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Abuso d'ufficio: sussiste in caso di rilascio di sanatoria priva del parere dell'ufficio tecnico


Corte di Cassazione

La massima

In tema di abuso d'ufficio, il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria per abusi edilizi ricadenti in aree a rischio alluvionale elevato, in violazione delle prescrizioni del piano di assetto idrogeologico (nella specie, in difetto del necessario parere del competente ufficio tecnico comunale) integra la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge, richiesta dalla nuova formulazione dell' art. 323 c.p. ad opera dell' art. 16 d.l. 16 luglio 2020, n. 76 , conv. dalla l. 11 settembre 2020, n. 120 , poiché gli strumenti di pianificazione in materia, ancorché costituiscano fonti subprimarie, sono attuativi dell' art. 67 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152 , ed operano quali presupposti di fatto di tale norma di legge, che conferisce ad essi immediata portata precettiva.


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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. VI , 08/03/2022 , n. 13148

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe indicato, la Corte di appello di Messina in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina ha assolto P.A. per non avere commesso il fatto e confermato la condanna di C.S. per il reato di cui all'art. 323 c.p..


Il Tribunale aveva ritenuto la responsabilità di entrambi gli imputati per avere C.S., nella qualità di responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS), in accordo con P.A., quest'ultimo quale professionista incaricato da S.P., proprietario dell'abitazione interessata dalla domanda di condono edilizio, rilasciato la concessione edilizia in sanatoria relativa all'edificazione abusiva di un intero piano destinato ad abitazione e di un locale adiacente, realizzata in area qualificata come ad alta pericolosità (P4) e rischio molto elevato (R4), in zona inclusa nel piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico (PAI), relativo all'area territoriale compresa tra il bacino del torrente (OMISSIS) e Capo Peloro, approvato con d.P. Regione Sicilia del 15 dicembre 2006.


In particolare si contestava ai predetti imputati di avere procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale al proprietario del manufatto abusivo, in violazione delle disposizioni di legge di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 39, dell'art. 6, comma 5, delle norme di attuazione del predetto piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico e della circolare interpretativa n. 38780 del 9 giugno 2011.


La Corte di appello ha escluso la prova del concorso del professionista incaricato dal proprietario dell'opera abusiva, non essendovi elementi per ritenere che avesse partecipato all'abuso di ufficio, ed ha confermato la responsabilità di C.S., ritenendo integrate le condotte del reato di abuso di ufficio anche alla stregua della nuova formulazione dell'art. 323 c.p., a seguito della novella introdotta dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. dalla L. 11 settembre 2020, n. 120.


2. Tramite il proprio difensore di fiducia, ha proposto ricorso C.S., articolando i motivi di seguito indicati.


2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione alla erronea individuazione delle norme di legge violate, essendosi addebitato al C. la violazione delle regole di condotta previste da una circolare amministrativa, priva di forza di legge, mentre la violazione delle disposizioni contenute nel D.P.R. 3 aprile 2006, n. 152 - fonte che disciplina i piani di assetto idrogeologico - richiamate dalla sentenza di appello non risulta essere mai stata contestata.


Con riguardo alla violazione dell'art. 6, comma 5, delle norme di attuazione del PAI, si osserva in primo luogo che non avrebbero rilevanza ai fini del reato di abuso di ufficio trattandosi di norme di attuazione di rango inferiore alle leggi, in secondo luogo perché in ogni caso detta violazione non si sarebbe affatto concretizzata.


Al riguardo si osserva che la disposizione ora richiamata subordina il rilascio delle concessioni per le opere che ricadono nelle aree perimetrate a rischio nel PAI, ad un parere tecnico dei competenti uffici comunali, dai quali risulti che gli interventi abusivamente realizzati siano compatibili con le determinazioni del piano.


E nel caso di specie è emerso che i lavori eseguiti dal Genio Civile di Messina, di cui si dava atto nella concessione in sanatoria, avevano giustificato la compatibilità del manufatto con le determinazioni del piano.


2.2. Con il secondo motivo ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla prova del dolo intenzionale desunta da una macroscopica violazione di legge che in realtà non ricorre nel caso di specie in considerazione di quanto osservato e dedotto nel primo motivo.


