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Diffamazione: il giornalista non risponde per le dichiarazione dell’intervistato


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca può essere riconosciuta al giornalista che riporti fedelmente le dichiarazioni, oggettivamente lesive dell'altrui reputazione, rilasciate da un personaggio pubblico nel corso di un'intervista, indipendentemente dalla veridicità e continenza delle espressioni riportate, per il prevalente interesse pubblico a conoscere il pensiero dell'intervistato in relazione alla sua notorietà, che non deve essere intesa necessariamente come sinonimo di autorevolezza "a priori", da cui desumere l'affidabilità delle dichiarazioni, ma valutata anche in ragione della notorietà della persona offesa e delle vicende oggetto di propalazione (Cassazione penale sez. V - 17/02/2021, n. 19889).

Fonte: CED Cass. pen. 2021





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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V - 17/02/2021, n. 19889

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, la Corte d'Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa il 7.9.2017 dal Tribunale di Messina, ha rideterminato la pena relativa al reato di concorso in diffamazione a mezzo stampa inflitta nei confronti di S.L., diminuendola a 400 Euro di multa, ed ha invece confermato la condanna per lo stesso reato di P.C. alla pena di due mesi di reclusione.


La condotta diffamatoria si incentra nell'articolo pubblicato il 2.6.2013 sul quotidiano "(OMISSIS)", dal titolo "(OMISSIS)", in cui l'articolista S. e l'intervistato P., funzionario della Provincia di Siracusa, sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere nel 2005 perché indagato del reato di tentata concussione in un'inchiesta condotta dal sostituto procuratore della Repubblica M.M., riportavano, contrariamente al vero, che P. era stato assolto con formula piena ed era stato vittima di un "complotto", che aveva la possibilità di costituirsi parte civile nel procedimento aperto dalla Procura di Messina contro il magistrato M.M. e che era in attesa di una "resa dei conti".


Le sentenze di merito hanno ritenuto sussistente l'aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato, valutandola equivalente alle circostanze attenuanti generiche, pure concesse.


2. Propongono ricorso entrambi gli imputati mediante due distinti atti di impugnazione.


3. Il ricorso di P.C., proposto dall'avv. Antille, deduce un unico motivo con cui si lamentano plurimi vizi motivazionali, di illogicità, carenza e travisamento, nonché violazione di legge.


Si evidenziano verità e continenza dello scritto giornalistico nell'ambito del quale il ricorrente ha reso la propria intervista, evidentemente invocando il diritto di critica.


3.1. Quanto alla prima caratteristica, viene sottolineata dalla difesa la verità di tutte le circostanze fattuali riportate nell'articolo-intervista, rimarcando come il riferimento all'assoluzione del ricorrente nell'ambito del procedimento penale intentato contro di lui fosse stata definita correttamente "con formula piena", poiché pronunciata "perché il fatto non sussiste", ragione d'assoluzione effettivamente corrispondente, nel nostro ordinamento processuale, alla più ampia liberatoria dalle accuse alle quali si sia stati sottoposti.


Il ricorso sottolinea la verità anche dell'aver attribuito un operato investigativo illegittimo al Dott. M., conclamato dalla dichiarazione di inutilizzabilità delle intercettazioni alla base dell'accusa mossa contro il ricorrente e dallo stesso mancato appello del pubblico ministero contro l'assoluzione dell'imputato.


Quanto all'ipotesi di "complotto" paventata nell'articolo, il ricorrente sottolinea che tale convincimento trova conferma nella sentenza di assoluzione emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Siracusa, in cui il comportamento delle persone offese viene definito opaco ed inattendibile.


Inoltre, é vero il fatto, egualmente al centro delle doglianze di P. nell'articolo assunto come diffamatorio, che il Dott. M.M. fosse indagato all'epoca in un procedimento penale aperto presso la Procura della Repubblica di Messina relativo a condotte per le quali egli ha subito gravi conseguenze disciplinari: prima la sospensione e poi la rimozione dalla magistratura (che il ricorrente dichiara all'epoca della proposizione del ricorso sia ancora pendente stante il ricorso promosso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione da M.).


Così come sono vere le circostanze di estremo rilievo che compongono il quadro del convincimento di un complotto ai suoi danni da parte del ricorrente: il pubblico ministero M., infatti, é significativamente imputato nel processo a suo carico insieme all'avv. Amara, difensore delle persone offese nel giudizio contro il ricorrente svoltosi presso il Tribunale di Siracusa.


Infine, la "resa dei conti" é chiaramente riferita, si sottolinea, nel contesto dell'intervista, alla legittima possibilità per il ricorrente di provare a costituirsi parte civile nel procedimento a carico del suo inquirente M., che riteneva autore di una cattiva gestione delle sue funzioni pubbliche, e ciò a prescindere dalla correttezza e fondatezza processuale di una simile richiesta, alla luce anche della circostanza che certo il ricorrente non é esperto di questioni legali.


3.2. Quanto invece alla continenza delle espressioni utilizzate nell'ambito dell'articolo giornalistico e dell'intervista, si rappresenta l'assoluta correttezza dei toni, l'assenza di espressioni insultanti o volgari, bensì solo la presenza di riferimenti risultati tutti veritieri. In sintesi, il ricorrente rappresenta di essere stato vittima di un errore giudiziario e di aver manifestato la propria critica nei confronti del pubblico ministero, titolare delle indagini nei suoi confronti, non già in via ritorsiva, quanto piuttosto in seguito all'emersione dell'inchiesta sullo scandalo del cd. "Sistema Siracusa", oramai al centro delle notizie di stampa ed in cui il Dott. M. era stato coinvolto subendo gravi conseguenze di carriera.


