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Minaccia e lesioni: condanna a 1 anno di reclusione (Tribunale di Cassino - Giudice Monocratico dott. Claudio Principe)


Reato di minaccia (art. 612 c.p.)

Proponiamo una sentenza di merito, pronunciata dal Tribunale di Cassino, con la quale l'imputato è stato condannato per i reati di minaccia e lesioni personali.


Tribunale Cassino, 13/10/2022, (ud. 18/07/2022, dep. 13/10/2022), n.1243

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con decreto di citazione diretta a giudizio ritualmente notificato, Gr.Al. veniva citato a comparire dinanzi al Tribunale di Cassino, all'udienza del 28 giugno 2018, per rispondere dei reati come ascritti in rubrica. In data 12 settembre 2018 veniva ammessa la costituzione di parte civile di Di.As. e Gr.Sa., per il tramite del procuratore speciale, avv. Al.Ge. e quindi ammesse le prove come richieste dalle parti, procedendosi altresì all'escussione delle due persone offese ed alla correzione dell'errore materiale relativo alla data di commissione dei reati, da intendersi quella del 25 agosto e non già, come indicato in citazione, quella del 26 agosto 2016. All'udienza del 12 dicembre 2018 veniva sentito Mu.Gi., in servizio, all'epoca dei fatti, presso i Carabinieri di Arpino, al pari di Bu.Ge., udito il 27 marzo 2019. In tale udienza si procedeva altresì all'esame dell'imputato e del teste a discarico Gr.Ma., mentre il 17 febbraio 2020 venivano sentiti Pe.Vi., Gr.Fr. e Gr.An., ultimi testi della lista della difesa. All'udienza del 10 gennaio 2022 veniva ascoltato, alla presenza delle parti, un ed contenente la registrazione di una telefonata proveniente dall'utenza telefonica n. (...) in uso alla Gr.Sa. e rivolta ai Carabinieri in data 25 agosto 2016, alle ore 15.01. Da ultimo, all'udienza del 18 luglio 2022, dichiarata chiusa l'istruttoria, le parti rassegnavano le conclusioni riportate in epigrafe ed il Giudice emetteva la presente sentenza.

L'istruttoria espletata, consistita nell'escussione dei testi in questione, in uno con le produzioni documentali di cui appresso, consente di ritenere pienamente raggiunta la prova della penale responsabilità dell'imputato avuto riguardo a tutte le imputazioni come al medesimo ascritte.

Di.As. ha riferito in dibattimento che il 25 agosto del 2016, la figlia Gr.Sa. si era recata a far visita al padre (distante poche decine di metri dall'abitazione ove ella conviveva con la madre, con la quale era in corso una separazione legale), al fine di chiedergli un aiuto economico per la sua prossima iscrizione all'Università. Senonché la predetta Gr. dopo qualche minuto aveva fatto ritorno presso la sua abitazione, sconvolta ed in lacrime, rappresentando alla madre che il padre non solo le aveva negato l'aiuto che ella richiedeva, ma che l'aveva anche pesantemente insultata. A quel punto, "un po' arrabbiata", aveva deciso di chiedere conto di quanto accaduto all'imputato, il quale, non appena se la trovò di fronte, si era "alzato d'impeto", cominciando, alla presenza dei figli, a darle "ceffoni...schiaffi, pugni, calci...mi ha trascinato per il corridoio, mi ha portato in cucina, mi ha buttato per terra e poi, siccome non era soddisfatto, mi ha spaccato una sedia in testa". Il figlio, Gr.Al., "quando ha visto che il papà mi stava ad uccide, l'ha tenuto per farlo fermare". Era allora riuscita in qualche modo a "sgattaiolare per terra...e ad uscire fuori", per sottrarsi alla furia dell'uomo, il quale aveva anche scaraventato all'esterno, "con un calcio", la figlia Sa., di talché costei, inciampando "in un gradino di cemento", si era anche "spezzata la punta del piede". Le due donne si erano allora allontanate e l'imputato aveva anche raccolto da terra "un vaso all'incirca di una decina di chili...di plastica, pieno di terra coi fiori" e lo aveva scagliato nella loro direzione, senza colpirle, finanche profferendo verso la coniuge le parole "ti voglio uccidere., facciamola finita...non ho niente da perdere". Anche in passato si erano verificati, più volte, episodi simili, avendo l'intero nucleo familiare dell'imputato dovuto subire, nel corso del tempo, reiterati atti di vessazione, soprusi e violenze da parte dell'imputato, per i quali, in qualche occasione, si era reso necessario il ricorso alle loro cure ospedaliere. La Di. ha per l'appunto riferito che "avevamo tutti il terrore...quando sentivamo che saliva le scale, chi si nascondeva da una parte, chi si nascondeva dall'altra, era diventato un incubo...non potevo parlare, se mi ribellavo, mi menava". Aveva peraltro sporto alcune denunce nei confronti dell'uomo, salvo poi "ritirarle" per timore di eventuali ritorsioni.

