Tribunale Napoli sez. VI, 03/08/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 03/08/2020), n.4442
Giudice: Federico Somma
Reato: L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, comma 4-bis,
Esito: Condanna (mesi sei di reclusione)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NAPOLI
SESTA SEZIONE PENALE
Il Giudice, dott. Federico SOMMA, all'udienza del 13 luglio 2020 ha
pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di
Ru.An., nata (...), ivi residente alla via (...) (domicilio
dichiarato per le notifiche ai sensi dell'art. 161 c.p.p.: come da
nomina depositata il 06 marzo 2018, in atti)
libera - assente
difesa di fiducia dagli avv.ti Ri.MO. del foro di Napoli e Ma.PA.
del foro di Savona (come da nomina depositata il 06 marzo 2018, in
atti)
Ga.Ma., nato (...), ivi residente alla via (...) (domicilio
dichiarato per le notifiche ai sensi dell'art. 161 c.p.p.: come da
nomina depositata il 06 marzo 2018, in atti) libero - assente
difeso di fiducia dagli avv.ti Ri.MO. del foro di Napoli e Ma.PA.
del foro di Savona (come da nomina depositata il 06 marzo 2018, in
atti)
(Si omettono le conclusioni delle parti)
Svolgimento del processo
Con decreto di citazione diretta emesso il 9 maggio 2018, Ru.An. e Ga.Ma. sono stati tratti a giudizio davanti a questo Tribunale, in composizione monocratica, per rispondere del reato riportato nella rubrica del presente provvedimento.
All'udienza del 3 giugno 2019, è stato disposto rinvio preliminare per la necessaria rinnovazione della notifica dell'atto introduttivo agli imputati.
Alla successiva udienza del 28 ottobre 2019, dopo la dichiarazione di assenza ex art. 420 bis c.p.p. di entrambi gli imputati, regolarmente citati e non comparsi senz'addurre alcun legittimo impedimento, è stato disposto rinvio preliminare per assenza testi.
All'udienza del 27 gennaio 2020, in assenza di questioni o richieste preliminari, si è proceduto all'apertura del dibattimento e all'ammissione delle prove richieste dalle parti, con contestuale esame della teste di polizia giudiziaria Ul.Ma. - rispetto al quale le parti che hanno dichiarato di acconsentire alla formale acquisizione al fascicolo processuale e alla diretta utilizzabilità ai fini della decisione degli atti d'indagine a sua firma o comunque da lei curati - e conseguente revoca dell'ordinanza ammissiva della testimonianza di Da.Fr., palesatasi manifestamente superflua.
La successiva udienza, fissata per il 30 marzo 2020, è stata rinviata d'ufficio in conformità a quanto stabilito dal decreto n. 68/2020, adottato dall'Ufficio di Presidenza del Tribunale di Napoli in data 18 marzo 2020 al fine di dare attuazione al decreto legge 17 marzo 2020 n. 18 (e successive modificazioni), relativo all'emergenza epidemiologica da Covid-19, con conseguente sospensione del corso della prescrizione dal 30 marzo 2020 (data in cui avrebbe dovuto tenersi l'udienza di cui è stato disposto il rinvio officioso) all'11 maggio 2020, cioè per un periodo di 1 mese e 11 giorni (cfr., sul punto, Cass. sez. III, n. 21367/2020).
All'udienza del 13 luglio 2020, è stata, infine, acquisita documentazione prodotta dalla difesa e, dopo la dichiarazione di formale chiusura dell'istruttoria dibattimentale e di utilizzabilità di tutti gli atti ritualmente acquisiti al fascicolo processuale, il giudice ha invitato le parti a formulare le rispettive conclusioni, in epigrafe riportate, sulle quali, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo letto e pubblicato in udienza.
Motivi della decisione
Par d'uopo, innanzitutto, riportare il contenuto del verbale di ispezione e sequestro del 15 dicembre 2016, verbale utilizzabile ai fini della decisione in ogni sua parte, in virtù dell'accordo acquisitivo intervenuto all'udienza del 27 gennaio 2020.
Dal richiamato verbale emerge quanto segue.
