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Guida in stato di ebbrezza: la P.G. non ha l'obbligo di attendere l'avvocato per l'alcoltest


Sentenze della cassazione in materia di guida in stato di ebbrezza

La massima

In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, non è configurabile, a carico della polizia giudiziaria operante, l'obbligo incondizionato di attendere l'arrivo sul luogo del difensore di fiducia avvisato dall'interessato per il compimento dell'alcoltest, trattandosi di atto di polizia giudiziaria urgente e indifferibile, il cui esito, in quanto legato al decorso del tempo, può essere definitivamente compromesso da tale suddetta (Cassazione penale , sez. IV , 10/11/2021 , n. 5860).

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza

Cassazione penale , sez. IV , 10/11/2021 , n. 5860

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Torino, con sentenza in data 3 marzo 2021, ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino con la quale F.G. è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, per essersi rifiutato di sottoporsi all'accertamento della guida in stato di ebbrezza alcolica.


2. Avverso la sentenza propone ricorso F.G., a mezzo del suo difensore, formulando due motivi di impugnazione.


3. Con il primo, fa valere la violazione e la falsa applicazione dell'art. 186 C.d.S., comma 7 e dell'art. 533 c.p.p., nonché il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale, pur in presenza di una ricostruzione alternativa dei fatti, affermato la penale responsabilità dell'imputato, in assenza di adeguato apparato argomentativo. Rileva che il ricorrente, invitato dalle forze dell'ordine ad effettuare il test alcolimetrico, aveva manifestato, sin dall'inizio, non l'intenzione di sottrarsi al controllo, ma quella di voler attendere il proprio avvocato, tempestivamente avvisato. Assume che gli operanti, in prima battuta, circa dieci minuti prima della richiesta di effettuare l'alcoltest - risoltasi poi nella verbalizzazione del rifiuto - non avevano elevato alcuna contestazione a F., restando in attesa del difensore, come da lui richiesto. Ciò faceva sorgere un evidente equivoco fra l'interessato, che riteneva di poter fare affidamento sulla condiscendenza dimostrata ad attendere l'arrivo del legale, e gli agenti che intendevano sottoporlo a controllo. Ed infatti, nonostante l'affidamento creatosi, dieci minuti dopo avere acconsentito alla richiesta di attendere il difensore, le forze dell'ordine, nuovamente ripetute le ammonizioni, procedevano a formalizzare la contestazione del rifiuto, provvedendo alla verbalizzazione in autonomia e non alla diretta presenza di F., essendo uno degli agenti ritornato presso la vettura di servizio per darvi corso. L'imputato, dunque, non era in condizione di comprendere che l'invito ricevuto ad effettuare il test avrebbe condotto alla contestazione del rifiuto. Osserva che, avendo il giudice di primo grado superato la ricostruzione alternativa offerta dall'imputato, fondata sull'affidamento creato proprio dall'atteggiamento tenuto dalle Forze dell'ordine, facendo riferimento a circostanze non coerenti con la valutazione del fatto, il ricorrente aveva proposto appello sul punto, investendo la Corte territoriale dell'onere di considerare non solo quanto accaduto al momento del supposto rifiuto, ma l'intera vicenda e la buona fede che aveva connotato la condotta dell'interessato. Ciononostante, la Corte, pur dando conto che con l'atto di appello si era insistito sul convincimento di F. in ordine alla volontà degli operanti di attendere l'arrivo del legale, non affronta il nucleo centrale della difesa, che poneva l'accento sul fatto che nessuna differenza era intervenuta fra la prima e la seconda intimazione ed il primo ed il secondo ammonimento sulle conseguenze del rifiuto, sicché proprio la condotta degli operanti che nella prima occasione avevano acconsentito all'attesa dell'avvocato di F., aveva indotto l'affidamento e l'insorgere del successivo equivoco. Il giudice di seconda cura, non volendo cogliere il collegamento fra i due momenti, fonde tutto in un unico episodio senza escludere, tuttavia, la plausibilità della ricostruzione alternativa. Sottolinea, inoltre, che la sentenza impugnata oppone alla valenza dell'erroneo convincimento del ricorrente elementi inconferenti rispetto all'equivoco derivatone, quali le spontanee dichiarazioni dell'interessato secondo le quali il difensore sarebbe sopraggiunto dopo circa mezz'ora e non nei venti minuti annunciati, o il consapevole temporeggiare di F., avvertito del fatto che la metabolizzazione dell'alcool conosce un andamento preciso e che il livello alcolimetrico decresce con il passare del tempo. Altrettanto vale per l'asseritamente non documentato stato influenzale dell'imputato o per il suo ritenuto comportamento elusivo, elementi che nulla hanno a che vedere con l'equivoco insorto, sotteso alla ricostruzione alternativa, pur considerata dalla Corte, ma di cui viene esclusa la plausibilità.


