La massima
In tema di omicidio preterintenzionale, l'evento morte deve costituire il prodotto della specifica situazione di pericolo generata dal reo con la condotta intenzionale volta a ledere una persona, sicché esso non può essere imputato a titolo preterintenzionale, ma deve essere punito a titolo di colpa, in quanto effetto di una serie causale diversa da quella avente origine dall'evento di lesioni dolose, ove sia del tutto estraneo all'area di rischio attivato con la condotta iniziale - intenzionalmente diretta a provocare lesioni - e sia, invece, conseguenza di un comportamento successivo (Cassazione penale , sez. V , 21/01/2022 , n. 15269).
Fonte: Ced Cassazione Penale
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La sentenza
Cassazione penale sez. V, 21/01/2022, n.15269
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 17/07/2020 la Corte d'assise d'appello di Torino ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato B.S., Be.Ha., E.S.A. e M.M. alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili, A.M. e Bo.Al., avendoli ritenuti responsabili dei reati loro ascritti.
I delitti, consumati nella tarda serata del (OMISSIS), in piazza (OMISSIS), a (OMISSIS), dove era stato installato un maxi-schermo sul quale erano proiettate le immagini della finale di Champions League tra la (OMISSIS), sono stati raggruppati in quattro imputazioni, tutte contestate in concorso con un minorenne per il quale si è proceduto separatamente: il primo (n. 1) concerne i furti con strappo aggravato di due collanine in oro - unici reati non attribuiti anche all' E.S. - e di rapina aggravata in danno di persone rimaste non identificate; il secondo (n. 2) concerne le lesioni aggravate commesse in danno di alcune persone - non tutte identificate - e teleologicamente connesse ai reati di cui al n. 1, in quanto provocate attraverso lo spray urticante spruzzato al fine di commettere questi ultimi; il terzo (n. 3) si riferisce all'omicidio preterintenzionale di P.E., deceduta il (OMISSIS), e A.M., deceduta il (OMISSIS), in conseguenza delle gravissime lesioni riportate nella circostanza; il quarto (n. 4) ha riguardo alle lesioni personali aggravate commesse in danno di un numero imprecisato di persone che assistevano all'evento.
2. In sintesi, il percorso argomentativo della sentenza impugnata può essere riassunto nel modo che segue.
2.1. Per commettere la rapina successiva ai primi due furti con strappo, gli imputati avevano fatto ricorso all'uso dello spray al peperoncino che era stato spruzzato verso il suolo al fine di provocarne la massima diffusione nell'area circostante e di alterare lo stato di quiete - ingeneratosi per l'esito negativo della partita di calcio - che rendeva rischioso il compimento delle manovre predatorie.
2.2. Alla luce delle risultanze dei filmati (si tratta delle registrazioni acquisite dalla Questura e sulla cui sincronizzazione - osserva la Corte d'assise d'appello - non è sorta questione), può affermarsi: a) che, poco dopo le 22, successivamente al terzo gol del (OMISSIS), si erano verificati due improvvisi e tumultuosi spostamenti della folla, che ne avevano generati altri di minore intensità, ma di uguale pericolosità; b) che, in particolare, la prima ondata era stata registrata alle ore 22.12.15 (la registrazione del tempo indica anche i secondi) ed era collocabile sul lato sinistro della piazza, guardando il palco, in prossimità dello stesso e aveva provocato un allargamento a cerchio della folla e una fuga scomposta degli astanti in varie direzioni; c) che un secondo movimento della folla, questa volta sul lato destro della piazza, si era verificato alle 22.23.26, nelle adiacenze della scalinata di accesso al parcheggio sotterraneo, undici minuti dopo il primo, generando varie fughe, in occasione delle quali si era verificato il ribaltamento di una parte del parapetto in metallo di protezione al vano di accesso pedonale al parcheggio, con sfondamento delle vetrate del dehors di un bar; d) che l'esame delle tracce audio aveva consentito di individuare esclusivamente due modesti rumori, a minima distanza temporale l'uno dall'altro, successivi di circa sei secondi all'inizio della fuga di massa (la Corte territoriale aggiunge che dall'esame tecnico elaborato dal servizio di Polizia scientifica emerge che tali rumori "non sono riconducibili ad esplosioni di petardi o a colpi d'arma da fuoco e provengono da una sorgente sconosciuta non identificata. Non sono stati identificati altri rumori/scoppi utili per la ricostruzione della dinamica"; e) che la verifica tecnica svolta dai vigili del fuoco aveva consentito di escludere l'ipotesi che la causa scatenante del panico fosse stata provocata da un malfunzionamento del sistema di areazione del parcheggio. 2.3. Secondo la Corte territoriale, pertanto: i rumori individuati non hanno rappresentato la causa della fuga delle persone, perché si erano verificati dopo la stessa; comunque essi, non provocati da petardi o colpi d'arma da fuoco, erano stati di modestissima entità, appena percepibili, al punto che l'esame e l'ascolto di tutte le video-riprese consentiva di distinguere nitidamente la voce del telecronista; rispetto a tali dati, oggettivamente desunti e confortati dall'esame scientifico, la prova dichiarativa, ove di segno diverso, è destinata a soccombere, non per inattendibilità della fonte, ma per la natura soggettiva della percezione, comunque influenzata dall'inevitabile fragore prodotto da una folla di oltre trentamila persone, che si spostavano improvvisamente e scompostamente in uno spazio ristretto.
2.4. Pertanto dalla descrizione tecnica delle manifestazioni di panico generatosi, quali emergono dai filmati e dal processo psichico che ha alimentato i movimenti della folla, per come descritto nella consulenza tecnica che ha esaminato le immagini, emerge che le scomposte reazioni della folla, successive ai movimenti provocati dalla diffusione dello spray, sono state, in assenza di altra originaria causa autonoma (e privo di autonomia deterministica è stato ritenuto anche il crollo della ringhiera di protezione delle scale d'accesso del parcheggio, in quanto inserito nella situazione di panico ormai determinatasi), conseguenza immediata e diretta dell'unica causa iniziale che ha scatenato la paura collettiva.
