La massima
Non integra il delitto di calunnia la simulazione di tracce di reato a carico di persona già deceduta al momento della condotta, non essendovi la possibilità di inizio di un procedimento penale nei confronti di un innocente (Cassazione penale , sez. I , 29/03/2022 , n. 34894).
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. I , 29/03/2022 , n. 34894
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Vanno dichiarate inammissibili, in quanto tardive, le memorie difensive depositate dalle parti civili dopo l'udienza del 28 febbraio 2022, nella quale è stata avviata la trattazione del processo, e prima di quella odierna.
2. Il ricorso proposto nell'interesse di P.F. è inammissibile, mentre quello proposto nell'interesse di C.A. è complessivamente infondato.
3. Il primo motivo proposto nell'interesse dell'imputato P. è integralmente versato in fatto, sostanziandosi nella pretesa di assegnare alle espressioni usate nella conversazione del (OMISSIS), della quale hanno (incontestatamente) riferito i testi (in particolare T.M.), un senso diverso da quello che, con ragionamento insindacabile in quanto non manifestamente illogico, è stato attribuito dalla Corte di assise di appello.
3.1. Un primo profilo di inammissibilità della censura si rinviene nel fatto che la stessa tende a riprodurre i primi due motivi di appello proposti dall'imputato (per come riprodotti alle pagg. 130 e 131 della sentenza impugnata), con i quali già nella sede del merito era stata contestata l'interpretazione della conversazione nella versione riportata dal teste T.M., così come di quella del 14 giugno 2016 tra lo stesso P. e T.G.M..
A tale proposito va data continuità all'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui "e' inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso" (Sez. 2, un. del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710, e altre conformi).
3.2. Altro profilo di inammissibilità deriva dal fatto che le critiche illustrate dal ricorrente afferiscono a profili fattuali, che sono stati coerentemente analizzati nella decisione impugnata e la cui riproposizione, in questa sede, è funzionale a sollecitare una rivalutazione degli elementi probatori, finendo il ricorso con il proporre argomenti di merito il cui riesame è precluso in sede di legittimità.
E' costante, infatti, riguardo a tale profilo, l'insegnamento di questa Corte, ribadito anche di recente, per cui, "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti clell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento" (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
Va inoltre ricordato quanto affermato da Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601, con la quale è stato enunciato il principio per cui, "in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito".
3.3. Nel caso di specie, la prova della penale responsabilità di P. è stata affermata in sentenza attraverso l'analisi delle deposizioni di T.M.S., T.G.M., T.M. e T.A., e i giudici di merito hanno ampiamente motivato in ordine all'atteindibilità dei testi con particolare riferimento a T.M., utilizzando argomentazioni fattuali riferite sia alla caratteristica delle dichiarazioni sia ai rapporti soggettivi intercorrenti tra lo stesso T. (così come la sua famiglia) e l'imputato, all'epoca dei fatti.
Inoltre, la sentenza ha fornito adeguata e non manifestamente illogica motivazione riguardo al contenuto della già indicata telefonata del (OMISSIS), operando una interpretazione dei termini riferiti dallo stesso teste (l'assimilazione della figura del "corvo" a quella del "traditore") con operazione tipica del giudice di merito e non suscettibile di essere sindacata in questa sede siccome priva di evidenti criticità.
A tale proposito ha assegnato rilievo anche alla circostanza che la telefonata è stata effettuata con apparecchio non intestato allo stesso P. per non insospettire T. che avrebbe potuto non rispondere, per come già avvenuto nei giorni precedenti quando vi erano stati altri tentativi dei familiari di C.A. e di P.P.E. di contattare i fratelli T..
Si tratta, all'evidenza, di una spiegazione priva dei vizi di "erroneità e contraddittorietà" sollevati dal ricorrente e peraltro insuscettibile di essere oggetto di qualsiasi sindacato in sede di legittimità posto che afferisce a profili di fatto sui quali esiste una motivazione adeguata.
A fronte della valorizzazione dei dati indicati - univocamente interpretabili l'ipotesi alternativa introdotta dalla difesa (fondata su un ipotetico diverso significato della suddetta telefonata) appare del tutto irragionevole, come esposto in sentenza, e non assume alcuna forza logica antagonista.
Il dubbio, infatti, per determinare l'ingresso di una reale ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti, tale da determinare una valutazione di inconsistenza dimostrativa della decisione, è solo quello "ragionevole" e cioè quello che trova conforto nella buona logica, non certo quello che la logica stessa consente di escludere o di superare o, ancora, quello che si fonda su una ipotesi plausibile e non meramente ipotetica o congetturale.
Va ribadito, infatti, che "in sede di legittimità, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di una ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili" (Sez. n. 3817 del 09/10/2019, Mannile, Rv. 278237; Sez. 5, n. 18999 del:L9/02/2014, C., Rv. 260409).
4. E' esente da censure proponibili la motivazione della Corte di assise di appello che ha escluso la riduzione della pena per le attenuanti generiche in ragione sia della gravità del fatto sia delle plurime condanne riportate da P., del quale è stata segnalata la pericolosità sociale "che continua ad accrescersi nel tempo".
Si tratta di una motivazione che, all'evidenza, si presenta congrua e per nulla "carente" o "errata" come sostenuto in ricorso, avendo valorizzato elementi suscettibili di essere presi in esame ai fini della modulazione del trattamento sanzionatorio.
L'argomentazione è ineccepibile, non suscettibile di essere messa in discussione attraverso la deduzione della "non eccessiva gravità dei precedenti penali, risalenti peraltro ad epoca remota", ovvero della "regolare condotta familiare e lavorativa", la cui introduzione nel ricorso sollecita, ancora una volta, una rivalutazione di profili di merito non suscettibili di esame in questa sede.
Ne' la Corte di assise di appello doveva ritenersi obbligata a prendere in esame tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. essendo ormai consolidato l'orientamento secondo cui "al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entil:à del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all'uopo sufficiente" (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549-02; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
5. Il primo motivo proposto nell'interesse dell'imputato C.A. è infondato.
Con la censura, oggetto di ulteriore illustrazione con i motivi nuovi del 10 febbraio 2022 a firma dell'Avv. Patrizio Rovelli, oltre che, come tutti gli altri, con la memoria dell'11 febbraio 2022, il ricorrente si duole della violazione del principio del giudice naturale, per come declinato nella disposizione codicistica di cui all'art. 33 c.p.p., comma 2, e nelle fonti normative sovraordinate, anche di carattere sovranazionale di cui all'art. 25 Cost., comma 1, e art. 111 Cost., comma 2, nonché art. 6 CEDU.
La violazione si sarebbe concretizzata attraverso la mancata osservanza da parte del Presidente della Corte di appello di Cagliari di plurime norme primarie e secondarie (di natura ordinamentale e amministrativa) che stabiliscono le modalità attraverso le quali è possibile disporre le applicazioni dei giudici.
Il procedimento amministrativo conclusosi con la designazione della Dott.ssa S.C.R., all'epoca in servizio presso il Tribunale di Sassari, alla composizione della Corte di assise di appello di Sassari per la trattazione del processo a carico di C.A., è stato avviato a seguito della richiesta di applicazione di un giudice avanzata in data 8 gennaio 2020 dalla Dott.ssa A.P., Presidente facente funzioni della Corte di appello di Cagliari - Sezione distaccata di Sassari.
La richiesta è stata motivata con la circostanza che, in attesa della presa di possesso presso la sezione penale di un magistrato addetto al settore civile, peraltro impegnato nello smaltimento di provvedimenti precedentemente introitati, vi erano in servizio presso la sezione penale solo tre magistrati, due dei quali presidenti di sezione.
A seguito del trasferimento di altri due magistrati si erano create vacanze destinate a permanere, essendosi concluse senza aspiranti le procedure di pubblicazione dei relativi posti e di applicazione extra distrettuale.
Tenuto conto degli impegni lavorativi già assunti dai magistrati in servizio e dell'esigenza di trattare complessi processi, l'iscrizione a ruolo del processo a carico di C. comportava, per la sua ulteriore difficoltà, un impegno non sostenibile anche in ragione dell'inevitabile rallentamento complessivo dell'andamento lavorativo dell'ufficio.
Sulla base della imminente scadenza dei termini di custodia cautelare di quel processo e della circostanza che "nessuno dei colleghi della sezione penale e', allo stato, nelle condizioni di assumere il compito di svolgere le funzioni di relatore (compito che, secondo i previgenti criteri tabellari, ricadeva sui colleghi trasferiti)", è stata avanzata la richiesta di "applicazione di un giudice, per la celebrazione del predetto processo".
La Presidente della Corte di appello di Cagliari, in esito alla predetta richiesta ha, quindi, disposto un interpello fra tutti i magistrati del distretto, ad eccezione di quelli della Corte di appello di Cagliari, acquisendo la disponibilità di due giudici del Tribunale di Sassari: il Dott. D.G.F. e la Dott.ssa S.C.R..
Lo schema di decreto di applicazione è stato trasmesso il 20 gennaio 2020 agli interessati e al Consiglio giudiziario presso la Corte di appello di Cagliari, che il 24 febbraio 2020 ha espresso, all'unanimità, parere favorevole all'applicazione della Dott.ssa S..
Il relativo decreto è stato adottato il 25 febbraio 2020 e il processo ha avuto avvio in data 28 febbraio 2020, previa immissione in possesso presso la Corte di appello di Cagliari - Sezione distaccata di Sassari, della Dott.ssa S..
5.1. I vizi del procedimento amministrativo segnalati in ricorso possono essere così sintetizzati: violazione dell'art. 110 Ord. giuri. per essere stato applicato un magistrato, all'epoca ancora applicato presso altro Ufficio (Tribunale di Cagliari), laddove la citata disposizione esclude tale possibilità prima di due anni dalla fine del periodo della precedente applicazione; l'applicazione è avvenuta per la celebrazione di uno specifico processo in violazione della disposizione dell'art. 110, comma 5, Ord. giud., secondo cui tale tipo di applicazione è consentito solo per la definizione dei procedimenti già incardinati presso l'ufficio di appartenenza del magistrato primo del suo trasferimento ad altro ufficio; dalla possibile applicazione al processo sono stati inspiegabilmente esclusi, da parte della Presidente della Corte di assise di appello di Sassari Dott.ssa A.P., i giudici che erano stati trasferiti da quell'Ufficio; il mancato interpello dei giudici della Corte di appello di Cagliari; l'assenza di motivazione del decreto di applicazione con riferimento alla ponderazione delle esigenze dell'Ufficio di provenienza e quello di destinazione, nonché alla possibilità di fronteggiare le esigenze con modalità diverse dall'applicazione.
5.2. Riassunto, così, lo svolgimento del procedimento che ha portato alla designazione della Dott.ssa S. per la trattazione del processo a carico di C., si osserva che le norme che si assumono violate sono poste a garanzia delle esigenze organizzative degli uffici giudiziari e non della precostituzione e imparzialità del giudice.
I vizi conseguenti alla eventuale irregolarità della procedura di assegnazione degli affari al giudice non determina in nessun caso la nullità del provvedimento adottato, ferma restando la possibilità di un suo apprezzamento sul piano disciplinare nei confronti del magistrato o dei magistrati che se ne rendano responsabili.
Si tratta del principio affermato dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 7-bis, per come modificato dalla L. 30 luglio 2007, n. 111, art. 4.
La disposizione non integra l'affermazione di un principio normativo inedito, atteso che anche l'art. 33 c.p.p., comma 2, con previsione di più ampia portata, prevede che "non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici".
Confrontando la previsione dell'art. 33 c.p.p., comma 1, con quella di cui al comma successivo, si comprende come le questioni che riguardano la destinazione del singolo giudice alla trattazione dell'affare non è assimilabile a quella che attiene, più specificamente, alla sua capacità generica a svolgere la funzione giurisdizionale che deriva dalla presenza dei requisiti per l'assolvimento, in astratto, di quella funzione.
I principi di precostituzione e imparzialità del giudice, ripetutamente richiamati dalla difesa nell'esposizione della propria tesi, non sono esattamente sovrapponibili e non esprimono concetti utilizzabili promiscuamente afferendo ad aspetti non del tutto omogenei.
Al principio di precostituzione è dedicato l'art. 25 Cost., comma 1, ove viene enunciato il principio per cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Il riferimento al giudice "terzo e imparziale" si legge nell'art. 111 Cost., ove, al comma 2, si statuisce, fra l'altro, che "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale".
