Tribunale Nola, 11/01/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 11/01/2021), n.2200
Giudice: Alessandra Zingales
Reato: 628 comma 1 c.p.
Esito: Assoluzione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOLA
GIUDICE UNICO DI PRIMO GRADO
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Il Giudice Monocratico, dott.ssa Alessandra ZINGALES alla pubblica
udienza del 3.12.2020 ha emesso la seguente
SENTENZA
nel procedimento a carico di:
(...), nato a (...) il (...), res. ed elett. domic. in (...), alla
via (...);
Libero - già presente non comparso
Difeso di fiducia dall'Avv. (...) del foro di Nola, presente
IMPUTATO
a) del delitto p. e p. dall'art. 628 comma 1 c.p. perché usando
minaccia consistita nel profferire la seguente frase "forse non hai
capito che se non tiri fuori il cellulare stasera non ti ritiri e
violenza nei confronti di (...) con la condotta descritta al capo b),
si impossessava, per procurarsi un ingiusto profitto, di un telefono
cellulare marca Apple modello Iphone 5S di colore bianco;
In Brusciano il 22.1.2016
b) del delitto p. e p. dagli artt. 582-585 c.p. (in relazione all'art.
576 e 61 c.p.i. perché, per commettere il delitto di cui al capo A),
colpendo al (...) con schiaffi, graffi e morsi, le cagionava lesioni
guaribili in gg. 7;
In Brusciano il 22.1.2016
c) del delitto p. e p. dall'art. 581 c.p. perché, percuoteva (...)
colpendola con schiaffi al volto;
In Marigliano il 15.1.2016
P.C.: (...), costituitasi parte civile con il patrocinio dell'Avv.to
(...);
(Si omettono le conclusioni delle parti)
Svolgimento del processo
Con decreto che dispone il giudizio del 29.09.2016, il G.I.P. presso il Tribunale di Nola ha rinviato a giudizio (...) per i reati sopra analiticamente indicati, disponendone la comparizione innanzi al Giudice in precedenza titolare del ruolo. All'udienza del 18.05.2017, dopo aver constatato la regolarità della notifica all'imputato, che veniva dichiarato assente, e alla parte lesa, presente, il Giudice rinviava il processo in via preliminare atteso il proprio imminente trasferimento ad altra sede giudiziaria.
All'udienza del 18.01.2018, svoltasi innanzi alla scrivente nelle more subentrata nella titolarità del ruolo, dopo la revoca della dichiarazione di assenza dell'imputato, stavolta comparso, in mancanza di questioni preliminari veniva aperto U dibattimento ed il P.M. produceva il referto medico del 23.01.2016 con allegato fascicolo fotografico. Di seguito veniva escusso il teste di P.G., V. Brig. (...), al cui esito il P.M. dichiarava di rinunciare al teste (...), la cui ordinanza ammissiva veniva revocata. Veniva quindi acquisito il verbale di consegna e restituzione del telefono cellulare oggetto del presente processo, che veniva poi rinviato per il prosieguo dell'istruttoria.
All'udienza del 21.02.2019 venivano escussi la persona offesa (...) ed i testi (...), (...) e (...), con rinuncia della parte civile all'ultimo teste della propria lista, (...), la cui ordinanza ammissiva veniva dunque revocata, rinviandosi poi il processo al 12.09.2019 per l'esame dell'imputato e per l'escussione dei testi della difesa.
In tale data era presente l'imputato che decideva di sopporsi ad esame e di seguito veniva escusso il teste della difesa (...), con rinuncia, e pedissequa revoca della relativa ordinanza ammissiva, al teste (...). All'esito veniva accolta la richiesta di citazione ai sensi dell'art. 507 c.p.p. del teste (...), la cui escussione era rinviata al 19.03.2020,
All'udienza così fissata il processo non poteva essere celebrato a seguito delle misure adottate per affrontare l'emergenza correlata ai fenomeni epidemiologici del COVID - 19 e veniva rinviato d'ufficio prima al 14.05.2020, poi al 16.07.2020 con sospensione dei termini di prescrizione fino al 30.06.2020.
In tale data era presente e veniva escusso il teste (...) ed il processo, essendo l'istruttoria ritenuta competa, veniva rinviato per la sola discussione al 19.11.2020.
In tale data il difensore dell'imputato faceva pervenire una istanza di differimento per legittimo impedimento ed il processo era rinviato, con sospensione dei termini di prescrizione, all'udienza del 3.12,2020, nel corso della quale, dichiarata la chiusura del dibattimento e l'utilizzabilità degli atti legittimamente acquisiti al fascicolo dibattimentale, la scrivente ha dato la parola alle parti per le rispettive richieste e conclusioni; quindi s'è ritirata in camera di consiglio, per poi decidere come dalla presente sentenza di assoluzione, il cui dispositivo è stato letto in udienza alla presenza delle parti.