2.5. Le disfunzioni connesse all'organizzazione e alla gestione della sicurezza dell'evento non possono assumere il ruolo di cause autonomamente sufficienti a produrre gli eventi lesivi e mortali, sia perché erano percepibili da chiunque, ivi inclusi gli agenti, sia perché inidonee a comportare una interruzione del nesso di causalità.
2.6. Neppure può essere individuata una causa alternativa nell'esistenza di altri malfattori, operanti con tecniche simili, tenuto conto: a) della genericità delle dichiarazioni raccolte che non hanno consentito di collocare esattamente nello spazio i primi, laddove, per ammissione degli stessi imputati, essi si trovavano proprio dove si era originato il primo movimento della folla; b) che i dati confermativi della presenza di altri soggetti che avevano spruzzato spray urticante dimostravano altresì l'assenza di alcuna significativa conseguenza.
2.7. Sul piano soggettivo, erano prevedibili le conseguenze della specifica azione posta in essere dagli imputati - ossia l'erogazione massiccia di spray, al fine di alterare la tranquillità del momento, in una piazza gremita all'inverosimile di persone pigiate davanti ad un maxischermo, contornata da edifici e non da altri spazi aperti, bloccata nei varchi d'accesso e di eventuale uscita.
2.8. Il giudizio di prevedibilità riposa, sempre secondo la Corte territoriale, sia sulle precedenti esperienze degli imputati (in occasione del Reload del (OMISSIS) era stato necessario un intervento di aerazione, mentre per il teatro di Venaria era stata necessaria l'evacuazione del locale) sia sul fatto che questi ultimi, padroni della situazione, si erano allontanati dai luoghi indisturbati, addirittura filmandosi e "sghignazzando per l'effetto ottenuto"
3. Nell'interesse degli imputati sono stati proposti ricorsi per cassazione, affidati ai seguenti motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
4. Il ricorso proposto nell'interesse di M.M..
4.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, rilevando: a) che il rapporto causale poteva essere ragionevolmente escluso in quanto la fuga in massa delle folla e le conseguenze derivanti erano da ascrivere ad un evento assolutamente eccezionale, costituito dalle carenze organizzative, destinate ad assumere un ruolo preponderante e decisivo; b) che il ricorrente era ignaro di tali profili; c) che il secondo movimento della folla era stato provocato senza dubbio da altri fattori, quali il rumore del crollo della ringhiera e le voci diffuse di attentati anche distanti dalla piazza; d) che anche il primo movimento della folla aveva registrato l'esistenza di sguardi delle persone verso qualcosa di indefinito, compatibile con un rumore, ossia con un dato riportato da centinaia di persone presenti; e) che siffatto rumore - del quale avevano parlato i testi R.M., D.L.G. e B.F. - non era stato registrato dai microfoni ed era antecedente ai due rumori indicati nella sentenza impugnata e di origine diversa; f) che tale rumore - verosimilmente causato da una bottiglia di vetro caduta o lanciata nel parcheggio sotterraneo - neppure poteva essere confuso con quello della folla in movimento; g) che la sua mancata percezione da altri testi dipendeva da fenomeni di diffrazione o dalla distanza dal palco e quindi dai microfoni; h) che l'effetto panico ben poteva correlarsi alla paura di attentati terroristici; i) che quella sera in piazza, prima del sopraggiungere degli imputati, erano all'opera altri rapinatori; I) che, in altro procedimento penale, gli odierni imputati hanno indicato i nomi dei componenti di altre bande; m) che, ancora, allo stesso modo, non si poteva escludere che il secondo movimento di folla fosse stato generato dal crollo della ringhiera posta sul lato destro della piazza, avvenuto a distanza di qualche minuto dalla prima ondata di folla; n) che, quanto alle lesioni riportate dalla A., è del tutto credibile che ella sia stata travolta nel corso della seconda ondata.
4.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando, quanto alla ritenuta prevedibilità delle conseguenze lesive della condotta posta in essere: a) che i precedenti nei quali il ricorrente era stato coinvolto riguardavano luoghi chiusi nei quali l'effetto dello spray era stato amplificato, laddove piazza (OMISSIS) era un luogo aperto con ampio ricircolo di aria; b) che non era emerso alcun precedente sopralluogo che avesse consentito agli imputati di avere contezza delle condizioni della piazza; c) che neppure era stata accertata la quantità di spray utilizzata; d) che, in definitiva, la Corte territoriale aveva utilizzato una nozione lata di dolo eventuale che, in contrasto con le conclusioni della giurisprudenza di legittimità, non rivelava affatto il necessario coefficiente di adesione psichica all'evento, alla stregua degli indicatori della cd. formula di Frank; e) che riprova del fatto che il ricorrente si sarebbe astenuto dalla condotta, se avesse previsto la sicura verificazione degli eventi lesivi e mortali che si erano verificati, si trae dal rilievo che la folla in preda al panico avrebbe potuto travolgere lui stesso.
4.3. Con il terzo motivo (per errore materiale, indicato con il numero 2) si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta configurabilità dell'omicidio preterintenzionale, dal momento che l'evento lesivo nei confronti della P. e dell' A. non rientrava nella previsione degli agenti neanche a titolo di dolo eventuale.
Secondo il ricorrente, nell'aberratio ictus plurilesiva non ricorre una figura unitaria di reato, ma una pluralità di illeciti, con la conseguenza che l'offesa arrecata alla persona diversa non è compatibile con la struttura dell'omicidio preterintenzionale, che richiede una sequenza offensiva scaturente da una condotta dolosa di base nei confronti della vittima.