In definitiva, si obietta che a seguito dei lavori del genio civile il rischio idrogeologico era stato ritenuto mitigato come riferito dall'ing. B. ed è quindi compatibile con l'ipotesi difensiva che il C. avesse fatto affidamento su tale circostanza per ritenere che di fatto l'area fosse stata declassificata.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve essere dichiarata la prescrizione del reato perché estinto per prescrizione, essendo i motivi di ricorso infondati, ma ammissibili ponendo questioni di diritto di cui non è rilevabile una manifesta infondatezza con la conseguente rilevabilità del decorso del termine di prescrizione maturato dopo l'impugnazione della sentenza emessa dalla Corte di appello.


Con riguardo al primo motivo, le sentenze di primo e secondo grado hanno sviluppato le medesime argomentazioni che evidenziano come la concessione edilizia in sanatoria, priva di data, recante il numero di protocollo 1/2014, emessa nel mese di gennaio del 2014, di cui al capo di imputazione, sia stata rilasciata senza il necessario parere tecnico del competente ufficio tecnico comunale che attestasse la compatibilità dell'abuso edilizio oggetto di sanatoria con i rischi di eventi alluvionali della zona interessata inclusa nel piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico (P.A.I.) adottato dalla Regione Sicilia, oltre ad evidenziare la circostanza che l'abuso riguardava la sopraelevazione di un piano su un manufatto preesistente, che era stato oggetto di un ordine di sgombero, poi revocato, a seguito di un evento alluvionale verificatosi nel 2009, trattandosi di edificio sito in una zona classificata nel P.A.I. come ad alta pericolosità (P4) e rischio molto elevato (R4).


Del tutto coerenti alle risultanze documentali è l'accertato rilascio della concessione in sanatoria senza il parere tecnico previsto dalla normativa urbanistica del Piano stralcio di bacino per l'assetto idrogeologico della Regione Sicilia (P.A.I.), e precisamente dall'art. 6, comma 5, delle norme di attuazione di detto piano contenute nel capitolo 11 della Relazione generale del P.A.I..


Ed altrettanto corrette sono le valutazioni espresse in merito all'assenza di declassamento della zona di rischio, trattandosi di un atto amministrativo di competenza della Regione ai sensi dell'art. 5, comma 3, delle medesime norme di attuazione.


Al riguardo la deduzione difensiva che valorizza l'atto del Commissario delegato ex OPCM del 10 ottobre 2009, n. 3815 che declassificava la zona da C a zona B1, non si confronta con le condivisibili osservazioni riportate alle pp.14-15 della sentenza di primo grado con cui si evidenza che in base all'assetto normativo vigente era necessario un atto della Regione per procedere alla declassificazione del rischio, trattandosi della modificazione di un atto amministrativo di competenza della Regione, soggetta ad una procedura complessa di verifica delle condizioni dei luoghi, rimessa agli organi tecnici della Regione, sulla base di collaudo e test di controllo ed una attività di monitoraggio ed osservazione di durata almeno annuale.


E' sufficiente sul punto rilevare come nella stessa concessione in sanatoria rilasciata non vi fosse alcun riferimento al prescritto parere tecnico che doveva essere rilasciato dall'Ufficio comunale competente, tale non potendosi considerare la mera presa d'atto dell'esecuzione di lavori diretti dal Genio Civile di Messina, indicati peraltro come in corso di completamento, e che avrebbero reso "l'intera zona praticabile dal punto di vista idrogeologico" (vedi pag. 21 della sentenza di primo grado, richiamata dalla sentenza di appello).


Ed è altrettanto corretta l'affermata irrilevanza delle valutazioni positive in merito all'effettivo conseguito risultato di un contenimento o mitigazione del rischio idrogeologico nella zona interessata per effetto dei predetti lavori di messa in sicurezza del Genio Civile di Messina (in base alla deposizione del teste ing. B.M.), trattandosi di valutazioni di carattere personale che prescindono dal corretto svolgimento dell'iter amministrativo, poiché è nell'ambito del procedimento amministrativo che tali valutazioni andavano formulate nel rispetto delle competenze degli uffici tecnici comunali, con un parere adeguatamente motivato che desse conto delle ragioni per le quali il rischio idrogeologico dovesse ritenersi superato o mitigato.


