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Maltrattamenti: non è necessario provare la sofferenza della vittima


Corte di Cassazione

Con la sentenza di seguito riportata, la Corte di cassazione ha affermato che nel caso di reato di maltrattamenti, la condotta vessatoria è sufficiente a configurare il reato, senza la necessità di dimostrare l'effettiva manifestazione della sofferenza della vittima.

Analogamente, per quanto riguarda il dolo, non è richiesta una consapevolezza dettagliata degli effetti lesivi dell'azione, ma piuttosto la volontà di persistere in un comportamento vessatorio.

Di conseguenza, la contestazione di tali aspetti senza prove concrete o critiche significative nei confronti delle decisioni di merito hanno indotto la Corte a ritenere il ricorso manifestamente infondato.


Cassazione penale sez. VI, 20/09/2023, (ud. 20/09/2023, dep. 25/10/2023), n.43307

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza descritta in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna alla pena giustizia comminata dal Tribunale di Milano in danno di D.D., colpevole di maltrattamenti aggravati realizzati nei confronti del figlio neonato M., realizzati costringendo l'infante a penose condizioni di vita e in particolare a vivere in un appartamento, caratterizzato da pessime condizioni igienico sanitarie, nel quale si consumavano, anche per inalazione, sostanze stupefacenti, del tipo cocaina e cannabis, indirettamente assunte dal bambino in ragione dell'allattamento abitualmente praticato dalla madre dopo aver consumato le dette sostanze, delle quali era cronicamente dipendente.

2. Impugna la difesa dell'imputata e lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del reato contestato nei suoi estremi oggettivi e soggettivi.

Sotto il primo versante, per la ritenuta abitualità dei contegni omissivi (il non aver garantito all'infante un contesto ambientale estraneo ai profili di degrado rilevati) e commissivi (l'allattamento dopo aver assunto droghe), dando per comprovata una non occasionalità della condotta e della situazione riscontrata dagli operanti al momento dell'accesso nell'appartamento dove l'imputata viveva insieme al figlio.

Ancora, per la indifferenza del contesto nel quale il minore era costretto a vivere, considerata l'età dello stesso, che non gli consentiva di rendersi conto del degrado che lo circondava e per la mera eventualità che le condotte realizzate potessero incidere sull'integrità psicofisica della persona offesa.

Infine, per aver ritenuto che nella specie potesse essere sufficiente anche solo il dolo eventuale delle conseguenze derivanti dalla scelta di allattare malgrado la contestuale assunzione di stupefacenti, senza verificare in alcun modo il grado di consapevolezza che l'imputata, considerato il relativo profilo culturale e lo stato di tossicodipendenza, potesse avere rispetto alla intenzione di mettere in atto effettive condotte vessatorie, smentite dalla pacifica affettuosità mostrata nei confronti del figlio.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso riposa su censure quantomeno manifestamente infondate e va in coerenza dichiarato inammissibile.

2. Giova evidenziare in premessa che l'appello proposto dall'imputata conteneva rilievi diretti a contestare unicamente il dolo, dando per incontroversa non solo la situazione in fatto accertata in primo grado con riguardo al contesto di degrado nel quale l'imputata viveva con il minore (basti pensare alla riscontrata presenza diffusa, in più occasioni, di escrementi di animali rivenuti sul pavimento del detto appartamento) ma anche e soprattutto la dipendenza cronica della D. e l'abitualità della stessa ad allattare dopo aver assunto sostanze stupefacenti.

3. Ne consegue che i rilievi prospettati dal ricorso sul punto della abitualità, laddove mettano in discussione tali profili in fatto, devono ritenersi certamente inammissibili, perché mettono in gioco profili non prospettabili per la prima volta in questa sede.

4. Tanto vale anche con riferimento al tema inerente all'indifferenza in sé del contesto di degrado nel quale il neonato era costretto a vivere per scelta della madre, in quanto non vi sarebbe prova che lo stesso possa aver influito sulla sua integrità psicofisica.

4.1. Sul tema giova ribadire che il delitto di maltrattamenti non è un reato di evento, ma di condotta. Perché esso si configuri, dunque, è sufficiente che il comportamento dell'agente sia idoneo sotto il profilo oggettivo a determinare nella vittima una condizione di sofferenza psico-fisica non semplicemente transitoria, ma non anche che tale stato emotivo concretamente si realizzi e si manifesti. Ragionando diversamente, si finirebbe per conferire alla fattispecie una connotazione relativistica, in ragione della diversa sensibilità della vittima o del suo grado di resistenza psichica individuale: dato, quest'ultimo, tuttavia legato ad una serie di variabili non predeterminabili ed eterogenee (non soltanto, cioè, fisiche e psicologiche, ma anche sociali e culturali), che finirebbe per assegnare o meno penale rilevanza a condotte oggettivamente identiche, in tal modo inficiando la tassatività della disposizione incriminatrice, peraltro mediante l'introduzione di un elemento da essa non richiesto (in questo senso, in motivazione, Sez. 6, 08/03/2023, n. 21111; Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022, dep. 2023).