Si aggiunge che la morte delle due persone offese non è coerente rispetto all'utilizzo dello spray (e agli effetti ordinariamente prodotti dal suo impiego) e non è stata la concretizzazione del rischio lesivo, ma la conseguenza di un comportamento meramente imprudente. Da tali premesse si fa discendere l'invocata applicazione della disciplina dettata dagli artt. 586 e 590 c.p..
4.4. Con il quarto motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale con riguardo alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 4, e all'applicazione del divieto di bilanciamento previsto dall'art. 69 c.p., comma 4.
Viene anche evocata la contrarietà a Costituzione - e in particolare al principio di offensività - di quest'ultima disposizione, alla luce dell'ampia formulazione dell'art. 112 c.p., comma 1, n. 4, inidonea a realizzare una effettiva selezione di condotte espressive di maggiore disvalore, come, del resto, comprovato nel caso concreto dei rapporti tra gli imputati e il minorenne.
Tale profilo viene valorizzato osservando sia che il M. aveva iniziato a delinquere con i prevenuti quando era minorenne, sia il fatto che il concorrente minorenne, nel caso di specie, aveva svolto un ruolo non determinante e comunque aveva potuto beneficiare della messa alla prova.
5. Il ricorso proposto nell'interesse del Be..
5.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, con riferimento alla attribuzione agli imputati delle lesioni di cui al capo n. 4, a titolo di dolo eventuale.
Ribadito che quest'ultimo non si identifica nella mera accettazione del rischio ma nell'adesione psichica all'evento, si osserva che la condotta degli imputati di spruzzare lo spray urticante non era sorretta dalla nitida e ponderata consapevolezza della concreta prospettiva degli effetti lesivi e prima ancora del fatto che si sarebbe scatenato il panico tra i presenti: essi, al contrario, anche alla luce delle esperienze precedenti, avevano escluso che la confusione potesse investire la moltitudine di persone che la sera dei fatti affollava piazza (OMISSIS), anche perché quest'ultima avrebbe potuto travolgere anche loro.
In realtà, proprio gli episodi pregressi ricordati dalla sentenza impugnata confermavano l'assoluta non prevedibilità dell'effetto di panico, in quanto la confusione creata era stata circoscritta ai soggetti direttamente investiti dallo spruzzo. D'altra parte, essi non potevano immaginare, alla stregua di una valutazione ex ante, che la piccola bomboletta adoperata potesse determinare una fuga così massiccia di persone né che le vie di fuga potessero rimanere ostruite. 5.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza di norme di legge, in relazione alla attribuzione agli imputati dell'omicidio preterintenzionale della P. e della A. di cui al capo 3.
Si rileva che l'innesto dell'aberratio ictus nella fattispecie di cui all'art. 584 c.p., produce una doppia estensione della responsabilità penale che può essere ritenuta compatibile con il principio della sua necessaria personalità, ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 1, solo se la condotta lesiva, pur indirizzata dolosamente nei confronti di alcuni soggetti, investa direttamente i terzi e non quando si ponga in un rapporto oggettivo solo indiretto rispetto a questi ultimi.
Si aggiunge che ciò è vero sia con riguardo alla P. sia con riferimento alla A. e, in quest'ultimo caso, anche alla luce dell'incidenza causale della imperizia del personale sanitario e del fatto che non era stato possibile acclarare se l' A. fosse stata investita in occasione della prima o della seconda ondata di panico.
5.3. Con il terzo motivo si lamenta, in via principale, inosservanza dell'art. 112 c.p., comma 1, n. 4.
Si osserva: a) che la contestazione della circostanza aggravante ha per oggetto l'essersi avvalso della collaborazione del minorenne e non il mero concorso con quest'ultimo, con la conseguenza che la circostanza avrebbe dovuto essere esclusa, in assenza di una attività di strumentalizzazione, ossia di vero e proprio assoggettamento del minore; b) che la rilevanza assegnata dalla norma alla mera partecipazione con soggetti minorenni si espone a dubbi di legittimità, per violazione dei principi di cui all'art. 3 Cost., art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., in quanto prevede una irragionevole equiparazione di situazioni diverse.
Alla luce di quest'ultima considerazione e della denunciata irragionevolezza di un identico trattamento sanzionatorio aggravato per ipotesi che esprimono un diverso disvalore, si censura anche la norma che, per effetto del combinato disposto dell'art. 112 c.p., comma 1, n. 4 e art. 69 c.p., impedisce il bilanciamento con le circostanze attenuanti in termini di prevalenza. In particolare, si sottolinea - e in tali termini si prospetta, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale - il contrasto della norma indicata: a) con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.); b) con il principio di offensività (art. 25 Cost., comma 2, anche alla luce del fatto che il divieto di prevalenza non opererebbe nel caso previsto dall'art. 112 c.p., comma 2, di concorso con minori non imputabili); c) con il principio di proporzionalità della pena (art. 27 Cost., comma 3).
6. Il ricorso proposto nell'interesse del B. e dell' E.S..
6.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo dei reati di cui ai capi di imputazione 3) e 4), sottolineando come, nel caso di specie, oltre ad essere rimasto indimostrato che i ricorrenti, commettendo le condotte descritte nei capi 1) e 2), abbiano potuto rappresentarsi psicologicamente, ossia prevedere, gli eventi di cui ai capi 3) e 4), si possa escludere che li abbiano positivamente voluti, sia pura nella forma del dolo eventuale.