Motivi della decisione
All'esito dell'ampia ed articolata attività istruttoria, i cui passaggi sono stati sintetizzati nella sezione che precede, deve giungersi ad una pronuncia assolutoria nei confronti dell'imputato in relazione a tutti Ì reati in contestazione perché il fatto non sussiste, sebbene con la formula dubitativa del secondo comma dell'art. 530 c.p.p.
Preliminarmente deve darsi atto della sospensione del termine di prescrizione, correlata ai rinvii disposti alle udienze del 19.03.2020, del 14.05.2020 e del 19.11.2020, per le esposte ragioni, per un periodo complessivo di mesi 2 e giorni 25.
Nel merito, quest'organo giudicante ritiene che le risultanze dell'attività istruttoria svolta non consentono di poter affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i fatti accaduti il 15.01.2016 e il 21.01.2016 si sono svolti secondo quanto prospettato nei capi di imputazione e quindi di ritenere provato con certezza l'assunto accusatorio. Questo, infatti, si fonda integralmente sulle dichiarazioni della persona offesa, (...), che ha prima denunciato e poi riferito in dibattimento come si sarebbe svolta l'aggressione nei suoi confronti da parte dell'(...), ma una patte dei riscontri dibattimentali si pongono in contrasto con quanto da lei affermato, senza dover sottacere che l'imputato, nel corso del suo esame, ha fornito una versione alternativa dello svolgimento dei fatti assolutamente plausibile, che ha altresì trovato riscontro nelle deposizioni di alcuni dei testi escussi.
Venendo dunque alla narrazione dei fatti, la teste e persona offesa (...) riferiva in dibattimento di conoscere (...) in quanto aveva intrattenuto con lui una relazione sentimentale, durata circa sei - sette mesi, che il giorno 15.01.2016, nel corso di una lite avuta in auto mentre si trovavano a (...), l'ex fidanzato le aveva dato un violento schiaffo - a suo dire semplicemente perché gli dava fastidio il suo modo di porsi, di parlare e di relazionarsi, per cui lei decideva di troncare la relazione, ritenendo assolutamente intollerabile che dalle parole lui fosse passato alle vie di fatto, che questo comportamento era stato preceduto da un atteggiamento già estremamente aggressivo nei suoi confronti, in quanto l'(...) già altre volte l'aveva minacciata verbalmente dicendole che se lei lo avesse lasciato lui l'avrebbe uccisa e di non fare la cretina perché sarebbe andata incontro a serie conseguenze. Quindi quella sera lei decideva di troncare la relazione e da quel momento non rispondeva più né alle sue telefonate né ai suoi messaggi, tanto, riferiva, che la chiamò la madre (o la sorella, la teste sul punto è stata alquanto imprecisa) del fidanzato la quale prima le diceva che Be. stava male a causa della sua decisione, poi che aveva fatto bene ad allontanarsene, in quanto "è una persona violenta perché lui comunque ha questo atteggiamento anche nei riguardi delie sorelle, nei riguardi della mamma, nei riguardi del nonna, è proprio lui che è fatto cosi" (p. 5 verb. sten. del 21.02.2019). La teste riferiva dunque che la sera del 22 gennaio si era recata nella palestra da lei frequentata, la (...), come ogni venerdì - circostanza nota all'ex fidanzato - e che all'uscita, appena salita in auto per fare rientro a casa, improvvisamente si apriva la portiera dal lato passeggero e l'(...) entrava in auto, dicendole che dovevano parlare, avendo saputo dalla propria madre che la sua non stava bene e chiedendole se la notizia fosse vera (la ragazza riferiva che era stata proprio lei a dirlo alla mamma dell'(...) durante la conversazione telefonica). Avuto conferma della notizia dalla ragazza, l'imputato a quel punto le chiedeva scusa per lo schiaffo ma nel contempo le diceva che lei da lì non se ne sarebbe andata finché non avessero chiarito le cose tra loro. Poiché la palestra stava chiudendo ed era sera tardi, intorno alle 22.30, la (...), riferendo che era anche spaventata dall'isolamento del luogo, acconsentiva ad avere questo chiarimento, ma vicino casa propria, sicché i due ragazzi si dirigevano con le rispettive autovetture verso l'abitazione della (...) dove, fermatisi nella strada retrostante, (...) scendeva dalla propria vettura e risaliva su quella della ragazza. A quel punto iniziava una discussione sulle cause della decisione della (...) di interrompere la relazione, che lei dichiarava risiedessero nelle diverse abitudini e prospettive di vita, mentre l'imputato riteneva fossero dovute ad una nuova relazione che accusava la (...) di aver intrecciato con un ragazzo, sicché le chiedeva insistentemente di dargli il suo cellulare per controllarne le chiamate ed il contenuto. Da questo momento in poi, dichiarava la teste, iniziava tra i due un diverbio sempre più acceso, poi sfociato nel litigio, che - a detta della persona offesa -era culminato nell'aggressione nei suoi confronti. Poiché si era rifiutata di dargli il proprio telefono e lo aveva nascosto dietro la schiena, la teste riferiva che (...) si avventava di lei e le dava un morso fortissimo sulla coscia, il cui