Il presidio per le garanzie costituzionali ora citate si rinviene nelle disposizioni di natura processuale che disciplinano lo svolgimento dell'attività giurisdizionale, e non anche, di norma, in quelle che regolamentano la destinazione dei giudici alla trattazione dei singoli affari.
Anche l'individuazione del processo, al quale è destinato il singolo giudice con l'eventuale provvedimento di designazione, è funzionale alle esigenze di carattere amministrativo e, se non è il frutto di un uso macroscopicamente distorto dei margini di discrezionalità che spettano ai Capi degli uffici o al C.S.M. nella gestione della mobilità infra o extra-distrettuale sulla base della normativa primaria e secondaria vigente, non può integrare né la violazione del principio del giudice naturale, né quella della imparzialità del giudice.
A tale approdo è giunta la più recente ed autorevole elaborazione di questa Corte di legittimità, per come sarà di seguito illustrato.
5.3. La complessiva questione sollevata con il primo motivo non e', invero, inedita nel panorama della giurisprudenza della Corte di cassazione e le soluzioni adottate ai fini della sua risoluzione sono, da tempo, costanti ed esprimono principi di diritto sostanzialmente condivisi e in linea con quanto esposto.
In primo luogo, deve osservarsi che, a rigore, il tema della designazione del singolo giudice alla trattazione del processo e, dunque, anche alla composizione dell'organo giurisdizionale incaricato, non attiene a quello della precostituzione del giudice naturale, in senso stretto.
Deve infatti condividersi l'affermazione secondo cui "la garanzia costituzionale del giudice naturale riguarda l'ufficio giudiziario, non la persona fisica del giudice" (Sez. 2, n. 5391 del 27/01/2015, Vavalà, Rv. 262292; Sez. 2, n. 16599 del 17/12/2010, Lo Nigro, Rv. 250217).
Peraltro, quando, oltre al profilo strettamente inerente alla regolarità del procedimento con il quale è stato individuato il giudice, si sospetta anche derimparzialità e dell'indipendenza del giudice (come spiegato a pag. 8 del ricorso e, ampiamente, anche nei motivi "nuovi"), l'istituto di riferimento è quello della ricusazione ex art. 37 c.p.p., che l'ordinamento offre quale rimedio "parallelo" al procedimento nel quale si sospetta essere avvenuta la lesione del fondamentale principio indicato (in tal senso, in particolare, Sez. 5, n. 5655 del 14/11/2014, dep. 2015, Querci, Rv. 264269, quanto alla differenza tra gli istituti della rimessione e della ricusazione).
Il sistema vigente, pertanto, consente, quando sorga il fondato sospetto della mancanza di terzietà e di imparzialità del singolo giudice, di attivare un autonomo procedimento volto a ottenere, quale effetto pratico, la sostituzione di quel giudice.
Nel caso di specie, non risulta che sia stato attivato il procedimento di ricusazione della Dott.ssa S..
Si aggiunge che l'affermazione secondo cui l'art. 110 Ord. giud. e le altre disposizioni provenienti dalla normazione secondaria, delle quali il ricorrente sostiene la violazione, afferiscono, come detto, ad aspetti organizzativi, di norma, estranei alla nozione rigorosa di "capacità del giudice" è supportata dall'interpretazione giurisprudenziale relativa all'art. 33 c.p.p., comma 2.
Sul punto si registrano plurimi, costanti e condivisi arresti della giurisprudenza di legittimità.
In tal senso, si è affermato che "l'inosservanza delle disposizioni riguardanti la destinazione interna dei giudici e la distribuzione degli affari può incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice, determinando la nullità di cui all'art. 33 c.p.p., comma 1, non in caso di semplice inosservanza di disposizioni amministrative richiamate dall'art. 7-ter dell'Ord. giud. in tema di assegnazioni o di sostituzioni, ma solo quando si determini uno "stravolgimento" dei principi e canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto fosse collocabile sul piano di una mera irregolarità amministrativa il caso di un'assegnazione o sostituzione di un magistrato, contrastante con i criteri e le previsioni tabellari, ma posta in essere attraverso un provvedimento del soggetto ‘realmente titolare del potere di assegnazione)" (Sez. 6, n. 27856 del 14/07/2005, Colubriale, Rv. 232310).
Inoltre, è stato precisato che "l'assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell'ufficio, salvo il possibile rilievo disciplinare, può incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice, determinando la nullità di cui all'art. 33 c.p.p., comma 1, non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la configurabilità di ipotesi di nullità con riferimento alla assegnazione del processo ad una sezione della corte di appello diversa da quella tabellarmente competente e a un collegio costituito "ad hoc" per assicurare la definizione del giudizio in un tempo ragionevole)" (Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, Schet:tino, Rv. 270775).
Si tratta, come segnalato anche dal Procuratore generale, proprio di un caso assimilabile a quello in esame.
E' stato ulteriormente precisato che "le irregolarità in tema di formazione dei collegi incidono sulla capacità del giudice, con conseguente nullità ex art. 178 c.p.p., lett. a), solo quando sono volte ad eludere o violare il principio del giudice naturale precostituito per lecige, attraverso assegnazioni "extra ordinem" perché del tutto al di fuori di ogni criterio tabellare. (Nel caso di specie, relativo a giudizio di appello in cui un membro del collegio, astenutosi per aver pronunciato la sentenza di primo grado, era stato sostituito alla successiva udienza senza la previa trasmissione al presidente della Corte della dichiarazione di astensione, la S.C. ha escluso la nullità, non emergendo alcuno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario)" (Sez. 6, n. 39239 del 04/07/2013, Rossoni, Rv. 257087).
Nel contesto della giurisprudenza di legittimità, il principio è stato affermato, talvolta, anche in termini più netti nel senso che "le disposizioni relative all'assegnazione di processi a sezioni, collegi e giudici non si considerano attinenti alla capacità del giudice, a norma dell'art. 33 c.p.p., comma 2, e la loro eventuale violazione non determina alcuna nullità secondo la previsione di cui all'art. 178 c.p.p., lett. a), (Fattispecie in cui la S.C. ha escluso che implichi supplenza a norma del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 97, comma 4, il fatto che durante il periodo feriale un magistrato venga preventivamente assegnato, in forza di un apposito provvedimento di modifica tabellare, a sezione o collegio diversi da quelli ove presta servizio nei restanti periodi dell'anno)" (Sez. 2, n. 6505 del 14/01/2011, Puzio, Rv. 249450).
E' da escludere, in definitiva, alla luce di detti ripercorsi e condivisi principi, che, nel caso di specie, si sia in presenza di una situazione "extra ordinem" che abbia comportato l'assegnazione secondo un criterio estraneo a quello tabellare.
E, infatti, il provvedimento di designazione della Dott.ssa S. è stato assunto dal soggetto titolare del potere di disporre la sua applicazione, è stato motivato, ha superato i controlli "interni" al distretto di Corte di appello ottenendo il parere favorevole del Consiglio giudiziario, è stato giustificato da esigenze reali ed effettive dell'Ufficio di destinazione.
Non è dalla qualificazione operata dal ricorrente circa la natura extra ordinem del provvedimento di applicazione della Dott.ssa S. che può desumersi tale effettiva caratteristica, dovendosi, invece, poter apprezzare, concretamente e attraverso elementi univoci, la sostanziale estraneità del provvedimento censurato allo schema tipico dell'atto amministrativo con il quale un soggetto istituzionalmente competente designa un giudice, effettivamente tale, alla trattazione di un singolo affare.
Ne' assume rilievo alcuno la circostanza che la Dott.ssa S. non risulti avere mai pronunciato altre condanne all'ergastolo oltre a quella emessa nei confronti dell'imputato.
Ancora meno può assumere rilievo l'ulteriore deduzione secondo cui si sarebbe determinata, nel caso di specie, una sorta di "rovesciamento della logica di sistema propria del nostro ordinamento giudiziario", atteso che a norma dell'art. 33 c.p.p., comma 2, gli affari sopravvenuti vengono assegnati a giudici predeterminati, non il contrario.
Seguendo tale prospettazione, in una situazione, quale quella data, non avrebbe potuto essere designato nessun giudice perché qualsiasi designazione sarebbe avvenuta dopo l'iscrizione a ruolo del processo a carico di C. presso la Corte di assise di appello di Sassari.
Può, pertanto, essere tratta la conclusione, sul punto, che la precostituzione del giudice non equivale a precostituzione del giudice persona fisica.
5.4. Il principio per come sin qui illustrato rinviene un autorevole precedente in Sez. 1, n. 13445 del 30/03/2005, Perronace, Rv. 231338, che, riprendendo concetti già espressi da Sez. 1, n. 27055 del 07/05/2003, Solito, Rv. 227212, ha statuito che "la generale operatività dell'art. 33 c.p.p., comma 2 secondo cui le disposizioni sulla destinazione agli uffici, sulla formazione dei collegi e sull'assegnazione dei processi non si considerano attinenti alla capacità del giudice, trova un limite esclusivamente in quelle situazioni "extra ordinem", caratterizzate dall'arbitrio nella designazione del giudice e realizzate al di fuori di ogni previsione tabellare, proprio per costituire un giudice "ad hoc", situazioni dinanzi alle quali non può più affermarsi che la decisione della regiudicanda è stata emessa da un giudice precostituito per legge".
L'interesse della decisione ora citata risiede, soprattutto nella considerazione ivi espressa secondo cui l'opzione ermeneutica prescelta costituisce il "puntuale sviluppo" della decisione della Corte costituzionale n. 419 del 1998, che si è pronunciata sulla legittimità dell'art. 33 c.p.p., comma 2, sospettato di "contrasto con il principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost., comma 1), giacché consentirebbe l'applicazione di criteri discrezionali e personalistici di distribuzione degli affari e non impedirebbe che la scelta del magistrato possa essere determinata dalle parti, senza che operi la nullità assoluta, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, prevista per l'inosservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi (art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a e art. 179 c.p.p.)".
La Corte costituzionale ha affermato alcuni principi rilevanti anche ai fini della presente decisione, fornendo una interpretazione dell'art. 33 c.p.p. secondo cui tale norma individua la capacità del giudice con l'idoneità a rendere il giudizio, "vale a dire con la riferibilità del giudizio ad organi titolari, secondo il disegno dell'ordinamento giudiziario, della funzione giurisdizionale, quindi anche nella composizione prevista per la loro formazione collegiale".
Tuttavia, secondo la Consulta, "i criteri di assegnazione degli affari nell'ambito di tali organi esulano dalla nozione generale della loro capacità che, riguardando la titolarità della funzione, non comprende quanto attiene all'esercizio della funzione stessa, in relazione alla organizzazione interna all'organo che ne è titolare".
Ne consegue che, come sostenuto in esordio anche in questa sede, ogni questione afferente alla "ripartizione degli affari nell'ambito dell'organo competente deve essere effettuata secondo le regole proprie dell'organizzazione della giurisdizione".
Infatti, "nel disegno normativo, è (...) evidente la differenza tra le condizioni di capacità del giudice ed i criteri di assegnazione degli affari. L'art. 33 c.p.p., mantenendo distinti questi due profili, non introduce, al comma 2, una eccezione alla regola generale relativa alla capacità del giudice, ma ne definisce i contorni rendendone espliciti il contenuto ed i limiti".
La Corte costituzionale ha avuto modo di svolgere, nel prosieguo della motivazione, una ulteriore (fondamentale) precisazione laddove ha affermato che "il principio costituzionale di precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti nell'ambito dell'ufficio giudiziario competente, pur dovendo essere obiettivi, predeterminati o comunque verificabili, siano necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale capacità del giudice, alla cui carenza il legislatore ha collegato la nullità degli atti. Questo non significa che la violazione dei criteri di assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possano avvalersi. (...). Ma quando (...) si assume che vi sia stata una applicazione distorta delle regole dirette a rendere effettive quelle garanzie, non è su tale situazione di fatto che può essere fondata una valutazione di illegittimità costituzionale della norma (tra le molte, sentenze n. 40 del 1998 e n. 175 del 1997; ordinanza n. 255 del 1995)".
La precisazione ora riportata consente di ritenere manifestamente infondata, limitatamente alla violazione dell'art. 25 Cost., la questione di legittimità costituzionale sollevata con i motivi nuovi e illustrata nella parte finale dell'elaborato difensivo.
5.5. E' inammissibile, invece, la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione alle disposizioni sovranazionali di cui all'art. 6 C.E.D.U., artt. 2 e 19 T.U.E e art. 47 C.D.F.U.E..