Si aggiunge: a) che, anche sul piano eziologico, erano ravvisabili alcune circostanze che avevano svolto un ruolo così incisivo da assurgere a cause autonome nella determinazione dell'evento e che gli imputati non potevano certo conoscere, in ragione della loro mera presenza in piazza; b) che, infatti, in separato procedimento, erano emerse gravi carenze nella predisposizione delle misure di sicurezza da parte degli organizzatori dell'evento che sfuggivano alla conoscenza degli imputati e che si ponevano come cause e non come mere concause degli eventi lesivi; c) che tali profili confermavano la non attribuibilità, a livello psicologico, degli eventi agli imputati, anche alla luce dell'inconferenza degli episodi pregressi dei quali essi si erano resi autori, ma in circostanze completamente diverse.
6.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 4, da apprezzarsi anche alla luce dell'art. 59 c.p., comma 2. Anche in questo motivo si prospetta questione di legittimità costituzionale dell'art. 69 c.p., u.c., in termini sostanzialmente equivalenti a quelli dell'ultimo motivo del ricorso proposto nell'interesse del Be..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ricorso M..
1. Il primo motivo del ricorso e', nel suo complesso, infondato.
In particolare, le censure che investono la ricostruzione di quanto accaduto sono inammissibili.
Infatti, il percorso argomentativo sopra riassunto (v., i sottopunti del n. 2 del Ritenuto in fatto) e che ha condotto, nella sostanza, la Corte territoriale a ritenere che le manifestazioni di panico registratesi fossero riconducibili all'unica causa iniziale della diffusione dello spray da parte degli imputati, è sorretto da una puntuale analisi delle risultanze istruttorie e si confronta con le ipotesi alternative, assertivamente reiterate in questa sede.
Al riguardo, va ribadito (v., di recente, Sez. 5, n. 17568 del 22/03/2021, non massimata) che è estraneo all'ambito applicativo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per "brani" né fuori dal contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Così come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510). Pertanto, il vizio di motivazione deducibile in cassazione consente di verificare la conformità allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso dà la motivazione del provvedimento impugnato, fermo restando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167).
La Corte territoriale: a) ha illustrato le ragioni per le quali i rumori sviluppatisi dopo la fuga delle persone non possono, per evidenti ragioni logiche, essere indicativi di cause diverse da quella rappresentata dall'uso dello spray, che lo stesso M. ha descritto come impiegato dal B. proprio per alterare la situazione di prostrazione diffusasi nella piazza, per effetto dell'esito della partita, e generare il disordine necessario per agire indisturbati; b) ha spiegato che il crollo della ringhiera di protezione delle scale dell'accesso ad un parcheggio, oltre a non poter provocare le ondate di folla che si erano determinate, rappresentava un'ulteriore conseguenza dell'ondata di panico provocata dalla prima azione; c) che, rispetto alla soggettiva percezione di rumori registrati da alcuni testi, dovevano prevalere le obiettive risultanze tecniche ottenute con l'impiego di file audio-video di varia provenienza, oggetto di uno scrupoloso lavoro di sincronizzazione (con la conseguenza - può qui osservarsi - che del tutto assertive sono le spiegazioni per le quali altri rumori non sarebbero stati rilevati per fenomeni di diffrazione o per la distanza dal palco).
In siffatta cornice, il timore di attentati terroristici può avere amplificato l'effetto del panico, ma certo non elide l'autonoma rilevanza causale dell'azione scriteriata che ha generato il disordinato movimento di folla.
L'esistenza di altre bande di rapinatori - al di là della persistente genericità della deduzione in sé - non incrina la determinante considerazione sviluppata nella sentenza impugnata: ossia, che non è dato sapere - come, secondo la sentenza, lo stesso difensore del M. ha riconosciuto - dove si trovassero costoro e, pertanto, che influenza potrebbero avere avuto sul determinismo causale, laddove è certo che nel punto in cui la situazione di caos si è generata c'erano gli imputati, i quali, in concorso tra loro, avevano deciso di ricorrere all'uso dello spray.
Del pari assertiva è poi l'affermazione, secondo la quale l' A. sarebbe stata travolta nel corso della seconda ondata, laddove la contraria conclusione della Corte territoriale riposa: a) su quanto dichiarato nella querela dal marito della A. e da lui poi riferito ai figli, che l'hanno confermato (ossia che la coppia, dopo avere terminato di cenare in una pizzeria, si era spostata in una zona limitrofa a piazza (OMISSIS), estremamente affollata, per raggiungere il luogo dove era stata parcheggiata l'autovettura); b) sulla coerenza di tale descrizione con una situazione, quale rappresentata nei filmati, precedente al primo movimento, giacché dopo quest'ultimo si era registrata una corsa in massa della folla verso tutte le possibili vie di fuga, ossia un quadro fattuale che non sarebbe sfuggito al marito dell' A..
Ora, le superiori considerazioni dimostrano, quanto alla ricostruzione dell'accaduto, che non residua spazio alcuno, quanto al determinismo causale, per conclusioni diverse da quella raggiunte dalla Corte territoriale.
Infine, va ribadito che il dubbio ragionevole di cui all'art. 530 c.p.p., comma 1, deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. E' dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017 - dep. 03/04/2018, Troise, Rv. 272430), non potendo esso fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P. Rv. 281647 - 04). E nel caso di specie, neppure siffatta plausibilità, per le ragioni sopra ricordate, è dato riscontrare.
Quanto alle censure con le quali esordisce il primo motivo di ricorso, esse sono infondate, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Sez. 1, n. 36724 del 18/06/2015, Ferrito, Rv. 264534 - 0), secondo la quale sono cause sopravvenute, da sole sufficienti a determinare l'evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell'imputato, sicché non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l'evento in sinergia con la condotta dell'imputato, atteso che, venendo a mancare una delle due, l'evento non si sarebbe verificato (Sez. 5, n. 11954 del 26/01/2010, Palazzolo, Rv. 246549); è stato ancora ulteriormente precisato che le cause sopravvenute idonee a escludere il rapporto di causalità sono sia quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dall'agente, sia quelle che, pur inserite in un percorso causale ricollegato alla condotta (attiva od omissiva) dell'agente, si connotino per l'assoluta anomalia ed eccezionalità, sì da risultare imprevedibili in astratto e imprevedibili per l'agente (Sez. 4, n. 43168 del 21/06/2013, Frediani, Rv. 258085).
