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Il reato di omesso versamento di ritenute certificate ex art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 tra crisi di liquidità e principio di colpevolezza

Aggiornamento: 2 set


Il reato di omesso versamento di ritenute certificate ex art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 tra crisi di liquidità e principio di colpevolezza

Indice:


1. Premessa

Il delitto di omesso versamento di ritenute certificate, oggi disciplinato dall’art. 10-bis d.lgs. 74/2000, costituisce una delle espressioni più significative delle oscillazioni del legislatore in materia penal-tributaria.

In origine la riforma del 2000, ispirata all’intento di depenalizzare le ipotesi bagatellari e concentrare la risposta penale sulle condotte fraudolente, aveva espunto dall’ordinamento la previgente incriminazione di cui all’art. 2 d.l. 429/1982.

La scelta si giustificava nell’ottica di ridurre il carico processuale e di riservare la tutela penale a condotte connotate da effettiva lesività per l’interesse erariale.

Tuttavia, l’esperienza applicativa evidenziò ben presto l’insufficienza di tale approccio.

L’ampia diffusione di omissioni nel versamento delle ritenute, non più penalmente sanzionabili, generò una significativa erosione delle entrate fiscali e spinse il legislatore, con la l. 311/2004, a reintrodurre l’incriminazione all’interno del catalogo dei reati tributari.

Si trattò di un vero e proprio “ripensamento di sistema”, che riportò all’area penale una fattispecie in precedenza relegata al solo piano amministrativo.


2. Natura e struttura della fattispecie

L’art. 10-bis configura un reato proprio, potendo essere commesso esclusivamente dai sostituti d’imposta, ossia quei soggetti tenuti per legge a trattenere le imposte alla fonte (artt. 23 ss. d.P.R. 600/1973).

La condotta tipica consiste nell’omesso versamento, entro il termine previsto per la dichiarazione annuale, delle ritenute operate e certificate.

La fattispecie è comunemente qualificata come reato omissivo istantaneo, che si consuma allo scadere del termine per la presentazione della dichiarazione del sostituto (generalmente 30 settembre o 31 ottobre).

Non è pertanto configurabile il tentativo, mentre fino a quel momento resta possibile regolarizzare la posizione con effetti esclusivamente amministrativi.

La peculiarità risiede nella duplice dimensione della condotta: da un lato l’elemento commissivo, rappresentato dal rilascio della certificazione al sostituito, dall’altro l’omissione del versamento all’Erario.

È proprio la certificazione a rendere il sostituito titolare di un credito d’imposta, mentre lo Stato resta privo del corrispondente gettito: qui si concentra l’offensività della fattispecie.


3. L’elemento oggettivo: certificazione, soglia e momento consumativo

Il cuore oggettivo della fattispecie si individua nella divergenza tra le ritenute dichiarate come trattenute e certificate al sostituito, da un lato, e le somme effettivamente riversate all’Erario, dall’altro.

È questa discrasia che segna il passaggio dall’inadempimento tributario — di per sé sanzionabile in via amministrativa — alla rilevanza penale.

Determinante, in tal senso, è la funzione della certificazione rilasciata al sostituito, la quale costituisce l’elemento “specializzante” della fattispecie.

Con la sentenza n. 175 del 2022, la Corte costituzionale ha riaffermato che la responsabilità penale può sorgere esclusivamente in presenza di ritenute risultanti da certificazioni effettivamente consegnate ai percipienti, escludendo che sia sufficiente il mero dato dichiarativo del modello 770.

Il modello annuale, infatti, non implica necessariamente l’avvenuta consegna delle certificazioni, ma si limita a fotografare una situazione dichiarata dal sostituto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.

La certificazione, invece, produce un effetto dirompente: libera il sostituito dall’obbligazione e gli attribuisce un credito d’imposta, creando così una frattura tra il vantaggio fiscale conseguito dal percipiente e il mancato introito per l’Erario. È in questo spazio che si colloca la lesione penalmente rilevante.

Quanto al momento consumativo, la recente riforma del 2024 (d.lgs. n. 87) ha inciso in modo significativo.