4. Il ricorso di S.L. é stato proposto tramite l'avv. Patané e deduce anch'esso un unico motivo con cui lamenta violazione di legge e vizio di motivazione carente e manifestamente illogica in relazione alla ritenuta insussistenza della scriminante del diritto di critica giornalistica, ma soprattutto di cronaca, ricordando i principi stabiliti dalla Sezioni Unite nella sentenza n. 37140 del 2001, Galiero ed i confini della responsabilità penale del giornalista in relazione ad un articolo-intervista.


Nel caso di specie, il ricorrente ha raccolto l'intervista di P.C., che riteneva di essere stato vittima di un complotto, sottolineando negativamente l'operato professionale della parte civile, il Dott. M., pubblico ministero che aveva condotto le indagini su di lui, il quale era stato coinvolto, quasi in concomitanza con le vicende processuali con protagonista P. e narrate nell'intervista, in un procedimento penale relativo proprio all'illecito esercizio delle sue funzioni e condannato per questo in via definitiva.


La Corte d'Appello ha ritenuto erroneamente che il ricorrente non abbia assunto quella posizione "neutra" di terzo osservatore, che gli sarebbe valsa a scriminarlo per l'esercizio del diritto di cronaca, e, d'altra parte, ha anche inspiegabilmente considerato la vicenda non di rilevanza pubblica.


Ed invece, il giornalista si é limitato ad inquadrare il fatto in sé dell'ingiusta detenzione subita dal P., poi assolto, seguendo la prospettiva dell'intervistato, secondo un espediente narrativo comune, ma senza alcuna condivisione attiva di detta prospettiva e senza alcuna perdita del dato di neutralità richiesto dalla giurisprudenza affinché operi la scriminante del diritto di cronaca.


Non si tratta, pertanto, di un commento personale del giornalista, bensì di un sunto della vicenda riferita da P., nella sua stessa ottica, e ciò che si riporta sono soltanto fatti oggettivi (le imputazioni e la loro gravità; la funzione pubblica dell'intervistato; il periodo di custodia cautelare sofferto e le condizioni di detenzione; l'assoluzione finale "con formula piena perché il fatto non sussiste"; la prospettiva del ricorrente di essere stato vittima di un complotto e di volerlo dimostrare nelle sedi opportune); particolari che evidentemente provengono dall'intervistato, a riprova della posizione neutrale del giornalista, come anche può agevolmente evincersi da titolo ed occhiello dell'articolo, nei quali é ben specificato che i fatti narrati sono il frutto del racconto di P..


Le ragioni di insussistenza dell'interesse pubblico alla notizia che adduce la Corte d'Appello sono illogiche e non corrispondono agli approdi giurisprudenziali più recenti, poiché i giudici hanno negato rilevanza alla indubbia notorietà della persona offesa ed alle sue vicende giudiziarie, spostando l'asse di giudizio sulla posizione dell'imputato-intervistato, ritenuto un semplice cittadino le cui vicende giudiziarie non avevano particolari profili di interesse anche perché oramai non rivestiva più ruoli pubblici, senza tener conto del fatto, peraltro, che tale valutazione andava riferita all'epoca in cui egli aveva subito le conseguenze dell'inchiesta e non al momento dell'intervista.


Anche il rilievo regionale della testata giornalistica evidenzia la rilevanza della notizia, per il tessuto sociale e pubblico siciliano, tanto più che il Dott. M., magistrato- persona offesa, era stato oramai coinvolto in un'indagine dall'eco indubbia, relativa proprio ad inchieste di cui era stato titolare e delle quali P.C. - non rileva se a torto o a ragione - riteneva di essere vittima incolpevole, per essere stato ordito un complotto ai suoi danni, in quanto autore di una verifica che egli riteneva "scomoda" presso talune aziende, quale responsabile del servizio ispettivo deputato al controllo delle autorizzazioni per operare sul territorio.


La tesi della difesa é che si sia dinanzi ad una vicenda sì dal carattere locale, ma di più vasto interesse pubblico generale, vista anche la rilevanza mediatica riservata all'inchiesta sul Dott. M., e, dunque, che i fatti rientrino nell'alveo dei principi affermati dalla richiamata decisione delle Sezioni Unite Galiero, relativa anch'essa proprio ad una fattispecie "locale", dalle ricadute di più ampio respiro.


Non vi é dubbio che la notizia relativa al vissuto di un funzionario pubblico, arrestato a seguito di una verifica ispettiva svolta nell'esercizio delle sue funzioni e poi prosciolto, ed il coinvolgimento nei fatti, quale pubblico ministero titolare delle indagini, del Dott. M., a sua volta implicato in un procedimento dinanzi all'autorità giudiziaria di Messina, avente ad oggetto altre inchieste da lui condotte, rivestiva nel suo complesso un interesse rilevante dal punto di vista del diritto di cronaca.


5. Il Sostituto Procuratore Generale Vincenzo Senatore ha chiesto il rigetto di entrambi i ricorsi per infondatezza.


6. La parte civile, tramite il difensore, ha depositato conclusioni, nel senso dell'inammissibilità o del rigetto dei ricorsi, oltre a nota spese con cui si chiedono 2.500 Euro totali (senza chiedere accessori di legge).


7. La difesa di S.L. ha depositato via pec memorie, in risposta alla requisitoria scritta del PG, con cui precisa la prospettiva in cui é stata riportata nell'articolo l'assoluzione dell'imputato, che non ha tenuto conto della pronuncia ai sensi dell'art. 530 cpv. c.p.p., ma ha solo voluto dare atto dell'avvenuta sua piena liberazione dalle accuse con formula "perché il fatto non sussiste".


Inoltre, si evidenzia che la stessa giurisprudenza di legittimità ha escluso che mere inesattezze possano incidere sulla configurabilità della scriminante del diritto di cronaca (si cita Sez. 5, n. 15093 del 2020).