Il 15 dicembre 2016, alle ore 12:00 circa, personale della Questura di Napoli si era portato, insieme a funzionari dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, presso il locale recante l'insegna "(...)", sito in Napoli, alla via (...), per eseguirvi un controllo riguardante l'esercizio delle attività in materia di gioco e di raccolta di scommesse, anche per via telematica, e di apparecchi da intrattenimento di cui all'art. 110, comma 6 lett. a), TULPS.
Entrati nel locale, sede della ditta individuale di Ru.An., i verbalizzanti avevano notato la presenza di una persona, in seguito identificata in De.Da., che si trovava dietro il banco di ricezione dei clienti ed era intenta a svolgere attività di raccolta di scommesse; presentatisi con le modalità di rito, avevano, quindi, invitato tale persona a contattare il titolare della ditta. Poco dopo era intervenuto il coniuge della titolare, successivamente identificato in Ga.Ma., che aveva deciso di presenziare alle operazioni senza farsi assistere da un legale o da una persona di fiducia.
Il locale oggetto di ispezione era apparso adibito esclusivamente ad attività di raccolta di scommesse per conto della Ce., come desumibile dai seguenti dati obiettivi: insegne, cartelli interni ed esterni, bacheche con quote e palinsesti, mensole e materiale per compilare proposte di scommessa, organizzazione degli spazi e delle risorse, area di accoglienza dei clienti con apparecchiature telematiche ad uso esclusivo del personale addetto.
Ai lati dell'ingresso, inoltre, era collocato un banco ricezione clienti riservato al titolare, ove erano disposte due postazioni PC dotate di doppio monitor, di cui uno rivolto all'esterno ed uno all'interno, collegate a diverse stampanti. Vi erano, poi, anche postazioni telematiche a disposizione del pubblico, facenti capo a Ce. e utilizzate per la raccolta di scommesse. Dalla schermata di tali postazioni era possibile visualizzare l'intestazione "(...)" (...), costituente identificativo del conto CED rilevabile dalle ricevute di gioco.
I verbalizzanti avevano, ancora, proceduto ad ispezionare il banco adibito alla raccolta di scommesse e, sul piano di appoggio, avevano rinvenuto numerose ricevute di gioco, in formato tagliando, costituenti scommessa e facenti capo alla Ce..
Infine, sulle schermate delle postazioni PC situate dietro al banco, ad esclusivo uso del titolare, erano visualizzabili conti CED, ossia conti-giochi, aventi denominazioni fittizie.
Poiché il bookmaker straniero per conto del quale erano state, fino a quel momento, raccolte le scommesse risultava privo della concessione prescritta dalla legge per operare nello Stato italiano, i verbalizzanti avevano chiesto che venisse esibita la documentazione relativa all'attività oggetto di controllo. Era stato, quindi, esibito, inter alia, un contratto di istituzione di stabilimento in Italia, stipulato tra la ditta individuale di Ru.An. e la Ce., contratto poi acquisito con i relativi allegati al fascicolo dibattimentale; tuttavia non erano stati esibiti, in quanto inesistenti, i titoli abilitativi richiesti dalla legge per l'esercizio dell'attività di raccolta di scommesse per conto di Ce. nel territorio italiano.
Dopo aver compiuto tutti gli accertamenti sopra sintetizzati, i verbalizzanti avevano proceduto al sequestro probatorio delle ricevute di gioco rinvenute nel locale, sequestro poi ritualmente convalidato dal Pubblico Ministero con decreto transitato in atti.
La teste Ul.Ma., all'epoca dei fatti ispettore capo in servizio presso la Divisione Polizia Amministrativa e Sociale della Questura di Napoli; ha riferito che lo spunto investigativo da cui è scaturito il presente procedimento è stato fornito dalla circostanza che la Ce., società con sede a Malta e titolare del marchio (...), non figurava nell'elenco delle società aggiudicatane della concessione per la gestione delle scommesse nel territorio italiano, concessione rilasciata dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (che ha incorporato l'AAMS, ossia l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato). Ha aggiunto che la predetta circostanza è stata poi oggetto di ulteriori accertamenti volti a verificare se fossero in atto condotte penalmente rilevanti.