livido le era rimasto per più di un anno, e nella lotta che seguiva si rompeva il vetro del cellulare. La teste riferiva poi che l'imputato, non volendo lei uscire dall'auto, scendeva dalla macchina, la prendeva per i capelli al buttava per terra e iniziava a malmenarla, ponendosi a cavalcioni su di lei e mettendole le mani alla gola dicendole "io ti uccido, io ti uccido, io ti uccido", finché la vicina di casa, sentendo le urla e le frasi che le venivano rivolte, si affacciava per vedere cosa stesse succedendo e minacciava di chiamare i Carabinieri se lui non l'avesse lasciata stare. La teste riferiva che a quel punto l'(...), dopo aver preso il cellulare della ragazza, si metteva in auto e, alle rimostranze della vittima per riaverlo indietro, le rispondeva testualmente "Se hai il coraggio entra in macchina e ti faccio vedere come e se torni a casa" per poi allontanarsi. La ragazza riferiva ancora che a seguito della colluttazione aveva l'occhio tumefatto, il sangue che usciva dalla bocca, il muscolo della gamba completamente ritratto a causa del morso che le era stato dato, tanto violento da non riuscire neanche più a portare la gamba per terra e che era andata a cercare aiuto, bussando ad un vicino di casa, suo amico, il quale la accompagnava dai Carabinieri di (...). Qui le dicevano che in primis lei si sarebbe dovuta far refertare presso un pronto soccorso, ma il ragazzo non l'aveva voluta accompagnare in ospedale in quanto non voleva essere ulteriormente coinvolto nella vicenda. A quel punto la (...) rientrava a casa propria e chiamava il fratello maggiore che si trovava a Napoli e che, subito rientrato, l'accompagnava a farsi refertare presso la Clinica "(...)" (cfr. referto in atti).
Parlando poi della natura della loro relazione, la teste dichiarava che durante tutto il breve periodo in cui si erano frequentati (circa da maggio 2015, al rientro dell'(...) dall'Australia dove si era recato per lavoro, fino al gennaio dell'anno successivo, dopo i fatti per cui è processo) l'imputato era sempre stato molto possessivo e prepotente nei suoi confronti, le imponeva come vestirsi, avevano continue discussioni su tutto ciò che lei faceva o su come si comportava con gli altri, di cui lui era gelosissimo, dichiarando tuttavia che fino alla sera dello schiaffo i litigi si erano sempre limitati a minacce verbali e non erano mai trasmodati in violenze fisiche.
La teste (...), vicina di casa della persona offesa, dichiarava che la sera del 22 gennaio 2016, mentre si accingeva a chiudere la imposte di casa, sentiva del rumore provenire dall'esterno, cui inizialmente non faceva caso ma che poco dopo cresceva di intensità, tanto a indurla ad affacciarsi per vedere cosa stesse succedendo. Nel momento in cui si affacciava percepiva che vi era una persona in difficoltà, una ragazza che gridava di lasciarla, cosicché chiedeva se sentisse aiuto e scendeva al piano di sotto, per poi uscire sul giardinetto prospiciente la propria abitazione, da cui poteva scorgere una coppia che litigava e vedere il ragazzo che tirava la ragazza per i capelli, la strattonava, la buttava per terra e, messosi a cavalcioni su di lei, le diceva "io ti ammazzo, ti ammazzo qua a terra". A quel punto intimava all'uomo di lasciare la ragazza, dicendo che avrebbe chiamato i Carabinieri, e rientrava in casa per telefonare, ma prima di riuscire a farlo sentiva le auto andare via. La donna precisava che la scena si era svolta a poca istanza da casa sua, dopo oltre la villetta dopo la sua ma che, sebbene il parco sia ben illuminato, non aveva riconosciuto nessuno dei due, nemmeno la (...) che lei conosce molto bene, perché la zona in cui si era svolta la scena era piuttosto in ombra.
Il teste (...), fratello della persona offesa, dichiarava che quella sera si era recato a (...) con alcuni amici e che, intorno all'una di notte, veniva chiamato a telefono dalla sorella che, con voce flebile e tremante, gli diceva di accorrere perché era stata aggredita dal fidanzato. Il ragazzo faceva una corsa a casa, tanto da arrivare dopo pochi minuti, e trovava la sorella in stato confusionale, pallida e con evidenti ecchimosi, lividi e segni sul corpo, decidendo così di portarla immediatamente al pronto soccorso di (...). In particolare il teste riferiva che la ragazza aveva un occhio gonfio, graffi, il labbro gonfio ma soprattutto la sorella gli faceva immediatamente vedere un morso impressionate sulla gamba, oltre ad avere le mani completamente rovinate. Su domanda specifica, il teste precisava che il giorno dopo l'(...) lo contattava via whatsapp, dicendogli che aveva sbagliato e che voleva andare a casa loro a chiarire l'accaduto (testo tuttavia non prodotto in dibattimento). Il teste, dunque, precisava di non aver in alcun modo assistito all'accaduto e che tutto quanto era successo gli era stato riferito dalla sorella, così come quello che lei gli aveva riferito qualche giorno prima, ossia di essere stata schiaffeggiata dall'(...) e che il rapporto stava assumendo una veste violenta che lei non accettava.