Gr.Sa., ha aggiunto che quel giorno il padre, che "puzzava di alcol", di fronte alla sua richiesta di contribuzione economica per i suoi studi, l'aveva aggredita ed insultata e la madre, che si era per l'appunto anch'ella recata presso la sua abitazione per capire cosa fosse in precedenza accaduto, era stata presa a calci dall'imputato; la donna "stava accovacciata...allungata per terra...e poi ha preso una sedia, l'ha alzata e gliel'ha data in testa". Il fratello An. era intervenuto in suo aiuto, ma l'uomo aveva continuato ad infierire anche nei confronti della figlia, prendendola per un braccio, dandole un calcio e spingendola fuori casa, in guisa tale da farla inciampare su alcuni gradini. Ha poi confermato l'episodio del vaso lanciatogli contro, in uno con le minacce profferite nei confronti della madre, riferendo anch'ella delle pregresse condotte violente del padre, il quale "beveva...e aggrediva, a volte fisicamente, a volte verbalmente", tutti i suoi familiari.

Il Mu., al pari dell'altro verbalizzante, il Bu., ha riferito che in occasione dei fatti per cui si procede, i Carabinieri erano stati allertati dalla centrale Operativa "che tale Gr.Sa. era stata aggredita dal padre". Intervenuti sul posto ed avuta la presenza della Di. e dei figli che "stavano agitati", costoro riferivano loro quanto poco prima accaduto; si erano poi recati anche presso l'abitazione dell'imputato, il quale affermava di aver effettivamente avuto "una discussione" con la moglie "per motivi di soldi". Non ricordava tuttavia se nell'occorso aveva potuto riscontrare se le persone offese avessero subito, o meno, lesioni.

L'imputato ha dichiarato che la figlia, in quell'occasione, gli aveva chiesto "dei soldi per l'iscrizione all'università", che tuttavia le aveva detto di non avere, in quanto non ancora "disponibili". Sopraggiunta la moglie, costei gli aveva allora "cominciato a tirare tutti quei vassoi che ci stanno sopra ed tavolo"; era nata allora una "colluttazione", a seguito della quale l'aveva afferrata "per un braccio...stava sfondando tutto", per portarla all'esterno della sua abitazione, sferrando anche, per la rabbia, un calcio ad un vaso che si trovava "fuori la porta". Negava di aver mai minacciato chicchessia, perché non ve ne era alcun motivo, di non aver comunque mai versato alla figlia le somme che era tenuto a corrisponderle, né di averla mai colpita in quell'occasione, sebbene la stessa "mi voleva rompere la macchina, perché non le davo i soldi". In passato vi erano state alcune "discussioni" con la propria famiglia, "ma non delle liti violente così" e comunque "lesioni non mi sono mai permesso di crearle".

La Gr.Ma., sorella dell'imputato, ha dichiarato che quel giorno si trovava "al piano di sopra" e di aver visto la nipote Sa. "che è uscita gridando", sebbene tutto ciò che successivamente avvenne all'interno dell'abitazione non l'aveva né visto né sentito, al di là di "questo trambusto, sbattere, parlare forte, urla..." anche perché "ci avevo pure paura" e non intendeva dunque intromettersi. Era tuttavia al corrente che in passato vi erano state "delle discussioni familiari, ma non cose di violenze", sebbene le era stato riferito dai "ragazzi" e dalla stessa cognata che questi erano stati costretti, in qualche occasione, a recarsi in Pronto Soccorso a seguito delle aggressioni subite da parte dell'imputato.

La Pe.Vi., madre dell'imputato, non è stata in grado di riferire alcunché su quanto accaduto, posto che quel giorno non era in casa e comunque "di quello che facevano loro io non so niente".