In sede di controesame, la teste ha ribadito che la (...) era priva della prescritta concessione e ha dichiarato che tale società non aveva neppure aderito alla procedura prevista dalla legge di stabilità 2015, procedura che consentiva ai book - makers che offrivano scommesse con vincite in denaro in Italia senza essere collegati al totalizzatore nazionale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di regolarizzare la propria posizione nei confronti dell'Agenzia delle Entrate (presentando all'uopo una "dichiarazione d'impegno" all'Agenzia delle dogane e dei monopoli e versando la somma di 10.000 Euro per ciascun punto di raccolta scommesse da regolarizzare).
Richiesta di chiarire se la ditta individuale di Ru.An. fosse un mero centro di trasmissione dati, la teste ha riferito che lo era solo sulla carta, ma che di fatto non era così.
Da ultimo, alla domanda se sulla stampata delle giocate vi fosse un numero di partita IVA o un codice fiscale, la teste ha risposto che non lo ricordava.
La restante produzione documentale è consistita nei rilievi fotografici effettuati dalla polizia giudiziaria all'esterno e all'interno del locale nel corso dell'ispezione e nella documentazione depositata dalla difesa all'udienza del 13 luglio 2020, consistente: in una sentenza emessa il 25 novembre 2019 dal Tribunale di Napoli (VI Sezione Penale, GOP dott.ssa Gi.Pa.) su un caso asseritamente analogo a quello per il quale si procede; l'istanza ex art. 88 TULPS avanzata in data 19 febbraio 2015 da Ru.An. e una comunicazione del 24 febbraio 2015 con cui la medesima dà conto dell'inizio dell'attività di trasmissione/elaborazione dati relativi a scommesse per conto di Ce.; un ricorso al TAR avverso il provvedimento di diniego dell'autorizzazione di pubblica sicurezza richiesta.
VALUTAZIONE DELLE PROVE E MOTIVI DELLA DECISIONE
Alla luce di quanto emerso dall'istruttoria dibattimentale, è possibile ritenere provata soltanto la responsabilità di Ru.An. in ordine al reato oggetto di contestazione; non può dirsi, per contro, raggiunta la prova di analoga responsabilità, a titolo di concorso nel medesimo reato, in capo a Ga.Ma., come si avrà modo di precisare nel prosieguo.
Invero, alla luce del verbale di ispezione e sequestro sopra riassunto (che funge da puntuale riscontro a quanto riferito dall'unico teste escusso) e dei rilievi fotografici effettuati durante l'ispezione, può dirsi irrefutabilmente accertato che Ru.An., titolare dell'omonima ditta individuale, operasse di fatto, senza la prescritta autorizzazione di pubblica sicurezza (di cui all'art. 88 TULPS), come punto di raccolta di scommesse sportive per conto della Ce., società maltese che, pur essendo munita di licenza per l'esercizio dell'attività di bookmaker rilasciata dal Paese di origine, era sfornita della concessione statale necessaria per svolgere la medesima attività nel territorio italiano.
A voler essere più precisi, la mancanza dell'autorizzazione di pubblica sicurezza in capo a Ru.An. è stata constatata dalla polizia giudiziaria in sede di controllo e chiaramente documentata (cfr. il relativo verbale). Peraltro, tale mancanza era indirettamente desumibile dalla circostanza che la RU. operava per conto di un bookmaker straniero privo di concessione amministrativa: infatti, ai sensi dell'art. 88 TULPS, la licenza di polizia può essere rilasciata soltanto al concessionario o a un soggetto da lui incaricato in forza della concessione; deriva da ciò che, in mancanza del presupposto costituito dalla concessione amministrativa, nessuna licenza poteva essere rilasciata. Coerentemente con il rilievo appena compiuto, la difesa degli imputati ha potuto produrre in dibattimento soltanto copia dell'istanza ex art. 88 TULPS, non essendo mai stato emanato dalla Questura di Napoli l'agognato titolo abilitativo.
Quanto, poi, all'attività svolta dalla ditta individuale di Ru.An., si è già rammentato come i verbalizzanti abbiano inferito da una serie di dati oggettivi (tra cui, ad esempio, l'insegna esterna riportante la dicitura "(...)", la pubblicizzazione delle quote di gioco, la fornitura dei fogli necessari per compilare la proposta di scommessa, la presenza di beni strumentali come PC e stampanti, e il rinvenimento di ricevute di gioco) che si trattava di attività organizzata di intermediazione nel booking, consistente, più specificatamente, nell'accettazione e raccolta di scommesse sportive per conto di un bookmaker straniero, privo di concessione.