Non vi è alcun dubbio, pertanto, che il riferimento all'esecuzione di lavori di messa in sicurezza, di cui si attestava peraltro anche il non definitivo completamento, genericamente descritti come idonei a rendere l'intera zona "praticabile dal punto di vista idrogeologico", costituisca un dato documentale già di per sé dimostrativo dell'insussistenza dell'adozione del previsto parere tecnico prima del rilascio della concessione edilizia in sanatoria.


2. Anche con riferimento all'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 323 c.p. le censure dedotte appaiono elusive della questione di fondo che dà anche ragione del ravvisato carattere eclatante della violazione di legge, e che si incentra essenzialmente sull'ingiustificato superamento della preclusione al rilascio della concessione in sanatoria che derivava dal rispetto delle norme di attuazione del PAI della Regione Sicilia, e che per la loro indiscutibile rilevanza ed importanza per l'assetto territoriale di una zona, già più volte colpita da calamità naturali devastanti, non potevano ritenersi ignorate dall'imputato, per la sua qualità di responsabile dell'ufficio tecnico del piccolo Comune di (OMISSIS), territorialmente competente.


L'equivoco in cui incorre parzialmente anche la sentenza di appello che valorizza a tale fine la sicura conoscibilità da parte dell'imputato della circolare interpretativa n. 38780 del 9 giugno 2011 dell'Assessorato all'Ambiente della Regione Sicilia, che chiariva la sostanziale insufficienza del parere dell'ufficio tecnico comunale previsto dall'art. 6, comma 5 delle norme di attuazione del P.A.I., non tiene conto che nel caso in esame la questione interpretativa posta dalla predetta disposizione e che poteva essere quindi al contrario considerata un riscontro della poca chiarezza del testo normativo, non ha avuto alcuna immediata rilevanza ai fini della valutazione della palese ed eclatante illegittimità della concessione in sanatoria n. 1/2014 di cui si discute.


Infatti, la questione interpretativa risolta dalla circolare - prescindendo dal riferimento alla indiscussa rilevanza dei vincoli derivanti dal P.A.I. anche per le opere preesistenti alla sua adozione per la insostenibilità di una contraria interpretazione che avrebbe tolto ogni utilità e ragione di essere a tale strumento di tutela del territorio dai rischi idrogeologici rivolto a tutelare con maggiore impellenza proprio le aree con insediamenti abitativi (incluse per questo motivo nelle classi di rischio più elevato) - riguardava la determinazione delle competenze degli uffici tecnici del Comune e di quelli della Regione per la valutazione delle opere di completamento ed adeguamento statico, poiché la citata disposizione (art. 6, comma 5) faceva riferimento al solo parere tecnico dell'ufficio tecnico comunale, mentre una interpretazione sistematica del quadro normativo aveva portato a chiarire che "risulta evidente che il tecnico comunale deve richiedere il supporto tecnico da parte di chi ha introdotto lo stesso vincolo prima di poter concludere l'intero iter di concessione in sanatoria" (vedi pag. 5 della sentenza di appello).


E' del tutto evidente, quindi, che la questione avrebbe potuto avere rilevanza nel caso in esame se si fosse trattato di una concessione in sanatoria rilasciata sulla base del solo parere dell'ufficio tecnico comunale, potendosi ritenere controversa, prima dell'adozione di detta circolare, che la valutazione dell'adeguatezza dei lavori di messa in sicurezza del territorio funzionale al rilascio della concessione in sanatoria non richiedesse una interlocuzione con il competente dipartimento amministrativo della Regione, ritenuta all'opposto poi pacificamente necessaria sulla base di una lettura sistematica delle norme del P.A.I. ed in particolare in relazione all'art. 5 che, nel regolare le modifiche e gli aggiornamenti della classificazione dei livelli di rischio per effetto della "realizzazione e/o completamento di interventi strutturali di messa in sicurezza delle aree interessate ed effetti prodotti dalle opere realizzate per la mitigazione del rischio", attribuiva la competenza agli organi amministrativi della Regione.