Gr.Fr. ha riferito che in occasione di quei fatti si trovava in casa insieme al padre e che la madre, non appena entrata, aveva iniziato ad insultarlo, lanciandogli contro anche "2 scodelle". L'uomo, a quel punto, si era "arrabbiato" e l'aveva "presa con violenza" trascinandola fuori, afferrandola per un braccio e provocandone la caduta in terra, senza tuttavia colpirla in alcun modo, né tanto meno minacciarla. Quanto alla sorella Sa., posto che costei "era appoggiata alla porta", quando il padre aveva "spinto mamma, mamma ha sbattuto Sa. e Sa. è inciampata", sbattendo "il pollice al gradino di cemento". Il fratello An. era intervenuto in difesa della madre, cercando di fermare l'imputato, con il quale, in passato, vi erano state si alcune "discussioni", ma mai episodi di violenza da questi posti in essere nei loro confronti.

Gr.An. ha confermato che il padre, in quel contesto, aveva cacciato "fuori violentemente" la madre, "strattonandola, spingendola", al pari della sorella Sa. e le lesioni da costoro riportate erano presumibilmente da ricondursi al "trambusto generale". Aveva tentato di separare i due, "perché stavano litigando, urlavano a vicenda"; il padre, "abbastanza arrabbiato", aveva "tirato un calcio ad un vaso". Non aveva mai assistito, in passato, ad episodi particolarmente violenti, né ricordava di essere mai stato accompagnato in Pronto Soccorso a seguito di condotte aggressive del padre, al quale, ad ogni buon conto, talvolta "piace bere qualche bicchiere di vino".

Sono stati acquisiti in atti: l'omologa della separazione consensuale dei coniugi, pronunciata in data 9 novembre 2016 dal Tribunale di Cassino, relativa all'accordo come tra loro intervenuto in data 4 ottobre 2016, nel quale, tra l'altro, era stato previsto che l'imputato avrebbe dovuto corrispondere alla figlia Sa., per i suoi studi universitari, la somma di Euro 9.000,00, di cui alla polizza contratta in suo favore, che tuttavia, come da stesse ammissioni dell'imputato, non le è mai stata versata; i referti del Pronto Soccorso di Sora del 25 agosto 2016 relativi alle due persone offese (e successiva documentazione medica riferibile alla Di.), attestanti l'esistenza di "contusioni multiple") pregressi referti dai quali si evince, in data 29 maggio 2001, la "perforazione della membrana timpanica" della Di., nonché, in data 6 aprile 2008, un "trauma da schiacciamento" delle dita della mano destra del Gr.Fr. e "contusioni escoriate multiple" del Gr.An. e della Di.As., la quale, in quel contesto, ebbe a riferire che i figli erano stati percossi dal padre e che "tali episodi si ripetono spesso"; il decreto che dispone il giudizio per i reati di cui agli artt. 572 e 570 c.p., come ascritti al Gr., commessi nell'arco temporale decorrente dal 2008 fino all'epoca della separazione.

Ciò posto, premesso, come è noto, che la valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità intrinseca del suo racconto deve essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi altro testimone, trattandosi, come nel caso che qui ci occupa, di soggetti non neutri di fronte alla vicenda penale, può dunque ritenersi pacificamente provata la penale responsabilità dell'imputato relativamente alle imputazioni ascrittegli, in considerazione del fatto che non solo le testimonianze di entrambe le persone offese sono apparse lineari, logiche e coerenti, ma hanno finanche trovato un inconfutabile ed inequivoco supporto, costituito, nel caso di specie, dalle risultanze delle certificazioni sanitarie in atti, dalla telefonata proveniente da una utenza riconducibile alla Gr.Sa., con la quale la stessa, sconvolta ed in lacrime, richiedeva l'intervento dei Carabinieri per quanto appena accaduto in data 25 agosto 2016, dall'ulteriore nota dei Carabinieri di Arpino del 13 luglio 2018 (contenuta nel ed acquisito in atti), nella quale si dà atto che costei, il 1 dicembre 2015, aveva parimenti riferito, sempre a seguito di una telefonata, che il padre "era ubriaco e stava picchiando la madre", nonché, ad colorandum, dall'esistenza di un procedimento penale a carico dell'imputato per il reato di maltrattamenti in danno dell'intero nucleo familiare.

I fatti, come ricostruiti in sede dibattimentale, appaiono pertanto chiari: il Gr., in occasione dei fatti per cui è processo, ha dapprima pesantemente insultato la figlia Sa. che gli aveva semplicemente richiesto un aiuto economico per i suoi studi universitari; e quindi la coniuge, la quale, pur evidentemente contrariata per quanto poco prima accaduto, è stata vittima di una violenta aggressione, fisica e verbale, anche con l'uso di una sedia.