I fatti accertati sono palesemente sussumibili nella fattispecie di cui all'art. 4 comma 4 bis legge n. 401/89, che sanziona "chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell'articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto n. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata alfine di accettare o raccogliere o comunque favorire l'accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettati in Italia o all'estero".
Di tale fattispecie criminosa ricorrono, infatti, tutti gli elementi costitutivi, sia oggettivi sia soggettivi: dei primi si è già detto; quanto al dolo richiesto ai fini della configurabilità del reato de quo, non vi è dubbio che le condotte contestate siano state realizzate con coscienza e volontà, indirettamente desumibili dalla predisposizione di quanto necessario per l'esercizio dell'attività di intermediazione e dalla documentazione versata in atti (contratto di istituzione di stabilimento in Italia del 14 febbraio 2015, istanza ex art. 88 TULPS del 19 febbraio 2015 e comunicazione del 24 febbraio 2015), da cui pure emerge la piena consapevolezza circa la natura dell'attività in concreto esercitata.
La difesa, in sede di discussione, ha sviluppato l'argomento secondo cui non sarebbe configurabile alcun reato in capo agli odierni imputati, dovendosi, a rigore, disapplicare (rectius, non applicare) la norma che incrimina la condotta loro ascritta per incompatibilità con il diritto dell'Unione europea.
Per comprendere appieno il suddetto argomento, giova ripercorrere brevemente i termini della evocata questione della compatibilità con il diritto UE della normativa nazionale concernente l'attività di raccolta e di gestione delle scommesse. Al riguardo, con la sentenza (...) e (...), la Corte di giustizia UE, nel richiamare quanto già chiarito nella sentenza (...) (in cui si legge che lo Stato italiano non può applicare sanzioni penali per l'esercizio di un'attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a persone legate a un operatore escluso dalle gare pertinenti in violazione del diritto dell'Unione europea), ha affermato: che gli artt. 43 CE e 49 CE (oggi artt. 49 e 56 TFUE), nonché i principi di parità di trattamento ed effettività "devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato Membro, il quale abbia escluso, in violazione del diritto dell'Unione, una categoria di operatori dall'attribuzione di concessioni per l'esercizio di un'attività economica e che cerchi di rimediare a tale violazione mettendo a concorso un numero rilevante di nuove concessioni, protegga le posizioni commerciali acquisite dagli operatori esistenti prevedendo in particolare determinate distanze minime tra gli esercizi dei nuovi concessionari e quelli di operatori esistenti"; e che "gli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che vengano applicate sanzioni per l'esercizio di un'attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell'Unione, anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione, qualora quest'ultima gara e la conseguente attribuzione di concessioni non abbiano effettivamente rimediato all'illegittima esclusione di detto operatore dalla precedente gara".
Nel caso esaminato, in particolare, la Corte di Giustizia ha ritenuto meritevole di tutela la posizione della società St., che aveva intenzionalmente omesso di partecipare ai bandi di gara indetti dall'AAMS nell'anno 2006 (c.d. decreto Bersani), i quali, pur destinati a porre rimedio al contrasto tra i principi del Trattato e la disciplina nazionale, avevano previsto evidenti limitazioni alla facoltà di partecipazione, demandando in concreto alla valutazione del giudice nazionale il compito di verificare se le restrizioni alle libertà fondamentali garantite dal Trattato fossero giustificate da un preminente interesse di carattere generale (quale quello della lotta alla criminalità organizzata per il gioco clandestino, alla tutela dei consumatori, alla prevenzione di turbative dell'ordine sociale) o fossero piuttosto volte a perseguire un indebito vantaggio per gli operatori commerciali già insediati sul mercato.