4.2. Nel caso, la doglianza prospettata dalla ricorrente non mette in discussione la configurabilità in sé del reato, perché non nega la oggettiva idoneità della condotta vessatoria, reiterata nel tempo, posta in esser dalla imputata (costringendo il minore a vivere in quel contesto degradato) ad influire sull'equilibrato sviluppo psicofisico dell'infante; piuttosto lamenta l'omessa verifica di una situazione in fatto (l'effettiva incidenza sul neonato di una condotta siffatta) che non solo non costituiva oggetto del devoluto ma che a ben vedere appare anche ultronea rispetto alla riscontrata sussistenza dei costituti oggettivi della condotta maltrattante.

5. Non diversamente è a dirsi rispetto all'ulteriore aspetto critico - inerente all'incidenza concreta dell'allattamento realizzato subito dopo l'assunzione di stupefacenti- sollevato dal ricorso in punto di configurabilità del reato contestato.

5.1. Si è già detto della incontroversa, ripetuta, continuatività della condotta in questione, non messa in discussione dall'appello sul piano della riscontrata emergenza in fatto. E, sotto altro versante, non può dubitarsi, della oggettiva idoneità maltrattante della condotta che si sostanzi nel veicolare al neonato, sin dalla nascita, tramite il latte materno, le sostanze stupefacenti che la madre assume in termini di cronica dipendenza in modo indiretto ma continuativo, ripetuto e sistematico.

5.2. Ciò posto, oltre alle assorbenti indicazioni di principio sopra rassegnate, in parte qua piace anche sottolineare, a supporto della manifesta inconferenza della doglianza, che il dato ora contrastato dal ricorso risulta per un verso ratificato dalla situazione in fatto accertata dalle due decisioni di merito (dalle quali emerge che il bambino, positivo per cocaina al momento del ricovero, a più di un mese dal distacco dalla madre era ancora positivo, e a diverse sostanze, in esito al controllo pilifero operato dalla Consulente del Pubblico ministero); per altro verso risultava già consolidato per effetto delle stesse indicazioni difensive prospettate con l'appello, con le quali si confermava sul piano materiale la relativa idoneità delle condotte.

6. Identica sorte meritano le censure dirette a contestare la sussistenza del dolo.

6.1. Nelle due sentenze si fa riferimento alla "consapevolezza della ricorrente" rispetto ai rischi assunti nell'allattare il minore dopo aver assunto sostanze stupefacente. Conclusione, questa logicamente desunta, tra l'altro, dal contegno tenuto dall'imputata allorquando, compulsata sul tema dal giornalista delle "(Omissis)" - che con un servizio televisivo mise in luce la vicenda in fatto oggetto del giudizio, allertando anche e forze dell'ordine, - decise di sottrarsi alla domanda volutamente, continuando ad allattare malgrado avesse assunto immediatamente prima del crack.

Aspetto in fatto, questo, coerentemente ritenuto decisivo dai giudici del merito e valorizzato secondo una linea logico deduttiva estranea a manifeste incongruenze, senza che l'appello prima e il ricorso poi ne abbiano criticamente contestato il portato.

6.2. Che poi l'elemento soggettivo nella specie sia stato ritenuto senza dare conto della dimostrata consapevolezza, in capo all'imputata, della certa influenza del suo agire illecito sull'equilibrio psicofisico del figlio, è profilo che non inficia in alcun modo la tenuta e la correttezza delle due decisioni di merito.

In linea con i costituti oggettivi del reato - che non presuppongono concretamente la prova di siffatta incidenza - anche il dolo non richiede una siffatta identica consapevolezza contenutistica: il dolo dei maltrattamenti non implica, infatti, l'intenzione di sottoporre la persona offesa, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza e la volontà dell'agente di persistere in un'attività che per le sue connotazioni abbia una oggettiva idoneità e consistenza vessatoria (così, tra molte: Sez. 3, n. 1508 del 16/10/2018, dep. 2019, C., Rv. 274341; Sez. 6, n. 16836 del 18/02/2010, M., Rv. 246915), accettandone dunque gli sviluppi potenziali e prescindendo in coerenza dalla acquista certezza della concreta effettività lesiva dei relativi agiti.

Da qui anche la manifesta infondatezza di tale censura.

7. Alla inammissibilità seguono le pronunce di cui all'art. 616 c.p.p. definite come da dispositivo.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2023

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