Anche il padre della persona offesa, (...), non poteva riferire nulla sullo svolgimento dell'accaduto, del quale veniva messo a conoscenza solo il giorno dopo dai figli, che gli narravano quello che era successo la notte precedente. L'uomo riferiva che il giorno dopo l'accaduto l'(...) aveva mandato anche a lui un messaggio whatsapp (dichiarando di non sapere come avesse avuto il proprio numero, dal momento che lui non lo conosceva né lo aveva mai visto o incontrato), nel quale diceva di "essersi reso conto dell'aggressione a (...)" e che le ragioni del gesto venivano indicate nel fatto di essere tornato dall'Australia, dove lavorava, proprio per amore della ragazza. Anche di tale messaggio non vi è traccia, non essendo stato prodotto alcunché in dibattimento.
Il teste di P.G., il V. Brig. (...) della Stazione Carabinieri di (...), dichiarava di aver semplicemente raccolto il giorno 23 gennaio la denuncia della (...), la quale dichiarava che la sera del 22 gennaio, al termine di una lite avuta con l'ex fidanzato (...) che aveva acuito il suo epilogo in un'aggressione fisica, questi le aveva portato via il proprio telefono cellulare, un Iphone 5. A seguito della denuncia, il giorno dopo i militari si recavano presso l'abitazione dell'imputato dove eseguivano una perquisizione domiciliare che dava esito negativo, ma nella medesima giornata, nel pomeriggio, lo stesso (...) si presentava spontaneamente presso la Stazione di (...) e consegnava il telefono, che risultava irrimediabilmente danneggiato, e che loro successivamente procedevano a restituire alla (...).
La versione dei fatti fornita dall'imputato in dibattimento, nel corso del quale acconsentiva a sottoporsi ad esame, è stata completamente differente.
L'(...), dopo avere brevemente ripercorso i passaggi relativi alla loro conoscenza e all'inizio della loro relazione sentimentale, con specifico riferimento ai fatti di cui è processo, confermava che l'antefatto era accaduto il giorno 15 gennaio, in cui aveva avuto una discussione con la (...) con la quale si era recato al pub di un amico dove c'era una serata, a causa del suo abbigliamento, che lui riteneva inadeguato, ma che in alcun modo aveva alzato le mani sulla (...), né le aveva dato uno schiaffo, come da lei affermata. L'imputato, invece, riferiva che la ragazza, sentendosi punta dalle critiche che lui le stava muovendo sul suo abbigliamento, reagiva molto animatamente e decideva di non andate più alla serata e di farsi riaccompagnare a casa e che a seguito del litigio i due non si vedevano più fino al giorno 22, giorno in cui sua madre, parlando con lui della vicenda, gli diceva di essere in contatto con la ragazza e di sapere che lei aveva un grave problema in famiglia, in quanto la madre era affetta da una gravissima malattia. A quel punto lui decideva di ricontattarla e, dopo essere passato sotto casa sua e non aver visto la sua autovettura, iniziava a telefonarle con insistenza, finché la (...) lo richiamava, dicendogli di non avergli risposto perché era in palestra. I due ragazzi allora si accordavano per incontrarsi presso la palestra al termine della sua lezione e lui vi si dirigeva, attendendola all'uscita. Finita la lezione, lui saliva tranquillamente sull'auto di lei ed iniziavano a parlare, dirigendosi poi verso (...) e decidendo infine, essendo piuttosto tardi, di fermarsi come erano soliti fare dietro l'abitazione della (...), che avevano raggiunto con entrambe le auto. A quel punto iniziava una discussione più accesa, in quanto l'imputato accusava la ragazza di aver cambiato atteggiamento nei suoi confronti, dedicandogli poche attenzioni e attribuiva questo cambiamento all'interesse che la fidanzata aveva iniziato nutriva verso un'altra persona, ricevendo in risposta una netta smentita. Le chiedeva di mostrargli il cellulare per verificare le telefonate che lei aveva fatto quando non gli rispondeva, avendogli lei detto che in quel momento era impegnata nella conversazione con una determinata persona, e sebbene la (...) decidesse di non dargli il telefono ma solo di mostrarglielo tenendolo lei stessa, lui potava constatare dal registro chiamate che in realtà lei aveva telefonato proprio all'uomo che sospettava potesse essere il nuovo spasimante. Lui allora le chiedeva di mostrargli tutte le telefonate che erano intercorse tra loro nella giornata, ma lei decideva di non mostrargli più nulla e si metteva il cellulare dietro la schiena per non darglielo. L'(...) allora, essendo seduto sul sedile passeggero, si protendeva sopra di lei per cercare di prenderglielo, ma la (...), per farlo desistere, gli dava dei morsi tanto forti sulla schiena da costringerlo a recedere dal suo proposito e a scostarsi da lei. Il ragazzo allora le diceva di restituirgli il cellulare, di cui si sentiva proprietario avendoglielo regalato lui, e lei, sempre secondo il racconto dell'imputato, cominciando ad offenderlo come era solita fare, se lo metteva in bocca, lo rompeva con i denti e poi glielo consegnava. L'(...) allora le diceva che, anche se era rotto il display, avrebbe potuto lo stesso risalite ai dati attraverso la memoria interna e che la mattina seguente sarebbe andato a riattivare lo schermo e avrebbe controllato il contenuto del telefono, ma lei, con un sorrisetto, gli diceva testualmente "tu a domani mattina non ci arrivi".
