La massima
La prova testimoniale riguardo alla perdita o irreperibilità di un testamento olografo è ammissibile, ma la sua valutazione deve tener conto delle disposizioni degli articoli 2724 e 2725 del codice civile, che equiparano l'irreperibilità alla distruzione del testamento. È necessario provare che la scomparsa del testamento non sia stata causata dalla volontà di revocarlo da parte del testatore.
La sentenza integrale
Cassazione civile sez. II, 04/01/2024, (ud. 19/12/2023, dep. 04/01/2024), n.231
FATTI DI CAUSA
1. Ta.Ma., Ta.Um., hanno agito contro il fratello Ta.Ca., per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria tra loro costituitasi in seguito all'apertura della successione ereditaria legittima della madre Al.Po., deceduta il 28/05/2012, il cui patrimonio, all'apertura della successione, era composto da un appartamento con annesso garage in via Go. 39 a Va. e da un conto corrente bancario con una giacenza di euro 1.136,48.
Gli attori hanno chiesto che lo scioglimento della comunione ereditaria avvenisse previa collazione (art. 737, cod. civ.) alla massa ereditaria dell'immobile sito in Tr., via Ca. 1, che la madre aveva donato al figlio Ta.Ca., con atto pubblico del 17/10/2003;
2. Ta.Ca ., costituendosi, ha eccepito la dispensa dalla collazione giusta testamento olografo della madre, ed ha prodotto una fotocopia della scheda testamentaria. Inoltre, ha chiesto la collazione delle donazioni indirette effettuate dalla madre ai fratelli;
3. il Tribunale di Varese, esclusa l'autenticità della copia del testamento, con sentenza n. 487/2017, ha disposto la collazione dell'immobile di Tr. alla massa ereditaria ed ha sciolto la comunione ereditaria e ha condannato Ta.Ca a pagare a ciascun attore un conguaglio di euro 52.393,22;
4. la Corte d'appello di Milano, decidendo sull'appello principale di Rita e Umberto T. e su quello incidentale di Carlo T., per quanto qui rileva, in accoglimento dell'appello principale e in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha disposto la collazione alla massa ereditaria della somma di euro 140.908,87 e di quella di euro 791.000, e lo scioglimento della comunione relativa all'immobile e al garage siti in Varese (via Goldoni 39) e al conto corrente bancario, ha
assegnato la proprietà pro indiviso degli immobili a Ta.Ma., Ta.Um., a ciascuno dei quali ha assegnato altresì euro 568,24 (ossia la metà della giacenza di conto corrente), ha condannato Ta.Ca a pagare a ciascun fratello un conguaglio di euro 193,242,44 (più accessori) e, infine, ha condannato la stessa parte al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio, liquidate rispettivamente in euro 28.900 (primo grado) e in euro 18.300 (secondo grado);
5. con riferimento all'attuale materia del contendere, il giudice d'appello ha fondato la decisione sulle seguenti ragioni, esaminando prima l'appello incidentale di Ta.Ca e poi quello principale di Ta.Ma., Ta.Um.
(i) Ta.Ca , al fine di dimostrare l'eccepita esistenza di una dispensa dalla collazione ha prodotto la fotocopia di un testamento olografo della madre, mai pubblicato, recante la seguente disposizione: "a mio figlio Ta.Ca ho donato la mia proprietà a Tr., di valore superiore a quello degli immobili il cui ricavato è andato agli altri figli e per il quale ho pertanto pattuito un conguaglio di euro 60.000,00 che Ta.Ca. mi corrisponderà".Gli attori hanno tempestivamente contestato la conformità all'originale della fotocopia del testamento olografo di Al.Po., ai sensi dell'art. 2719, cod. civ., sicché spettava a Ta.Ca. fornire altri elementi atti a dimostrare la dispensa dalla collazione;
(ii) a tal fine non sono sufficienti lo scritto autografo della testatrice nel quale si racconta di quanto il figlio Ta.Ca le sia stato vicino, in mancanza di qualsiasi riferimento alla collazione. Né rileva il fatto che nella copia del testamento la disponente avesse richiesto che il figlio Ta.Ca. le versasse euro 60.000 per evitare che il beneficio al medesimo concesso ledesse la quota di legittima dei fratelli, in ragione del fatto che le otto ricevute prodotte dall'appellante incidentale rilasciategli dalla madre documentano versamenti per euro 45.000, e cioè un importo ben inferiore ai 60.000 che la madre aveva richiesto al figlio nella scheda testamentaria. Non è pertanto possibile accertare che i versamenti fossero riconducibili a quanto stabilito nell'invocato testamento e che non trovassero giustificazione in diversi rapporti economici tra madre e figlio, tanto più era proprio Ta.Ca. ad occuparsi dell'amministrazione degli interessi della madre;
(iii) va disattesa la doglianza di Ta.Ca circa la mancata ammissione, in primo grado, della prova per testi, nuovamente richiesta in appello, in ragione del fatto che, in materia di testamento, trova applicazione il secondo comma dell'art. 2725, cod. civ., che consente l'ammissione della prova testimoniale sull'esistenza e sul contenuto di un atto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam quando sia dimostrata la perdita incolpevole del documento;
(iv) testualmente, prosegue la sentenza (pag. 10) "Le circostanze articolate nei capitoli di prova dedotti Ta.Ca nelle richiamate memorie istruttorie non contengono riferimento di sorta sul piano fattuale con riferimento alle modalità di perdita del documento testamentario al fine di consentire la conseguente valutazione di assenza di colpa della perdita medesima";