4. Con il secondo motivo lamenta l'errata applicazione dell'art, 186 C.d.S., comma 7, per avere il giudice inquadrato la condotta come rifiuto di sottoporsi all'alcoltest e non come esercizio di un diritto garantito e riconosciuto dalla legge. Ricorda che la Corte dà atto che il comportamento tenuto dal ricorrente non può essere definito un rifiuto espresso, ma lo considera tale tenuto conto della natura indifferibile ed urgente dell'accertamento, perché la sua posticipazione può comprometterne l'attendibilità. Nondimeno, il giudice di appello non affronta la questione cruciale sottoposta al suo esame, ovverosia se per rifiuto ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 7 debba intendersi solo il diniego espresso o anche la richiesta di breve differimento dell'accertamento tecnico irripetibile. Ne' risponde in ordine al momento in cui il legittimo esercizio di una facoltà difensiva si trasforma in rifiuto, superando il limite dell'abuso del diritto non tutelato dall'ordinamento. Sottolinea che la condotta inopinatamente dilatoria è cosa diversa dalla richiesta di attendere qualche minuto per assicurare la presenza del difensore, condizione di utilizzabilità dell'atto, mentre il giudice ha fondato la decisione sul concetto di rifiuto implicito che non corrisponde alla ratio della disposizione in esame.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.


2. Il primo motivo è infondato.


3. Occorre prima di affrontare la doglianza ricordare che "In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, l'accertamento strumentale di tale stato (cosiddetto alcoltest) costituisce atto di polizia giudiziaria urgente ed indifferibile cui il difensore può assistere senza diritto di essere previamente avvisato, dovendo la polizia giudiziaria unicamente avvertire la persona sottoposta alle indagini della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia, e non anche attendere l'arrivo del difensore eventualmente nominato" (Sez. 4, Sentenza n. 41178 del 20/07/2017, Rv. 27077).


4. La censura, con cui si critica l'assenza di valutazione da parte dei giudici di merito della plausibilità della ricostruzione alternativa del fatto, ai sensi dell'art. 533 c.p.p., al fine del superamento del ragionevole dubbio, muove dalla considerazione che la condotta dell'interessato non avrebbe potuto essere valutata come rifiuto se solo si fosse tenuto in considerazione che essa era stata assunta in buona fede, avendo le forze dell'ordine, dopo il primo avviso e la prima intimazione, acconsentito ad attendere il difensore dell'imputato, con la conseguenza che il secondo avviso e la intimazione, in nulla differenti rispetto alla prima, avevano indotto in equivoco l'imputato il quale aveva ritenuto di poter legittimamente aspettare l'arrivo del difensore. Si assume che, invece, la Corte, valutando la vicenda unitariamente non abbia colto il nucleo della difesa, ma al contempo, non ne abbia escluso la natura ragionevolmente alternativa, non superando così il ragionevole dubbio di colpevolezza.


5. Ora, va osservato che i giudici del merito, nel ricostruire il fatto, ricordano che al controllo sullo stato di ebbrezza dell'imputato si addivenne a seguito della segnalazione da parte di altri utenti della strada della condotta di guida imprudente del conducente, che venne intercettato ed indotto a fermarsi solo dopo un inseguimento, durato svariati chilometri, da parte della Polizia stradale che tallonava il ricorrente con i lampeggianti ad intermittenza, sino a riuscire ad affiancarlo ed a farlo fermare, seppure con difficoltà, all'interno di un'area di servizio. Una volta arrestata l'autovettura, verificato che il conducente presentava occhi lucidi, alito vinoso ed equilibrio incerto, il medesimo veniva invitato a effettuare il test con il precursore AlcolBlow, al fine di acquisire elementi utili per valutare la necessità dell'effettuazione del test acolimetrico vero e proprio. Nondimeno, non essendo riuscito il test con il precursore - secondo l'annotazione di polizia giudiziaria per il comportamento elusivo di F. - gli operanti decidevano di procedere all'alcoltest, formulando l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore, purché prontamente reperibile, rendendo edotto l'interessato delle conseguenze del rifiuto. A quel punto, secondo la Corte, F. si rifiutava di procedervi sinché non fosse sopraggiunto l'avv. Colomba, che egli aveva nel frattempo avvisato e che gli aveva assicurato essere in grado di raggiungerlo in circa quindici - venti minuti. Gli operanti informavano l'interessato che, variando con il passare del tempo il tasso alcolimetrico, la verifica non poteva essere ulteriormente ritardata e che se non avesse aderito all'invito di effettuarlo senza ritardo si sarebbe proceduto nei suoi confronti ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 7, sicché passata circa mezz'ora dal momento del controllo egli veniva denunciato per il reato di cui all'imputazione. Sopraggiungeva, intorno alle 22,40 il difensore di fiducia di F. il quale lo invitava a sottoporsi al test e chiedeva che si procedesse in tal senso, richiesta alla quale i verbalizzanti non aderivano ritenendo che fosse già stato opposto rifiuto, e che il lasso di tempo trascorso non potesse che aver irrimediabilmente alterato i valori alcolemici eventualmente presenti al momento del controllo. La Corte osserva che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, l'attesa si protrasse per un tempo superiore a venti minuti, non essendo calcolato sulla base degli screenshot delle chiamate in arrivo e partenza del telefono di F. il tempo di latenza fra la fine dell'ultima conversazione e l'effettivo arrivo del difensore dell'interessato sul posto. Sulla base di queste premesse il giudice di seconda cura ritiene che la condotta tenuta dall'imputato possa qualificarsi come rifiuto essendosi risolta nell'indisponibilità di sottoporsi al test, senza che il suo esito fosse alterato dal decorso del tempo.