Ora, nel confrontarsi con il rilievo della Corte territoriale per la quale le condizioni organizzative nelle quali l'evento era destinato a svolgersi erano percepibili da chiunque (ossia anche dagli imputati, con la conseguenza che entravano nel fuoco delle situazioni obiettivamente apprezzabili), si deduce che il ricorrente non conosceva il piano di emergenza, le vie di fuga e, in genere, gli aspetti legati alla sicurezza.
La doglianza non coglie nel segno, tuttavia, nel senso che la considerazione della sentenza impugnata è piuttosto dedicata alla immediata percepibilità delle situazioni di criticità organizzativa (in ricorso si fa riferimento alla scelta del luogo, all'utilizzazione delle transenne, al non avere impedito la vendita di bevande in contenitori di vetro), la cui eccezionalità e', ancora una volta, solo assertivamente dedotta.
Incidentalmente, deve solo aggiungersi, con riguardo al decesso dell' A., che, secondo il fermo orientamento di questa Corte, in tema di omicidio preterintenzionale, le eventuali negligenze dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta di percosse o di lesioni personali posta in essere dall'agente e l'evento morte, non costituendo un fatto imprevedibile od uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale (Sez. 5, n. 39389 del 03/07/2012, Martena, Rv. 254320 - 01; più di recente, con riguardo all'omicidio doloso - ma il dato è irrilevante, posto che viene in questione il tema della eventuale interruzione del nesso causale -, v. la citata Sez. 1, n. 36724 del 18/06/2015, Ferrito). Si e', infatti, precisato che, ai fini dell'esclusione del nesso di causalità, occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale (sez. 5, n. 45241 del 19/10/2021, D'Onofrio, Rv. 282285; in senso conforme: Sez. 4 n. 41943 del 04/10/2006, Lestingi, Rv. 235537; Sez. 4, n. 41293 del 04/10/2007, Taborelli, Rv. 237838; Sez. 4, n. 9967 del 18/01/2010, Otelli, Rv. 246797; Sez. 5, n. 29075 del 23/05/2012, Barbagallo, Rv. 253316;).
2. Il secondo motivo e', del pari, nel suo complesso, infondato.
Il tema dell'elemento soggettivo del delitto di lesioni va affrontato nel contesto dell'ormai acquisita consapevolezza giurisprudenziale in forza della quale, per la configurabilità del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l'agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si è verificata nel caso concreto aderendo psicologicamente ad essa. A tal fine l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'iter e l'esito del processo decisionale, può fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalità e le pregresse esperienze dell'agente; c) la durata e la ripetizione dell'azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilità di verificazione dell'evento; g) le conseguenze negative anche per l'autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si è svolta l'azione nonché la possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento, secondo la cosiddetta prima formula di Frank (Sez. 4, n. 14663 del 08/03/2018, A., Rv. 273014 - 01, sulla scia di Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261105 - 01).
Ne', ai fini della configurabilità del dolo eventuale, la circostanza che l'agente non sia in possesso di specifiche competenze tecnico-scientifiche vale di per sé ad escludere la rappresentazione dell'evento e l'adesione psicologica allo stesso, dovendosi parametrare la personalità, la storia e le precedenti esperienze del soggetto attivo del reato - come, appunto, nel caso di specie, ha fatto la Corte territoriale - alle circostanze del caso di specie (in tal senso, di recente, Sez. 5, n. 27905 del 03/05/2021, Ciontoli e altri, Rv. 281817).
Ora, le critiche del ricorrente, quanto al diverso contesto nel quale si erano verificati i precedenti episodi di utilizzo dello spray, insistono nel non cogliere che il ragionamento della Corte territoriale non muove affatto dalla premessa della identità di situazione tra una condotta tenuta al chiuso e una tenuta all'aperto, ma valorizza la consapevolezza degli effetti dello spray - che, peraltro, si pongono quali calcolati risultati, voluti per creare una situazione di disordine nella quale agire indisturbati - in un'area affollatissima, caratterizzata proprio dalle criticità organizzative che egli stesso assume essere esistenti. Pertanto, nonostante la contraria, assertiva deduzione del ricorso, la situazione di rischio era, nel caso di piazza (OMISSIS), ben più elevata: e ciò senza che occorresse alcun previo sopralluogo per comprenderlo.
Il rilievo per il quale la previsione degli eventi avrebbe indotto il ricorrente e i correi a desistere dall'azione, alla luce delle possibili conseguenze negative per gli stessi agenti, esposti al rischio di essere travolti dalla folla, è clamorosamente smentito dal fatto - incontestato - che gli imputati, nonostante l'effetto panico che attraversò la piazza "poterono allontanarsi indisturbati dalla scena senza alcuna conseguenza negativa per loro ed anzi filmandosi sghignazzando per l'effetto ottenuto".
Il dato, in disparte ogni rilievo etico, dimostra la piena padronanza degli eventi da parte dei coimputati e smentisce in modo lampante la deduzione difensiva.
Non solo nel quadro ipotetico di un giudizio controfattuale, ma nella concreta realtà, nonostante il realizzarsi di una fuga di massa dalle imponenti conseguenze, sia sul piano quantitativo che su quello qualitativo, i coimputati non avvertirono alcun timore per la propria incolumità, mostrandosi persino divertiti: ciò che, si ripete, viene qui valorizzato per sottolineare l'assoluta infondatezza della censura mossa al percorso argomentativo dei giudici di merito.