Si tratta di disposizioni che assicurano, rispettivamente, il diritto a un processo equo, il rispetto dei diritti umani e il diritto all'accesso alla giurisdizione davanti a un giudice imparziale e precostituito per legge.
Sul punto, specificamente con riguardo alle disposizioni ora citate, l'illustrazione della questione di legittimità dell'art. 33 c.p., comma 2, è carente tenuto conto che la deduzione difensiva contiene solo la generica affermazione dell'illegittimità della norma e non anche l'indicazione delle ragioni di contrasto con le disposizioni comunitarie individuate.
5.6. Non apporta elementi ulteriori favorevoli alla tesi del ricorrente il richiamo contenuto nei motivi nuovi alla sentenza Gudmunclur c. Islanda 2020 della Corte di Giustizia (Grand Chambre).
Si tratta di una sentenza che ha avuto a oggetto la questione della composizione di una Corte di appello all'interno della quale si trovavano giudici di nomina governativa e un giudice la cui procedura di nomina era viziata da irregolarità.
L'irregolarità, anche secondo la Corte di Giustizia, deve essere di portata tale da superare una certa soglia di gravità tale da incidere sulla indipendenza (in sentenza si fa riferimento specifico all'indipendenza dall'esecutivo, circostanza che, nel caso di specie, non rileva) e sull'imparzialità, che possono essere pregiudicate in ragione del particolare meccanismo di nomina del giudice.
Ciò che afferma la Corte è che nel diritto al processo equo rientra anche quello a essere giudicato da un giudice regolarmente designato e indipendente, essendo centrale l'esigenza che il giudicante sia autonomo da centri di potere diversi da quello proprio della giurisdizione.
La fattispecie e', dunque, totalmente divergente da quella che viene esaminata in questa sede e che, qualora fosse stata segnalata al giudice deputato ad accertare eventuali pregiudizi all'indipendenza ed all'autonomia del giudicante (il giudice incaricato a trattare i procedimenti di ricusazione), avrebbe potuto ricevere adeguato esame.
Peraltro, concludendo così sul primo motivo, va segnalato come la stessa capacità di esercizio della funzione giurisdizionale (qui nemmeno messa in discussione e suscettibile di esserlo) è sganciata dall'esistenza del decreto di nomina del magistrato quale componente della Corte di assise.
In tal senso si ricorda il recente arresto, qui integralmente condiviso e ribadito, con il quale è stato affermato che "in tema di capacità e costituzione del giudice, alla luce delle innovazioni introdotte dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449, art. 3, che ha eliminato, sotto il profilo organico, l'autonomia delle Corti d'assise rispetto all'ufficio di appartenenza, il decreto di nomina dei magistrati ad esse destinati non riveste natura costituiva della loro specifica capacità di esercizio della funzione giurisdizionale; ne consegue che non integra una nullità di ordine generale, ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. a), l'inosservanza delle norme in tema di destinazione dei magistrati alle Corti d'assise, per il profilo della partecipazione al collegio di un giudice del Tribunale o della Corte d'appello non ricompreso tra quelli che ne fanno parte ai sensi del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 7 bis, nonché della sostituzione di un giudice con altri dello stesso ufficio giudiziario - anche fuori delle ipotesi previste - con modalità diverse da quelle consentite" (Sez. 1, n. 36441 del 06/05/2021, Vaccaro, Rv. 282005).
6. Essendosi in presenza di una doppia sentenza conforme, va operata una premessa che deriva dalla circostanza che diversi motivi sono strutturati in termini di censura al percorso motivazionale seguito dal giudice di merito e anche quale travisamento della prova.
E' costante il principio per cui, "ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. "doppia conforme" quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico c:omplessivo corpo "decisionale". (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218, e altre conformi).
Con riferimento, invece, al vizio di travisamento della prova, proprio la circostanza che ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme", impone di richiamare il principio di diritto per cui "il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", sia nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti" (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155; Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine, Rv. 256837).
Inoltre, il dato asseritamente travisato deve essere connotato dall'ulteriore requisito della decisività.
Infatti, "il ricorso per cassazione, con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l'inammissibilità, ad addurre l'esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l'atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l'elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell'elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell'atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l'atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l'intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all'interno dell'impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Damiano, Rv. 249035).
Va altresì richiamato l'ulteriore principio per cui, nel giudizio di legittimità, "ai fini della deducibilità del vizio di "travisamento della prova", che si risolve nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell'omissione nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica. (Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117).
Il giudizio di legittimità deve, quindi, svolgersi, con riferimento al vizio di motivazione e di travisamento della prova, secondo le descritte coordinate alla luce delle quali devono essere esaminati i motivi di ricorso relativi alla parte di motivazione riferita all'affermazione della penale responsabilità di C.A. e agli elementi circostanziali ritenuti dai giudici di merito.
6.1. A ciò va aggiunto, quale considerazione di carattere generale, che la sentenza della Corte di assise di appello di Sassari oggetto di impugnazione contiene una cospicua parte della motivazione (pagg. 157 - 180) che, come già esposto, è dedicata alla rilevanza che assume nella ricostruzione dell'intera vicenda il fatto che nei confronti dell'originario coimputato P.P.E. è stata pronunciata sentenza definitiva di condanna in ordine ai medesimi reati ascritti a C..
Il punto centrale del complesso percorso motivazionale seguito dalla Corte sassarese sul punto si rinviene a pag. 163 della sentenza, laddove è stato precisato che l'accertamento definitivo contenuto nella sentenza riferita al coimputato P. costituisce "imprescindibile punto di riferimento" ai fini della valutazione del merito riferita al compendio probatorio del giudizio a carico di C., essendo stato definitivamente accertato che " P. fu partecipe assieme ad un altro soggetto del duplice omicidio di M.G. e M.S. (ferma (...) la necessità che la sentenza riceva nel processo in cui viene acquisita riscontri da altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità, dunque alla stregua delle dichiarazioni rese dal coimputato secondo la regola dell'art. 192 c.p.p., comma 3), non senza tenere conto della peculiarità che contraddistingue la vicenda in esame costituita dal fatto che detta sentenza perviene a tale accertamento attraverso una conseguenzialità logica che vede nella colpevolezza del P. il presupposto necessario ed indispensabile della penale responsabilità del C. e viceversa".
E' seguita l'indicazione analitica degli elementi indiziari, già illustrati nella parte narrativa, emersi nel corso del dibattimento che, nella prospettiva ricostruttiva adottata in sentenza, assumono sia autonomo valore probatorio (complessivamente considerati) sia significato di "riscontro" all'accertamento definitivo ormai coperto da giudicato.
Si tratta di un ragionamento pienamente coerente con i costanti principi affermati da questa Corte di cassazione, che ha condivisibilmente sostenuto che "l'acquisizione agli atti del procedimento, ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p., di sentenze divenute irrevocabili non comporta, per il giudice di detto procedimento, alcun automatismo nel recepimento e nell'utilizzazione a fini decisori dei fatti e dei relativi giudizi contenuti nei passaggi argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi al contrario ritenere che quel giudice conservi integra l'autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate" (Sez. 1, n. 11140 del 15/12/2015, dep. 2016, Daccò, Rv. 266338, e altre precedenti conformi).
E' altrettanto uniforme il principio per cui "la sentenza definitiva resa in altro procedimento penale, acquisita ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p., può essere utilizzata non soltanto in relazione al fatto storico dell'intervenuta condanna o assoluzione ma anche ai fini della prova dei fatti in essa accertati, ferma restando l'autonomia del giudice di valutarne i contenuti unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio, in rapporto all'imputazione sulla quale è chiamato a pronunciarsi" (Sez. 2, n. 52589 del 06/07/2018, Bruno, Rv. 275517).
Infine, va considerato, così come indicato nella sentenza impugnata, che "le risultanze di un precedente giudicato penale acquisite ai sensi dell'art. 238-bis c.p.p. devono essere valutate alla stregua della regola probatoria di cui all'art. 192 c.p.p., comma 3, ovvero come elemento di prova la cui valenza, per legge non autosufficiente, deve essere corroborata da altri elementi di prova che lo confermino" (Sez. 1, n. 4704 del 08/01/2014, Adamo, Rv. 259414).
I giudici di merito hanno applicato i principi ora riportati in termini ineccepibili e, sul punto, va segnalato come il ricorrente non abbia formulato alcuno specifico motivo di ricorso.
Si tratta di circostanza che assume rilievo pregnante ai fini dell'esame dell'intero ricorso e, in specie, per la valutazione da compiersi in relazione al decimo motivo.
6.2. La circostanza che in diversi motivi sia stata censurato il cattivo uso che la Corte di assise di appello avrebbe fatto dei canoni valutativi, che devono guidare il giudice di merito nell'esame della prova indiziaria, impone l'ulteriore, preliminare, precisazione derivante dal richiamo al principio per cui "il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana" (fra le molte, la recente Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605 - 02).
7. Il secondo motivo di ricorso riguarda l'affermata responsabilità dell'imputato C. in ordine all'omicidio M..
Pur recando la rubrica del motivo l'enunciazione promiscua dei vizi di difetto di motivazione (sotto le diverse declinazioni di seguito esposte) e della violazione di legge, la struttura della censura riguarda esclusivamente il profilo motivazionale della decisione.
La Corte ha illustrato il fondamento della penale responsabilità di C. in relazione all'omicidio M. alle pagg. 235 - 242 della motivazione.
Nel ragionamento della Corte sarda, che ha valorizzato dati obiettivi e offerto una lettura priva di evidenti contraddizioni o fratture logiche, assume un rilievo decisivo la ricostruzione dell'omicidio M. in termini di operazione programmata, pianificata e organizzata, non essendo emersa, per contro, una qualsiasi forma di dolo d'impeto.
In tale quadro, che, peraltro, vede P. quale esecutore materiale per come già accertato con sentenza definitiva, i giudici di merito hanno inserito, attraverso una lettura unitaria del quadro indiziario, il rapporto di C. con il predetto P., l'assistenza garantita attraverso la preparazione della moto che sarebbe servita all'esecutore materiale per rientrare a casa dopo l'omicidio M. commesso da entrambi con l'automobile in uso a M., la stretta vicinanza tra C. e P. attestata da plurimi elementi (tra cui anche il corposo compendio intercettivo) e la sostanziale disponibilità di Cubecidu ad assecondare le istanze di vendetta del cugino.
Il compendio indiziario è stato letto alla luce dell'inquadramento del fatto nel contesto del (successivo) omicidio M. attraverso il preventivo impossessamento dell'automobile in uso alla vittima, alla mancata risposta alle chiamate di P. la sera del (OMISSIS) e al tono allusivo e criptico di alcuni messaggi scambiati tra i due.
Si tratta di elementi indiziari ritenuti significativi per dimostrare il concorso di C. con P. nell'omicidio M..
A fronte di tale quadro per come sinteticamente riassunto, non è dato ravvisare alcun vizio riferito alla dedotta natura "tautologica" del percorso motivazionale seguito dalla Corte di assise di appello, atteso che l'avere descritto l'omicidio M. quale antecedente necessario di quello in danno di M., con l'inserimento della calunnia verso lo stesso M. attraverso la simulazione delle tracce del reato di omicidio ai suoi danni (mediante l'utilizzazione della vettura a lui in uso per l'omicidio dell'(OMISSIS)) integra una ricostruzione lineare e per nulla "circolare".
Non esiste il dedotto travisamento riferito alla circostanza dell'interruzione dei rapporti tra P. e M. dopo i fatti di (OMISSIS) (circostanza affermata in sentenza ma smentita dalla difesa).
La sentenza impugnata ricostruisce alle pagg. 30 - 31 i rapporti tra P. e M. segnalando come gli stessi si fossero diradati a partire dal 26 dicembre 2014, riprendendo in due giorni di febbraio 2015 e il 30 marzo 2015.
Il fatto che i rapporti tra i due fossero diventati occasionali è stato ritenuto confermato anche dal fatto che M. non ricordava più il numero di cellulare di P. e gli aveva chiesto con messaggio chi fosse.
E' stato ritenuto logicamente dimostrato che i rapporti tra i due, dopo i fatti di (OMISSIS), si fossero diradati, se non proprio cessati.
Ciò è del tutto coerente con l'affermazione contenuta a pag. 243 della sentenza secondo cui la pianificazione degli omicidi deve essere fatta risalire, almeno, al (OMISSIS) quando i contatti tra P. e M. erano ripresi.