Alla stregua delle richiamate coordinate giurisprudenziali, la Suprema Corte è giunta affermare che l'art. 4 legge n. 401 del 1989 è astrattamente compatibile con i principi della libertà di stabilimento e della libera erogazione dei servizi (rispettivamente sanciti dagli artt. 49 e 56 TFUE), e non può, quindi, ritenersi implicitamente abrogato per incompatibilità con i predetti principi (cfr. Cass. Sez. II, n. 24656/2012). Nella giurisprudenza di legittimità, è stato, inoltre, confermato che la possibilità di condizionare l'esercizio in Italia di un'attività di impresa al previo rilascio di titoli abilitativi, è teoricamente ammessa, ma che "non è possibile ritenere valido il diniego del rilascio di dette autorizzazioni e conseguentemente, per quel che ci occupa, l'applicazione di sanzioni penali per l'esercizio di un'attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o autorizzazione di polizia a persone legate a un operatore che sia stato escluso dalle gare pertinenti in violazione del diritto dell'Unione" (si veda, sul punto, Cass. sez. IV, n. 14804/2013).
Dalle premesse suesposte è possibile trarre la seguente conclusione: un intermediario legato ad allibratori stranieri autorizzati ad operare solo nel Paese di origine, incorre, in caso di esercizio abusivo in territorio italiano di attività organizzata di raccolta di scommesse, nella violazione della normativa penale nazionale, in sé non ritenuta incompatibile con i principi del diritto UE; tuttavia, la punibilità dovrebbe essere esclusa qualora l'attività anzidetta, benché non autorizzata, fosse esercitata per conto di un operatore economico che non abbia ottenuto la concessione in Italia in violazione del diritto UE (vi sarebbe un contrasto con il diritto UE, ad esempio, se fosse riscontrata una diversità di trattamento tra i cittadini italiani e quelli stranieri o se il diniego non fosse giustificato da un preminente interesse di carattere generale).
Pertanto, solo laddove il diniego dei titoli abilitativi prescritti dalla legge italiana fosse correlato a violazioni del diritto UE, la carenza della concessione e della licenza di pubblica sicurezza non potrebbe costituire il presupposto per l'applicazione delle sanzioni penali previste dall'art. 4 legge n. 401/89.
Così ricostruiti i termini della questione sottesa al dedotto argomento difensivo, è ora possibile illustrare i passaggi logico-giuridici in cui quest'ultimo si articola. Ebbene, secondo la difesa, nel caso oggetto di giudizio non vi sarebbero i presupposti per la configurabilità del reato in capo agli odierni imputati in quanto il bookmaker maltese, per conto del quale operava la ditta individuale di Ru.An., sarebbe stato vittima di una discriminazione in violazione del diritto UE. In particolare, è stato sottolineato come la Ce. non abbia proprio partecipato alla gara pubblica per l'aggiudicazione della concessione, sul rilievo che il bando del 26 luglio 2012 (pubblicato su G.U.R.I. il 30 luglio 2012) fosse illegittimo e strutturato in modo tale da reiterare le discriminazioni di cui al bando del 2006.
Ritenendo che il bookmaker maltese fosse stato vittima di una discriminazione indiretta, Ru.An. aveva comunque avanzato istanza ex art. 88 TULPS, senza riuscire a conseguire la necessaria licenza di polizia ed aveva, altresì, comunicato alla Questura di Napoli l'esistenza della attività intrapresa per conto della Ce. (cfr. comunicazione del 24 febbraio 2015, in atti).
La difesa degli imputati, a supporto della richiesta di disapplicare la normativa interna, ha depositato, come si è già rammentato, un ricorso al TAR proposto da Ru.An. e una sentenza emessa il 25 novembre 2019 dal Tribunale di Napoli (VI Sezione Penale, GOP dott.ssa Gi.PA.) su un caso analogo a quello per il quale si procede, in cui erano coinvolti gli odierni imputati.
Per quanto riguarda il ricorso al TAR, si tratta, precisamente, di un atto con cui è stato promosso l'annullamento del decreto avente ad oggetto il diniego di rilascio dell'autorizzazione di pubblica sicurezza richiesta da Ru.An. in qualità di gestore di un centro dedito all'intermediazione nella raccolta di scommesse sportive per conto di un bookmaker austriaco, la (...), titolare del marchio "(...)".