Ne consegue che non può dunque in alcun modo dubitarsi, con riferimento al reato di cui all'art. 582 c.p., che la condotta criminosa dell'imputato, anche sotto un profilo strettamente doloso ed avuto riguardo al delitto di lesioni aggravate contestato, nelle modalità puntualmente descritte, è risultata senza dubbio alcuno finalizzata ad offendere l'integrità fisica della coniuge e della figlia Sa., entrambe vittime di una condotta sopraffattiva peraltro reiterata nel tempo. Del resto le dichiarazioni come rese in giudizio dal Gr. non sono tali da scalfire in alcun modo il granitico quadro probatorio nei suoi confronti, risolvendosi in affermazioni evidentemente generiche ed in parte inverosimili e comunque non idonee, alla luce della palese inequivocità del compendio come acquisito, ad offrire interpretazioni dei fatti alternative e parimenti degne di fede.

I figli Fr. ed An., per altro verso, hanno tentato, invano, di fornire una concordata ricostruzione dei fatti in modo evidentemente edulcorato, al fine di attenuare le evidenti responsabilità del padre, sebbene abbiano entrambi posto l'accento sull'atteggiamento furioso e violento di costui in occasione dell'accaduto e non risultando gli stessi evidentemente credibili (anche alla luce della documentazione medica prodotta), in punto di reiterati maltrattamenti, fisici e psicologici, ai quali vennero sottoposti nel corso della convivenza familiare.

Parimenti, con riferimento al reato di cui all'art. 612 c.p., anch'esso correttamente contestato nella sua forma aggravata, è appena il caso di sottolineare che la gravità della minaccia deve essere accertata anche con riferimento al contesto nel quale essa si colloca (in tal caso chiaramente pervaso da violenza ed aggressività), al fine di verificare se ed in qual grado quelle espressioni (comunque serie e verosimili), possano aver ingenerato un particolare timore o un serio turbamento nelle persone offese, la qual cosa risulta ad ogni buon conto, nel caso di specie ed ogni circostanza globalmente considerata, positivamente ed inequivocabilmente accertata.

Appare altresì evidente la sussistenza, nel caso che qui ci occupa, del medesimo disegno criminoso, laddove l'imputato ha certamente previsto e deliberato in origine ed in via generale l'"iter" criminoso da percorrere ed i singoli reati attraverso i quali attuarlo, che nella loro oggettività appaiono giuridicamente compatibili.

Stimasi pertanto equo e conforme a giustizia, previa concessione di circostanze attenuanti generiche (al solo fine di meglio adeguare la pena ai fatti commessi), da dichiararsi equivalenti alle contestate aggravanti, irrogare la pena finale di anni uno di reclusione (pena base per il reato più grave ex art. 582 c.p., mesi nove di reclusione, aumentata ex art. 81 c.p., di mesi tre per la fattispecie residua). Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

Nulla peraltro osta alla concessione del beneficio ex art. 163 c.p., potendosi ragionevolmente presumere che l'imputato si asterrà, per il futuro, dalla commissione di ulteriori reati, anche in considerazione del presumibile effetto deterrente costituito dalla presente condanna.

Per tutto quanto sin qui evidenziato, deve infine trovare accoglimento la domanda proposta dalle parti civili costituite Di.As. e Gr.Sa. volta al risarcimento dei danni, che saranno opportunamente liquidati nella competente sede civile. Va poi accolta la richiesta di condanna dell'imputato al pagamento di una provvisionale, immediatamente esecutiva, che si reputa equo quantificare in Euro 3.000,00, per ciascuna delle partì chili, nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova. Quanto alle spese sostenute per il giudizio, posto che la parte civile costituita è stata ammessa al beneficio del gratuito patrocinio, se ne deve disporre, ai sensi dell'art. 110, III comma, D.P.R. 115/2002, il versamento, da parte dell'imputato e nella complessiva misura di Euro 2.000,00, oltre accessori di legge, in favore dello Stato.


P.Q.M.

Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara Gr.Al. colpevole dei reati ascritti, unificati gli stessi dal vincolo della continuazione, ritenuto più grave quello di cui al capo a) e concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa.

Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p., condanna l'imputato al risarcimento dei danni causati alle parti civili costituite Di.As. e Gr.Sa. da liquidarsi in separata sede, oltre al rimborso delle spese di lite, liquidate in Euro 2.000,00 ed accessori di legge, somma questa, ex art. 110, D.P.R. 115/02, da devolversi in favore dello Stato.

Visto l'art. 539, II comma, c.p.p., condanna l'imputato al versamento, in favore di entrambe le parti civili costituite, della somma di Euro 3.000,00 (tremila/00), a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva.

Motivazione riservata in giorni novanta.

Così deciso in Cassino il 18 luglio 2022.

Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2022.

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