8. Anche la difesa di P. ha depositato memoria difensiva con cui chiede l'accoglimento del ricorso insistendo nelle ragioni già dedotte e in particolare sottolineando come la prospettata costituzione di parte civile nel giudizio a carico di M.M. fosse consentita per essere egli stato coinvolto nelle inchieste al centro delle indagini che vedevano protagonista il magistrato.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati, dovendosi riconoscere la sussistenza della causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto prevista dall'art. 51 c.p. per entrambi gli imputati, sulla base delle ragioni che si indicheranno di seguito.


2. La diffamazione ai danni di M.M., all'epoca dei fatti sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Palermo, ma già in precedenza in servizio, sino al 4.10.2012, con identiche funzioni, presso la Procura di Siracusa, sarebbe consistita nell'accusarlo, in modo allusivo, di aver fatto parte di un complotto ai danni di P., ingiustamente sottoposto a custodia cautelare in carcere per 42 giorni nell'ambito di un procedimento penale aperto presso la Procura di Siracusa e relativo a reati contro la pubblica amministrazione - procedimento chiuso, invece, successivamente, con la sua assoluzione "piena" - nonché nell'attribuirgli la qualità di indagato in altro procedimento penale aperto presso la Procura della Repubblica di Messina, in cui lo stesso P. preannunciava di costituirsi come "parte offesa" per ottenere una "resa dei conti" finale. La cifra diffamatoria dei fatti riportati nell'intervista sarebbe riferita in particolare: all'asserita assoluzione con formula piena, mentre invece P. era stato assolto ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2; all'attività di indagine del tutto illegale portata avanti da M. mediante le intercettazioni nel procedimento a carico del ricorrente, laddove queste, invece, erano state ritenute solo in parte inutilizzabili; all'inserimento dell'indagine a carico di P. nel novero di quelle coinvolte nel procedimento che vedeva indagato M. a Messina.


Il magistrato, infatti, oggi definitivamente rimosso dall'ordine giudiziario in seguito al passaggio in giudicato della sentenza della Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 133 del 19.12.2019 (determinato dall'inammissibilità del ricorso da lui proposto alle Sezioni Unite Civili pronunciato con sentenza n. 18302 del 7/7/2020), nei mesi precedenti alla pubblicazione dell'articolo diffamatorio oggetto della contestazione mossa agli imputati, era stato al centro di un'indagine della Procura della Repubblica di Messina in merito ad ipotizzati reati commessi presso la Procura della Repubblica di Siracusa, della quale vi era stata eco nelle cronache giudiziarie anche nazionali.


L'illecito disciplinare, in relazione al quale M. é stato, successivamente, condannato (esclusi altri addebiti) e che ha determinato la sanzione della rimozione nei suoi confronti, é quello della violazione dell'obbligo di astensione dal ruolo di pubblica accusa all'udienza preliminare del 11.3.2009, nel processo che vedeva imputato, presso l'ufficio giudiziario di Siracusa, tra gli altri, A.G., difeso da suo figlio, A.P., avvocato, con cui M. aveva un risalente rapporto di amicizia e legami economici.


Gli stessi fatti, con la contestazione di un'ulteriore udienza del 23.5.2011 cui aveva partecipato M. nel medesimo processo, ancora in violazione degli obblighi di astensione, sono stati considerati integranti il reato di abuso d'ufficio e, in relazione ad essi, il magistrato é stato condannato con sentenza della Corte d'Appello di Messina del 9/12/2015, passata in giudicato in seguito al rigetto parziale del ricorso per cassazione da lui proposto (cfr. la sentenza della Sesta Sezione Penale n. 38991 del 23/2/2017).


2.1. Dall'analisi del testo dell'articolo diffamatorio - consentita a questa Corte di legittimità che, in materia di diffamazione, può autonomamente e direttamente conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi Miriam, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/9/2014, Demofonti, Rv. 261284; Sez. 5, n. 41869 del 14/2/2013, Fabrizio, Rv. 256706; Sez. 5, n. 832 del 21/6/2005, dep. 2006, Travaglio, Rv. 233749) - si comprende, peraltro, che si tratta di un'intervista che, come sovente accade, non segue lo schema classico domanda/risposta, bensì riporta il racconto dell'intervistato, introdotto ed intervallato da annotazioni esplicative dell'articolista, sicché lo scritto forma un unico percorso concettuale, in cui, se é possibile distinguere la quota di contenuto direttamente riferibile all'intervistato, che é il soggetto di cui si racconta la vicenda giudiziaria vissuta, il senso complessivo si desume solo dall'analisi unitaria.


3. Ciò premesso, per la soluzione dei ricorsi proposti, devono essere tracciate alcune rapide linee ermeneutiche in tema di diffamazione a mezzo stampa e sul ruolo del giornalista, che sia anche intervistatore, in tutto o parzialmente nell'articolo che si ipotizza "diffamatorio", nonché , ovviamente, sui limiti entro i quali possono estrinsecarsi il diritto alla libera manifestazione del pensiero (anche critico) da parte dell'intervistato, il diritto di critica e il diritto di cronaca giornalistica da parte dell'articolista.


3.1. Ebbene, deve prendersi l'avvio dagli approdi ai quali é giunta la Corte costituzionale, nel corso degli anni, sulla questione dell'ampiezza da riconoscersi in ambito penale alla libertà di manifestazione del pensiero che fonda il diritto di cronaca e critica giornalistica, risolvendosi nel diritto della stampa ad informare ed in quello dei cittadini, in una società democratica, ad essere informati.