6. L'approdo cui giunge il ragionamento della Corte territoriale deve essere condiviso.


7. La parcellizzazione della vicenda che il ricorrente pone alla base della doglianza, distinguendo fra il primo avviso e la successiva intimazione a sottoporsi all'esame alcolimetrico, pena la contestazione del rifiuto, non può in alcun modo condurre ad una diversa valutazione.


Invero, come si è premesso, se colui che viene sottoposto all'accertamento alcolimetrico ha diritto di farsi assistere da un difensore, come stabilito dall'art. 356 c.p.p., tanto da essere imposto alla polizia giudiziaria di dare il relativo avviso, ex art. 114 disp. att. c.p.p., nondimeno non è previsto il diritto del soggetto nei confronti del quale sono disposte le indagini di attendere l'arrivo del difensore prima di sottoporsi all'atto di accertamento. La lettera dell'art. 356 c.p.p. non lascia, infatti, adito a dubbi laddove prevede che "Il difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato agli atti di cui agli artt. 352 e 354".


Siffatta unica possibile lettura non è contestata dal ricorrente che, tuttavia, afferma che l'avere la polizia giudiziaria consentito, in prima battuta, un differimento del test per permettere al difensore di raggiungere i luoghi, avrebbe ingenerato nel medesimo l'affidamento sul fatto di poter attendere il proprio avvocato per effettuare l'esame, anche quando l'invito a sottoporsi al medesimo fu ribadito nei medesimi termini in cui era stato già precedentemente formulato.


La tesi difensiva, a corredo della quale viene prodotta l'annotazione della Polizia giudiziaria, non tiene, tuttavia, conto che la decisione a non procedere immediatamente alla verifica, al fine di permettere al difensore di arrivare per assistere all'accertamento, non può che porsi al di fuori del perimetro della disposizione di cui all'art. 356 c.p.p., tanto è vero che gli stessi operanti davano atto di avere formulato ripetuti inviti a sottoporsi al test, informandolo delle conseguenze del rifiuto e dell'impossibilità di ritardare ulteriormente l'accertamento, stante la modificabilità degli esiti con il decorrere del tempo.


In questa situazione, in cui è stata resa esplicita la facoltà di assistenza assegnata dall'ordinamento, ma anche le indifferibili esigenze dell'accertamento, che giustificano l'assenza del previo avviso, ai sensi dell'art. 356 c.p.p., mal si comprende come possa affermarsi che si sia ingenerato un affidamento giustificante il rifiuto di sottoporsi all'atto di indagini sino all'arrivo del difensore. Ed invero, l'attesa seguita al primo avviso ed al primo invito a sottoporsi all'esame alcolimetrico, dilatata per un tempo superiore ai dieci minuti - come riconosciuto dal medesimo ricorrente - configurava mera concessione delle forze dell'ordine, che non può trasformarsi in un diritto, neppure se sorretta da un ipotetico affidamento, non derivando il diritto dall'atto del soggetto chiamato ad applicare una disposizione, ma dalla disposizione stessa, che, in questo caso non lo prevede.


D'altro canto, come ben pongono in luce le sentenze di merito, l'invito e l'ammonimento furono ripetuti dagli operanti, il che non autorizzava affatto a credere che essi fossero privi delle conseguenze proprie che l'art. 186 C.d.S., comma 7 fa derivare dal rifiuto, se non ritenendo che essere fossero formulate ioci causa il che è pacificamente da escludere in una situazione come quella descritta dai giudici, né viene sostenuto dal ricorrente.


8. Il secondo motivo è anch'esso infondato. Quanto fin qui detto, infatti, consente di escludere ogni rilevanza del quesito posto, relativo alla misura del tempo necessario a formalizzare la condotta di rifiuto, quand'esso non sia espresso con un'esternazione di volontà negativa, posto che ogni atteggiamento concludente lo integra proprio nel momento in cui viene assunto. Questa Corte ha, infatti, chiarito che "Il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, che integra il reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 7, si configura non solo in presenza di manifestazioni espresse di indisponibilità a sottoporsi al test, ma anche quando il conducente del veicolo - pur opportunamente edotto circa le modalità di esecuzione dell'accertamento - attui una condotta ripetutamente elusiva del metodo di misurazione del tasso alcolemico. (Fattispecie in cui l'imputato, durante l'alcoltest, aveva, per dodici volte, smesso di soffiare appena l'apparecchio si metteva in funzione, adducendo uno stato di agitazione)" (ex multis Sez. 4, Sentenza n. 3202 del 12/12/2019, dep. 27/01/2020, Rv. 278025). Si tratta di un principio che deve senz'altro essere esteso all'ipotesi in cui l'interessato, pur non affermando esplicitamente di non voler svolgere l'esame alcolimetrico, temporeggi per rinviarlo, con qualsiasi scusa.


9. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 10 novembre 2021.


Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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