3. Il terzo motivo è infondato.
Muovendosi in una prospettiva coerente con i valori costituzionali, questa Corte (Sez. 5, n. 5515 del 18/01/2019, Battimelli, non massimata) ha rilevato come l'incriminazione di cui all'art. 584 c.p. presenta caratteri distintivi che definiscono la configurazione dell'elemento soggettivo, al pari di quella dell'elemento oggettivo, avendo il legislatore inteso presidiare con una sanzione specifica e particolarmente severa quelle fattispecie che si caratterizzino per la commissione di atti di diretta aggressione all'integrità fisica del soggetto passivo: vale a dire per la commissione di condotte che, per loro intrinseca natura, esprimono più di ogni altra il pericolo che vengano innescati processi causali in grado di degenerare nell'uccisione di colui che le subisce (Sez. 5, n. 35015 del 03/05/2016, Baciu, Rv. 267549).
La soluzione si colloca nel solco dell'orientamento tradizionale di questa Corte, in forza del quale (v., ad es., Sez. 5, n. 51233 del 09/10/2019, S., Rv. 277960 01), ai fini dell'integrazione dell'omicidio preterintenzionale, è necessario che l'autore dell'aggressione abbia commesso atti diretti a percuotere o ledere e che esista un rapporto di causa ed effetto tra gli atti predetti e l'evento letale, senza necessità che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto dall'agente (Sez. 5, n. 41017 del 12/07/2012, S., Rv. 253744, n. 1008 del 1986 Rv. 174956). Il che, del resto, si accorda pienamente col tradizionale principio causa causae est causa causati che, pur temperato dal criterio di regolarità causale, è anch'esso riconosciuto applicabile dalla giurisprudenza (v. Sez. I, n. 654 del 18/04/1966, Nervetti, Rv. 102177). Siffatta impostazione ermeneutica rende anche ragione dell'ulteriore regula iuris, che è agevole trarre da altro precedente giurisprudenziale (Sez. 5, n. 3946/03 del 03/12/2003, Belquacem, Rv. 224903), secondo cui deve ritenersi realizzato il nesso causale quando la morte sia conseguenza di una specifica situazione di pericolo cagionata dalla condotta intenzionale del reo, volta a percuotere o ledere il soggetto passivo.
La medesima Sez. 5 n. 51233 del 09/10/2019, traendo da tale premessa le necessarie conseguenze quanto ai risvolti psicologici, aggiunge "come sia ormai superata, nella giurisprudenza di legittimità, la teoria per la quale in passato si riteneva che l'omicidio preterintenzionale fosse punibile a titolo di dolo misto a colpa. Si e', infatti, pervenuti, all'approdo interpretativo secondo cui l'elemento psicologico del reato in questione è costituito soltanto dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni; in tal senso si è espressa, invero, del tutto condivisibilmente, questa Corte nell'affermare la tesi secondo cui, in tema di omicidio preterintenzionale, l'elemento soggettivo è costituito, non già da dolo e responsabilità oggettiva né da dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato (Sez. 5, n. 13673 del 08/03/2006, Haile, Rv. 234552)".
Nello stesso senso si è espressa Sez. 5, n. 791 del 18/10/2012 - dep. 08/01/2013, Palazzolo, Rv. 254386 - 01, che ha approfondito il tema sul piano della compatibilità di siffatta conclusione con l'art. 27 Cost., in un consapevole confronto con le ampie riflessioni sviluppate, quanto alla responsabilità ex art. 586 c.p., da Sez. U, n. 22676 del 22/01/2009, Ronci Rv. 243381 - 01).
In altri termini, l'evento morte deve costituire il prodotto della specifica situazione di pericolo generata dal reo con la condotta intenzionale volta a ledere o percuotere una persona, con la conseguenza che se la morte della vittima è del tutto estranea all'area di rischio attivato con la condotta iniziale, intenzionalmente diretta a percuotere o provocare lesioni, ed e', invece, conseguenza di un comportamento successivo, l'evento mortale non può essere imputato a titolo preterintenzionale, ma deve essere punito a titolo di colpa, in quanto effetto di una serie causale diversa da quella avente origine dall'evento di percosse o lesioni dolose (Sez. 5, n. 5155 del 18/01/2019, Battimelli).
Ciò implica che la prevedibilità ex lege dell'evento morte rispetto alle lesioni deve essere verificata anche alla luce della collocazione del primo nell'area di rischio innescata dalla condotta lesiva: collocazione normalmente ravvisabile ma astrattamente suscettibile di essere messa in discussione in casi limite, che, peraltro, nel caso di specie, non ricorrono affatto.
A fronte di tale premessa si osserva, innanzi tutto, che le lesioni prodotte sono state attribuite ai ricorrenti a titolo di dolo eventuale.
Quest'ultimo è stato ricostruito, come si è osservato nell'esame del secondo motivo, non nei termini della semplice "accettazione del rischio", intesa come una generica situazione di rischio, ma come accettazione avente ad oggetto un evento definito e concreto che deve essere stato ponderato dall'autore del reato come costo "accettato" dell'azione realizzata per conseguire il fine perseguito.
Infatti, la sentenza impugnata, dopo l'attenta disamina dei fatti della quale s'e' detto, rileva che le lesioni ascritte al capo 4) sono addebitabili agli imputati come conseguenza prevedibile e voluta della loro condotta a titolo di dolo eventuale. Poco prima la medesima sentenza indugia sull'elemento soggettivo che ha sorretto l'azione diretta nei confronti di un novero indeterminato di persone.
Il fatto che non tutte le persone coinvolte sarebbero state rapinate è un dato irrilevante, dal momento che l'azione violenta nei confronti di coloro che erano stati individuati come bersaglio dell'azione predatoria era sì diretta a propiziare le condizioni per realizzare la rapina, ma, dal punto di vista qualificatorio (ossia quanto al profilo della violenza in sé considerata), assume, nei confronti della generalità, significato autonomo, irrilevanti restando invece quelli che, rispetto ai cd. terzi, finiscono per essere i motivi del delinquere.