Di recente, il giudice delle leggi, con l'ordinanza n. 132 del 2020, ha ribadito la natura di diritto fondamentale, riconosciuto come "coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione", della libertà di manifestazione del pensiero, definendola nuovamente una vera e propria "pietra angolare dell'ordine democratico" e "cardine di democrazia nell'ordinamento generale" (cfr. Corte Cost., n. 11 del 1968; nn. 81 ed 84 del 1969; n. 126 del 1985 e n. 206 del 2019).


La libertà di stampa riveste, dunque, un'importanza peculiare, in ragione del suo ruolo essenziale nel funzionamento del sistema democratico, poiché , in una struttura statale ed in una società che si nutre delle regole della democrazia, al diritto del giornalista di informare corrisponde un correlativo diritto all'informazione dei cittadini.


Ed é proprio questo duplice volto della libertà fondamentale tutelata dall'art. 21 Cost. che qualifica la forma di Stato delineata dalla Costituzione, basata su principi e valori fondanti i quali esigono che la nostra democrazia coltivi costantemente la libera opinione pubblica e si sviluppi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale.


In altre parole, la Costituzione impone che il sistema democratico che la ispira sia caratterizzato dal pluralismo delle fonti alle quali attingere conoscenze e notizie, in modo tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni e scelte politiche e sociali avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti (cfr. le sentenze n. 112 del 1993 e n. 155 del 2002 Corte Cost.; nonché la pronuncia n. 206 del 2019).


In tale ottica, la Corte costituzionale ha da tempo valorizzato l'attività giornalistica che, per le ragioni anzidette, merita di essere "salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta", che possa "indebolire la sua vitale funzione nel sistema democratico, ponendo indebiti ostacoli al legittimo svolgimento del suo ruolo di informare i consociati e di contribuire alla formazione degli orientamenti della pubblica opinione, anche attraverso la critica aspra e polemica delle condotte di chi detenga posizioni di potere" (così, la citata ordinanza n. 132 del 2020 Corte Cost.).


3.2. La prospettiva entro cui si muove il giudice delle leggi evoca, e non potrebbe essere altrimenti, le garanzie che al diritto fondamentale in gioco dedicano le norme ed i trattati internazionali ai quali l'Italia aderisce.


Tra tutte le disposizioni di rango sovranazionale, il Collegio rammenta l'art. 10 CEDU, che tutela, attraverso una disposizione che rispecchia l'art. 21 Cost., il diritto alla libertà di espressione nei riguardi di ogni persona.


Secondo la Convenzione Europea tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.


All'esercizio del diritto possono essere applicate regole autorizzative imposte dagli Stati per le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive, soprattutto, poiché come sottolinea dell'art. 10, il comma 2CEDU - l'esercizio di queste libertà comporta doveri e responsabilità, sicché esso può essere sottoposto a formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.


In altre parole, la libertà di espressione - valore fondamentale per la Convenzione - può essere limitata dagli Stati Membri solo a determinate condizioni; la compressione di tale diritto deve essere "prevista dalla legge" e deve essere "necessaria" per il perseguimento di uno tra i fini legittimi sopra elencati; infine, la limitazione deve essere "proporzionata" in relazione alle caratteristiche di una "società democratica.


Ed é proprio sul versante della "proporzione" della limitazione che si gioca la compatibilità del reato di diffamazione, nei singoli casi, con le regole della CEDU.


Alla disposizione della Convenzione fa eco l'incessante elaborazione giurisprudenziale che proviene dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, la quale da tempo si é pronunziata sulla centralità del ruolo assunto nello sviluppo di una società democratica dalla libera stampa, riconoscendo a quest'ultima il dovere e il diritto di informare il pubblico su tutte le questioni di interesse generale (cfr., tra le tante, Corte EDU, De Haes e Gijsels c. Belgio, del 24/02/1997).


Alla funzione propria della stampa, che consiste nel diffondere informazioni e idee su questioni di interesse pubblico, si deve aggiungere, cioé , il diritto per il pubblico di riceverne (cfr. Corte EDU, Observer e Guardian c. Regno Unito del 26 novembre 1991 e Dupuis e altri c. Francia del 7 giugno 2007; nonché , da ultimo, Corte EDU, Magosso e Brindani c. Italia, del 16/01/2020).


Il giudice sovranazionale ha, peraltro, avuto modo di pronunziarsi specificamente anche sul tema della responsabilità dell'intervistatore, sottolineando che sanzionare un giornalista per aver contribuito alla diffusione di dichiarazioni fatte da un terzo durante un colloquio ostacolerebbe gravemente il contributo della stampa ai dibattiti su problemi di interesse generale e sarebbe ammissibile solo in presenza di motivi particolarmente seri (in tal senso, Corte EDU, Novaya Gazeta e Milashina c. Russia, del 3/10/2017 e Corte EDU, Jersild c. Danimarca, del 23/09/1994).


La Corte di Strasburgo ha avuto modo di precisare, altresì, come esigere in maniera generale che i giornalisti si discostino sistematicamente e formalmente dal contenuto di una citazione che potrebbe essere offensiva nei riguardi di persone, provocarle o lederne l'onore non si concilia con il ruolo attribuito alla stampa di informare su fatti o opinioni e idee in corso in un determinato momento storico (cfr., tra le altre, Corte EDU, Thoma c. Lussemburgo del 29/03/2001 e, da ultimo, Corte EDU, Magosso e Brindani c. Italia, del 16/01/2020).


In particolare, nella sentenza Magosso e Brindani la Corte ha ribadito che si verifica una violazione dell'art. 10 CEDU quando si realizza un effetto dissuasivo per i giornalisti nell'esercizio della propria libertà di espressione, con un'ingerenza da parte dello Stato che la Corte reputa sproporzionata e non necessaria in una società democratica, tanto da minare il ruolo di "cane da guardia" (di watchdog, per usare l'espressione che si ritrova in molte sentenze) attribuito alla stampa nelle società democratiche.