Non solo non esiste il travisamento, ma la rarefazione dei rapporti tra P. e M. (piuttosto che la loro scomparsa del tutto) dopo i fatti di (OMISSIS) non sposta in maniera decisiva i termini della questione, non assumendo, ai fini ricostruttivi della fattispecie in esame, un ruolo determinante.
Ne', come correttamente rilevato dal Procuratore generale, vi è contraddizione nel sostenere che non vi sia stato un fattore imprevisto scatenante e affermare, invece, che l'omicidio è stato commesso con modalità non note.
Le modalità del fatto non costituiscono elemento decisivo e determinante per potere ricostruire la premeditazione e, dunque, l'esclusione del delitto d'impeto.
Infatti, una cosa è l'individuazione di una fase deliberativa, organizzativa e preparatoria del delitto (circostanze che possono assumere rilievo decisivo per la ricostruzione della premeditazione), altro e', invece, la definizione dell'azione delittuosa la cui conoscenza non costituisce un passaggio obbligato per la ricostruzione del dolo che ha connotato la commissione dell'omicidio.
In sostanza, la modalità concreta, con la quale viene commesso un omicidio, può (ma non, "deve") costituire elemento utile ai fini della ricostruzione della forma di dolo che ha connotato il delitto che, tuttavia, può essere ricostruito, quanto alla tipologia dell'elemento soggettivo che lo ha caratterizzato, anche attraverso l'esame delle fasi che hanno preceduto o seguito la concreta verificazione del fatto.
Contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non manifestamente illogica appare la spiegazione della consapevolezza della condotta di P. e del rafforzamento del proposito dello stesso: l'auto sottratta a M. doveva servire a entrambi per l'omicidio del giorno successivo ed era destinata a essere portata a casa di C. a (OMISSIS) (non assume rilievo decisivo se ciò sia avvenuto la sera stessa del (OMISSIS) o la mattina presto del giorno successivo).
Resta il fatto storico assolutamente pregnante della utilizzazione da parte di entrambi dell'Opel Corsa in uso a M..
Si tratta di circostanza fattuale che assume uno specifico rilievo nell'economia complessiva della ricostruzione nei termini esattamente considerati dai giudici di merito, poiché le modalità e i mezzi con i quali i due hanno commesso l'omicidio M. presuppongono, necessariamente, l'eliminazione del proprietario dell'automobile utilizzata: il povero M..
Sono inammissibili i rilievi contenuti in ricorso relativamente alla circostanza riferita ai messaggi che si sono scambiati P. e C. la sera del 7 e il fatto che il secondo non ha risposto alle chiamate di P..
Essi sono il frutto, anche in questo caso, di una lettura parziale e frammentaria, del dato indiziario, atteso che la ricostruzione complessiva della responsabilità di C. si fonda su altre e più corpose emergenze.
Trattandosi di omicidio "necessitato" per una doppia motivazione (utilizzazione dell'automobile del ragazzo sul quale fare ricadere anche la responsabilità dell'agguato), correttamente è stata ricostruita una ipotesi di responsabilità concorsuale per avere il ricorrente, con il proprio comportamento, contribuito a rafforzare il proposito criminoso del condannato P., al quale ha assicurato supporto logistico e del quale ha rafforzato il proposito criminoso, avendogli assicurato preventivamente l'aiuto poi effettivamente prestato.
D'altronde l'atipicità della condotta con la quale è possibile integrare il contributo concorsuale, ai sensi dell'art. 110 c.p., costituisce affermazione incontestata e costante della giurisprudenza di questa Corte sin dall'affermazione, risalente, secondo cui "nella formula dell'art. 110 c.p. sono ricevute e riunite tutte le diverse forme ed i diversi gradi della partecipazione criminosa, indipendentemente dall'importanza di quest'ultima nella determinazione dell'evento; in particolare, vi è compresa la partecipazione morale nelle sue varie forme del mandato, dell'incitamento e del rafforzamento della volontà, e della agevolazione in genere" (Sez. U, n. 13 del 30/04/1955, Abdullani Moha, Rv. 097518).
E', inoltre, risalente ma pacifica e condivisa l'affermazione secondo cui perfeziona la condotta concorsuale qualsiasi comportamento che si risolva in un rafforzamento della volontà dei compartecipi di commettere il delitto o in un contributo, qualunque ne sia la natura e l'incidenza, nell'eziologia e nella dinamica, nella consumazione del reato (in termini, Sez. 2, n. 8017 del 17/06/1992, Ortu, Rv. 191290).
Con specifico riguardo alla promessa di aiuto, è stato affermato che "in materia di concorso di persone nel reato, disciplinato dall'art. 110 c.p., la preventiva promessa o prospettazione di un aiuto - diretto a favorire, nella fase successiva alla consumazione di un reato, gli autori del reato stesso - che abbia rafforzato l'altrui proposito criminoso, integra a pieno titolo una condotta rilevante ai sensi del citato art. 110 c.p." (Sez. 1, n. 4503 del 13/01/1998, Siclari, Rv. 210410).
In termini anche Sez. 1, n. 33450 del 26/06/2001, Capasso, Rv. 219892, con la quale, relativamente alla distinzione tra concorso e favoreggiamento personale, è stato enunciato il principio secondo cui "l'ipotesi delittuosa del favoreggiamento personale, in forza dell'espressa clausola "fuori dei casi di concorso" contenuta nell'art. 378 c.p., in tanto ricorre, in quanto il soggetto non sia stato coinvolto nel reato presupposto né oggettivamente, mediante un apporto materiale alla sua consumazione,, né soggettivamente, attraverso la manifestazione, antecedente all'esecuzione del reato, di disponibilità a fornire all'autore, in caso di necessità, un rilevante aiuto, così da rafforzarne la determinazione a delinquere".
Il percorso motivazionale seguito dai giudici di merito e', pertanto, sorretto da un corretto ragionamento giuridico che, peraltro, si basa anche sulla valorizzazione della prova logica nel valutare unitariamente i due omicidi oggetto del processo, tenuto conto delle plurime ragioni più volte indicate.
In ogni caso, va osservato, quanto a tale modello motivazionale, che, "in tema di valutazione delle prove, la prova logica, raggiunta all'esito di un corretto procedimento valutativo degli indizi connotato da una valutazione sia unitaria che globale dei dati raccolti, tale da superare l'ambiguità di ciascun elemento informativo considerato nella sua individualità, non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto a quella diretta o storica" (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271228, e altre conformi).
Il motivo, complessivamente esaminato, e', conclusivamente, infondato.
8. E', invece, fondato il terzo motivo di ricorso riferito al delitto di calunnia ritenuto da entrambi i giudici di merito.
Appare corretto il rilievo difensivo secondo cui le tracce del reato a carico di M. sono state simulate quando il ragazzo era morto e si sono sostanziate, in pratica, nell'uso dell'autovettura del padre, costituente l'unico elemento che avrebbe consentito di risalire al giovane scomparso.
Prima di tale momento, non è stata simulata nessuna traccia che potesse ascrivere a M. la condotta in danno di M..
Non si pone, evidentemente, un problema di configurazione della condotta storica, atteso che risulta sufficientemente dimostrato, anche alla luce di quanto esposto in altre parti della presente motivazione, che l'utilizzazione dell'automobile in uso a M. per commettere l'omicidio M. non aveva altro scopo se non quello di far sorgere dei sospetti a carico del primo.
L'azione è consistita nella simulazione, a carico di M., delle tracce del reato di omicidio attraverso l'utilizzazione della vettura, a lui solitamente in uso, per la realizzazione dell'agguato.
Fermo restando il fatto storico, va, tuttavia, ribadito il principio per cui "non integra il delitto di calunnia la falsa accusa a carico di persona non vivente all'epoca in cui è stata presentata la denuncia, o l'atto a questa equipollente, perché presupposti della fattispecie sono (l'attribuzione di un reato a persona determinata e la possibilità di inizio di un procedimento penale nei confronti di un innocente" (Sez. 6, n. 22926 del 23/05/2013, Bogazzi, Rv. 256629).
Non e', infatti, contemplato lo svolgimento di un'attività giudiziaria nei confronti di una persona non vivente, a tale rilievo conseguendo che la statuizione di condanna adottata in relazione al reato di cui all'art. 368 c.p., descritto al capo G), deve essere annullata senza rinvio perché il fatto reato non sussiste.
Ricorre, infatti, l'ipotesi di cui all'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), potendo essere definito in questa sede il procedimento in ordine al reato di calunnia, poiché non è necessario alcun ulteriore accertamento, e rimangono assorbiti tutti gli altri rilievi difensivi svolti in ordine al reato in esame.
9. Il quarto motivo di ricorso riferito alla premeditazione riconosciuta in ordine all'omicidio M., anche in capo a C., è infondato e, in parte, inammissibile.
Con esso è stata denunciata "inosservanza o erronea applicazione dell'art. 577 c.p., comma 1, n. 3", nonché, cumulativamente, vizio di motivazione mancante, contraddittoria "o" manifestamente illogica.
A fronte di una motivazione che ha illustrato alle pagg. 242 - 245 plurimi elementi fattuali riscontrati nella ricostruzione della complessa vicenda oggetto del processo (in particolare, la Corte ha elencato a pag. 244 una moltitudine di circostanze di fatto dalle quali desumere la premeditazione), la censura si articola nella reiterazione del denunciato travisamento riferito alla "ripresa" dei rapporti tra P. e M. nell'aprile 2015 e nella generica affermazione secondo cui la circostanza sarebbe stata desunta da mere congetture.
La Corte ha fatto corretta applicazione del principio per cui "la circostanza aggravante della premeditazione, oggetto di prova, ex art. 187 c.p.p. e, pertanto, assoggettata alle regole di valutazione stabilite nell'art. 192, comma 2, può essere dimostrata anche con il ricorso alla prova logica, sulla scorta degli indizi ricavabili dalle modalità del fatto, dalle circostanze di tempo e luogo, dal concorso di più persone con ripartizione dei ruoli e dalla natura del movente; non e', invece, necessario stabilire con assoluta precisione il momento in cui è sorto il proposito criminoso o quello in cui l'accordo è stato raggiunto, essendo sufficiente che gli elementi indiziari suddetti siano gravi, precisi e concordanti e che, globalmente valutati, consentano di risalire, in termini di certezza processuale, al requisito di natura cronologica e a quello di natura ideologica, in cui si sostanzia la premeditazione" (Sez. 5, n. 3542 del 17/12/2018, Esposito, Rv. 275415).
Sull'estensione al concorrente è stato affermato che "la circostanza aggravante della premeditazione può essere estesa al concorrente, che non abbia partecipato all'originaria deliberazione volitiva, qualora questi ne abbia acquisito piena consapevolezza precedentemente al suo contributo all'evento ed a tale distanza di tempo da consentire che la maturazione del proposito criminoso prevalga sui motivi inibitori" (Sez. 1, n. 56956 del 21/09/2017, Argentieri, Rv. 271952).
La ricostruzione complessiva delle vicende omicidiarie denota, nella specie, un'accurata preparazione dei mezzi che servivano per commettere il reato ai danni di M., il reperimento dell'automobile che passava, obbligatoriamente, per l'eliminazione di M., la predisposizione della moto per il rientro di P. a casa sua, il reperimento dell'arma, l'avere lasciato i telefoni cellulari nelle rispettive case (frutto certamente di una decisione non estemporanea o "d'impeto", quanto, piuttosto, di un'azione deliberata e pianificata nei dettagli).
Il tutto denota una organizzazione di mezzi e persone che ben si concilia con la ritenuta premeditazione.
In particolare, assume rilievo, ancora una volta, la predisposizione della moto in relazione all'omicidio M. e al successivo rientro di P. nella propria abitazione, dopo avere trovato riparo, nella notte precedente (ma successiva all'omicidio M.) presso la casa di C..
Tale predisposizione si era resa, evidentemente, necessaria in quanto P. avrebbe raggiunto C. con un mezzo non più disponibile per il rientro.
E' evidente, quindi, che l'eliminazione di M. non può che essere stata il frutto di un'azione che, inserendosi come antecedente necessario rispetto ad altra (l'omicidio M.) oggetto di puntuale pianificazione, è stata, à sua volta, programmata e rispetto a essa è del pari configurabile l'aggravante della premeditazione.
Non è dato ravvisare, dunque, alcuna violazione di legge.
