve essere ancorata ad un concreto pregiudizio subito, pregiudizio che, non verificandosi automaticamente, non è sufficiente evocare in astratto, con l'atto di impugnazione, ma che è necessario indicare in concreto, in maniera che il giudice possa effettivamente valutare se l'imputata, diversamente da quanto ritenuto nei precedenti gradi del processo, sia venuto o meno a trovarsi nella condizione concreta di potersi difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. In buona sostanza - in presenza di una correzione del capo di imputazioné eseguita nel corso del processo e che, a condizioni esatte, è consentita ai sensi dell'art. 130 c.p.p. - la difesa dell'imputato, qualora assuma, con l'atto di impugnazione della sentenza, che non si tratti di una correzione bensì di una modifica dell'imputazione, ai sensi dell'art. 516 c.p.p., è gravata di un onere di allegazione specifico, non perciò meramente generico ed assertivo, circa il concreto pregiudizio subito e in mancanza del quale il motivo è del tutto infondato.
La Corte territoriale ha motivato in maniera logica e coerente la piena di prova circa la sussistenza del fatto reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 che si consuma con la presentazione falsa o la omissione delle dichiarazioni o delle comunicazioni per l'attestazione di reddito necessarie per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato o per il mantenimento del beneficio con la consapevolezza e volontà della falsità, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che non compete. Ha desunto infatti il dolo generico e non una semplice leggerezza ovvero una negligenza dell'agente proprio dalle modalità concrete dell'istanza laddove consapevolmente è stata lasciata in bianco lo spazio dedicato all'indicazione del quantum di reddito familiare omettendo di dichiarare il reddito percepito che non avrebbe dato diritto all'ammissione del beneficio. Sul punto la ricorrente non ha addotto alcun elemento concreto volto a giustificare tale comportamento avendo incentrato la difesa unicamente con riferimento alla pretesa diversità del fatto contestato rispetto a quello ritenuto in sentenza e in particolare alla data di presentazione della istanza e quindi all'anno fiscale di riferimento.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2021.
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