3.3. Anche la giurisprudenza di legittimità ha espresso negli anni un'ampia gamma di affermazioni di principio in materia di diffamazione a mezzo stampa e, più specificamente, di responsabilità dell'intervistatore per le dichiarazioni lesive dell'altrui reputazione rese dall'intervistato.


Quanto al problema delle condizioni di legittimazione della condotta dell'intervistatore (e di operatività della scriminante del diritto di cronaca), le Sezioni Unite, intervenute sul tema con la sentenza Sez. U, n. 37140 del 30/5/2001, Galiero, Rv. 219651 - pur riaffermando che la condotta del giornalista il quale, pubblicando il testo di un'intervista, vi riporti, anche se "alla lettera", dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell'altrui reputazione, non é scriminata dall'esercizio del diritto di cronaca, in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite - con un'innovativa e necessaria apertura di prospettiva, hanno precisato che la stessa condotta deve ritenersi scriminata qualora il fatto in sé dell'intervista, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all'informazione tali da prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l'esercizio del diritto di cronaca.


Le Sezioni Unite, dunque, hanno selezionato il criterio dell'interesse del pubblico ad essere informato delle opinioni espresse da un personaggio noto e quindi qualificato, indipendentemente dalla verità oggettiva dei fatti da questo narrati e dalla correttezza delle espressioni usate, precisando ancora che la verifica sulle qualità dell'intervistato deve essere condotta in concreto, e non sulla base di astratte formule giuridiche, poiché alla scriminante del diritto di cronaca non può attribuirsi una natura statica e immutabile, bensì una struttura dinamica e flessibile, adattabile di volta in volta a realtà diverse. La notorietà, poi, ben può riguardare ambiti di valenza più ristretti di quello primario nazionale, come é stato riconosciuto nella stessa fattispecie decisa dalle Sezioni Unite. La giurisprudenza successiva ha ampliato l'operatività dell'esimente sino a far derivare l'interesse pubblico a rendere noto il pensiero dell'intervistato non soltanto dalla fama o dall'autorevolezza di questi, ma anche dalla notorietà della persona offesa dall'intervista (Sez. 5, n. 28502 del 11/04/2013, Fregni, Rv. 256935).


Ed é stato via via chiarito dalla sedimentazione delle affermazioni nomofilattiche che le Sezioni Unite si sono limitate a formulare meri esempi, senza alcuna pretesa di esaurire l'orizzonte delle situazioni valutabili come di rilevanza pubblica alla notizia per la notorietà dei soggetti intervistati e di quelli coinvolti dall'intervista, sicché é la successiva casistica che ha calibrato l'attitudine espansiva di tali criteri.


E' stato, così, affermato che il giornalista può beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente ed in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine - tali da renderlo dissimulato coautore - e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti (dunque dell'intervistato, ma anche della persona offesa dalla diffamazione), al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate (Sez. 5, n. 16959 del 21/11/2019, dep. 2020, p.c. in proc. Tiengo, Rv. 279203).


Si é affermato, altresì, esplicitamente, che l'esimente del diritto di cronaca può essere riconosciuta al giornalista che riporti fedelmente le dichiarazioni, oggettivamente lesive dell'altrui reputazione, rilasciate da un personaggio pubblico nel corso di un'intervista, indipendentemente dalla veridicità e continenza delle espressioni riportate, per il prevalente interesse pubblico a conoscere il pensiero dell'intervistato in relazione alla sua notorietà, che non deve essere intesa necessariamente come sinonimo di autorevolezza "a priori", da cui desumere l'affidabilità delle dichiarazioni, ma valutata anche in ragione della notorietà della persona offesa e delle vicende oggetto di propalazione (Sez. 5, n. 29128 del 17/9/2020, Coppola, Rv. 279775, avuto riguardo ad una fattispecie - per quanto lontanissima, nei caratteri della vicenda specifica, da quella oggi in esame - pur sempre relativa alla pubblicazione di dichiarazioni lesive dell'onore e della reputazione di un magistrato, rese dal protagonista di una vicenda economico finanziaria di rilievo nazionale, in cui la Corte ha annullato la decisione che, sminuendo la rilevanza pubblica della posizione sociale dell'intervistato, aveva escluso la scriminante del diritto di cronaca per gli intervistatori e i direttori delle testate giornalistiche).


Più in generale, per l'operatività della scriminante del diritto di cronaca, si é messa in risalto la rilevante notorietà dell'intervistato rispetto all'interesse della collettività alla notizia, anche a prescindere dalla veridicità dell'informazione e dalla continenza delle espressioni utilizzate; non potendo per altro verso il giornalista esercitare in tal caso il ruolo di censore nei confronti delle espressioni offensive perché la notizia verrebbe svuotata del suo reale significato, a detrimento del diritto-dovere di informare la pubblica opinione (Sez. 5, n. 6911 del 06/10/2015, dep. 2016, Casciari, Rv. 266255).


La giurisprudenza citata ha efficacemente, pertanto, sottolineato, come, se di norma, perché possa ritenersi il suo comportamento scriminato ai sensi dell'art. 51 c.p., il giornalista, nel riportare in un articolo di stampa anche solo testualmente le dichiarazioni raccolte nel corso di un'intervista, é tenuto prima della loro pubblicazione a verificare, nei limiti in cui ciò sia esigibile nei suoi confronti, la veridicità dei fatti riferitigli dall'intervistato, "può oramai ritenersi consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui la tutela della reputazione della persona offesa nei confronti della stampa appare recessiva laddove l'interesse del pubblico ad essere informato é costituito proprio dal fatto che un particolare soggetto abbia reso quelle dichiarazioni" (così, più specificamente, Sez. 5, n. 29128 del 2020, cit.).