Anche la sentenza prodotta riguarda, a ben vedere, l'attività di intermediazione che gli odierni imputati hanno in precedenza svolto per conto del citato bookmaker austriaco, attività in relazione alla quale il giudice ha ritenuto di pronunciare una sentenza di assoluzione giustificata dalla necessità di "disapplicare la normativa interna per contrasto con quella comunitaria".
Ciò posto, questo giudice reputa infondate le suesposte deduzioni difensive pelle ragioni che seguono.
Innanzitutto, non risulta provato che il bookmaker maltese abbia in concreto subito la pur dedotta discriminazione. Infatti, la difesa si limita a dedurre la necessità di disapplicare la norma incriminatrice affermando che, in presenza di discriminazioni (dirette o indirette) nei confronti di allibratori stranieri, non può trovare applicazione la normativa nazionale in materia di raccolta abusiva di scommesse sportive; nondimeno, essa non fornisce alcuna prova circa la presunta discriminazione concretamente consumatasi ai danni di Ce..
Né è possibile patrocinare la tesi della disapplicazione valorizzando la sentenza assolutoria e il ricorso al TAR sopra sintetizzati. Invero, si tratta di atti inerenti ad una vicenda non del tutto sovrapponibile a quella oggetto del presente procedimento (intermediazione esercitata per conto di (...) e non per conto di Ce.), in cui non sembrano peraltro emersi, ai danni del bookmaker austriaco, profili di discriminazione in violazione del diritto UE predicabili anche rispetto all'allibratore maltese.
Inoltre, le argomentazioni formulate dalla difesa non si confrontano con l'orientamento giurisprudenziale secondo cui "in tema di esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, qualora il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero metta a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi o un conto-giochi intestato a soggetti di comodo, consentendo la giocata senza far risultare chi l'abbia realmente effettuata, è configurabile il reato di cui alla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, comma 4-bis, essendo realizzata un'illegittima intermediazione nella raccolta delle scommesse che rende irrilevante l'esistenza di titoli autorizzatori o concessori in capo a detto bookmaker" (si veda in termini, da ultimo, Cass. sez. III, n. 15766/2020). In casi del genere, per la Suprema Corte, il legame tra il gestore del centro e il bookmaker perde la sua rilevanza, "configurandosi come una mera occasione per l'esercizio illecito della raccolta di scommesse" (si veda Cass. sez. III n. 18590/2019).
Nell'ambito di tale orientamento, la giurisprudenza è peraltro ferma nel ritenere che "l'avere posto in essere, mediante attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse, la condotta prevista dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, comma 4-bis, che non sia limitata alla mera trasmissione delle scommesse effettuate dai clienti ad un allibratore straniero, esclude ogni pro filo discriminatorio nella partecipazione dello stesso alle gare, dal momento che l'attività e la conseguente necessità di titolo autorizzativi) va individuata direttamente in capo all'operatore italiano" (ex plurimis, si vedano Cass. Sez. III n. 889/2018, Cass. Sez. III n. 44381/2016; Cass. Sez. III, n. 19248/2012).
Ebbene, nella vicenda in esame, risulta accertato che il centro di Ru.An., ad onta della formale denominazione, non si limitava alla mera trasmissione dei dati relativi alle giocate; esso, piuttosto, svolgeva, come la polizia giudiziaria ha avuto modo di constatare, una vera e propria attività di intermediazione illecita nella gestione di scommesse sportive (sostanziantesi nella messa a disposizione dei clienti di conti-giochi con nomi fittizi, nella raccolta di puntate, nella riscossione di poste e nel pagamento di vincite).
Facendo, dunque, applicazione dei principi giurisprudenziali sopra riportati, questo giudice reputa sufficiente, ai fini dell'integrazione del reato in contestazione, la circostanza, pienamente provata nel caso di specie, che l'attività di intermediazione nella gestione delle scommesse sportive fosse esercitata in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 88 TULPS.
Tanto chiarito in ordine alla configurabilità del reato, ci si può ora soffermare su chi debba in concreto risponderne.
