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Abuso d'ufficio: Sindaco revoca l'incarico a dipendente candidato in lista contrapposta, condannato


Corte di Cassazione

La massima

In tema di abuso d'ufficio, la violazione di legge cui fa riferimento l' art. 323 cod. pen. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quelle che siano dirette alla realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione. (Fattispecie in cui il sindaco di un Comune aveva disposto la revoca dell'incarico dirigenziale ricoperto da un dipendente candidatosi in una lista contrapposta, apparentemente giustificato tale scelta con esigenze di contenimento della spesa senza che, tuttavia, fosse stata previamente deliberata una diversa organizzazione degli uffici.



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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 13/04/2018 , n. 19519

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Potenza con la sentenza in epigrafe indicata ha confermato quella del Tribunale di Lagonegro che aveva condannato l'imputato, F.D., alla pena di un anno di reclusione ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, A.A.P., per il reato di abuso di ufficio.


Si è in tal modo ritenuto che l'imputato, quale sindaco del Comune di (OMISSIS) e nello svolgimento delle sue funzioni, avesse adottato in una prospettiva punitiva un decreto, portato al prot. n. 4038 del 17 novembre 2009, con cui revocava ad A.A.P. l'incarico di responsabile dell'area finanziaria e quindi, con lo svolgimento delle relative funzioni dirigenziali, le indennità economiche.


2. La motivazione resa nell'adottato provvedimento di revoca, consistente nella mera intenzione espressa dal pubblico amministratore di dotarsi di un diverso sistema organizzativo al fine di contenere la spesa pubblica con la previsione dell'assunzione ad interim delle funzioni dell' A. da parte del sindaco, avrebbe da un canto macroscopicamente violato norme di legge e regolamento, cagionando all' A. un danno ingiusto, consistente nella perdita del trattamento economico, e dall'altro rivelato l'intento punitivo delle scelte politiche dell' A., candidato, alle successive consultazioni elettorali, della lista di minoranza.


La violazione di legge avrebbe attinto la previsione di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 109, nella parte in cui è stabilito che la revoca degli incarichi dirigenziali intervenga, tra l'altro, in caso di inosservanza delle direttive del Sindaco o di mancato raggiungimento alla fine di ogni anno finanziario degli obiettivi assegnati o per responsabilità particolarmente grave e reiterata o nei casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro e dagli artt. 21 ed 88 del Regolamento comunale, relativi a cause di revoca dell'incarico di responsabile di area, da disporsi anche in via anticipata.


3. Ricorrono in cassazione nell'interesse dell'imputato i difensori di fiducia denunciando, con unica articolata censura, vizio di motivazione ed erronea interpretazione del regolamento comunale in ragione della mancata disamina dei numerosi atti amministrativi che, precedenti e successivi alla revoca, avrebbero segnalato dell'incriminato provvedimento la natura necessitata e rispondente alle esigenze di contenimento della spesa della macchina comunale.


L'epoca in cui sarebbe maturata la candidatura dell' A. nella lista di minoranza, e quindi il luglio del 2009, avrebbe sostenuto poi, insieme all'obiettiva esigenza di riorganizzazione degli uffici prontamente attuata dalla nuova giunta all'esito delle nuove consultazioni elettorali, l'assenza di ogni intento punitivo nel decreto di revoca adottato, a distanza, solo nel novembre del 2009.


La motivazione della Corte territoriale sarebbe stata sul illogica e non sostenuta in punto di prova anche quanto alla sussistenza del dolo specifico.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perchè portatore di evidenze in fatto nuove, non dedotte puntualmente in appello dalla difesa, nel contempo prospettando questione non dirimente ai fini dell'accertata sussistenza dell'abuso di ufficio contestato per adozione di revoca dirigenziale sostenuta da mere ragioni emulative.