Non è più sufficiente ancorare la consumazione al termine di presentazione della dichiarazione annuale del sostituto; il legislatore ha preferito fissarla al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione del modello 770, con l’obiettivo di ampliare lo spazio temporale per regolarizzare l’inadempimento. In questo modo, il reato conserva la sua natura di reato omissivo istantaneo, ma si sposta in avanti la linea temporale che segna il discrimine tra illecito amministrativo e responsabilità penale. Tale configurazione, peraltro, esclude in radice la configurabilità del tentativo: prima della scadenza del termine, la condotta rimane ancora sanabile, mentre dopo la scadenza si ha consumazione immediata.

Un ulteriore profilo qualificante riguarda la soglia di punibilità, attualmente fissata a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta. La dottrina prevalente ne ha sostenuto la natura di elemento costitutivo del reato, e non di condizione obiettiva di punibilità.

La ragione di questa impostazione è duplice: da un lato, la soglia assolve alla funzione di delimitare l’area dell’offensività, operando come criterio di selezione legislativa che distingue il mero inadempimento da condotte di reale disvalore; dall’altro, essa costituisce parte integrante della tipicità, dovendo essere conosciuta e voluta dal soggetto agente nell’ambito del dolo generico.

Se così non fosse, la soglia rischierebbe di trasformarsi in un artificio tecnico, riducendo la sua funzione sostanziale di confine tra lecito e illecito penale.

In definitiva, l’elemento oggettivo dell’art. 10-bis si articola su tre pilastri:

(i) l’esistenza di una certificazione effettivamente consegnata al sostituito, quale presupposto imprescindibile di tipicità;

(ii) il mancato versamento oltre il termine del 31 dicembre, che segna la consumazione dell’omissione;

(iii) il superamento della soglia di punibilità, quale indice normativo di offensività. Solo la combinazione di questi tre requisiti consente di distinguere la mera irregolarità fiscale dall’illecito penale.


3. L’elemento soggettivo: il problema del dolo e la crisi di liquidità

Sul piano soggettivo, l’art. 10-bis si connota per l’adozione del dolo generico, in ciò distinguendosi da altre figure del d.lgs. 74/2000 che postulano un dolo specifico di evasione (si pensi agli artt. 2 e 3, incentrati sulla frode dichiarativa).

È dunque sufficiente la rappresentazione e la volontà di avere operato le ritenute, di averle certificate e di non averle versate entro il termine, senza che sia necessario dimostrare un intento ulteriore di elusione o frode.

Questa scelta legislativa ha dato luogo a un terreno particolarmente accidentato, in cui si incontrano e si scontrano esigenze di effettività della tutela erariale e principi fondamentali del diritto penale.

In primo luogo, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che la crisi di liquidità dell’impresa non può valere, di per sé, a escludere il dolo. Le difficoltà finanziarie sarebbero, in questa prospettiva, riconducibili all’“ordinario rischio d’impresa”, con la conseguenza che anche l’impossibilità materiale di adempiere non scalfisce l’imputazione soggettiva della condotta (v. Cass., sez. III, n. 27202/2022; Cass., sez. III, n. 31352/2021).

Una simile impostazione, tuttavia, solleva rilevanti perplessità sotto il profilo dogmatico e sistematico.

Se il dolo consiste nella coscienza e volontà di non versare le ritenute, esso non può ridursi a una mera “presunzione di rimproverabilità” fondata sul solo mancato adempimento: ciò equivarrebbe, in ultima analisi, a trasformare il dolo in una sorta di responsabilità oggettiva mascherata.

In altre parole, il rischio è quello di scivolare verso un modello di responsabilità penale per l’evento (l’omissione del versamento) piuttosto che per la condotta coscientemente voluta.