A fronte di tale ricostruzione, il motivo di ricorso appare privo del requisito della specificità, nella parte riferita ai vizi di motivazione, dedotti indistintamente, senza avere cura di individuare precisamente i passaggi della motivazione ritenuti viziati.
L'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), prevede, infatti, che il ricorso per cassazione possa essere proposto per "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame".
La disposizione, da leggersi unitamente alla previsione dell'art. 581 c.p.p. per cui il ricorrente è onerato della enunciazione dei motivi del ricorso con l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, viene costantemente interpretata dalla condivisa giurisprudenza di questa Corte di legittimità nel senso che "il ricorrente che intende denunciare contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, i tre vizi della motivazione deducibili in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ha l'onere sanzionato a pena di aspecificità, e quindi di inammissibilità, del ricorso - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione" (Sez. 2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518 ed altre conformi precedenti).
Peraltro, con riferimento al dedotto vizio di illogicità della motivazione, va ricordato che "l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu cuì', in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
Per le ragioni esposte la motivazione della Corte sassarese è anche esente dalla censura, pur genericamente articolata in ricorso.
Alla luce delle considerazioni che precedono il quarto motivo deve essere dichiarato, complessivamente, infondato.
10. Il quinto motivo, riferito all'aggravante della minorata difesa, è complessivamente infondato.
La condizione soggettiva di M. è stata illustrata ampiamente dai testi e risulta descritta in entrambe le sentenze.
In particolare, a pag. 48 della sentenza di primo grado si rinviene la precisazione secondo cui M. soffriva di sclerosi multipla, turbe dell'umore, disforia, irritabilità, aveva un lieve ritardo mentale.
Pacifico, poi, secondo la ricostruzione in fatto ampiamente riportata in sentenza e supportata, sul punto, dalla conforme descrizione dei fatti riportata nella sentenza coperta da giudicato, che l'omicidio del ragazzo sia avvenuto la sera, al buio.
I dati, combinati fra loro e letti unitariamente dai giudici di merito, hanno condotto al riconoscimento dell'aggravante e la motivazione, sul punto, appare esente dai vizi denunciati, non esibendo, in particolare, alcuna illogicità manifesta.
Alla luce del quadro complessivo emerso, non appariva indispensabile l'acquisizione della prova che le patologie dalle quali era affetto M. avessero una qualche incidenza sulla sua capacità di difendersi essendo, comunque, emerso che si trattava di un giovane affetto da problemi fisici significativi.
La circostanza ha natura oggettiva e si estende al concorrente ex art. 118 c.p..
Sul punto, è stato affermato che "l'aggravante dell'aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (art. 61 c.p., n. 5) ha natura oggettiva ed è pertanto integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, della ricorrenza di condizioni utili a facilitare il compimento dell'azione criminosa" (Sez. 1, n. 39560 del 06/06/2019, Souhi, Rv. 276871).
Quanto alla commissione del reato in tempo di notte, deve ricordarsi che, in base al recente arresto delle Sezioni Unite, è stato affermato che "la commissione del reato in tempo di notte è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta "minorata difesa", essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto" (Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, Cardellini, Rv. 282095).
In ordine alla consapevolezza, da parte di C., delle circostanze di tempo e di luogo, oltre che della condizione soggettiva della vittima, la sentenza ha motivato in termini assolutamente congrui atteso che, nella complessiva ricostruzione del ruolo concorsuale dell'imputato, è stato assegnato rilievo alla partecipazione dell'imputato all'ideazione, programmazione, pianificazione, oltre che all'agevolazione dell'omicidio attraverso la predisposizione del riparo e delle modalità del rientro di P. successivo all'omicidio M., inscindibilmente legato a quello M., presso la propria abitazione.
La concatenazione fattuale e logica degli avvenimenti, per come descritti dai giudici di merito, si pone in termini di stretta coerenza con la preventiva conoscenza, da parte dell'imputato, delle circostanze relative alla commissione dell'omicidio in danno di M..
11. Il sesto motivo è inammissibile.
Con la censura sono stati dedotti plurimi vizi motivazionali in punto di applicazione dei parametri codicistici di valutazione delle prove con riferimento agli elementi indiziari ritenuti fondamentali nella ricostruzione operata in sentenza.
Un primo profilo attiene al riconoscimento operato dalla teste M.G., alle modalità con le quali lo stesso è avvenuto, alle circostanze fattuali che ne inficerebbero l'attendibilità, al travisamento di elementi inseriti nella valutazione complessiva del citato riconoscimento, alla indicazione del tipo di vettura da parte della M., al comportamento del passeggero e alla interpretazione di una intercettazione (la n. 1703 del 24 giugno 2015) oggetto di una valutazione asseritamente "surreale" dei giudici di merito.
Si tratta di censure inammissibili in quanto volte a contestare il merito della valutazione operata dalla Corte sarda relativamente agli elementi indiziari valutati nel complesso e in maniera coordinata.
La sentenza impugnata ha motivato ampiamente su molteplici aspetti che riguardano l'indicazione data nel corso delle indagini dalla M. in ordine alla somiglianza tra il soggetto visto a bordo della vettura transitata più volte sul luogo dell'omicidio M. e al successivo riconoscimento dibattimentale di C. operato dalla stessa teste.
Detto riconoscimento è stato ritenuto attendibile anche sulla base di un incontro con lo stesso C., descritto dalla teste come avvenuto circa un anno dopo alla fiera di (OMISSIS), e del timore manifestato dall'imputato in una intercettazione in carcere con i familiari, quando lo stesso aveva ammesso di avere visto la ragazza che lo accusava in occasione della predetta fiera.
La Corte si è soffermata sui rilievi difensivi smentendo l'attendibilità degli elementi volti a inficiare la credibilità del citato riconoscimento, e pertinenti alla deposizione della sorella dell'imputato, C.G., in ordine all'incontro tra il fratello e la teste alla fiera di (OMISSIS), nonché alle modalità di formazione dei fascicoli fotografici usati per il riconoscimento, al ruolo del fidanzato della M. ( M.G.), alla visione di foto di C. sui social da parte della teste, a eventuali suggestioni collettive date dall'immediato collegamento
fatto dagli investigatori tra l'omicidio M. e i fatti di (OMISSIS), alla coerenza tra le dichiarazioni della M. e quelle dell'altra teste S.G., alla coerenza tra i parametri valutativi della deposizione della M. e quelli utilizzati per ritenere, invece, non credibile il teste B., alla compatibilità tra la descrizione resa dalla M. e le caratteristiche fisiche di C., alla coincidenza tra la vettura sulla quale si trovava C. (benché indicata erroneamente nel modello dalla teste) con quella in uso agli assassini.
Sul profilo complessivo del riconoscimento fotografico, va detto che "l'individuazione, personale o fotografica, di un soggetto, compiuta nel corso delle indagini preliminari, costituisce una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, sicché la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale, e non dalle formalità di assunzione previste dall'art. 213 c.p.p. per la ricognizione personale, utili ai fini della efficacia dimostrativa secondo il libero apprezzamento del giudice" (Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, Signorelli, Rv. 279437).
Inoltre, "l'individuazione fotografica effettuata dal teste, nel giudizio, mediante le fotografie contenute nei verbali di individuazione fotografica redatti nella fase delle indagini preliminari costituisce attività del tutto legittima, in quanto i fascicoli fotografici conservano una loro sostanziale autonomia e possono essere successivamente mostrati ai testimoni chiamati ad effettuare detto riconoscimento in sede di istruttoria dibattimentale, essendo del tutto superfluo sottoporre a questi ultimi altro e diverso fascicolo fotografico; né, d'altro canto, vi è alcuna norma processuale che prescriva l'utilizzo di fascicoli fotografici diversi nelle due fasi in questione" (Sez. 5, n. 19638 del 06/04/2011, Paolicelli, Rv. 250193).
Con ciò rimane destituito di fondamento il profilo di contestazione contenuto in ricorso relativamente alla composizione del fascicolo fotografico che, dunque, alcun rilievo assume al fine di inficiare la genuinità del riconoscimento.
Si è anche affermato che "il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è utilizzabile ed idoneo a fondare l'affermazione di penale responsabilità, anche se non seguito da una formale ricognizione dibattimentale, nel caso in cui il testimone confermi di avere effettuato tale riconoscimento con esito positivo in precedenza, ma di non poterlo reiterare a causa del decorso di un apprezzabile lasso di tempo, atteso che l'individuazione di un soggetto, personale o fotografica, costituisce manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta una specie del più generale concetto di dichiarazione, la cui forza probatoria discende dal valore della dichiarazione confermativa, alla stregua della deposizione dibattimentale" (Sez. 2, n. 20489 del 07/05/2019, EI Sirri, Rv. 275585).
Sempre sul punto, va ribadito che "l'individuazione fotografica effettuata nel corso delle indagini preliminari, confermata dal testimone che nel corso dell'esame dibattimentale abbia dichiarato di avere compiuto la ricognizione informale e reiterato il riconoscimento positivo, seppure in assenza delle cautele e delle garanzie delle ricognizioni, costituisce, in base al principio di non tassatività dei mezzi di prova, un accertamento di fatto liberamente apprezzabile dal giudice, la cui affidabilità dipende dall'attendibilità del teste e della deposizione da questi resa (Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, Prina, Rv. 271041).
La sentenza ha dato conto del fatto che il riconoscimento operato in dibattimento è stato confermativo di quello effettuato (sebbene in termini di forte somiglianza) nelle indagini preliminari e si pone in stretta coerenza con alcuni elementi ulteriori di specifica pregnanza e sui quali la Corte di merito si è soffermata con motivazione assolutamente congrua: il riconoscimento effettuato un anno dopo alla fiera di (OMISSIS), il rammarico mostrato da C. nel corso dell'intercettazione con i familiari proprio per tale successivo riconoscimento per effetto di un'espressione univocamente riferibile alla M., l'intercettazione n. 1703 del 24 giugno 2015 che colloca inequivocabilmente C. a (OMISSIS) la mattina dell'omicidio M..
In particolare, quest'ultima intercettazione è stata ritenuta dimostrativa della circostanza della presenza dell'imputato a (OMISSIS) il (OMISSIS) e, dunque, della falsità dell'alibi dallo stesso fornito a giustificazione della contraria tesi difensiva emergendo, fra l'altro, dalla conversazione intercettata anche che C. aveva, come P., lasciato il proprio cellulare a casa.
L'interpretazione della captazione (operazione riservata al giudice di merito e qui non suscettibile di essere sindacata) è sorretta da un dato fondamentale costituito dall'ascolto diretto operato in camera di consiglio dal giudice di primo grado che ha dato conto dell'operazione, da ritenersi legittima (Sez. 2, n. 2409 del 19/12/2008, dep. 2009, Di Lodovico, Rv. 242805).
All'esito di tale ascolto diretto i giudici hanno segnalato di avere superato i dubbi interpretativi sollevati dalla difesa, avendo udito direttamente la parola "(OMISSIS)" pronunciata dall'imputato per indicare che la mattina dell'(OMISSIS) egli si trovava in quella località.
A fronte di tali imponenti elementi confermativi della credibilità del riconoscimento operato dalla M., del tutto recessive (oltre che inammissibili perché versate in fatto) sono le considerazioni difensive che pretenderebbero di inficiarne l'attendibilità sulla scorta della indicazione della vettura sulla quale sarebbe stato visto C.: una Fiat Punto anziché una Opel Corsa.
Si tratta di un aspetto sul quale la sentenza si è soffermata in termini, ancora una volta, congrui e non manifestamente illogici, avendo la Corte di merito rappresentato la somiglianza tra i due diversi modelli di vettura, la non totale inconciliabilità del colore indicato dalla ragazza e l'attribuibilità a un riflesso della riferita presenza sul tetto della macchina di un oggetto nero e arancione.
In particolare, il dato relativo all'errata indicazione del tipo di automobile è legato, in termini logici privi di frizione alcuna, al fatto che la mattina dell'omicidio (per come segnalato anche dalle parti civili nelle rispettive memorie) non è stata ripresa nessuna Fiat Punto, mentre è stata ripresa l'Opel Corsa, proprio nel centro del paese.
Il profilo è stato dunque affrontato e risolto senza fratture logiche di alcun genere.
In ogni caso, va assicurata continuità al principio per cui, "in tema di ricorso per cassazione, l'emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione" (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227).
Manca qualsiasi vizio anche in relazione al dedotto comportamento illogico del passeggero che si sarebbe sporto in maniera del tutto incomprensibile dal finestrino della macchina esponendosi a un quasi certo riconoscimento.
