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Lesioni personali: se commesse durante una partita di calcetto, sussistono i futili motivi


Corte di Cassazione

La massima

L'accertamento della circostanza aggravante dei futili motivi, dovendo svolgersi con metodo bifasico, richiede la duplice verifica del dato oggettivo, costituito dalla sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato e del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale. (Fattispecie relativa alle lesioni aggravate procurate alla vittima con un pugno, a seguito della spinta che l'agente asseriva di aver ricevuto nel contesto di una partita amatoriale di calcetto - Cassazione penale , sez. V , 27/06/2019 , n. 45138).

Fonte: Ced Cassazione Penale


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La sentenza

Cassazione penale , sez. V , 27/06/2019 , n. 45138

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza impugnata, ha confermato la condanna emessa dal Tribunale in sede, in data 18 marzo 2013, nei confronti di V.G., con la quale è stata irrogata al predetto la pena di mesi tre di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, liquidato in Euro mille, per il reato di cui agli artt. 582,583 e 577 c.p. e art. 61 c.p., comma 1, n. 1, per aver cagionato alla parte lesa una lesione personale giudicata guaribile in giorni venti, nel corso di una partita di calcetto a cinque, nell'ambito del torneo denominato (OMISSIS).


2. Avverso l'indicata sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l'imputato deducendo, nei motivi di seguito riassunti, tre vizi.


2.1. Con il primo motivo si deduce illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale, in relazione all'art. 59 c.p..


Si sostiene che, essendo intervenuta la testata, da parte del V., ai danni di altro giocatore, dopo aver commesso un fallo di gioco ed essendo scaturito un parapiglia, durante il quale altro avversario lo aveva avvicinato con toni minacciosi, la condotta tenuta ai danni del R. sarebbe stata mera reazione. Anche la parte lesa era intervenuta alzandosi dalla panchina, spintonando l'imputato, fino a che questi non lo aveva colpito con un pugno.


Di qui la richiesta, contenuta nell'atto di appello, di applicazione della legittima difesa, alla quale la Corte aveva risposto con la motivazione censurata. Deduce il ricorrente, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di appello, che la situazione di pericolo (la sfida) cui aveva dato corso l'imputato non era rivolta verso la parte lesa, ma verso altro giocatore; dunque a tale situazione di pericolo il R. (parte lesa) era del tutto estraneo intervenendo dalla panchina.


Per altro verso si reputa ricorrere la legittima difesa putativa essendo l'imputato convinto di trovarsi in una situazione di pericolo, indagine non affrontata dalla Corte di appello, in relazione alla quale è irrilevante la volontarietà del pericolo cagionato.


2.2. Con il secondo motivo si denuncia illogicità della motivazione e violazione di legge, quanto al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione.


La Corte di appello ha escluso la circostanza attenuante rilevando che la condotta di reazione non è stata proporzionata, senza soffermarsi sul carattere macroscopico della sproporzione, come ritenuto necessario da parte della giurisprudenza di questa Corte di legittimità. Peraltro la sproporzione viene valutata tra una spinta ed una testata mai avvenuta, trattandosi, nella specie, di un pugno sferrato dall'imputato ai danni della parte lesa.


2.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'art. 61 c.p., comma 1, n. 1 aggravante della quale si era chiesta l'esclusione.


Il precedente richiamato attiene a reato commesso per questioni di tifo calcistico, con motivazione illogica posto che, nella specie, si tratta di azione motivata dalla spinta della parte lesa, confondendo la causa con il contesto in cui è avvenuta l'azione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile.


2.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.


La censura non si confronta con il rilievo, risultante dalle sentenze di merito, secondo il quale era stato proprio l'odierno imputato, prima di essere avvicinato dalla parte lesa, a colpire con una testata un giocatore avversario, della stessa squadra del R., odierna parte lesa. Soltanto a seguito di tale comportamento il predetto, alzatosi dalla propria panchina, aveva spintonato l'imputato, secondo la ricostruzione che si ricava dai provvedimenti di merito.


Corretta, dunque, appare l'esclusione dell'invocata legittima difesa, anche putativa. Non sussiste, infatti, alla stregua della stessa prospettazione del ricorrente la causa di giustificazione della legittima difesa, avendo lo stesso ricorrente ricondotto la propria azione reattiva ad una spinta ricevuta dal R., ponendo il fatto nell'ambito degli atti ritorsivi (Sez. 1, n. 52617 del 14/11/2017, Pileggi, Rv. 271605, N. 3200 del 2000, Rv. 215513).


Del resto l'accertamento relativo all'invocata scriminante, anche in forma putativa, deve essere effettuato con un giudizio ex ante calato all'interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre le modalità del singolo episodio in sè considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all'azione che possano aver avuto concreta incidenza sull'insorgenza del convincimento di dover difendere sè o altri da un'ingiusta aggressione (Sez. 4, n. 24084 del 28/02/2018, Perrone, Rv. 273401, N. 4456 del 2000 Rv. 215808, n. 13370 del 2013, Rv. 255268, n. 33591 del 2016, Rv. 267473).