Il giorno dopo a casa dell'(...) arrivavano i Carabinieri che procedevano alla perquisizione domiciliare alla ricerca del telefono e lui, sconcertato dalla piega presa dalla vicenda e dalle accuse che la (...) gli aveva mosso, provava a contattare telefonicamente tutti i componenti della famiglia (...), la madre, il padre, i due fratelli, per cercare di chiarire la propria posizione con loro, fornendo la propria versione dei fatti, precisando che aveva un buon rapporto con il fratello piccolo di (...), ma nessuno era stato disposto ad ascoltarlo. La difesa dell'imputato produceva in dibattimento un supporto magnetico sul quale erano state riversate le conversazioni intercorse con i fratelli della (...) ed il contenuto delle chiamate effettuate in tale frangente.
Non riuscendo a parlare con i familiari dell'ex fidanzata, l'(...) contattava un vicino di casa della Po., (...), che gli era stato presentato proprio da lei, per cercare di avere qualche notizia su quanto stava accadendo e il ragazzo gli riferiva che la sera prima (...) era andata a casa sua dicendogli di essere stata aggredita dal fidanzato e chiedendogli di accompagnarla dai Carabinieri, cosa che lui aveva fatto, ma dichiarava nel contempo che gli aveva fatto una narrazione dello svolgimento dei fatti che lui stentava a credere, non volendo comunque essere più coinvolto nella vicenda e quindi gli chiedeva di non contattarlo più.
Sulla presenza della (...) e sul fatto che la donna, vicina di casa, fosse intervenuta nel corso della lite, l'imputato invece non sapeva riferire proprio nulla, dichiarando che quella sera non aveva visto nessuno e che nessuna donna si era affacciata, né tantomeno che fosse intervenuta nel corso della loro discussione, tanto più che tra il punto in cui loro si trovavano e l'abitazione della (...) - di cui l'(...) conosce l'ubicazione - c'erano altre costruzioni, ribadendo con fermezza che nessuno vi si era affacciato, anche perché i toni della discussione erano stati sì accesi, ma non tanto da suscitare l'intervento di alcuno. Infatti, precisava, il litigio era avvenuto in parte in auto e in parte fuori dalla vettura, dopo che la (...) aveva addentato il cellulare e glielo aveva consegnato, ed era continuato per tutto il tempo in cui lui percorreva il tratto tra le due vetture, era risalito in auto e si era accinto a ripartire, non prima che la ragazza avesse tentato di aprire la portiera della sua auto per riprendersi il dispositivo, dopo che lui le aveva detto che avrebbe potuto conoscerne il contenuto attraverso la rigenerazione della memoria.
Conferma in parte qua delle dichiarazioni dell'(...) sono state fornite in dibattimento dall'escussione del teste (...). Questi dichiarava di essere amico d'infanzia dell'imputato e di aver conosciuto la (...) in quanto sua fidanzata, precisando che all'epoca della loro relazione, essendo anch'egli fidanzato, era capitato che i quattro uscissero insieme. Inoltre affermava che sebbene talvolta nascessero delle discussioni ma i due, un pò per la gelosia dell'amico un po' perché la ragazza assumeva "sempre quegli atteggiamenti da prima donna", tali discussioni non erano mai sfociate in alcun atto o gesto di violenza da parte dell'(...) e che comunque i toni erano sempre civili e misurati.