2. La deduzione è nuova.


Nella sentenza impugnata, sulla premessa che le violazioni contestate nel capo di imputazione ad integrazione dell'abuso di ufficio (art. 323 cod. pen.) non avevano "formato oggetto di alcuna doglianza intrinseca da parte dell'appellante" (p. 6 della sentenza d'appello), si motiva sulle illegittimità del provvedimento di revoca adottato dal F., segnalandosi il difetto di una delibera di giunta comunale diretta ad attribuire poteri gestionali agli organi esecutivi nei termini di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 53, comma 23, da valere per i Comuni al di sotto dei cinquemila abitanti, ed il difetto di ogni comparazione, per l'incriminata revoca, tra il risparmio di spesa conseguito dalla mancata erogazione dell'indennità di funzione al dirigente revocato ed i disservizi che all'amministrazione sarebbero derivati dall'atto.


A fronte di siffatto definito quadro fattuale, in cui si compongono altresì gli esiti di prova, nel proposto ricorso si fa questione circa l'omessa valutazione da parte della Corte territoriale della Delib. di giunta n. 9 del 17 aprile 2010 che, ai sensi dell'art. 53, comma 23, della legge finanziaria del 2001, n. 388 cit. e delle successive modifiche e ad integrazione dell'art. 21 del regolamento degli uffici e dei servizi approvato con precedente deliberazione n. 108 del 7 novembre 2000, statuiva sull'adozione di modelli organizzativi dell'ente locale finalizzati al contenimento della spesa pubblica, con attribuzione ai componenti dell'organo esecutivo della responsabilità di uffici e servizi per attribuzione agli stessi di poteri tecnico-gestionali con esautoramento delle corrispondente figure dirigenziali.


L'indicata delibera avrebbe ricondotto all'aprile del 2010 e non al luglio del 2013, come ritenuto erroneamente in sentenza, l'adozione del nuovo modello organizzativo, e la successiva ed ulteriore deliberazione, la n. 10 del 17 aprile 2010, di conferimento al F., assessore e non più sindaco all'esito delle nuove consultazioni elettorali, in qualità di responsabile di area, delle competenze in materia economico-finanziaria e di vigilanza, avrebbe sostenuto, per la realizzata contratta tempistica, l'insussistenza dell'intento punitivo dell'atto di revoca: la revoca sarebbe stata determinata dall'esigenza di contenere le spese in un quadro di crisi finanziaria dell'ente territoriale e come tale sarebbe stata sostenuta dalla successiva e tempestiva adozione del preventivato modello organizzativo.


3. L'articolato passaggio contenuto in ricorso e l'indicata sequenza degli atti segna l'ingresso nel giudizio di legittimità di una deduzione in fatto nuova, non oggetto di specifico motivo in appello (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822), specificità richiesta da una motivazione di primo grado che aveva conformato l'espresso giudizio di illegittimità dell'atto di revoca ai fatti contestati in imputazione e quindi alla mancanza di una delibera di giunta attributiva dei poteri di gestione in deroga, D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 107 e D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 3, commi 2, 3 e 4, per ragioni di contenimento della spesa pubblica, agli organi esecutivi.


4. La deduzione è altresì irrilevante.


In tema di abuso d'ufficio, la violazione di legge cui fa riferimento l'art. 323 cod. pen. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche le condotte che siano dirette alla realizzazione di un interesse colliderte con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione (Sez. 6, n. 43789 del 18/10/2012, Contiguglia, Rv. 254124).


Ove l'abuso di ufficio si realizzi per adozione di un atto di revoca, l'atto diviene strumento attraverso il quale si realizza il comportamento costituente reato perseguendosi per il primo l'intento di recare un danno obiettivamente ingiusto, qual è per l'appunto la revoca di incarico, a cui si accompagnano negative implicazioni economiche, funzionali e di immagine connesse, al di fuori dei casi consentiti.


L'estraneità dell'atto dallo schema legale tipico si pone in tal caso di intensità tale da sconfinare in "comportamento" per l'assenza dei presupposti di fatto che consentono di ravvisare nel primo l'azione della Pubblica amministrazione (Sez. 6, n. 19135 del 02/04/2009, Palascino, Rv. 243535; Id., n. 37172 del 11/06/2008, Gatto, Rv. 240932).