Le conformi sentenze di merito hanno ricostruito i segmenti dell'azione, valorizzando, comunque, l'originaria condotta illecita del ricorrente, con la quale questi si era posto, volontariamente in una situazione di pericolo, nonchè la successiva minaccia ricevuta dalla parte lesa, condotta rispetto alla quale la sproporzionata reazione dell'imputato, nel complesso considerata, non si connota dei requisiti della necessità difensiva, nemmeno putativa. La causa di giustificazione della legittima difesa è, invero, configurabile solo qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica o intervenga a tutela dell'integrità di persona che versi in una condizione tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all'offesa mediante aggressione (Sez. 1, n. 51262 del 13/06/2017, Cali, Rv. 272080; n. 5697 del 2003, Rv. 223441, n. 45407 del 2004, Rv. 230392, n. 45425 del 2005 Rv. 233352) mentre siffatta condizione cogente e non altrimenti ovviabile non risulta neppure dalla stessa prospettazione del ricorrente, reputatosi mero destinatario di uno spintonamento, non potendosi, pertanto, ragionevolmente ritenere che la condotta sia stata sorretta dall'erronea rappresentazione dell'esigenza difensiva, con conseguente esclusione della scriminante, anche in forma putativa.


2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.


La Corte di appello ha escluso la circostanza attenuante rilevando che la condotta di reazione non è stata proporzionata, così aderendo alla giurisprudenza di questa Corte che esclude la invocata attenuante, nel caso di sproporzione tra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso, talmente grave da escludere o lo stato di ira o il nesso causale tra il fatto ingiusto e l'ira (Sez. 5, n. 604 del 24/11/2013, dep. 2014, D'Ambrogi, Rv. 258678). Tra l'altro la rilevata erronea valutazione tra una spinta ed una testata mai avvenuta, viene diversamente operata dalla Corte territoriale, quando attribuisce rilievo alla preventiva testata dello stesso ricorrente, all'indirizzo di giocatore della squadra avversaria dello stesso R., condotta descritta soltanto quale momento genetico della complessiva azione lesiva.


2.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.


La lettura congiunta dei provvedimenti di merito consente di rilevare come sia stato lo stesso imputato, anche dopo il pugno sferrato all'indirizzo della parte lesa, a perseverare nella condotta illecita mediante minacce di morte rivolte all'indirizzo del R.. Inoltre questi ha dato origine alla successiva azione lesiva, quando, al richiamo ricevuto da giocatori avversari per una serie di azioni fallose e per il suo atteggiamento aggressivo tenuto in campo, aveva risposto con una testata in bocca ad uno degli avversari che lo aveva richiamato, compagno di squadra del R..


Tanto a conferma della circostanza che la condotta posta in essere, peraltro nel corso di una partita di calcio amatoriale, si è sostanziata in un'inutile violenza criminale, tale da reputare corretta la ritenuta fattispecie aggravata.


Sul punto la pronuncia di merito fa, infatti, buon governo dei principi di diritto affermati da questa Corte di legittimità in relazione all'aggravante dei futili motivi. Secondo un primo indirizzo, la sproporzione andrebbe rapportata al parametro costituito dal comune sentire, cioè ad una condivisa percezione della distanza tra reato realizzato e motivo che lo ha determinato, nel senso che il motivo è futile quando esso possa essere ricondotto a qualsiasi causale così lieve, banale e sproporzionata rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa (Sez. 5, n. 38377 del 1/02/2017, Plazio, Rv. 271115; Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, Barnaba, Rv. 260360; Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, Mele, Rv. 248832; Sez. 1, n. 59 del 1/10/2013, dep. 2014, Femia, Rv. 258598). A tale impostazione, che collega la sussistenza dell'aggravante ad un incerto parametro di comparazione, di tipo soggettivo, si affianca altro giudizio sulla proporzionalità della condotta criminosa, rispetto al motivo che l'ha determinata, ancorato ad un parametro di tipo oggettivo, individuato nelle norme costituzionali e dalla gerarchia che esse, dal punto di vista del valore attribuito agli interessi in gioco, definiscono.


Si è, però, notato che tale percorso interpretativo presenta il limite di individuare la futilità del motivo ogni volta che è commesso un grave reato contro la persona. Sicchè si è prospettata la necessità che l'accertamento della futilità del motivo si realizzi secondo una scansione bifasica (Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, Rv. 273119). A fronte della rilevata sproporzione tra reato e ragione soggettiva che lo ha determinato, deve essere svolto altro giudizio, per verificare se essa abbia o meno connotato, in maniera particolarmente significativa e pregnante, l'atteggiamento dell'agente rispetto al reato, giustificando un giudizio di maggiore riprovevolezza e di più accentuata pericolosità nei suoi confronti.


Quindi, oltre al dato oggettivo della sproporzione, tra la ragione soggettiva che ha determinato la condotta criminosa e il reato, concretamente realizzato, occorre verificare la sussistenza del dato soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare la sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, che si traduca in mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale, del tutto avulso da uno scopo che non sia la mera commissione del reato.


Alcuna prospettazione, nel motivo di ricorso, va nella direzione indicata dalla Corte di legittimità con il ragionamento qui riportato, limitandosi la censura a segnalare che l'azione sarebbe stata mera reazione alla spinta ricevuta dalla parte lesa, senza soffermarsi sulla sproporzione, nonchè senza approfondire il dato soggettivo, utile a connotare la sproporzione quale espressione di un mero pretesto, per lo sfogo di un banale impulso criminale.


3. Il ricorrente, per quanto sin qui esposto, va condannato al pagamento delle spese del procedimento nonchè, non ricorrendo ipotesi di esonero (cfr. Corte Cost. n. del 13 giugno 2000), al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro duemila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.


Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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