Anche tale profilo è stato affrontato e risolto in termini coerenti per come indicato a pag. 194 della motivazione, laddove si fa riferimento alla pressante esigenza di individuare la presenza di M. nei pressi della fermata dell'autobus e al fatto che le ricerche (come documentato dalle riprese delle telecamere) erano state avviate di mattina presto e che era già trascorsa quasi un'ora dal loro inizio.
Gli argomenti svolti sono plausibili e per nulla privi di logicità e congruità motivazionale.
E' priva di criticità anche la ricostruzione del riparo offerto da C. a P.P.E. sin dalle fasi successive all'omicidio M..
La ricostruzione è stata operata, prevalentemente, sulla base della conversazione n. 107 del 12 giugno 2015 intercorsa tra i genitori e le sorelle di C.A., nel corso della quale è emerso che la mattina presto dell'(OMISSIS) i due si trovavano a casa dello stesso e, in particolare, nella sua camera dove la madre era andata a "svegliarli".
La circostanza che P. abbia trascorso la notte a casa di C., peraltro, si pone in termini di stretta coerenza con l'accertamento passato in giudicato che poggia, con riferimento alla posizione di P., anche sulla dimostrata circostanza che il ricorrente C. reputa oggetto di una motivazione non adeguata della Corte di assise di appello.
Si tratta, invece, di una circostanza riportata nella sentenza passata in giudicato e ritenuta confermata da ulteriori acquisizioni istruttorie emerse nel dibattimento e puntualmente illustrate.
A ben vedere, peraltro, il motivo di ricorso sul punto si basa su una lettura alternativa (in quanto tale inammissibile) del dato intercettivo sopra indicato.
La circostanza che, sin dalla sera del (OMISSIS), P. si sia recato presso la casa di C. non è stata tratta dalla sola circostanza che si sia trovato lì la mattina dell'(OMISSIS), essendo state valorizzate ulteriori dati, quali il fallimento dell'alibi di P. per la sera del (OMISSIS) (e' emerso che quella sera P. non stava guardando nessuna serie televisiva), l'assenza di traffico telefonico sul suo cellulare (pacificamente lasciato a casa a (OMISSIS)) dalle ore 01.43 dell'(OMISSIS), il riferimento contenuto nell'intercettazione n. 107 al fatto che la madre di C., la mattina dell'(OMISSIS), era andata in camera del ragazzo a svegliare i due.
Priva di lacune è anche l'illustrazione delle ragioni per cui C. aveva l'effettiva disponibilità della moto Kawasaki, avuto riguardo all'accertamento passato in giudicato e alle ulteriori acquisizioni sulle quali la sentenza si è soffermata analiticamente alle pagg. 210 -213.
Si tratta di una lettura dettagliata e puntuale di plurime risultanze (alcune di natura oggettiva, quali video presenti su apparecchi cellulari), dalle quali la Corte ha desunto la dimostrazione che la moto utilizzata da P. per tornare a (OMISSIS), dopo l'omicidio M., era nella disponibilità effettiva di C. che non si era limitato a fare il prestanome in occasione del suo acquisto.
La ricostruzione è fondata anche sull'analisi dei messaggi scambiati tra P. e C. la sera del (OMISSIS), dalla quale emerge la sollecitazione di P. al cugino di preparare il mezzo che doveva essere pronto per il giorno dopo.
La preparazione era all'evidenza funzionale alla utilizzazione (come, in realtà, è avvenuto) della moto per raggiungere (OMISSIS) da (OMISSIS), a causa della indisponibilità del mezzo con il quale P. aveva fatto il percorso inverso.
Detta indisponibilità era, infatti, preventivata, organizzata e pianificata in ragione della prevista distruzione dell'automobile di M. che, quindi, faceva parte di un piano originario studiato nel dettaglio e nei particolari.
La preparazione della moto è stata desunta dai messaggi scambiati tra P. e C. la sera del (OMISSIS) che appaiono coerentemente e logicamente interpretati nel senso della preventiva predisposizione del mezzo indispensabile per completare l'azione omicidiaria del giorno successivo.
La prova d'alibi esibita da C. ha avuto a oggetto la sua presenza a casa la mattina dell'omicidio M. in orario senz'altro incompatibile con la sua partecipazione all'azione delittuosa consumatasi a distanza di una cinquantina di chilometri.
Ebbene, il dato, secondo la concorde ricostruzione dei giudici di merito, è stato smentito da una serie di elementi puntualmente riportati alle pagg. 195 e seguenti della sentenza di appello, tratti da fonti dichiarative (su tutte la deposizione della teste M.) e intercettive (la conversazione n. 1703 già citata, nel corso della quale lo stesso C. ha ammesso di essersi trovato, la mattina dell'(OMISSIS) a (OMISSIS) e, soprattutto, di avere lasciato il telefono a casa).
Nella ricostruzione dei giudici di merito, pertanto, C. si è recato a (OMISSIS) lasciando, così come aveva fatto P., il proprio telefono cellulare a casa in modo tale da non rendere possibile l'eventuale individuazione dei suoi spostamenti di quella mattina in conseguenza delle celle agganciate dall'apparecchio nel corso degli stessi.
Il telefono, quindi, è rimasto a casa, mentre C. si trovava altrove, per come desunto dalla insindacabile e non manifestamente illogica interpretazione del dato captativo menzionato.
Tali elementi, inoltre, sono stati ritenuti compatibili con i dati tecnici relativi alle celle impegnate dal telefono cellulare successivamente al rientro di C. a (OMISSIS) e l'avvio della sua giornata lavorativa con i contatti con l'allevatore M. in vista dell'acquisto dei montoni.
Le conversazioni interessate sono quelle avviate verso le ore 8.53, quando il cellulare dell'imputato ha impegnato celle che coprono la zona ove insiste l'azienda di famiglia, così come quella relativa alla connessione dati avviata alle ore 8.42. Tali orari sono, entrambi, compatibili con la distanza esistente tra (OMISSIS) e (OMISSIS) e con il tempo necessario a percorrerla.
Anche queste circostanze sono state oggetto di specifica, motivata e incontestata disamina.
Ebbene, secondo la tesi espressa in sentenza, il complessivo compendio rivela l'inaffidabilità della testimonianza della sorella dell'imputato C.G., che ha riferito circostanze apprese dal fratello (peraltro, diverse da quelle indicate dallo stesso nella captazione più volte citata) e che collocano quest'ultimo al lavoro con il padre nell'azienda di famiglia sin dalla prima mattina dell'(OMISSIS).
Nella operata analisi la Corte di assise di appello di Sassari non ha trascurato di considerare il dato tecnico introdotto dalla difesa relativamente alla connessione dati avviata dal telefono cellulare dell'imputato alle ore 7.22 dell'(OMISSIS), evidenziando, sulla base di analoghe connessioni di giorni precedenti e successivi e di documentazione proveniente dal gestore telefonico (in nota 23 a pag. 202 si fa riferimento a "nota Vodafone prodotta dal P.M. all'udienza del 24.7.2018"), che non è stato possibile accertare se quella connessione sia avvenuta automaticamente o per interazione dell'utente.
Peraltro, nella ricostruzione complessiva del tema, la Corte ha indicato come, in ogni caso, non sia emerso, laddove si ritenesse la connessione opera dell'intervento dell'utente, che detto "intervento" sia stato operato proprio da C. ovvero da altri.
Tale circostanza assume, in effetti, una valenza fondamentale, tenuto conto delle molteplici fonti indiziarie che collocano C., quella mattina, fuori dalla propria abitazione e, precisamente, a (OMISSIS).
A fronte di tali dati, quindi, non riveste rilievo decisivo l'argomentazione sviluppata con la censura rispetto alla motivazione adottata dai giudici di merito.
Secondo la difesa, infatti, l'intervallo tra la connessione delle ore 7.22 e quella precedente delle ore 3.03 sarebbe indicativo della natura manuale delle stesse e, quindi, indissolubilmente legato all'intervento dell'utente che, trovandosi il telefono a casa, doveva, necessariamente, collocarsi, anch'egli, nel caso specifico, a (OMISSIS).
Sul punto la Corte ha rimarcato come anche nei giorni precedenti e in quelli successivi vi siano state connessioni caratterizzate da intervalli piuttosto lunghi anche in orario notturno, senza che l'imputato avesse detto di essere intervenuto sul dispositivo.
Tale affermazione è contestata dal ricorrente, che lamenta l'erroneità del presupposto e, dunque, il travisamento della prova sostenendo che, invece, non vi siano stati gli intervalli tra le connessioni negli altri giorni segnalati dai giudici di merito.
La censura svolta, tuttavia, si risolve nel tentativo di sollecitare una rinnovata valutazione di merito, tenuto conto del fatto che la Corte ha reso una motivazione fondata anche su un documento (la nota Vodafone citata in nota 23 pag. 2020) non oggetto di rilievi in ricorso e dell'ulteriore considerazione secondo cui, quand'anche si ritenesse che le connessioni siano state opera dell'intervento dell'utente, non è stata fornita la dimostrazione che l'utente in questione fosse proprio C..
Il dato segnalato dalla difesa non assume quindi rilievo decisivo per scardinare l'intera ricostruzione della sentenza sul punto.
E' inammissibile, pertanto, la censura sulla falsità dell'alibi, in ordine al quale va ricordato che "l'alibi falso, cioè quello rivelatosi preordinato e mendace, diversamente da quello non provato, deve essere considerato come un indizio a carico, in quanto è sintomatico del tentativo dell'imputato di sottrarsi all'accertamento della verità" (fra le altre, Sez. 5, n. 37317 del 14/06/2019, Capra, Rv. 276647).
Da quanto esposto discende la declaratoria di inammissibilità dell'intero sesto motivo di ricorso.
12. E' inammissibile anche il settimo motivo con il quale si deducono, ancora una volta cumulativamente, i vizi di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte riferita alla valutazione della deposizione di T.A., e quindi del teste che ha dichiarato di avere aiutato C.A. a incendiare la sera dell'(OMISSIS) l'Opel Corsa in uso a M.S., utilizzata per commettere l'omicidio M..
L'articolata motivazione resa dai giudici di merito sul punto ha affrontato, in termini completi, ineccepibili e insindacabili in questa sede, tutti i profili attinenti alla credibilità soggettiva del dichiarante T. (coimputato di C. in ordine all'incendio dell'autovettura) nei confronti del quale è stata pronunciata l'assoluzione.
E' stata esaminata la genesi della intenzione del dichiarante di rendere le dichiarazioni smentendo le allegazioni difensive, secondo cui T. sarebbe stato mosso solo dall'intenzione di fruire dei benefici processuali (poi effettivamente ottenuti attraverso la pronuncia di assoluzione), nonché dalle pressioni e dalle minacce poste in essere sia dagli investigatori che dai familiari di Stefano M..
Pur avendo dato atto dell'emersione di un'attività di persuasione svolta da tali soggetti, la Corte ha indicato nella circostanza obiettiva della constatata presenza, tenuto conto dei tabulati telefonici, di T. nei pressi del luogo, ove si era verificato l'incendio dell'Opel Corsa, le ragioni che hanno fatto ritenere quel soggetto interessante sotto il profilo investigativo.
I giudici di merito hanno escluso l'emersione di una qualsiasi minaccia in danno del dichiarante.
Piuttosto, secondo la Corte di merito, è risultata un'attività di persuasione e convincimento operata dagli investigatori mossi dall'intento di rimuovere i timori di T. dettati dalla circostanza che egli possedeva una conoscenza reale ed effettiva dello svolgimento della vicenda relativa all'incendio del veicolo indicato.
Dall'esame di alcune conversazioni telefoniche i giudici di merito hanno tratto, infatti, il convincimento che T. temeva delle ritorsioni perché era realmente a conoscenza di particolari rilevanti e aveva paura sia delle famiglie delle vittime che di quelle di P. e C..
Peraltro, le dichiarazioni di T. hanno portato al suo coinvolgimento comportando la contestazione a suo carico del concorso nell'incendio dell'automobile.
A rendere soggettivamente credibile T. ha contribuito anche il suo rapporto di frequentazione con C.: i due si conoscevano e si frequentavano avendo condiviso anche altre "esperienze illecite".
L'affermazione della credibilità è stata:supportata, inoltre, da considerazioni riferite alla costanza nel tempo delle dichiarazioni, desunta dalle modalità con le quali sono stati condotti gli incidenti probatori e la limitazione dei "non ricordo" ad aspetti delle dichiarazioni ritenuti solo marginali.