Ma nel caso di specie la violazione dell'art. 6, comma 5, delle norme di attuazione del P.A.I. risultava già integrata, ed in modo palese ed evidente, per il semplice fatto che la concessione era stata rilasciata senza neppure fare riferimento all'adozione del parere motivato dell'ufficio tecnico comunale, senza il quale nessuna concessione in sanatoria poteva essere rilasciata per quell'area inclusa nel P.A.I. con il livello massimo di pericolo e di rischio idrogeologico, a prescindere dal necessario ulteriore intervento rimesso alla competenza della Regione.


3. Alla stregua di quanto sinora osservato, l'obiezione difensiva che merita maggiore attenzione, in ultima analisi, è quella relativa alla natura giuridica della normativa violata, che si assume non essere rilevante ai fini dell'integrazione del reato di abuso di ufficio, dopo la nuova formulazione dell'art. 323 c.p., a seguito della novella introdotta dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, che ha sostituito le parole "di norme di legge o di regolamento," con quelle "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità".


Nella sentenza di condanna è stata esclusa ogni rilevanza alla L. n. 724 del 1994, art. 39, indicato nell'imputazione, che subordina il rilascio della concessione al parere dell'ente preposto al vincolo, non trattandosi nel caso di specie di immobile sito in un'area sottoposta a vincoli di inedificabilità.


E' stata data, invece, rilevanza all'art. 6, comma 5, delle norme di attuazione del Piano Stralcio di bacino per assetto idrogeologico della Regione Sicilia, che così dispone: "I provvedimenti di autorizzazione e concessione in sanatoria non ancora emanati, per opere ricadenti all'interno delle aree perimetrate a rischio nel P.A.I., possono essere perfezionati positivamente, anche con opere di completamento e di adeguamento statico, solo a condizione che siano correlati da parere tecnico dei competenti uffici comunali, dal quale risulti che, in relazione alla natura, destinazione dei lavori eseguiti e alla rilevanza delle alterazioni prodotte, gli interventi abusivamente realizzati siano compatibili con le determinazioni sull'assetto idrogeologico del Piano".


Quanto alla rilevanza di detta violazione alla stregua dei nuovi parametri normativi costituenti presupposto per l'integrazione del reato di abuso di ufficio, va osservato che le norme di attuazione del piano di bacino, costituiscono norme secondarie attuative del D.P.R. 3 aprile 2006, n. 152, art. 67 (c.d. codice dell'ambiente), essendo i piani di bacino come anche i piani stralcio previsti dall'art. 65 del citato testo legislativo, strumenti di tipo conoscitivo e normativo che hanno valore di piano territoriale di settore ex L. 18 maggio 1989, n. 183, art. 17, di cui tutti gli altri piani di livello regionale e subregionale devono tenere adeguatamente conto, in particolare nella redazione degli strumenti urbanistici a cui comunque andranno conformati.


Pertanto, va chiarito se la violazione del Piano di assetto idrogeologico (P.A.I.) che pone dei limiti al rilascio della concessione in sanatoria anche se specificati in norma secondaria di attuazione, integri il presupposto richiesto dall'art. 323 c.p. della violazione "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità".


Al riguardo si ritiene di dare continuità all'orientamento che si è formato con riferimento alla violazione delle norme di legge richiamate dagli strumenti urbanistici di attuazione.


E' stato più volte affermato che dall'espresso rinvio della norma agli strumenti urbanistici discende che il titolo abilitativo edilizio rilasciato senza rispetto del piano regolatore e degli altri strumenti urbanistici integra, una "violazione di legge", rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 323 c.p. (Sez. 3, n. 39462 del 19/06/2012, Rullo, Rv. 254015; Sez. 6, n. 11620 del 25/01/2007, Pellegrino, Rv. 236147).


4. Il problema della fonte normativa che deve avere il rango di legge a seguito della riformulazione del reato di abuso di ufficio è stato affrontato nel senso di confermare la rilevanza della violazione degli strumenti urbanistici di fonte subprimaria, richiamati dalla legge, perché operano quali presupposti di fatto della norma di legge violata.


Secondo questa elaborazione giurisprudenziale, i piani urbanistici non rientrano nella categoria dei regolamenti, come ritenuto da risalente e superato orientamento giurisprudenziale, che nel mutato quadro normativo escluderebbe la fattispecie di abuso in atti di ufficio, ma in quella degli atti amministrativi generali la cui violazione, in conformità dell'indirizzo ermeneutico consolidato, rappresenta solo il presupposto di fatto della violazione della normativa legale in materia urbanistica.