In tali casi, é l'intervista che deve risultare vera e la verifica di "continenza" va approntata rispetto alla forma in cui viene proposta al pubblico e non avuto riguardo al suo contenuto, sicché il giornalista risponderà solo degli eventuali commenti o precisazioni apportate a quanto riferito dall'intervistato ovvero, qualora ciò non venga riportato testualmente, della sintesi o parafrasi autonomamente compiuta (come accaduto nella fattispecie in esame) o, ancora, nel caso in cui dalla suggestività delle domande o da altri indici e dal contesto possa ritenersi che l'autore dell'articolo non si sia limitato a ricevere le dichiarazioni dell'intervistato, "ma ne sia in qualche modo l'occulto coautore".


L'esimente del diritto di cronaca, così, viene letta nel prisma di un bilanciamento, costituzionalmente orientato, tra il diritto della persona offesa dal reato di diffamazione e l'interesse dell'opinione pubblica ad essere informata, bilanciamento assistito pur sempre dalla (eventuale) sanzionabilità dell'intervistato "famoso".


Il Collegio ribadisce, in proposito, che, nell'evoluzione più recente, emerge senza dubbio un canone di verifica dell'interesse alla pubblicazione dell'intervista che non declina la notorietà dell'intervistato necessariamente quale sinonimo di sua "autorevolezza a priori" e conferisce rilievo anche alla notorietà della persona offesa dalla diffamazione (così Sez. 5, n. 29128 del 2020) e/o alle vicende oggetto delle propalazioni (per un'ipotesi di rilevanza del vissuto personale dell'intervistato, con carattere paradigmatico, alla luce della natura dell'argomento al centro della pubblicazione cfr. Sez. 5, n. 16959 del 2020, cit.), in relazione alle quali pure deve essere misurata la "qualifica" del propalante (in tal senso, é opportuno ricordare che si esprime anche la pronuncia della Corte di Strasburgo Magosso e Brindani c. Italia, cit., permeata da tale logica in tutta la sua motivazione). Quella che emerge, dunque, é la necessità di una valutazione complessa e da effettuare in concreto, senza far ricorso a categorie o schemi aprioristici, come già avevano sottolineato le Sezioni Unite, sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti in cui detta valutazione si risolva in una motivazione logica e completa.


3.4. Il secondo profilo di verifica, riferito al diritto di critica dell'intervistato, evidenzia aspetti ermeneutici meno problematici ma pur sempre compositi.


Se in generale si é affermato che tale diritto postuli comunque, quale presupposto necessario, la verità del fatto storico attribuito al diffamato, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica (ex multis Sez. 5, n. 40930 del 27/9/2013, Travaglio, Rv. 257794; Sez. 5, n. 8721 del 17/11/2017, dep. 2018, Coppola, Rv. 272432; Sez. 5, n. 34129 del 10/5/2019, Melia, Rv. 277002), si é consolidato, altresì, il condivisibile principio secondo cui l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, sebbene essa non vieti l'utilizzo di termini che, pur se oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 17243 del 19/2/2020, Lunghini, Rv. 279133; Sez. 5, n. 37397 del 24/6/2016, C., Rv. 267866; Sez. 5, n. 31669 del 14/4/2015, Marcialis, Rv. 264442; vedi da ultimo, in un'ipotesi peculiare, Sez. 5, n. 33115 del 14/10/2020, Fontana, Rv. 279965).


In particolare, per quanto riguarda la critica diretta contro coloro i quali rivestano posizioni pubbliche rilevanti, come certamente può dirsi per chi espleti le funzioni di magistrato, ha senso evidenziare come la Corte EDU, proprio da ultimo nella sentenza Magosso e Brindani c. Italia del 2020, cit., abbia posto l'accento sul fatto che i limiti della critica nei confronti dei funzionari che agiscono in qualità di personaggi pubblici nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali sono più ampi rispetto ai semplici privati cittadini (come precedenti, cfr. anche MedZlis Islamske Zajednice Breko e altri c Bosnia Erzegovina (GC) del 27 giugno 2017; Mariapori c. Finlandia del 6 luglio 2010).


Particolarmente rilevante é , ai fini che qui interessano, il caso risolto dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Morice c. Francia del 23 aprile 2015, in cui la Grande Chambre ha chiarito come il diritto di critica nei confronti di esponenti della magistratura corrisponde ad un interesse pubblico e gode di limiti più ampi di quello esercitabile nei confronti dei normali cittadini, purché la critica non si traduca in "attacchi gravemente lesivi e infondati", delineando, in tal modo, le coordinate per una corretta declinazione dell'esercizio legittimo del diritto di critica nei riguardi dell'operato della magistratura, in ragione del suo rappresentare un'istituzione fondamentale dello Stato, meritevole di essere tutelata nell'immagine di imparzialità, per la necessità di assicurare la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario.


E anche la giurisprudenza della Cassazione ha dimostrato peculiare attenzione ad un bilanciamento della critica giudiziaria con i valori di tutela dell'onore dei magistrati coinvolti, bilanciamento che si delinea anche come attitudine costante a coltivare il valore del dissenso in democrazia (tra le molte pronunce, si segnalano: Sez. 5, ord. n. 5638 del 16/1/2015, Sarzanini, Rv. 263467; Sez. 5, n. 2890 del 4/12/1998, dep. 1999, Soluri, Rv. 212693; Sez. 5, n. 28661 del 9/6/2004, Sinn, Rv. 229312).