Se si muove dalla considerazione che, rispetto ai cd. terzi (terzi rispetto alla programmata rapina, non rispetto alla condotta lesiva dell'integrità fisica), sussiste il dolo eventuale nei rigorosi termini sopra ricordati, il riferimento alla categoria dell'aberratio, come rilevato dal Procuratore Generale nel corso della discussione, è inappropriato.
Secondo quanto evidenziato anche dalla Corte d'assise d'appello con la sentenza impugnata, la ricostruzione in termini di dolo eventuale della componente soggettiva degli imputati rispetto alle lesioni sofferte da quanti rimasero coinvolti nella vicenda che si esamina, priva di fondamento la critica - reiterata in questa sede senza altri approfondimenti - della doppia estensione della responsabilità penale e della sua compatibilità con la qualificazione in termini di necessaria personalità, ai sensi dell'art. 27 Cost., comma 1.
In altri termini, viene meno, per effetto dell'inquadramento operato dai giudici di secondo grado, all'esito della dialettica processuale, il presupposto della lamentata solo indiretta incidenza, rispetto ai cd. terzi, della condotta degli agenti che invece dovrebbe essere considerata, secondo il ricorso, diretta esclusivamente nei confronti dei potenziali bersagli dell'azione predatoria.
La sentenza impugnata, dopo avere svolto siffatte considerazioni, richiama le conclusioni di questa Corte in sede cautelare (Sez. 5, n. 13192 del 11/12/2018 - dep. 26/03/2019, B., Rv. 275504 - 01), ma essenzialmente al fine di confermare l'applicabilità dell'art. 584 c.p. in luogo dell'art. 586 c.p..
In questa prospettiva, Sez. 5, n. 13192 del 2019, ha ricordato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il delitto previsto dall'art. 586 c.p., (morte come conseguenza di altro delitto) si differenzia dall'omicidio preterintenzionale perché, nel primo reato, l'attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre, nel secondo, l'attività è finalizzata a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe un reato di percosse o lesioni (Sez. 5, n. 23606 del 04/04/2018, Perrone, Rv. 273284-01).
In tale cornice, il precedente reso in sede cautelare, ha puntualizzato: a) che la rapina è un reato complesso plurioffensivo che offende non soltanto il patrimonio, ma anche l'incolumità individuale e presenta, come elemento costitutivo del reato, proprio la violenza alla persona; b) che allorquando viene commessa una rapina, che abbia come sviluppo non voluto la morte di una persona, viene senz'altro integrato il presupposto del delitto di cui all'art. 584 c.p., ponendosi l'evento morte in progressione criminosa con la violenza esercitata per impossessarsi del bene altrui, la quale, se assume la meno grave connotazione delle percosse, è assorbita nel reato complesso di rapina.
E, tuttavia - e qui si registra l'ulteriore approfondimento reso necessario, come si diceva, dalla dialettica processuale o se, si preferisce, il superamento della costruzione confermata sul punto da Sez. 5, n. 13192 del 2019 -, il carattere diretto dell'offesa rivolta ai potenziali destinatari della programmata azione predatoria, non rende "indiretta" l'aggressione sofferta dai soggetti estranei a quest'ultima.
Proprio la valorizzazione, sul piano logico-giuridico, ai fini della configurabilità dell'omicidio preterintenzionale del segmento dell'azione finalizzato a ledere l'integrità fisica delle potenziali vittime della rapina pone queste ultime, ai medesimi fini, sullo stesso piano di tutti gli altri soggetti destinatari, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, della identica condotta aggressiva dell'incolumità.
Detto altrimenti, l'offesa recata a costoro, alla stregua della ricostruzione dei fatti logicamente operata dai giudici di merito, non discende da un errore nell'uso nei mezzi di esecuzione (errore del quale non è traccia nella condotta degli imputati) o da altra causa (individuata in sede cautelare nella reazione di panico, che, tuttavia, non è giuridicamente una causa, ma va inclusa nel novero degli effetti dell'azione dolosa degli imputati), ma dalla adesione volontaria all'evento da parte degli imputati come costo "accettato" dell'azione realizzata per conseguire il fine perseguito.
D'altra parte, nel quadro di una ricostruzione che pone a carico degli imputati eventi lesivi accettati come conseguenza della concreta azione posta in essere, l'evento morte si colloca con assoluta sicurezza nell'area di rischio provocata.
In contrario, non rilevano né il tema del momento nel quale l' A. è stata travolta né quello della eventuale imperizia dei sanitari.
Le considerazioni sviluppate nell'esame del secondo motivo di ricorso danno conto, infatti, sia dell'inammissibilità delle censure che investono la ricostruzione dell'episodio sia del fatto che la condotta dei medici non altera la regolarità causale, finendo per giustificare il giudizio che colloca anche l'evento prodotto dal concorso della loro imperizia nell'area del rischio provocato.
4. Il quarto motivo è infondato.
In primo luogo, si osserva che la scelta del legislatore è priva di margini di equivocità e si è accompagnata, a tutela degli interessi dei minori a non essere coinvolti in azioni illecite da parte di maggiorenni, ad un progressivo ampliamento dell'area di operatività della circostanza aggravante di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 4, che inizialmente sanzionava soltanto la condotta di chi, fuori dei casi di cui all'art. 111 c.p., avesse determinato a commettere il reato un minore degli anni diciotto, per poi estendersi anche a chi si fosse avvalso di un minore per commettere un delitto per il quale sia previsto l'arresto in flagranza (ciò per effetto del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 11, conv. con modif. con L. 12 luglio 1991, n. 203), per giungere, infine, alla formulazione attuale che include anche chi abbia semplicemente partecipato col minore alla commissione di un delitto per il quale è previsto l'arresto in flagranza (della L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 15, lett. a).
