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Dichiarazione infedele: non si applicano i principi in materia di falso innocuo e grossolano


Sentenze della cassazione in materia di dichiarazione infedele previsto dall’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000

La massima

In tema di reati tributari, i principi giurisprudenziali in materia di falso innocuo o grossolano non trovano applicazione in relazione alla fattispecie di dichiarazione infedele di cui all' art. 4 d.lg. 10 marzo 2000, n. 74 , in quanto l'indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o di elementi passivi inesistenti nella dichiarazione annuale, da cui discende il non corretto calcolo dell'imposta e la sua mancata corresponsione, non richiede alcun carattere ingannatorio, essendo sufficiente che sia stata posta in essere al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cassazione penale , sez. III , 07/11/2019 , n. 8969).

Fonte: Ced Cassazione Penale


 

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La sentenza

Cassazione penale , sez. III , 07/11/2019 , n. 8969

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell'8 marzo 2019, la Corte d'appello di Bologna ha confermato - concedendo a C.R. la sospensione condizionale della pena - la sentenza del Tribunale di Piacenza del 19 maggio 2017, con la quale gli imputati erano stati condannati, per il reato di cui all'art. 81 c.p., comma 2 e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4.


2. Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore, e con unico atto, ricorsi per cassazione, deducendo: 1) l'erronea applicazione dell'art. 49 c.p., comma 2 e vizi della motivazione, perchè non si sarebbe considerato che gli imputati avevano contabilizzato una serie di costi in misura superiore a quella effettivamente sostenuta, presentando dichiarazioni fiscali per cifre più basse del dovuto, ma avevano fatto ciò in modo così grossolano che i funzionari dell'Agenzia delle entrate avevano immediatamente constatato la differenza intercorrente tra gli importi effettivamente recati dalle fatture di acquisto e quindi contabilizzati, come emergerebbe dai verbali di contestazione; cosicchè non vi sarebbero stati artifici idonei ad integrare il reato in danno dell'amministrazione erariale; 2) l'erronea applicazione dell'art. 131-bis c.p. e vizi della motivazione in relazione al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, perchè le soglie di punibilità sarebbero state superate di soli Euro 4000,00 per l'imposta sui redditi e di soli Euro 15.000,00 per l'Iva; mentre avrebbe dovuto essere ritenuto irrilevante il fatto che la condotta era stata ripetuta per più anni.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono inammissibili.


La difesa non contesta i fatti, ma si limita a richiedere a questa Corte una mera rivalutazione degli stessi, oltre tutto con argomentazioni manifestamente infondate.


Quanto al primo motivo, è sufficiente qui osservare che i principi giurisprudenziali in materia di falso innocuo o grossolano - che la difesa sembra richiamare - non trovano applicazione in relazione alla fattispecie del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, nella quale, alla falsa registrazione posta in essere e alla falsa dichiarazione consegue l'evasione dell'imposta, che effettivamente e concretamente non viene correttamente calcolata e non viene corrisposta.


Infatti, dalla semplice lettura dell'art. 4 richiamato, emerge che lo stesso non richiede alcun carattere ingannatorio della condotta posta in essere, essendo sufficiente una mera dichiarazione infedele in quanto non conforme alla realtà, proposta al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.


Quanto alla particolarità tenuità del fatto - oggetto della seconda censura dei ricorrenti - è sufficiente qui rilevare che, a fronte delle generiche doglianze difensive relative all'entità del superamento della soglia di punibilità, la Corte d'appello ha correttamente ritenuto preclusiva la circostanza che la condotta evasiva in oggetto è stata posta in essere per tre anni consecutivi (anche se per un anno si è rimasti sotto soglia); ciò che dimostra un consolidato e non occasionale modo di agire, indice di una non scarsa pericolosità degli imputati.


Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.


Motivazione semplificata.


Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.


Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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