La massima
In tema di lesioni personali, l'aggravante di cui all' art. 585 c.p. , dell'essere il fatto commesso con l'uso delle armi, ha natura oggettiva e, pertanto, si comunica anche ai concorrenti, non venendo in rilievo le circostanze soggettive indicate nell' art. 118 c.p. (Fattispecie relativa a lesioni procurate con un coltello ed una catena - Cassazione penale , sez. V , 13/09/2019 , n. 50947).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza
Cassazione penale , sez. VI , 22/01/2020 , n. 14168
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 22/06/2018 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento, che aveva affermato la responsabilità penale di C.S., C.G., C.C. e M.V. per i reati di lesioni gravissime ai danni di S.S., al quale cagionavano lo sfregio permanente del viso con l'uso di una catena e di un coltello, e di lesioni aggravate ai danni di D.G.M., al quale cagionavano un ematoma al cuoio capelluto, con prognosi di giorni 5.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione C.C., C.S. e C.G., mediante due distinti, ma pressochè sovrapponibili, atti del comune difensore, Avv. Francesco Oddo, che ha dedotto tre motivi di ricorso.
2.1. Vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità, non essendo emerso, dagli estratti testimoniali richiamati, che C.C., S. e G. siano stati tra gli esecutori materiali dei delitti; le persone offese ed i testimoni, infatti, non avrebbero indicato, in maniera univoca, chi ha partecipato all'aggressione, ha cagionato le lesioni, e chi avesse in mano le armi; in tal senso, lamenta le divergenze tra le dichiarazioni testimoniali: S. aveva dichiarato prima di aver visto il coltello in mano a C.C., poi a S.; il teste L.C. ha riferito che C.S. aveva una catena in mano, con cui ha colpito S. sul cranio, per poi passarla a M., che era già munito di un bastone; e tale deposizione sarebbe contraddetta da quella di N., che ha riferito di aver visto la catena in mano a C.C..
Le contraddizioni tra le dichiarazioni non consentirebbero di accertare con certezza chi materialmente ha cagionato le lesioni e chi detenesse le armi.
2.2. Vizio di motivazione in ordine all'aggravante dell'uso di armi: dalle testimonianze non è emerso che il coltellino, rinvenuto soltanto il giorno dopo, e privo di impronte papillari degli imputati, fosse nella disponibilità di C.S.; il bastone e la catena erano nelle mani di altri coimputati.
Tuttavia, i testimoni non sono stati in grado di attribuire ai singoli imputati l'uso di un'arma specifica per la commissione della condotta illecita.
2.3. Vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo, ed al diniego delle attenuanti generiche, nonostante l'incensuratezza e l'assoluta modestia del fatto.
3. Ricorre per cassazione, altresì, il difensore di M.V., Avv. Riccardo Pinella, che ha dedotto tre motivi di ricorso.
3.1. Vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità, non essendo emerso, dagli estratti testimoniali richiamati, che M.V. sia stato tra gli esecutori materiali dei delitti; le persone offese ed i testimoni, infatti, non avrebbero indicato, in maniera univoca, chi ha partecipato all'aggressione, ha cagionato le lesioni, e chi avesse in mano le armi; in tal senso, lamenta le divergenze tra le dichiarazioni testimoniali: S., che ha riferito della presenza del M., non conosciuto in precedenza, insieme agli altri aggressori, avrebbe riconosciuto l'imputato pur avendolo visto pochi attimi prima del forte trauma subito; D.G. ha dichiarato di non aver visto il coltello, ma solo una catena; il teste L.C. ha riferito che C.S. aveva una catena in mano, con cui ha colpito S. sul cranio, per poi passarla a M., che era già munito di un bastone; ma tale deposizione sarebbe contraddetta da quella di N., che ha riferito di aver visto la catena in mano a C.C.; B.C. ha riferito di avere assistito all'aggressione nel pub, ma non ha visto il M. colpire il S., nè tanto meno in possesso di una catena.
Le contraddizioni tra le dichiarazioni non consentirebbero di accertare con certezza chi materialmente ha cagionato le lesioni e chi detenesse le armi.
3.2. Vizio di motivazione in ordine all'aggravante dell'uso di armi: dalle testimonianze non è emerso che il coltellino, rinvenuto soltanto il giorno dopo, e privo di impronte papillari degli imputati, fosse nella disponibilità di M.; le dichiarazioni discordanti sul possesso del bastone e della catena non sarebbero in grado di attribuire al M. l'uso di un'arma specifica per la commissione della condotta illecita.
3.3. Vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo, ed al diniego delle attenuanti generiche, nonostante l'incensuratezza e l'assoluta modestia del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi di C.C., C.S., C.G., e M.V., che meritano una valutazione congiunta, per la sovrapponibilità delle questioni proposte, sono inammissibili.
2. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, sotto il profilo del vizio di motivazione, che l'affermazione di responsabilità sia stata pronunciata nonostante le discordanze tra le dichiarazioni testimoniali in ordine alla dinamica dei fatti, alla disponibilità delle armi, ed all'autore materiale delle lesioni.
Va innanzitutto evidenziato che tali censure sono inammissibili, perchè, oltre a reiterare i medesimi motivi già proposti con l'atto di appello, e motivatamente respinti dalla Corte distrettuale, con la cui sentenza omettono di confrontarsi concretamente (ex multis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970), propongono doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e della violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
In particolare, con le censure proposte i ricorrenti non lamentano una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla partecipazione all'aggressione, alla materiale disponibilità delle armi ed al riconoscimento degli autori.
Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicchè il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
Secondo la ricostruzione dei fatti accertata dai giudici di merito, infatti, S.S. veniva violentemente aggredito da C.G. (con la quale aveva intrattenuto una relazione sentimentale poi interrotta), dal padre, C., e dal fratello, S., di costei, nonchè da un quarto soggetto, successivamente identificato nel nuovo fidanzato della prima, M.V.; dopo una prima fase, svoltasi all'interno di un pub, nel corso della quale C.C. aveva minacciato di morte il S., colpendolo con un pugno, l'aggressione veniva perpetrata all'esterno di una casa in campagna ove il giovane stava trascorrendo il giorno di Pasquetta in compagnia di amici, attirato dalle fiamme appiccate alla sua autovettura; in tale frangente, S. veniva colpito con una catena, un bastone ed un coltello da tutti gli imputati; il racconto del S. veniva confermato da D.G.M., che, intervenuto in soccorso dell'amico, veniva anch'egli colpito, nonchè dal narrato degli altri testimoni presenti, e dal riscontro fornito dai tabulati telefonici, dai messaggi di morte inviati dai membri della famiglia C., e dal referto medico attestante le gravi lesioni provocate, e che avrebbero determinato la profonda cicatrice rimasta sul volto del S..
Ciò posto, le discrasie evidenziate dai ricorrenti tra le dichiarazioni dei testimoni, oltre ad essere del tutto marginali ai fini della ricostruzione dei fatti, dipendendo altresì dalla capacità di percepire e memorizzare soltanto frazioni di un'azione collettiva e concitata, sollecitano una non consentita rivalutazione del merito, addirittura mediante una arbitraria e selettiva estrapolazione delle deposizioni dei testimoni.
Le doglianze sono, altresì, manifestamente infondate, in quanto è pacifico che tutti e quattro i ricorrenti abbiano partecipato, materialmente e/o moralmente, all'aggressione ai danni del S. e del D.G., sicchè è irrilevante, ai fini dell'affermazione di responsabilità, accertare con precisione chi abbia colpito la vittima con la catena, chi con il coltello, e chi con un pugno, come pure sostengono i ricorrenti. Invero, per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (ex multis, Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P, Rv. 276990).
Quanto all'identificazione di M.V. da parte del S., contestata sul rilievo che sarebbe avvenuta a distanza di tempo, nonostante fosse stato visto per pochi attimi prima di perdere conoscenza, la doglianza omette di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, che ha compiutamente evidenziato che, oltre al riconoscimento del S., l'imputato è stato altresì indicato dal D.G. (come il nuovo fidanzato di C.G.) e dagli altri testimoni presenti all'aggressione, che lo hanno visto impugnare un bastone ( L.C.).
3. Il secondo motivo, concernente l'aggravante dell'uso di armi, è manifestamente infondato.
Oltre a sollecitare anche in tal caso una non consentita rivalutazione del merito, in ordine alla persona che aveva la disponibilità del coltello, la doglianza non si confronta con il rilievo che l'aggressione è stata perpetrata non soltanto con l'uso di un coltello, ma altresì con l'uso di un bastone e di una catena, che già di per sè integrano la circostanza di cui all'art. 585 c.p., comma 2.
Quanto al coltello, oltre al testimoniale richiamato, la sentenza impugnata ha evidenziato che: il referto medico ha attestato la presenza di lesioni perfettamente compatibili con l'uso dell'arma, con particolare riguardo alla ferita lacero contusa provocata al volto del S.; il coltello, intriso del sangue del S., è stato rinvenuto sul luogo del delitto il giorno successivo; l'assenza di impronte papillari era ragionevolmente da ascriversi all'uso di una idonea protezione per impugnarlo.
Ciò posto, appare assorbente rilevare che l'uso di un'arma è una circostanza aggravante oggettiva, ai sensi dell'art. 70 c.p., n. 1, concernendo "i mezzi" dell'azione criminosa, che dunque si applica anche ai concorrenti nel reato, non venendo in rilievo le circostanze soggettive indicate nell'art. 118 c.p..
4. Il terzo motivo, concernente il trattamento sanzionatorio ed il diniego delle attenuanti generiche, è inammissibile.
4.1. Quanto al trattamento sanzionatorio, la doglianza è manifestamente infondata, in quanto, considerando il minimo edittale per il reato di lesioni personali gravissime (art. 583 c.p., comma 2, n. 4) pari a 6 di reclusione e la continuazione con il reato di lesioni ai danni di D.G., è assorbente il rilievo che la pena inflitta è stata determinata nel minimo edittale di 6 anni e 4 mesi di reclusione, ed è dunque insuscettibile di ulteriore diminuzione.
Peraltro, è pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. con espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243); sicchè è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).
4.2. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, premesso che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986); inoltre, in tema di diniego della concessione delle attenuanti generiche, la "ratio" della disposizione di cui all'art. 62 bis c.p. non impone al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell'imputato, perchè in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, nonchè la particolare gravità della condotta, caratterizzata da una aggressione commessa da più persone con l'uso di armi, e con una tale violenza da cagionare ad una delle due persone offese lesioni gravissime, che hanno comportato lo sfregio permanente del viso.
Sicchè la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019