D'altra parte, si é chiarito che non costituisce esercizio legittimo del diritto di critica la gratuita attribuzione di mala fede a chi conduce indagini giudiziarie, presentando come risultato di complotti o di strategie politiche l'opera del pubblico ministero, perché in tal caso non si esprime un dissenso, più o meno fondato e motivato, sulle scelte investigative, ma si afferma un fatto che deve essere rigorosamente provato (Sez. 5, n. 28661 del 2004 cit.); egualmente é a dirsi se le accuse sono di strumentalizzazione della funzione (Sez. F, n. 29453 del 8/8/2006, Sgarbi, Rv. 235069) o si trasmoda dalla critica aspra al dileggio (Sez. 5, n. 2066 del 11/11/2008, dep. 2009, Fasolino, Rv. 242348). Viceversa, si configura l'esimente del diritto di critica giudiziaria allorché sussista il requisito della verità del fatto riferito e criticato, l'interesse pubblico alla notizia e la continenza espressiva (Sez. 5, n. 34432 del 5/6/2007, Blandini, Rv. 237711)


Detto altrimenti, in tema di diffamazione, il limite della continenza nel diritto di critica é superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, sicché il contesto nel quale la condotta si colloca, di cui pure deve tenersi conto per valutare la portata diffamatoria di una condotta, non può scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona oggetto di critica in quanto tale, travalicando la linea di demarcazione tra il dissenso espresso all'operato altrui - che deve essere ampiamente consentito in una società democratica, soprattutto nei confronti di chi ricopra incarichi o funzioni pubblici, e, tra questi, dei magistrati - e la lesione della reputazione e dell'onore della persona attaccata. Il "dissenso", infatti, é certamente un valore da garantire come bene primario in ogni moderna società democratica che voglia davvero dirsi tale, ma non può trascendere le idee, esorbitare dalla ricostruzione dei fatti e giungere a fondare manifestazioni espressive che diventino meri argomenti di aggressione personale di chi é portatore di una diversa opinione (in tal senso, cfr. Sez. 5, n. 7995 del 9/12/2020, dep. 2021, in motivazione).


4. Alla luce delle linee interpretative sinora ricostruite, l'analisi della fattispecie di reato ascritta agli imputati, per come già descritta e per quanto meglio si dirà, porta il Collegio a concludere per la sussistenza della scriminante dell'esercizio del diritto di libertà di manifestazione del pensiero in favore di entrambi.


4.1. Invero, quanto alla posizione del giornalista S., autore dell'articolo-intervista-racconto, la sentenza impugnata, pur richiamando l'arresto delle Sezioni Unite Galiero, ne interpreta lo sviluppo argomentativo in maniera incoerente con la reale portata delle affermazioni del massimo collegio nomofilattico, ne travisa i principi, tradendone le ragioni profonde, poiché pretende che il requisito della notorietà dell'intervistato coincida con quello di una sua indiscussa ed aprioristica "autorevolezza", in ambito nazionale, con ciò aderendo ad una lettura fuorviante, che travolge il fondamento stesso della scriminante e del diritto di cronaca giornalistica, e cioé l'interesse dell'opinione pubblica ad essere informata su determinati accadimenti.


Tale errata prospettiva ermeneutica si riverbera sulla motivazione del provvedimento impugnato, che sbaglia, da un lato, a non riconoscere rilievo alla posizione sociale attribuibile a P. attraverso giudizi illogici e limitanti, che dimenticano il suo ruolo di funzionario della Provincia e la valenza pubblica della sua vicenda giudiziaria (egli era stato arrestato e detenuto per 42 giorni, accusato di tentata concussione ai danni di due aziende sottoposte alle sue verifiche, e poi assolto per insussistenza del fatto), circostanze di per sé idonee a fondare l'interesse dell'opinione pubblica ad essere informata di eventuali sviluppi di una storia sì di interesse locale, ma con valenza paradigmatica e certamente di rilievo più esteso, poiché in astratto sintomatica di illecita gestione di attività di amministrazione pubblica, sia pur in contesto provinciale.


D'altro canto, la Corte di merito, altrettanto erroneamente, si disinteressa del profilo di notorietà della persona offesa e della sua clamorosa, negativa ribalta alle cronache come indagato per illecite condotte commesse come magistrato del pubblico ministero, in servizio presso la Procura della Repubblica di Siracusa, collegate alla sua amicizia con l'avv. A.P., il quale, si badi - come premette lo stesso provvedimento impugnato - era anche il difensore delle due aziende sottoposte alle verifiche da parte di P..


In tale contesto di emersione di un'indagine a carico del magistrato M., dai contorni, all'epoca, non ancora perfettamente definiti, ma di certo collegabile alle sue funzioni presso la Procura di Siracusa, é sicuramente rinvenibile l'esistenza delle condizioni di operatività della scriminante dell'esercizio del diritto di cronaca giornalistica relativamente alla redazione dell'articolo-intervista avente ad oggetto "il caso P.": 1) la sussistenza dei requisiti di notorietà della vicenda narrata e di tutte le persone coinvolte; 2) il presupposto dell'interesse dell'opinione pubblica (non soltanto in un contesto locale) ad essere informata su quanto accaduto; 3) la verifica sufficiente della verità di quanto narrato, riscontrata nel suo nucleo centrale, costituito dall'esistenza di un'indagine, condotta da M. e nella quale era implicato anche l'avv. A., indagine che aveva portato all'arresto di P., alla sua custodia cautelare in carcere e, quindi, alla sua successiva sua assoluzione perché il fatto non sussiste (e ciò benché , come si é evidenziato, il bilanciamento tra i diritti in gioco, in presenza delle due condizioni suddette, già pende in favore del diritto ad essere informati, al di là della veridicità specifica dei contenuti del dichiarato).


Sotto tale ultimo profilo, e cioé la verifica delle basi del dichiarato del propalante, si rammenta che ancora la sentenza della Corte EDU Magosso e Brindani c. Italia del 2020 ha chiarito come dal giornalista non possa pretendersi un grado di precisione nell'affrontare la fondatezza di quanto lamentato da un intervistato su un argomento di interesse pubblico, paragonabile alla certezza che si stabilisce nel processo penale (cfr. in tema anche la sentenza Cojocaru c. Romania, n. 32104/06, p. 29, del 10 febbraio 2015). Ed il Collegio ritiene condivisibile tale considerazione.