La dottrina più attenta ha proposto un diverso criterio di valutazione, fondato sulla possibilità effettiva di accantonamento delle somme al momento della ritenuta. Se l’imprenditore, pur trattenendo le somme destinate all’Erario, le utilizza consapevolmente per altri scopi (ad esempio, per sostenere esigenze di liquidità aziendale), il dolo è evidente, poiché la scelta di destinare altrove quelle risorse implica l’accettazione del rischio — anzi, la certezza — di non adempiere all’obbligo tributario. Se invece la crisi sopravviene in un momento successivo, impedendo l’adempimento di un obbligo originariamente ritenuto sostenibile, manca la base stessa del rimprovero soggettivo: difetta la rappresentazione anticipata e volontaria dell’inadempimento.

Il discrimine, allora, non può essere fissato in modo astratto sulla mera esistenza o meno di una crisi di liquidità, ma deve essere ricercato nella concreta dinamica finanziaria dell’impresa e nel comportamento gestionale dell’autore. In questa prospettiva, l’analisi del dolo non può prescindere da una ricostruzione fattuale accurata, che tenga conto delle scelte di allocazione delle risorse, delle strategie di accantonamento, degli eventuali tentativi di reperire liquidità e, più in generale, dell’effettiva prevedibilità dell’inadempimento al momento in cui la ritenuta viene operata.

È proprio su questo crinale che si gioca la compatibilità dell’art. 10-bis con il principio di colpevolezza: la qualificazione dolosa dell’omissione non può derivare automaticamente dalla sola violazione dell’obbligo, ma deve poggiare su un accertamento concreto della rappresentazione e della volontà dell’agente, alla luce delle circostanze che hanno determinato l’inadempimento.


4. La riforma del 2024: il riconoscimento normativo dell’inesigibilità

Il d.lgs. 87/2024 ha introdotto una svolta con l’inserimento del comma 3-bis nell’art. 13: il fatto non è punibile se conseguenza di eventi sopravvenuti, non imputabili all’autore, successivi all’effettuazione delle ritenute. La norma tipizza tre ipotesi:

(a) insolvenza di terzi debitori,

(b) mancati pagamenti della Pubblica Amministrazione,

(c) impossibilità di azioni idonee al superamento della crisi.

Si tratta di un passaggio di sistema: per la prima volta si riconosce che la crisi economico-finanziaria può assumere rilievo come causa di non punibilità, a condizione che sia “non transitoria” e “non imputabile”. Il legislatore richiama così il concetto di crisi del Codice della crisi d’impresa, fondato sull’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici.

La giurisprudenza ha già fatto applicazione della novità: la Cassazione, con sentenza n. 30532 del 2024, ha annullato una condanna per omesso versamento IVA, valorizzando l’inesigibilità derivante dal mancato incasso di crediti certi verso un grande debitore pubblico, nonostante i tentativi di recupero.


5. Prova del rilascio delle certificazioni: un nodo irrisolto

La questione probatoria rimane centrale.

Le Sezioni Unite n. 24782 del 22 marzo 2018 hanno escluso che il modello 770 sia di per sé sufficiente a provare l’avvenuta consegna delle certificazioni.

È necessario dimostrare la fuoriuscita del documento dalla sfera del sostituto e la sua effettiva disponibilità per il sostituito.

Ciò comporta un onere probatorio significativo per l’accusa, che deve ricorrere a mezzi indiretti (ricevute PEC, testimonianze, archivi informatici).

Questa impostazione ha il merito di rafforzare il principio di tassatività e determinatezza, ma rischia di alimentare un contenzioso probatorio complesso, con il pericolo di esiti disomogenei tra i tribunali.


6. Conclusioni: verso una responsabilità penale proporzionata

La vicenda dell’art. 10-bis dimostra quanto sia difficile conciliare il principio di tutela dell’Erario con i limiti invalicabili del diritto penale. Il legislatore del 2000 aveva tentato di confinare l’illecito sul piano amministrativo; quello del 2004 ha scelto di ripenalizzare; quello del 2024, infine, ha cercato un equilibrio, introducendo un meccanismo di esclusione della punibilità fondato sulla reale possibilità di adempiere.

La sfida, oggi, è interpretare la nuova disciplina in modo coerente con i principi costituzionali: la sanzione penale deve colpire chi ha dolosamente sottratto all’Erario somme già trattenute, non chi si è trovato nell’impossibilità incolpevole di adempiere.