Ancora, la Corte ha valorizzato la precisione del narrato giustificando anche alcune captazioni precedenti alla decisione di rendere le dichiarazioni accusatorie, nel corso delle quali T. aveva affermato di non conoscere i luoghi dove era avvenuto l'incendio.
La giustificazione è stata rinvenuta proprio nella circostanza che quelle intercettazioni erano avvenute prima che T. si decidesse alla collaborazione.
La Corte si è poi soffermata su alcune ipotesi alternative formulate dalla difesa in ordine alle reali fonti di conoscenza del dichiarante sostenendo che si trattava di congetture e illazioni prive di riscontri, così come quelle relative alla circostanza di avere ricevuto informazioni dai Carabinieri o dai familiari di M. in ordine alle celle agganciate.
Piuttosto, i giudici di merito hanno evidenziato la coerenza delle dichiarazioni di T. con le altre emergenze istruttorie in ordine alla sua presenza in orario e luoghi compatibili con la sua narrazione circa la partecipazione all'incendio.
La Corte di assise di appello, in particolare, ha descritto gli orari e le altre circostanze fattuali riferite da T., apprezzandoli e confrontandoli con dati obiettivi quali le celle agganciate, l'orario e il luogo in cui è avvenuto l'incendio, le modalità con le quali lo stesso è stato appiccato, i tempi di percorrenza tra le varie località lungo le quali sono avvenuti gli spostamenti.
La valutazione è stata espressa in termini di coerenza, logica e verosimiglianza delle circostanze riferite, in base a una lettura coordinata delle dichiarazioni rese dallo stesso T., del quale è stato escluso l'interesse a rendere dichiarazioni false nei confronti di C..
L'ultima parte della diffusa parte di motivazione dedicata all'esame delle dichiarazioni in questione è stata riferita alla verifica dell'esistenza di riscontri, che sono stati individuati nelle emergenze costituite dai tabulati telefonici che hanno fornito indicazioni convergenti con quelle di T. in ordine a tutti gli spostamenti della sera dell'(OMISSIS): dalla prima parte del viaggio in partenza da (OMISSIS) fino alla gita a Olbia in compagnia di C., dopo l'incendio dell'Opel Corsa.
Altro riscontro è stato rinvenuto nell'incontro con la pattuglia dei Carabinieri presso il bivio di (OMISSIS) poco prima di mezzanotte dell'(OMISSIS), confermato dall'accertato intervento, quella sera e in orario compatibile con quello riferito, di una pattuglia di militari per un investimento di cinghiali.
Peraltro, i motivi di censura attengono solo ad alcuni dei profili evidenziati dai giudici di merito per affermare la credibilità di T..
Invero, è esente da vizio alcuno l'affermazione secondo cui il fatto che T. sia stato compulsato dai M. a dire ciò che sapeva non implica, automaticamente, che egli sia stato condizionato o abbia riferito, in un secondo momento, circostanze non attendibili.
Analogo è l'argomento relativo ai Carabinieri che hanno operato secondo il compito istituzionale loro conferito, che prevede il convincimento delle persone reticenti a dichiarare ciò che è a loro conoscenza.
La spiegazione fornita dalla Corte in relazione al timore di T. per la propria incolumità (ragione principale che lo ha indotto alla iniziale reticenza), per come desumibile dalla conversazione n. 3058 del 31 ottobre 2015, e', del resto, coerente con il contenuto della trascrizione riportata e non manifestamente illogica.
Con riferimento, inoltre, alle intercettazioni delle quali il ricorrente ha lamentato l'omessa valutazione, si osserva che le stesse sono state indicate a pag. 107 della sentenza nella sintesi dei motivi di appello e sono state complessivamente valutate alle pagg. 213 e seguenti della sentenza.
Sul punto va ribadito che "in sede di legittimità non è censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa" (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741).
Inoltre, rileva sottolineare che "in terna di ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1 lett. e), la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione" (Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Reggio, Rv. 254988).
In sostanza, le allegazioni difensive di cui al ricorso con le quali si lamenta l'omessa valutazione di una parte delle intercettazioni sono generiche, perché non si confrontano con l'effettivo discorso giustificativo della decisione, che si contrappone motivatamente alle prospettazioni della difesa.
Sul punto, come precisato, la motivazione non presenta vizi di manifesta illogicità e la pretesa di una rilettura o rinnovata interpretazione delle conversazioni intercettate è inammissibile in questa sede.
A tale proposito, deve essere, ancora una volta, ribadita l'adesione all'orientamento granitico secondo cui "in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite" (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337, e precedenti conformi).
Sul punto è stato denunciato anche il travisamento della prova in ordine al quale si rinvia a quanto esposto, in termini generali, al par. 5, segnalandosi, altresì, che, come messo in evidenza anche dal Procuratore generale, il contenuto delle intercettazioni indicate in ricorso non è del tutto divergente dall'interpretazione fatta propria dalla Corte.
Anche nella valutazione dei riscontri, profilo sul quale si sono concentrate parte delle censure di cui al ricorso, la Corte di assise di appello (così come il giudice di primo grado) si è attenuta rigorosamente ai principi fissati da questa Corte di legittimità, ossia che "in tema di valutazione di attendibilità, l'obbligo di dire la verità gravante sul teste assistito, accrescendo il grado di affidabilità della fonte, può essere valorizzato dal giudice nella valutazione dei riscontri esterni, consentendo di ritenere sufficienti riscontri di peso comparativamente minore rispetto a quelli richiesti nel caso di valutazione delle dichiarazioni rese dall'imputato in procedimento connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p..
(C.Cost. n. 265 del 2004)" (Sez. 6, n. 13844 del 02/12/2016, Aracu, Rv. 270368).
Sempre in punto di riscontri si evidenzia che quelli relativi alle celle agganciate, ai contatti pre-incendio tra T. e C., al fatto che, dopo la distruzione della vettura, i due si sono recati a Olbia, all'incontro con la pattuglia di Carabinieri non sono adeguatamente contrastati, se non con dati fattuali o valutativi anche tecnici (gli esiti delle perizie, segnatamente quella a firma P.) che sono stati smentiti senza forzature di sorta ma tenendo conto dell'esigenza di valutare l'insieme delle emergenze istruttorie in termini globali e coordinati e non frazionati.
Correttamente i giudici di merito hanno assegnato rilievo ai contatti risultati intercorsi tra imputato e T. sin dal pomeriggio dell'(OMISSIS).
Va ribadito che "possono costituire elemento di riscontro esterno individualizzante alle dichiarazioni accusatorie del chiamante in correità i dati emergenti dai tabulati telefonici relativamente a conversazioni intercorse tra apparecchi in uso ai soggetti accusati, laddove difettino plausibili spiegazioni alternative dei contatti avuti tra gli stessi in luoghi e momenti significativi ai fini dell'accertamento del reato" (Sez. 1, n. 34658 del 13/03/2015, Gagliardi, Rv. 264599).
Conclusivamente sul punto, le approfondite valutazioni compiute dalla Corte di assise di appello in relazione all'attendibilità intrinseca di T. e ai riscontri alle stesse sono state contrastate con argomentazioni volte a sollecitare un rinnovato e non consentito sindacato di merito.
Il motivo e', dunque, inammissibile.
13. E' destituito di fondamento l'ottavo motivo riferito all'aggravante dei futili motivi.
I giudici di appello, colmando la lacuna motivazionale della sentenza di primo grado sul punto, hanno ritenuto sussistente l'aggravante in questione per essere stato originato l'omicidio M. dalla lite avvenuta, in occasione della manifestazione di (OMISSIS), tra la vittima e P. per questioni legate alle molestie poste in essere da P. verso la fidanzata di M..
Ne era seguita l'aggressione degli orunesi ai danni di P. e dei suoi amici.
La reazione portata a termine a distanza di mesi è stata originata, secondo la ricostruzione della sentenza, dal sentimento di rivalsa per la lesione di un malinteso senso di esaltazione della personalità e di vendetta verso l'umiliazione subita.
C., avendo prestato piena adesione al piano criminale del cugino e coimputato P., non può che essere stato consapevole delle ragioni che avevano spinto il congiunto al piano criminale, che ha condiviso anche nella spinta che lo ha indotto.
La motivazione così sintetizzata è stata contestata dal motivo di ricorso in esame per una doppia ragione: da un lato, si è eccepita la violazione di legge per essersi ritenuto futile un motivo che, comunque, ha trovato il proprio antecedente nella lite avvenuta in occasione della predetta manifestazione e, dall'altro, si è contestato il fatto di essersi dato seguito a un parametro (quello del "comune sentire") privo dei criteri di tassatività e certezza.
Ciò avrebbe comportato, peraltro, anche l'adozione di uno schema motivazionale contraddittorio.
Il motivo è infondato.
Corretto appare il richiamo, operato anche nella memoria del Procuratore generale, all'orientamento secondo cui il motivo può essere definito futile "ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103).
Il motivo di ricorso pretende di isolare il riferimento al "comune modo di sentire" che, nell'economia della motivazione della sentenza, deve essere contestualizzato.
Peraltro, si tratta di un parametro utilizzato e utilizzabile in quanto soddisfa adeguatamente il requisito della tassatività e presenta contorni tutt'altro che indefiniti (il richiamo al criterio è presente anche in Sez. 1, n. 2884 del 20/01/2000, Ferrara, Rv. 215504).
Nel caso specie, inoltre, non si ravvisa alcuna contraddizione nella motivazione, in quanto il parametro in questione è stato utilizzato per valutare la ragione effettiva che ha determinato alla commissione dell'omicidio, ossia il sentimento di rivalsa e vendetta per un comportamento reputato lesivo (per come ampiamente illustrato anche nella parte di motivazione dedicata alla genesi del piano omicidiario in danno di M.) dell'orgoglio maschile.
Essendo stata adeguatamente motivata l'esistenza di una spinta criminale di natura banale che ha determinato l'insorgenza del proposito criminoso, il relativo motivo di ricorso deve essere rigettato.
14. E' inammissibile in quanto manifestamente infondato il nono motivo.
Con lo stesso si censura la sentenza per avere ritenuto la responsabilità di
C. per i reati di detenzione e porto di arma da fuoco nonostante non sia emerso da alcun dato istruttorio riportato in sentenza che l'imputato abbia avuto la disponibilità dell'arma in epoca precedente all'(OMISSIS) 2015.
I giudici di merito, invece, hanno fatto applicazione del principio che vuole dimostrata la condotta di detenzione dell'arma in assenza di qualsiasi specificazione da parte dell'imputato circa la contemporaneità delle due condotte (di detenzione e di porto), e alla cui stregua il giudice è esonerato dal compiere verifiche potendo, in tal caso, attenersi al criterio della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto.
Il motivo di ricorso, in realtà, ripete l'argomentazione già sviluppata nel corrispondente motivo di appello (per come riportato a pag. 116 della motivazione) e si scontra con il costante orientamento di questa Corte di legittimità secondo cui, "in tema di reati concernenti le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione, escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell'arma inizi contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico e sussista altresì la prova che l'arma non sia stata in precedenza detenuta. (In motivazione, la Corte ha affermato che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell'imputato circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto ad effettuare verifiche, potendo attenersi al criterio logico della normale anteriorità della detenzione rispetto al porto)" (Sez. 1, n. 27343 del 04/03/2021, Amato, Rv. 281668).
Non essendo stata allegata e fornita nelle competenti fasi di merito la prova indicata, il motivo deve ritenersi manifestamente infondato e, dunque, inammissibile.
15. E' inammissibile, infine, anche il decimo motivo di ricorso.
Con lo stesso si censura la sentenza della Corte di assise di appello per plurime complesse ragioni che si articolano nella violazione di legge, nella mancata assunzione di prova decisiva e nei vizi di motivazione riferiti alla parte della decisione con la quale è stato ritenuto validamente opposto dall'ispettore di Polizia S. il segreto ai sensi dell'art. 203 c.p.p..
Correlata al motivo è anche la questione di legittimità costituzionale della norma processuale, già sollevata nelle fasi di merito davanti alla Corte di assise di Nuoro e alla Corte di assise di appello di Sassari.
Il tema introdotto con il motivo, sostanzialmente, riguarda la mancata assunzione di una prova a discarico per effetto dell'opposizione del segreto, pur in assenza delle condizioni di operatività della disposizione citata.