L'equazione, poi, svolta dalla Corte territoriale tra ambito di accadimento locale dei fatti e irrilevanza generale di essi é del tutto priva di fondamento, poiché , invece, la rilevanza deve essere misurata al complesso di condizioni concrete che si realizzano in una determinata fattispecie, ai ruoli e qualità dei protagonisti, alla natura della vicenda giornalisticamente trattata ed alla base della contestazione diffamatoria.


4.2. Altrettanto inadeguate sono le ragioni che hanno portato alla condanna del ricorrente P., quale soggetto "intervistato" (o indirettamente "narrante", che dir si voglia, vista la struttura dell'articolo oggetto della contestazione di reato), negandogli la scriminante del diritto di critica.


Il ricorrente, infatti, si é limitato ad esercitare, con continenza e senza introdurre argomenti falsi che potessero alterare il senso della sua denuncia-sfogo, il proprio diritto di critica nei confronti dell'operato di un magistrato al quale, anche sulla base di notizie ben precise di cronaca recente (confermate nel loro nucleo centrale negli anni successivi, tanto da portare alla sua condanna definitiva per il reato di abuso d'ufficio ed alla sua rimozione dall'ordine giudiziario), attribuiva in qualche modo gravi difetti nella gestione delle sue funzioni, prendendo ad esempio il procedimento a suo carico ed un periodo di detenzione che avvertiva come "ingiusto" (intendendo in senso atecnico il termine), alla luce della sua assoluzione, delle motivazioni di essa, dell'inutilizzabilità di alcune intercettazioni.


Tanto più che l'articolo-intervista, datato 3 agosto 2013, é successivo di pochi mesi a detta assoluzione ottenuta in primo grado con formula che P. definisce (e che il giornalista riporta) come "piena", avuto riguardo alla natura della pronuncia assolutoria che esclude il reato là dove decide con formula "perché il fatto non sussiste".


Non rileva, invero, neppure che l'assoluzione sia stata stabilita ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, - argomento utilizzato in sentenza per sostenere la non veridicità delle affermazioni contenute nell'articolo e l'insussistenza della scriminante anche in punto di verifica della falsa o strumentale prospettazione di quanto accaduto - poiché é ben plausibile che P. e S. abbiano valutato, da "non esperti" peraltro in materia processualpenalistica, come completamente liberatoria tale formula, che, si badi, a giudizio della stessa giurisprudenza di legittimità, non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 1, anche in ordine agli effetti extrapenali (sicché si determina mancanza di interesse al ricorso proposto per la modifica di tale statuizione: cfr., tra le tante, Sez. 5, n. 49580 del 26/9/2014, Rosa, Rv. 261341; Sez. 3, n. 51445 del 15/9/2016, Papotti, Rv. 268397; Sez. 6, n. 49554 del 11/9/2018, Buffardeci, Rv. 274433; in precedenza, cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 27917 del 6/5/2009, Merlo, Rv. 244207).


Quanto poi agli ulteriori dati che sarebbero "alterati" del contenuto dell'articolo giornalistico e lo renderebbero diffamatorio, l'analisi della pubblicazione, che il Collegio ha compiuto, non porta a concludere nel senso che il riferimento al "complotto" ai danni di P. sia stato univocamente diretto a censurare un'attività di indagine illegale portata avanti dal Dott. M., perché anzi, poco prima, si era fatto riferimento all'avv. A. quale legale di entrambe le aziende industriali coinvolte nel procedimento per tentata concussione a suo carico.


Né tantomeno può avere peso determinante l'accenno compiuto dal propalante alla possibilità di costituirsi come parte civile (viene usata l'espressione "parte offesa", ma poco conta ai fini del significato complessivo della frase), in un futuro procedimento a carico di M., per una "resa dei conti" finale; tali affermazioni assumono, nel contesto in cui sono rese, i caratteri piuttosto dello sfogo di un soggetto amareggiato per quanto gli é accaduto - che ritiene, a torto o a ragione, ingiustificato - il quale spera di ottenere risarcimenti nell'eventualità sia riconosciuto un operato contrario al dovere in capo al magistrato, senza con ciò intendere che tra le inchieste sulle quali stava indagando la Procura di Messina vi fosse anche quella che lo aveva coinvolto.


In conclusione, P. ha agito nell'esercizio del proprio diritto di critica alla professionalità del pubblico ministero M., dando voce al proprio dissenso, anche con toni aspri, ma che appaiono non sproporzionati, tenuto conto anche delle conseguenze che egli aveva subito in ragione dell'essere stato indagato; la critica, peraltro, é stata pur sempre scevra dall'utilizzo di epiteti realmente offensivi o di allusioni evidenti e dirette ad illiceità vere e proprie compiute specificamente dalla odierna persona offesa nell'indagine a suo carico, nonostante essa fosse calata nell'attualità di ciò che stava accadendo e condizionata dall'emersione dei rapporti opachi tra M. e A., dei quali non si può non tener conto in sede di verifica della sussistenza della scriminante al fine di "pesare" la qualità e i toni della critica stessa.


5. Per tutte le ragioni anzidette la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato nei confronti di entrambi gli imputati, sussistendo la scriminante dell'esercizio del diritto alla libera manifestazione del pensiero, sub specie del diritto di cronaca, per S., e del diritto di critica giudiziaria, per P.. Alla pronuncia assolutoria segue la revoca delle statuizioni civili già disposte nei giudizi di merito.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di entrambi gli imputati perché il fatto non costituisce reato. Revoca le statuizioni civili.


Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2021.


Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2021



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