(v) va ribadita, quindi, l'inconferenza delle prove orali non ammesse in primo grado, le quali, pertanto, non vengono ammesse nemmeno in appello, sicché, in assenza di ulteriori elementi di prova circa la conformità all'originale della copia del testamento olografo, si deve ritenere inesistente la dispensa dalla collazione a favore di Ta.Ca per l'immobile di Tr. a lui donato dalla madre; (vi) l'esito complessivo della lite, in ragione della soccombenza di Ta.Ca., ne impone la condanna alle spese dei due gradi di giudizio, nella misura liquidata in applicazione del d.m. n. 55 del 2014;
6. per la cassazione della decisione d'appello, Ta.Ca ricorre, affidandosi a tre motivi; Ta.Ma., Ta.Um resistono con controricorso;
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. il primo motivo di ricorso - ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., illegittimità della sentenza per insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto controverso e decisivo per il giudizio - denuncia il difetto di motivazione e la contraddittorietà della sentenza nei passaggi argomentativi concernenti, rispettivamente, il fatto che dallo scritto materno intitolato "La mia casa di Tr." non potesse evincersi un espresso riferimento al testamento e alla dispensa dalla collazione a favore del figlio Ta.Ca, ed il fatto che le rimesse per euro 45.000 effettuate dal ricorrente a favore della madre non fossero imputabili alla causale desumibile dal testo della de cuius intitolato "Il mio testamento", nel quale la sig.ra Al.Po. scriveva: "a mio figlio Ta.Ca ho donato la mia proprietà a Tr., di valore superiore a quello degli immobili il cui ricavato è andato agli altri figli e per il quale ho pertanto pattuito un conguaglio di euro 60.000,00 che Ta.Ca mi corrisponderà. Con tale conguaglio dispongo che Ta.Ca. non debba più corrispondere un maggior valore per tutti i servizi, l'assistenza e le attenzioni prestatemi";
2. il secondo motivo - ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2724,2725, cod. civ., esclusione della prova testimoniale per effetto delle limitazioni poste dalle due norme - lamenta che il giudice di appello non abbia ammesso la prova per testi sulle circostanze che le disposizioni testamentarie olografe di Al.Po. erano conservate in originale nella sua abitazione in via Goldoni 39, a Varese, e in copia nell'immobile di Traversetolo, via Carnerini 1, e che, dopo la morte della madre (in data 28/05/2012), l'originale del testamento era scomparso. Il ricorrente sottolinea che in primo grado aveva dedotto prova per testi al fine di dimostrare che non era mai stato in possesso dell'originale del testamento, che l'originale era custodito in casa della madre e che, soltanto dopo la morte della sig.ra Al.Po., la scheda testamentaria originale scompariva (e risultava smarrita), evidentemente per fatto e colpa non imputabili allo stesso Ta.Ca., il quale, del resto, non aveva alcun interesse né era obbligato ad assicurarsi la detenzione dell'originale del testamento, dato che ne possedeva la copia presso l'immobile in Tr.;
3. il terzo motivo - ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., illegittimità della sentenza per ultrapetizione (art. 112, cod. proc. civ.) - censura la sentenza per avere pronunciato oltre i limiti del petitum degli appellanti, nella parte in cui ha disposto la condanna di Ta.Ca alle spese di entrambi i gradi di merito benché il Tribunale avesse compensato le spese e benché gli appellanti, nell'impugnare quest'ultima statuizione, avessero chiesto alla Corte d'appello di "disporre la compensazione delle spese del giudizio di primo grado in ragione della metà, condannando Ta.Ca. a rimborsare (loro) l'altra metà";
4. il primo motivo è inammissibile;
4.1. con specifico riferimento al vizio di motivazione, è utile notare che la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 28/11/2018, sicché trova applicazione l'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell'art. 54, del d.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d'appello pubblicate dall'11/09/2012. In base alla norma novellata, non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio dello sviluppo argomentativo sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4, del medesimo art. 360, cod. proc. civ. (Cass. 6/07/2015, n. 13928; 16/07/2014, n. 16300); va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità del principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053), secondo cui la richiamata riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia - nella specie non sussistente - si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione;
5. il secondo motivo è infondato;
5.1. in tema di irreperibilità del testamento olografo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2, Ordinanza n. 22191 del 14/10/2020, Rv. 659329 - 01) ha enunciato i seguenti princìpi fondamentali:
(a) l'irreperibilità del testamento, di cui si provi l'esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, è equiparabile alla distruzione, per cui incombe su chi vi ha interesse l'onere di provare che esso "fu distrutto lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore" oppure che costui "non ebbe intenzione di revocarlo";