La prova ha per oggetto la presenza in vita di M.S. la mattina dell'(OMISSIS) a (OMISSIS), per come riferito da alcune persone non identificate (perché sconosciute al teste S.), presentate all'ispettore di polizia da una fonte confidenziale.
La questione è stata esposta in ricorso con riferimento all'annotazione di servizio del 20 maggio 2015 a firma di S. e alle dichiarazioni dibattimentali rese dallo stesso all'udienza del 6 febbraio 2018, in occasione delle quali il teste ha precisato le circostanze nelle quali ha appreso da terze persone, a lui non note, quanto riferito per effetto della intermediazione dell'informatore.
Secondo la prospettazione di cui al ricorso, la mancata assunzione di quella prova avrebbe "compromesso in modo decisivo l'intera motivazione della sentenza" per avere, fra l'altro, "impedito l'ingresso nel processo di prove capaci di demolire le colonne portanti su cui si basa l'accertamento della responsabilità di C.A. per entrambi gli omicidi".
Dovrebbe, infatti, ritenersi "incontestabile che, se M.S. è stato visto ancora in vita a (OMISSIS) la mattina dell'omicidio di M.G., certamente non può essere stato ucciso la sera prima, come sostenuto nelle due sentenze di condanna. E ancora che, se lo stesso M. è stato visto in compagnia di P.P.E. la mattina dell'omicidio M., non poteva essere certamente C.A. il giovane avvistato in compagnia del proprio cugino minore la mattina dell'(OMISSIS) per le vie di (OMISSIS). Con tutte le rilevantissime conseguenze in merito alla ricostruzione dei fatti occorsi quel giorno".
La Corte di primo grado ha giustificato la mancata assunzione della prova sul punto con il fatto che "l'ispettore S. non è mai stato a conoscenza delle loro generalità per cui ovviamente sarebbe del tutto inutile un esame che non porterebbe che a introdurre nel dibattimento delle notizie che provengono da fonte anonima e di cui non potrebbe essere fatto alcun uso processuale".
La Corte di assise di appello, invece, ha ritenuto che dalla deposizione del teste S. potesse desumersi che questi aveva appreso notizie provenienti da "voci correnti nel pubblico", inutilizzabili per effetto del divieto di cui all'art. 194 c.p.p., comma 3.
La testimonianza di S. e la relativa annotazione di servizio si presentano, quindi, nella sostanza, come "doppiamente indirette" in quanto potenzialmente idonee a veicolare all'interno del processo notizie apprese non dal teste, né dalla fonte (ritenuta) confidenziale, ma da terze persone non conosciute dalla fonte di retta.
Ne' è emerso con sufficiente certezza che l'identità di tali soggetti fosse nota alla fonte confidenziale, atteso che in nessun passaggio della deposizione di S. e dell'annotazione di servizio si menziona espressamente tale circostanza.
Ciò contribuisce a connotare di genericità il motivo di ricorso per cassazione per una prima ragione di carattere sostanziale.
Non è stato possibile accertare, infatti, non solo l'identità delle persone portatrici della notizia, ritenuta potenzialmente idonea a scardinare aspetti rilevanti della ricostruzione operata in sentenza, ma neppure è emerso chi potesse essere a conoscenza dell'identità di tali persone.
In assenza di elementi per potere ritenere identificabili le fonti dirette delle informazioni, non è certo che la testimonianza non ammessa per effetto dell'opposizione del segreto potesse superare il divieto di cui all'art. 195 c.p.p., comma 7.
Sul punto si segnala che Sez. 6, n. 12982 del 20/02/2020, L., Rv. 279259 - 02 ha affermato che, "in tema di testimonianza indiretta, l'inutilizzabilità prevista dall'art. 195 c.p.p., comma 7, non opera per il solo fatto che il testimone "de relato" non sia in grado di fornire elementi che permettano l'immediata ed univoca identificazione del teste diretto, purché quest'ultimo risulti quanto meno identificabile. (Fattispecie relativa a condotte di abuso di mezzi di correzione in danno di minori, in cui la madre di una delle vittime indicava, quali fonti della propria conoscenza dei fatti, compagne di classe del figlio che, conosciute con il nome di battesimo, erano agevolmente identificabili)", mentre Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015, Amaddio, Rv. 264015 - 01 ha precisato che, "in tema di testimonianza indiretta, il divieto posto dall'art. 195 c.p.p., comma 7 non opera in maniera automatica ogni qualvolta il testimone non è in grado di fornire elementi idonei ad una univoca ed immediata identificazione della fonte delle informazioni da lui riferite, ma solo quando, per effetto di tale omessa identificazione, non sia possibile discutere, sulla base di dati certi e non seriamente controvertibili, dell'esistenza e attendibilità di tale fonte".
Non essendo certo che la rimozione del segreto avrebbe consentito l'assunzione di una prova utilizzabile, anzi essendo emerse plurime circostanze dalle quali è possibile affermare che la prova diretta richiesta non sarebbe stata ammissibile e rilevante, si profila, pertanto, un primo motivo di inammissibilità del ricorso per cassazione sul punto.
L'inammissibilità discende anche da una ulteriore e concorrente ragione.
Il tema dell'esistenza in vita di M. in periodo incompatibile con quello della morte, per come ricostruito nella sentenza di merito, è stato affrontato ampiamente, sotto diversi profili, da parte della Corte di assise di appello.
Segnatamente, alle pagg. 250 - 258 i giudici sassaresi hanno preso in considerazione il tema e, con diffuse e non manifestamente illogiche argomentazioni, hanno negato attendibilità alle prove che, secondo la difesa, avrebbero potuto scardinare la ricostruzione secondo la quale M. è stato eliminato la sera del (OMISSIS) intorno alle ore 21.15 da P.P.E..
A tale proposito, è stato ricordato che la deposizione di C.R. che aveva collocato P. la sera del (OMISSIS) nel bar (OMISSIS), prima che lo stesso tornasse a casa in sua compagnia, si era riferita senz'altro, all'esito della comparazione con altre fonti dichiarative, alla sera dell'(OMISSIS).
La Corte ha ritenuto privi di attendibilità gli avvistamenti di M.S. da parte di C.B.L. alle ore 22.30 del (OMISSIS) e di B.G. la sera dell'(OMISSIS), così come non idonei a mettere in crisi la ricostruzione accusatoria sono stati ritenuti gli accertamenti eseguiti a mezzo dei cani molecolari.
Con riferimento al primo ha rappresentato, in motivazione, la suggestione che aveva portato la C. a dichiarare di avere visto l'automobile di M.M. e l'inquinamento della genuinità della relativa narrazione per effetto della contaminazione dichiarativa causata dalla visione di immagini sulla stampa.
L'avvistamento, riferito da B., la sera dell'(OMISSIS) a Pattada verso le ore 21.30 è stato, poi, ritenuto inattendibile per l'errata indicazione del colore della Opel Corsa, per la distanza dalla quale sarebbe avvenuto l'avvistamento e per la preventiva visione delle foto di M.S. senza che B. ne avesse operato il riconoscimento.
L'apprezzamento del ricordo di B. come inquinato e frutto di suggestione è stato fondato sul dato oggettivamente acquisito per cui M. non guidava mai fuori paese senza occhiali, tanto meno in orario notturno.
Anche sul punto i giudici di merito hanno ampiamente motivato in ordine ai rilievi difensivi mossi con i motivi di appello.
Infine, anche con riferimento all'accertamento dei cani molecolari sono state svolte considerazioni tese a smentire l'esistenza in vita di M. l'(OMISSIS).
Sul punto, i giudici di merito hanno preso in particolare considerazione il dato costituito dalla presenza delle tracce olfattive di M. sul luogo dell'avvistamento di B.G. fino alla SS 128bis in direzione del luogo di rinvenimento dell'Opel Corsa bruciata.
Essi hanno, tuttavia, escluso che tale circostanza fosse dimostrativa di quanto dedotto dalla difesa alla luce delle dichiarazioni del teste G., che ha riferito che il rinvenimento delle tracce non stava a indicare necessariamente il passaggio di M., essendo possibile che a transitare in quei luoghi fosse stata solo l'autovettura da lui usata lasciando sue tracce.
Il transito della vettura, quindi, non era dimostrativo del transito di M.. L'inattendibilità dell'avvistamento di B. è stata considerata anche nel processo a carico di P.P.E., ove le circostanze della scomparsa di M., come detto, sono state ricostruite in termini perfettamente coincidenti a quelle indicate nel presente processo.
La precisazione ora operata è funzionale ad affermare che il dato introdotto nei termini sopra illustrati, circa l'esistenza in vita di M. la mattina dell'(OMISSIS), è privo del requisito della decisività.
La prova dichiarativa non presenta le caratteristiche della prova decisiva ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in virtù del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui "ai fini della configurazione del vizio previsto dall'art. 606 c.p.p., lett. d), è indispensabile che la prova decisiva indicata dal ricorrente abbia ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non una prova dichiarativa di parte (...), che debba essere vagliata unitamente agli altri elementi di prova acquisiti, non per elidere l'efficacia dimostrativa di questi ultimi, ma per effettuare un confronto, all'esito del quale si prospetta l'ipotesi di un astratto quadro storico - valutativo, favorevole alla parte ricorrente, da sovrapporre alla ricostruzione dei fatti e alla valutazione effettuate dai giudici di merito. Si tratta di proposizioni inammissibili, in quanto tese a provocare le non consentite "rilettura" e rivalutazione delle emergenze processuali" (Sez. 5, n. 9069 del 07/11/2013, dep. 2014, Pavento, Rv. 259534; conformi, Sez. 5, n. 37195 del:11/07/2019, D., Rv. 277035; Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, R., Rv. 278670.).
Nel caso di specie, la (asserita) "controprova" non ammessa è priva dei caratteri di decisività in quanto il dato probatorio da essa fornito avrebbe dovuto essere rapportato e confrontato con le altre prove acquisite in relazione alla medesima circostanza, ossia all'esistenza in vita di M. dopo le ore 21.15 del (OMISSIS).
Tali prove sono state motivatamente ritenute inattendibili con argomentazione non oggetto di specifica e analitica censurai con il ricorso per cassazione.
Si rinviene, in ricorso, infatti, solo un cenno alla deposizione del teste B. per lamentare che le relative dichiarazioni siano state ritenute inattendibili utilizzando parametri diversi da quelli con i quali è stata valutata la testimonianza della M..
Da ciò discende, necessariamente, l'assorbimento di ogni ulteriore profilo sollevato con il motivo di ricorso in esame,, compresa la reiterata questione di legittimità costituzionale dell'art. 203 c.p.p., priva, evidentemente, di rilevanza ai fini della decisone.
16. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso proposto da P.F. deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", al versamento della somma, equitativamente fissata in Euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende.
17. La sentenza deve essere annullata senza rinvio nei confronti di C.A., in relazione al reato di calunnia di cui al capo G), perché il fatto non sussiste, e deve essere eliminata la corrispondente pena di anni due di reclusione per come determinata, con statuizione confermata in appello, dalla Corte di assise di Nuoro.
Tenuto conto del trattamento sanzionatorio determinato dai giudici di merito e dell'applicazione del criterio di cui all'art. 72 c.p., rimane ferma la pena dell'ergastolo inflitta.
Non può seguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, mentre C. deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, in ragione della statuizione delle Sezioni Unite con la quale è stato affermato che "il parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato non elimina la condanna, sicché - pur impedita la sua condanna al pagamento delle spese processuali - è consentita la condanna dello stesso alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile, salvo che il giudice non ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge e il cui esercizio non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato" (Sez. U, n. 640:2 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207946).
La quantificazione delle spese sostenute dalle parti civili G.R., M.P. e M.S., ammesse al patrocinio a spese dello Stato deve essere rimessa al giudice di merito in base al principio per cui, "in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 541 c.p.p. e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 110, pronunciare condanna generica dell'imputato al pagamento di tali spese in favore dell'Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato D.P.R." (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760).
Nei confronti delle altre parti civili, civili M.R., M.G., M.A. e M.V., le spese vanno liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C.A. con riguardo al reato a lui contestato al capo G) perché il fatto non sussiste, ferma restando la pena inflitta.
Rigetta nel resto il ricorso proposto da C.A..
Dichiara inammissibile il ricorso proposto da P.F., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili G.R., M.P. e M.S., ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Condanna, inoltre, i ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili M.R., M.G., M.A. e M.V., che liquida in complessivi Euro 5.700,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 29 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria, il 21 settembre 2022