Sugli accadimenti del 22 gennaio, il teste riferiva che l'amico gli aveva fornito la sua versione dei fatti, dicendogli che avevano avuto una discussione a causa del telefono della ragazza, in quanto lui sospettava che lei si sentisse con un altro ragazzo e che voleva controllare le chiamate fatte e ricevute, ma lei si era opposta e ne era nata una discussione, perché probabilmente lei aveva qualcosa sul telefono che non voleva fargli vedete; successivamente era riuscito ad entrare in possesso dell'apparecchio, ma in alcun modo l'amico gli riferiva di aver aggredito fisicamente la ragazza, dicendogli anzi che era stata lei a reagire in malo modo, avendogli dato dei morsi sulla schiena per impedirgli di prendere il telefono, e che prima di consegnarglielo lo aveva rotto. Un particolare importante riferito dal teste è che l'(...) gli aveva riferito che quando la ragazza aveva rotto il telefono, precisando che lo aveva fatto con i denti, dandogli un morso, e lui l'aveva rintuzzata dicendole che lo avrebbe fatto riparare attraverso il ripristino della memoria, lei gli aveva detto: "tu non ci arrivi a domani", dunque confermando che subito l'amico gli aveva riferito della minaccia che la ragazza gli aveva rivolto. Infine, su domanda specifica, dichiarava di aver visto personalmente sulla schiena dell'imputato i segni dei morsi che lui aveva dichiarato essergli stati inferri dalla ragazza.
Il teste (...), citato ai sensi dell'art. 507 c.p.p., riferiva di aver conosciuto l'imputato tramite la (...), sua amica e vicina di casa, sebbene lo conoscesse già di vista in precedenza, e che gli era stato presentato ufficiosamente come suo fidanzato una sera a cena a casa sua, dicendo che, sebbene non frequentasse assiduamente la coppia, tuttavia nelle occasioni in cui erano stati insieme non li aveva mai visti né litigare né tantomeno assumere atteggiamenti di violenza reciproca. Il teste riferiva che la sera del 22 gennaio 2015, mentre era a letto ed era notte inoltrata, la (...) bussava alla porta di casa sua, i genitori aprivano e lei, riferendo di essere stata picchiata dal fidanzato, diceva di avete bisogno di aiuto, dirigendosi poi verso la camera in cui dormiva l'amico e chiedendogli di accompagnarla dai Carabinieri, cosa che lui faceva. Qui giunti, la (...) dichiarava di voler sporgere denuncia, ma il militare presente le consigliava di farsi refertare prima di sporgere denuncia e quindi di recarsi in ospedale. A quel punto il (...) le diceva di recarsi a casa e di farsi accompagnare in ospedale dal padre o dai fratelli, dichiarando che gli era sembrato molto strano che la ragazza in prima battuta si fosse rivolta proprio a lui anziché ai familiari, senza che peraltro la (...) gli dicesse alcunché sul motivo di tale scelta. Interrogato sulle condizioni della ragazza, poi, il teste riferiva che la (...) era in uno stato di forte agitazione e che aveva dei rossori sul viso, ma non aveva tracce evidenti di violenza (ecchimosi, lividi, sangue) ma solo dei rossori, forse doluti a dei graffi senza tuttavia aver notato segni particolari sul viso della ragazza. Sul punto la scrivente ha inteso approfondire con il teste quali fossero le condizioni fisiche delia ragazza nel momento in cui si presentava a casa sua, atteso che lui era la prima persona che lei vedeva subito dopo la presunta aggressione ed il teste, sollecitato da molte domande sul punto, dichiarava ripetutamente di non aver notato segni evidenti sul viso o sul corpo della ragazza, dichiarando che lei non aveva in alcun modo descritto la modalità delle violenze subite, né mostrava alcuna sofferenza fisica o difficoltà di deambulazione, come invece aveva affermato la (...), che in dibattimento dichiarava che a causa del morso non riusciva più nemmeno ad appoggiare la gamba a terra. Neppure durante il tragitto da casa alla Caserma dei Carabinieri la (...) si era in alcun modo soffermata a descrivere le modalità - particolarmente violente, secondo quanto invece riferito in dibattimento - con cui (...) l'avrebbe aggredita, del trascinamento fuori dall'auto per i capelli, del tentativo di soffocamento, del violentissimo morso che asseriva di aver ricevuto (e di cui, ha affermato in dibattimento, le era rimasto il segno per oltre un anno). Nulla di tutto questo. La sua unica preoccupazione era stata quella di recarsi dai Carabinieri per denunciare l'(...) e, forse, inibirgli la possibilità di accedere al contenuto del telefono, come lui ha dichiarato di averle detto di voler fare.
Sulla scorta dell'istruttoria così sintetizzata, ritiene dunque questo Giudice che le accuse nei confronti dell'imputato non abbiano trovato il riscontro probatorio dibattimentale necessario ad una pronuncia di condanna nei suoi confronti.
E' emerso con chiarezza che la principale fonte di prova dell'assunto accusatorio siano state le dichiarazioni della persona offesa, essendo state quelle degli altri testi dell'accusa dichiarazioni de relato, ad eccezione di quelle della (...), su cui ci si soffermerà. La (...), invero, ha reso in dibattimento un narrato dell'accaduto appassionato ed accalorato, apparendo a distanza di anni ancora molto provata dall'evento e ha fornito una versione apparentemente convincente, che tuttavia non regge al vaglio di una disamina più approfondita e stride con le altre risultanze dibattimentali, apparendo pertanto inidonea a fondare un giudizio di colpevolezza.