(b) la prova contraria può essere data, anche per presunzioni, non solo attraverso la prova della esistenza del testamento al momento della morte (ciò che darebbe la certezza che il testamento non è stato revocato dal testatore), ma anche provando che il testamento, seppure scomparso prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sia andato perduto fortuitamente o comunque senza alcun concorso della volontà del testatore stesso;
(c) è ammessa anche la prova che la distruzione dell'olografo da parte del testatore non era accompagnata dalla intenzione di togliere efficacia alle disposizioni ivi contenute;
(d) in presenza di una copia informale dell'olografo, il mancato disconoscimento della conformità all'originale diventa rilevante solo una volta che sia stata superata la presunzione di revoca;
(e) ferma la prioritaria esigenza che sia stata data la prova contraria alla presunzione di revoca, sono applicabili al testamento le norme degli artt. 2724, n. 3), 2725, cod. civ., sui contratti. È quindi ammessa ogni prova, compresa quella testimoniale e per presunzioni, sull'esistenza del testamento, purché beninteso la scomparsa non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione del testamento;
5.2. in passato questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 3636 del 24/02/2004, Rv. 570440 - 01) ha chiarito che "tenuto conto che la pubblicazione del testamento olografo, seppure non è configurabile come un requisito di validità o di efficacia, è atto preparatorio esterno necessario per la sua coattiva esecuzione, colui il quale - avendo interesse a fare valere le disposizioni testamentarie - si trovi nell'impossibilità di produrne l'originale, deve formulare una domanda di accertamento dell'esistenza dei requisiti di legge e del contenuto del testamento, fornendo la prova che l'irreperibilità del documento non sia espressione e conseguenza della volontà di revoca dell'atto da parte del testatore che, ai sensi dell'art. 684 cod. civ., si presume in caso di distruzione, lacerazione o cancellazione del testamento. Ne consegue che, in assenza di siffatta prova, l'eventuale mancato disconoscimento della copia dell'originale prodotta in giudizio è irrilevante, posto che non sarebbe idoneo ad escludere la possibilità che il testatore, allo scopo di revocare il testamento, abbia distrutto l'originale dopo averlo fotocopiato"; 5.3. la sentenza impugnata, nella sostanza, è in linea con gli enunciati princìpi nella parte in cui ha riconosciuto l'applicabilità al testamento olografo delle disposizioni di cui gli artt. 2724, n. 3), 2725, cod. civ., sui contratti, e, quindi, ha reputato astrattamente ammissibile la prova per testi chiesta dal convenuto nel giudizio di primo grado.
Dopodiché, con valutazione di fatto, in sé coerente e come tale incensurabile nel giudizio di legittimità, la Corte d'appello ha rilevato l'inammissibilità dei capitoli di prova orale articolati dall'appellante incidentale in entrambi i gradi di merito, al fine di dimostrare che il testamento originale, custodito in casa della madre, era andato smarrito dopo la morte della testatrice.
La statuizione della Corte milanese è conforme a diritto in quanto l'ipotetico risultato positivo della prova testimoniale avrebbe portato al superamento della presunzione di revoca del testamento, ma sarebbe stato comunque inutile - donde la valutazione di inammissibilità del mezzo di prova operata dal giudice di merito - perché non avrebbe dato alcuna risposta alla cruciale questione,
rilevata dal giudice a quo, circa la colpevole o incolpevole perdita dell'originale da parte di Ta.Ca (Cass. n. 22191/20, cit.);
6. il terzo motivo è fondato;
6.1. la sentenza impugnata, nel condannare Ta.Ca. a rifondere per intero ai fratelli le spese di primo grado, non si è attenuta al principio della corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato (art. 112, cod. proc. civ.). Gli appellanti principali avevano chiesto la condanna del fratello al pagamento della metà delle spese di primo grado, con compensazione dell'ulteriore 50 per cento. Conseguentemente, la Corte d'appello, mantenendosi entro il perimetro della domanda, avrebbe dovuto compensare per metà le spese di primo grado e condannare Ta.Ca. al pagamento della metà residua anziché al pagamento dell'intero;
7. ne consegue che, accolto il terzo motivo, dichiarato inammissibile il primo e rigettato il secondo motivo, la sentenza è cassata in relazione al terzo motivo. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito (ex art. 384, secondo comma, seconda parte, cod. proc. civ.), con la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di primo grado nella misura della metà, il che comporta la condanna di Ta.Ca. a rifondere ai germani la metà delle spese del grado, ferma la statuizione della Corte d'appello sulle spese di gravame;
8. le spese del giudizio di legittimità debbono essere interamente compensate, tra le parti, per la loro reciproca soccombenza;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo, rigetta il secondo motivo, accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al terzo motivo e, decidendo nel merito, compensa per metà le spese
del primo grado, ferma la statuizione sulle spese del giudizio di appello, e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 19 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2024.