Fermi gli indicati principi, vero è che la questione della tempestività della delibera di giunta in ordine alla diversa organizzazione dell'apparato comunale, comunque non posta tempestivamente nel giudizio di merito, non viene trattata come capace di rivelare o escludere le ragioni vendicative che del decreto di revoca dell'incarico dirigenziale avrebbero sostenuto l'adozione.


La Corte di appello ragiona invero, conformando in tal modo il proprio giudizio a quello del giudice di primo grado, sulla illegittimità del decreto di revoca nella rilevata insussistenza al momento della sua adozione di un provvedimento organizzativo che, in quanto cronologicamente precedente, della revoca legittimasse l'adozione.


Ai fini della configurabilità del reato di abuso di ufficio, l'esigenza di dotare la compagine amministrativa locale di una diversa organizzazione con attribuzione, ai fini di contenimento della spesa, ai componenti dell'organo esecutivo della responsabilità degli uffici e dei servizi e del potere di adottare atti anche di natura tecnico-gestionale, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 53, comma 23, vale a giustificare per il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 109, la revoca del dirigente ai servizi in precedenza nominato se ed in quanto la delibera di adozione del diverso modello preceda la revoca stessa.


Non può infatti diversamente valere la mera intenzione enunciata dal pubblico amministratore nel provvedimento di revoca del dirigente di dotarsi, in futuro, del nuovo modello organizzativo.


Il contenimento della spesa deve invero poter essere documentato ogni anno, con apposita delibera, in sede di approvazione del bilancio, evidenza espressiva, ai fini dello scrutinio dell'abuso di ufficio, della mancanza di una intenzione di malevolenza nell'adozione dell'atto di revoca che resta così giustificato dall'obiettivo fine del contenimento della spesa pubblica, verificabile per aperto confronto tra costi originari e risparmi conseguiti.


La necessità che la diversa scelta organizzativa preceda e non segua la revoca ex art. 109 D.Lgs. cit. vale a sottrarre quest'ultima ad ogni apprezzamento di strumentalità rispetto al diverso fine emulativo delle posizioni del dirigente revocato ed ove rimasta inosservata integra quel rilevante distacco dall'atto tipico che dello stesso rivela la natura di comportamento illegittimo, estraneo all'azione della pubblica amministrazione.


Le evidenziate circostanze, chiare nella motivazione adottata dalla Corte di merito, restano quindi inammissibilmente contestate in ricorso per una pretesa adozione del diverso atto organizzativo in un'epoca che, seppure successiva, sarebbe comunque rimasta prossima al decreto di revoca in tal modo ancora sostenendo, si assume, la legittimità dell'atto nella sua necessitata esigenza di contenimento della spesa pubblica.


5. A fronte della richiamata ricostruzione della illegittimità dell'atto degradato in comportamento, in ogni caso l'elemento intenzionale del contestato reato resta pure in modo inefficace contrastato là dove in ricorso si deduce che la stessa persona offesa, escussa in sede dibattimentale in primo grado, avrebbe riferito di una propria intenzione di candidarsi nella lista avversaria rispetto a quella del sindaco F. nell'anno 2010 e quindi solo successivamente all'intervenuta revoca del novembre del 2009.


Si tratta invero di un parcellizzato richiamo, in ricorso, alle dichiarazioni rese in sede di esame testimoniale dall'offeso che non vale a sottrarre concludenza alla diversa e piena affermazione, contenuta nell'impugnata sentenza, dell'esistenza dell'estremo soggettivo del contestato reato per un più ampio quadro di prova in cui convergono univocamente anche le dichiarazioni del teste M., non attinte da critica, e per le quali il sindaco avrebbe rivelato l'intenzione di addivenire a revoca dell'incarico nella registrata frattura del rapporto di fiducia con l' A..


In ogni caso, rispetto a siffatta cornice, all'interno della quale in modo pregnante è definito l'elemento soggettivo, la pure dedotta vicinanza temporale tra revoca e diverso atto organizzativo non vale ad escludere il dolo di abuso ex art. 323 cod. pen. e lascia anche per tale profilo inefficacemente e quindi inammissibilimente proposto il ricorso.


6. Alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e dell'equa somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.


Così deciso in Roma, il 13 aprile 2018.


Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2018

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