Sul punto occorre ricordare, infatti, che nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. V del 14 giugno - 18 settembre 2000 n. 9771, e da ultimo Cass. Sez. 16 giugno - 11 settembre 2003 n. 354437) è granitico, avendo i due Supremi Consessi ormai da tempo ed in modo consolidato fissato i parametri di riferimento che il giudice deve adottare quando la prova sia rappresentata dalle dichiarazioni della persona offesa dal reato.
La persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore alla stregua di un qualunque testimone, anche quando si costituisce parte civile, dalla giurisprudenza viene collocata in una posizione diversa rispetto a quella del testimone "puro" e ciò proprio per il ruolo che ella assume nell'ambito del processo penale, sia quando si costituisce parte civile, sia quando non eserciti tale facoltà.
Se infatti il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi, ovvero perché portatore di un interesse privato al buon esito del processo e, con la costituzione di parte civile, di un evidente interesse, di natura economica, alle restituzioni ed al risarcimento del danno.
Ne deriva che, se in relazione al contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone vanno seguiti i canoni di valutazione unanimamente e costantemente espressi dalla giurisprudenza, di merito e di legittimità, che si esprimono nel principio secondo il quale il giudice può motivare il proprio convincimento con una valutazione centrata sulla personalità del dichiarante e sulla attendibilità del contenuto intrinseco della dichiarazione, traendo la prova del fatto rappresentatogli dal semplice racconto del teste, senza la necessità di altri elementi che ne confermino la credibilità, con riferimento, invece, al contenuto della denuncia sporta dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido c rigoroso della attendibilità intrinseca del narrato, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno il contenuto della denuncia (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II del 19 novembre 1998 n. 12000).
Pertanto quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché il suo racconto possa essere posto a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporlo ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'abbia resa e che, tuttavia, non sia improntato da preconcetta sfiducia nei confronti del teste, dovendosi comunque partire dal presupposto che, fino a prova contraria, il teste, sia esso persona offesa sia esso parte civile, riferisca fatti veri, o da lui ritenuti tali.
Ciò premesso, in applicazione dell'enunciato canone di valutazione, ritiene questo Tribunale che la (...), ha offerto un narrato astrattamente credibile ma nei fatti in contrasto con altri elementi probatori acquisiti nel corso del dibattimento e già in parte sottolineati.
Va in primis evidenziato che la reazione violenta ed estremamente aggressiva dell'(...) descritta dalla (...) mal si attaglia con la descrizione della personalità dell'imputato fornita da alcuni dei testi escussi. Il (...), innanzitutto, amico dell'imputato da lungo tempo e che ha anche frequentato la coppia nel corso della loro relazione, dichiarava di non aver mai colto alcun atteggiamento scomposto da parte dell'amico nei confronti della ragazza e che i battibecchi che a volte succedevano erano sempre improntati ad un rispetto reciproco; anzi, se c'era qualcuno che assumeva un atteggiamento meno consono, questa era proprio la (...), che il Capasse dichiarava comportarsi sempre "da prima donna". Ma lo stesso (...), amico della ragazza e suo vicino di casa fin da quando erano bambini, dichiarava in dibattimento di essersi mostrato estremamente sorpreso di fronte al racconto della (...) circa il comportamento che la ragazza dichiarava aveva assunto l'(...) quella sera, non avendo mai colto da parte sua alcun atteggiamento irrispettoso nei confronti dell'amica. Anche sulle modalità di svolgimento dell'aggressione residuano non pochi dubbi sul racconto della ragazza. La (...) ha dichiarato di essere stata aggredita selvaggiamente dall'ex fidanzato, che l'ha trascinata per i capelli fuori dalla vettura dopo averle dato un morso sulla coscia, (tanto violento da essere stato decritto addirittura come animalesco dal medico del Pronto soccorso che l'aveva refertata, era stato e poi, messosi a cavalcioni su di lei, tentava di soffocarla mettendole le mani alla gola gridandole ripetutamente "ti uccido". Ebbene appare poco credibile che dopo un'aggressione così violenta, avvenuta in mezzo alla strada, la (...), di fronte alla vicina che le viene in soccorso, anziché rivolgersi a lei per avere aiuto, prenda l'auto e se ne va, secondo quanto dichiarato dalla stessa (...) che ha affermato di essere rientrata in casa per chiamare i carabinieri e di aver desistito in quanto sentiva le automobili (la donna ha usato il plurale) che si allontanavano. E questo, occorre sottolineare, contrasta anche con il racconto della stessa (...), la quale ha dichiarato di essersi immediatamente rivolta ad un suo vicino di casa per avere aiuto.