Pertanto pur essendo la fonte normativa di approvazione del P.A.I. atto non avente forza di legge, adottato su proposta dell'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente, con decreto del Presidente della Regione, previa delibera della Giunta Regionale che si esprime sulla proposta tenuto conto del parere della Conferenza Programmatica, alla quale partecipano i comuni e le province interessati (ex L.R. 7 maggio 2001, n. 6, art. 130), esso costituisce comunque un presupposto di fatto richiamato dal citato D.P.R. n. 152 del 2006, art. 67 (quindi da una norma di legge primaria), che gli riconosce il valore di piano territoriale di settore, le cui prescrizioni, (come già previsto dall'abrogato L. 18 maggio 1989, n. 183, art. 17, comma 6-bis), hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni e gli enti pubblici, nonché per i soggetti privati.


In definitiva si tratta di un atto amministrativo generale la cui violazione è equiparabile a quella degli altri strumenti urbanistici, e quindi rileva ai fini del reato di abuso di ufficio, anche nella sua nuova formulazione ad opera dal D.L. 16 luglio 2020, n. 76, art. 23, conv. con modifiche nella L. 11 settembre 2020, n. 120.


5. Sebbene nel capo d'imputazione, poi, non vi sia riferimento agli estremi di detto D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Codice dell'Ambiente) e neppure alla L. n. 183 del 1989, art. 17, comma 6-bis, (abrogato dal primo, ma di fatto confluito e trasfuso nei citati art. 67, comma 2 e art. 65, comma 7), si deve ritenere sufficiente il riferimento alla violazione delle norme del P.A.I. approvato con d. P. Regione Sicilia del 15 dicembre 2006 che ne costituiscono il presupposto di fatto, regolato da detto atto avente forza di legge, trattandosi di testo di legge chiaramente richiamato dalla normativa del PAI.


Lo stesso art. 6, al comma 2, delle norme di attuazione del P.A.I., infatti, espressamente dispone che "le norme di attuazione e le prescrizioni che accompagnano il P.A.I., ai sensi della L. 18 maggio 1989, n. 183, art. 17, comma 6 bis della hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni e gli enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso piano".


6. Va da ultimo osservato che la fattispecie delittuosa ex art. 323 c.p. a seguito della modifica normativa richiede l'ulteriore requisito, che la violazione di atti aventi forza di legge, deve riguardare regole specifiche di condotta dalle quali non residuino margini di discrezionalità.


Nel caso in esame, come correttamente affermato nella sentenza impugnata, la norma di attuazione del P.A.I. rimasta inosservata, richiamata quale presupposto di fatto dalla L. 18 maggio 1989, n. 18, art. 17, comma 6-bis (abrogato e confluito nei citati artt. 65 e 67 del citato Testo Unico in materia ambientale), non lasciava alcuno spazio di discrezionalità, né tecnica e né amministrativa, in capo al funzionario pubblico, essendo il rilascio della concessione in sanatoria subordinato obbligatoriamente ed in modo vincolante all'adozione del parere favorevole dell'ufficio comunale competente, che è stato del tutto pretermesso, prescindendosi dall'ulteriore violazione della necessaria interlocuzione con la Regione e dalla ulteriore problematica questione, che qui non interessa, della rilevanza ai fini della fattispecie penale dell'abuso di ufficio della violazione di regole di condotta di fonte legislativa integrate o chiarite da circolari interpretative.


7. In conclusione, per le considerazioni che precedono, non potendosi ritenere fondate le censure articolate nel ricorso, deve essere dichiarata la prescrizione del reato, essendo maturato in data 1 settembre 2021 il termine massimo di prescrizione di sette anni e mesi sei, tenuto conto della sospensione di giorni sessanta conseguente al rinvio dell'udienza del 7 giugno 2017 per legittimo impedimento del difensore, e considerata come data di consumazione del reato quella del 1 gennaio 2014, non essendo stato accertato il giorno preciso del mese di gennaio in cui la concessione è stata rilasciata in riferimento all'anno 2014.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.


Così deciso in Roma, il 8 marzo 2022.


Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2022

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