La lamentata assenza di capacità selettiva della norma è priva di fondamento, posto che, mentre la determinazione del minore concerne qualunque reato, la previsione dell'aggravamento, per chi si sia avvalso o abbia semplicemente partecipato con il minore, riguarda i soli delitti per i quali sia previsto l'arresto in flagranza.
Si è coerentemente ritenuto che l'accertamento della sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 4, nei confronti del maggiorenne prescinde dalla verifica circa la capacità del minore di resistere alle azioni suggestive altrui, atteso che la ratio della predetta aggravante è soltanto quella di inasprire il trattamento sanzionatorio nei confronti del maggiorenne che commetta, in concorso con minori, reati per i quali è previsto l'arresto in flagranza. (Sez. 2, n. 27975 del 01/03/2017, P., Rv. 270173 - 01).
Il fatto che la carriera criminale degli imputati possa essere iniziata, con il minorenne coinvolto nella presente vicenda, quando erano tutti minorenni, è un dato contingente che non rende irragionevole la scelta legislativa di sanzionare in termini più afflittivi il maggiore disvalore che discende da condotte che hanno visto agire soggetti ormai maggiorenni con lo stesso minorenne.
In secondo luogo, quanto al divieto di prevalenza di cui all'art. 69 c.p., comma 4, va rilevato, innanzi tutto, che non è dato cogliere alcuna irragionevolezza nella comparazione con l'art. 163 c.p., comma 3, che mira ad assicurare, ad altri fini, una disciplina di favore, in tema di sospensione condizionale della pena, per l'infraventunenne (ma anche per l'ultrasettantenne: il che conferma che la ratio è più complessa di quella prospettata in ricorso e mira piuttosto a circoscrivere l'area di esecuzione della pena, in caso di prognosi favorevole), ma non intende certo ridurre gli spazi di tutela affidati all'aggravamento sanzionatorio per chi abbia comunque coinvolto minori in illeciti variamente qualificati.
Si tratta, in altri termini, di una disciplina che amplia le possibilità di tutela dell'infraventunenne coinvolto nell'illecito e, quindi, si pone coerentemente nella scia degli interventi che, come l'art. 69 c.p., comma 4, aspirano a tutelare, secondo varie direzioni di rilevanza, alcune categorie di soggetti per ragioni d'età.
Ricorso B..
5. Il primo motivo è infondato.
Poiché le considerazioni sviluppate pongono, pur con diversità di accenti, le medesime questioni affrontate, quanto alle lesioni di cui al capo n. 4, supra sub 2 del Considerato in diritto, è sufficiente far rinvio a quest'ultimo punto della motivazione.
6. Il secondo motivo è infondato per le medesime ragioni indicate supra sub 3 del Considerato in diritto.
7. Il terzo motivo è infondato.
Va premesso che nell'atto di appello, il ricorrente ha ben inteso che la circostanza aggravante è stata ritenuta per avere concorso con il minore (al punto che, proprio su siffatta premessa, riposava la tesi di considerare il rinvio operato dall'art. 69 c.p., comma 4, come statico, ossia come riferentesi al testo anteriore a quello introdotto dalla L. n. 94 del 2009, art. 15, comma 1, lett. a: ciò che avrebbe consentito un più favorevole giudizio di bilanciamento).
Ora, i dubbi di legittimità della circostanza aggravante anche per il caso di mero concorso sono stati ritenuti manifestamente infondati supra sub 4 del Considerato in diritto.
Gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sviluppati in ricorso sono, del pari, manifestamente infondati.
Corte Cost. 17/04/2019 n. 88 ha, infatti, puntualizzato che anche in passato è stata ritenuta la legittimità, in generale, della tecnica legislativa del divieto di prevalenza o equivalenza delle circostanze attenuanti su specifiche circostanze aggravanti in ragione di speciali esigenze di contrasto di condotte particolarmente lesive dell'integrità delle persone (sentenze n. 194 e n. 38 del 1985). E' vero, in altri termini, che il giudizio di bilanciamento delle circostanze consente al giudice di apprezzare meglio lo specifico disvalore della condotta penalmente sanzionata. Ma quando ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale e personalissimo alla vita e all'integrità fisica, ben può il legislatore dare un diverso ordine al gioco delle circostanze richiedendo che vada calcolato prima l'aggravamento di pena di particolari circostanze. Come già evidenziato dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 251 del 2012), "(d)eroghe al bilanciamento (...) sono possibili e rientrano nell'ambito delle scelte del legislatore" e sono sindacabili dalla Corte costituzionale "soltanto ove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio" (sentenza n. 68 del 2012).
Nella specie, esiste un interesse cruciale che investe il diritto fondamentale dei minori di non essere in alcun modo coinvolti nella spirale dell'illecito.
Ne' si realizza una violazione del principio di ragionevolezza, alla luce del fatto che il divieto di prevalenza non opererebbe nel caso di concorso con minori non imputabili - previsto dall'art. 112 c.p., comma 2 e punito con un aumento sanzionatorio maggiore (aumento sino alla metà, rispetto all'ordinario aumento sino ad un terzo, ex art. 64 c.p., nei casi di cui all'art. 112 c.p., comma 1, n. 4, - giacché la giustificazione del bilanciamento completo per l'aggravante suscettibile di punizione più severa risiede proprio nella necessità, a fronte dell'inasprimento sanzionatorio particolarmente intenso, di restituire flessibilità applicativa al giudice.
Ricorso B. ed E.S..
8. Il primo motivo è infondato per le medesime considerazioni sviluppate ai punti 1, 2 e 3 del Considerato in diritto
9. La doglianza sviluppata nel secondo motivo è infondata per le stesse ragioni indicate al punto 7 del Considerato in diritto.
10. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2022