Ancora, nel descrivere le proprie condizioni fisiche immediatamente dopo essere stata aggredita, la (...) di chiarava che era "in uno stato pietoso, avevo l'occhio tumefatto, sangue che mi usciva dalla bocca, la gamba che dal morso così violento il muscolo si era completamente ritratto conseguenza per cui non riuscivo neanche più a poggiare la gamba per terra. Dopo che è venuta questa cosa schiaffi, calci, pugni, mi stava soffocando ..." ma il (...), al quale si era rivolta subito dopo secondo quanto da lei stessa affermato, ha dichiarato che la ragazza si trovava sì in uno stato di forte agitazione, ma che non aveva segni particolari sul viso, che era solo, forse, un pò arrossato, e nonostante sia stato incalzato dalle domande della scrivente, che ha insistito molto sul punto proprio per verificare la compatibilità delle dichiarazioni della (...) con quanto rilevato dal teste, (...) ribadiva con sicurezza di non aver notato alcuna lesione o alterazione particolari, né che la Po. mostrava problemi di deambulazione, causati dal morso alla coscia, come da lei riferito. La ragazza, poi, nonostante le sue asserite pietose condizioni, non chiedeva al (...) di esser portata in ospedale per essere soccorsa, ma di essere condotta dai Carabinieri per fare la denuncia, cosa che sembrava l'unica sua vera preoccupazione in quanto la denuncia avrebbe impedito all'(...) di poter mettere in atto quanto le aveva prospettato, ossia di rigenerare il cellulare ed accedere al suo contenuto.
Un ulteriore elemento stridente nel racconto della ragazza riguarda, infine, la tempistica degli avvenimenti. La (...) dichiarava che (...) si era fatto trovare fuori dalla palestra (inaspettatamente, secondo la sua versione, previo appuntamento telefonico, secondo la versione fornita dall'imputato) alle 22.30 e che poi si erano diretti verso la sua abitazione, fermandosi a parlare nella strada retrostante. L'aggressione, dunque, sarebbe avvenuta non molto tempo dopo e si sarebbe protratta per non più di qualche minuto, considerate le modalità e tuttavia il (...) ha dichiarato di essere stato svegliato dalla (...) intorno all'1 di notte, tanto è verso che lui era già a letto che dormiva. Vi è dunque un lasso temporale tra i due momenti che non è facilmente colmabile in base al narrato di tutti i testi e che, unitamente agli altri elementi sopra evidenziati, non può non far sorgere più che qualche sospetto sulla possibile realizzazione da parte della ragazza di una messinscena a danno dell'(...).
Rimane da analizzare la dichiarazione della (...), che ha fatto affermazioni compatibili con il racconto della (...). Occorre tuttavia evidenziare che la donna non ha riconosciuto nessuno dei due soggetti, neppure la (...) da lei ben conosciuta, dichiarando che il luogo in cui si trovavano i due non era ben illuminato, e non le ha consentito di vedere bene di chi si trattasse. La donna dunque non ha riconosciuto nell'aggressore l'(...), il quale, da canto suo, ha dichiarato che nel corso del litigio - da lui definito acceso, ma non tanto da destare allarme nei vicini - nessuno si era affacciato alle finestre prospicienti, né tantomeno aveva visto alcuna donna sporgersi dalla propria abitazione ed interloquire con loro.
Orbene, senza voler qui approfondire la prospettabilità di possibili scenari alternativi rispetto a quelli offerti dalle parti, di fronte a due versioni dei fatti così contrastanti e ad un narrato della persona offesa - unico elemento di prova nei confronti dell'imputato - così contraddittorio, deve concludersi che la prova certa della responsabilità dell'(...) per i reati contestatigli non è stata in alcun modo raggiunta, dovendosi pertanto concludere per l'assoluzione nei suoi confronti perché il fatto non sussiste, ai sensi dell'art. 530 II° co. c.p.p. Deve infine darsi atto che nel dispositivo di sentenza, dopo aver dichiarato l'assoluzione dell'imputato, per mero errore materiale, dovuto all'utilizzo di un diverso file informatico, è stato aggiunto il termine colpevole. In realtà la statuizione è inequivocabilmente evincibile dal tenore complessivo del dispositivo, in cui manca alcuna determinazione di pena, e dalla motivazione, in cui è stato evidenziato l'iter che ha condotto all'affermazione di assenza di responsabilità, potendosi pertanto provvedere all'emenda dell'errore anzidetto con il rimedio di cui all'art. 130 c.p.p., con separata ordinanza.
La complessità della ricostruzione delle vicende processuali, e l'assunzione in decisione alla medesima udienza di altre decisioni, giustificano la riserva del termine per il deposito delle motivazioni.
PQM
Letto l'art. 530 c.p.p.,
assolve (...) dai reati a lui ascritti perché il fatto non sussiste. Letto l'art. 544 III° co. c.p.p., indica in giorni 60 il termine per il deposito dei motivi.
Così deciso in Nola il 3 dicembre 2020.
Depositata in Cancelleria l'11 gennaio 2021.