Al riguardo, se non vi sono dubbi circa la responsabilità penale di Ru.An., titolare dell'omonima ditta dedita all'intermediazione illecita oggetto di contestazione, non può dirsi altrettanto per Ga.Ma.. Infatti, in relazione al coinvolgimento di quest'ultimo nel reato de quo, non è stata raggiunta la prova al di là di ogni ragionevole dubbio: dall'istruttoria dibattimentale è emerso soltanto che egli è il coniuge della titolare; a parte questo dato, non risultano in atti elementi per affermarne, come richiesto dalla pubblica accusa, la qualità di gestore di fatto del centro scommesse non autorizzato, non ritenendosi all'uopo sufficiente il dato fattuale consistito nell'essere il GALLUCCIO accorso su richiesta del predetto De.Da. in risposta all'invito della polizia giudiziaria di far convenire in loco il responsabile dell'attività (potendosi tale dato giustificare anche semplicemente con una difficoltà o un'impossibilità momentanea della moglie Ru.An.); tantomeno può ritenersi sufficiente ai fini della valutazione che ci occupa il dato, certo rilevante, consistente nella sussistenza di precedenti penali specifici a carico del GA..
Deve, dunque, pronunciarsi sentenza assolutoria nei suoi confronti, sia pure nei termini di cui al capoverso dell'art. 530 c.p.p., perché è insufficiente la prova che egli abbia commesso il fatto in concorso con la consorte.
Ciò premesso, occorre determinare il TRATTAMENTO SANZIONATORIO da applicare nei confronti di Ru.An..
Si ritiene, innanzitutto, possibile ravvisare nell'incensuratezza e nel comportamento collaborativo complessivamente tenuto dalla RU., consistito in particolare in sede processuale nell'acquisizione concordata di atti procedimentali, con conseguente indubbio vantaggio in termini di economia processuale, elementi di meritevolezza non codificati che giustificano il riconoscimento nei suoi confronti delle invocate circostanze attenuanti generiche.
Inoltre, tenuto conto di tutti gli elementi di valutazione di cui all'art. 133 cod. pen., si stima congruo condannare Ru.An. alla pena di mesi sei di reclusione, così determinata: pena base mesi nove di reclusione (il comma 4 bis richiama le sanzioni del presente articolo e, quindi, la pena edittale di cui all'art. 4 comma 1, pena che, all'epoca dei fatti, era la seguente: reclusione da sei mesi a tre anni); ridotta nella misura indicata per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La condanna per il delitto contestato comporta, ai sensi dell'art. 5 legge n. 401/89, il divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche o si accettano scommesse autorizzate ovvero si tengono giuochi d'azzardo autorizzati, che si ritiene congrua per la durata minima di mesi sei.
Sussistono i presupposti per concedere all'imputata i benefici della sospensione condizionale della pena (sia principale che accessoria) e della non menzione della condanna: la RU., infatti, è un soggetto privo di precedenti penali e si può ragionevolmente presumere che la presente vicenda funga nei suoi riguardi da monito, distogliendola dal coltivare in futuro ulteriori propositi criminosi. Segue in ogni caso per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna di Ru.An. al pagamento delle spese del processo.
Ai sensi dell'art. 240 cod. pen., si dispone la confisca e la distruzione al giudicato della documentazione in sequestro.
In considerazione del numero e della complessità dei provvedimenti da redigere, nonché dei pressanti impegni d'udienza, è apparso prudente riservare il deposito della motivazione nel termine di trenta giorni.
PQM
Letti gli artt. 533 - 535 c.p.p., dichiara Ru.An. responsabile dei fatti a lei ascritti e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, la condanna alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 530 c.p.p., assolve Ga.Ma. dai fatti a lui ascritti'per non aver commesso il fatto.
Letti gli artt. 163 e 175 cod. pen., riconosce a Ru.An. i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna.
Letto l'art. 5 L. 401/89, commina nei confronti di Ru.An. il divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche o si accettano scommesse autorizzate ovvero si tengono giuochi d'azzardo autorizzati per la durata di mesi sei.
Letto l'art. 240 cod. pen., dispone la confisca e la distruzione al giudicato della documentazione in sequestro.
Letto l'art. 544 co. 3 c.p.p., riserva il deposito della motivazione nel termine di trenta giorni.
Così deciso in Napoli il 13 luglio 2020.
Depositata in Cancelleria il 3 agosto 2020.