È qui che si misura la tenuta del principio di colpevolezza come architrave del diritto penale tributario.


7. Giurisprudenza

  1. La sentenza n. 175/2022 della Corte Costituzionale sull'omesso versamento delle ritenute

  2. Omesso versamento delle ritenute e confisca obbligatoria del profitto del reato (Cass. Pen. n. 11468/2025)

  3. Omesso versamento IVA e ritenute: la competenza per territorio si determina in base al luogo di accertamento, non alla sede effettiva del contribuente (Cass. Pen. n. 32280/2024)

  4. Il dolo nel reato di omesso versamento di ritenute certificate tra consapevolezza dell’illecito e crisi di liquidità (Cass. pen. n. 6737/17)

  5. Omesso versamento di ritenute: il modello 770 non basta, serve prova delle certificazioni (Cass. Pen. n. 24222/2023)

  6. Il rilascio telematico nel cassetto fiscale equivale alla consegna della CU ai fini del reato di omesso versamento di ritenute certificate (Cass. Pen. n. 5020/2025)

  7. Omesso versamento delle ritenute e confisca obbligatoria del profitto del reato (Cass. Pen. n. 11468/2025)

  8. Omesso versamento di ritenute dovute o certificate: un caso di assoluzione (Tribunale di Torre Annunziata - sentenza n. 820/23)

  9. Omesso versamento di ritenute: va sempre provato il rilascio delle certificazioni al dipendente (Cassazione penale sez. III, 14/12/2022, (ud. 14/12/2022, dep. 20/03/2023), n.11565).

  10. Omesso versamento di ritenute: non si applica la circostanza attenuante dell'attivo ravvedimento (Cassazione penale , sez. III , 30/11/2022 , n. 2858)

  11. Omesso versamento di ritenute: va confiscata l'imposta evasa nella sua totalità (Cassazione penale , sez. III , 30/11/2022 , n. 2858)

  12. Omesso versamento ritenute: si deve tener conto delle sole certificazioni rilasciate ai dipendenti (Cassazione penale sez. III, 27/09/2022, n.2338)

  13. Omesso versamento ritenute: la procedura di concordato preventivo scrimina il reato? (Cassazione penale , sez. III , 30/10/2018 , n. 2860)

  14. Omesso versamento ritenute: non è precluso il patteggiamento per mancata estinzione del debito (Cassazione penale , sez. III , 12/01/2021 , n. 9083)

  15. Omesso versamento di ritenute: illegittimo il sequestro se le somme non sono profitto del reato (Cassazione penale , sez. III , 29/09/2020 , n. 31516)

  16. Omesso versamento di ritenute: non è sufficiente la formazione e sottoscrizione delle certificazioni (Cassazione penale , sez. III , 13/07/2020 , n. 25987)

  17. Omesso versamento ritenute e abolitio criminis: cessa l'esecuzione e gli effetti della condanna (Cassazione penale, sez. I , 02/07/2020 , n. 22277)

  18. Omesso versamento delle ritenute: non è sufficiente la mera verifica a campione (Cassazione penale , sez. III , 14/02/2019 , n. 13610)

  19. Omesso versamento ritenute: la competenza si radica nel luogo in cui la società ha sede effettiva (Cassazione penale sez. III, 14/02/2019, n.13610)

  20. Omesso versamento ritenute: si consuma con l'omissione del versamento che supera la soglia minima (Cassazione penale , sez. III , 23/01/2019 , n. 22061)

  21. Omesso versamento delle ritenute: il mero accordo con il Fisco non ha effetti su processo penale (Cassazione penale , sez. III , 13/07/2018 , n. 48375)

  22. Omesso versamento delle ritenute: non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione mod.770 (Cassazione penale , sez. un. , 22/03/2018 , n. 24782)

  23. Omesso versamento delle ritenute: non si applicano i principi della sentenza Taricco della CGUE (Cassazione penale , sez. III , 12/07/2017 , n. 1972)

  24. Omesso versamento delle ritenute: assolto imprenditore per carenza degli elementi di prova


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