a cura della dott.ssa Alessia Ciccarelli.

Cassazione penale sez. IV, 19/05/2021, n.20912
La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha affermato che il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale, commesso dopo l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 157 cod. pen. e prima della modifica dell'art. 589, secondo comma, cod. pen. ad opera del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, è soggetto al termine ordinario di prescrizione di dodici anni e al termine massimo di quindici anni.
CED Cass. pen. 2021
Cassazione penale sez. IV, 19/05/2021, (ud. 19/05/2021, dep. 27/05/2021), n.20912 RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 25 giugno 2019, la Corte d'Appello di Roma, revocando le statuizioni civili, ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma con cui B.M. é stata ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 589 c.p.p., comma 2, perché con colpa consistita in negligenza imprudenza ed imperizia, nonché nella violazione dell'art. 140 c.p., alla guida di un'autovettura, nell'effettuare una svolta a sinistra, investiva il pedone C.G., il quale stava attraversando la carreggiata al di fuori delle strisce pedonali, in senso perpendicolare rispetto alla direzione di marcia del veicolo, provenendo dalla fermata dell'autobus, cagionandogli lesioni che lo conducevano alla morte. 2. Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso l'imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a tre distinti motivi. 3. Con il primo lamenta la violazione della legge penale in relazione al disposto degli artt. 157 e 161 c.p., rilevando che il reato alla data della pronuncia della sentenza di secondo grado era già estinto per prescrizione, essendo il fatto risalente al giorno (OMISSIS). Rileva che al tempo del commesso reato vigeva l'art. 589 c.p. come novellato dalla L. 21 febbraio 2006, n. 102, che prevedeva per l'omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme del Codice della strada la pena edittale da due a cinque anni di reclusione e che la disciplina sulla prescrizione derivante dalla riforma di cui alla L. n. 251 del 2005 (c.d. ex Cirielli), applicabile alla fattispecie, con cui si é previsto che il tempo della prescrizione del reato sia corrispondente al massimo della pena edittale -e comunque non inferiore ad anni sei per i delitti- ha raddoppiato il termine prescrizionale per alcuni reati, fra i quali l'omicidio colposo aggravato dalla violazione della disciplina sulla circolazione stradale. Ricorda che l'argomento é stato affrontato con la sentenza della Quarta sezione penale della Suprema Corte n. 3291/2018, con cui si é chiarito che la regola del raddoppio va applicata sul termine ordinario, e non quello derivante dall'applicazione dell'art. 161 c.p., comma 2, che consente l'aumento di un quarto del termine in forza delle interruzioni e sospensioni. Da ciò deriva che, in forza del raddoppio del termine, il delitto contestato si é prescritto in anni dieci dal fatto e non in anni quindici, come ritenuto dalla Corte territoriale, che ha indicato lo spirare del termine prescrizionale, nella fattispecie concreta, alla data del 11 aprile 2023. Con il secondo motivo si duole della violazione della legge processuale in relazione agli artt. 495 e 603 c.p.p., nonché del vizio di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento. Sottolinea che la richiesta di disporre perizia tecnica sulla ricostruzione della dinamica del sinistro era stata motivata dalla diversità delle conclusioni cui erano giunte le consulenze del pubblico ministero, della difesa e della parte civile. Nonostante l'espresso riconoscimento della parziale difformità degli esiti, invero, la Corte territoriale non ha ritenuto di conferire l'incarico peritale, sostenendo che ciò non ha impedito al primo giudice di giungere all'affermazione di responsabilità e che dagli atti non emergono dati utili ad escluderla. Cionondimeno, la lettura delle relazioni e delle dichiarazioni rese dai consulenti in sede di esame dibattimentale consente di apprezzare la differenza delle ricostruzioni, che solo illogicamente possono essere ridotte ad uniformità.
Il Consulente del pubblico ministero, infatti, ha dato atto che il punto d'urto é da individuarsi a ridosso della fermata degli autobus, che il pedone era in movimento e che sia lui che l'automobilista potevano avvistarsi reciprocamente, che l'auto procedeva a velocità moderata" senza tuttavia poter affermare che l'avvistamento avrebbe impedito l'urto, mentre nulla poteva rimproverarsi alla conducente in relazione alla posizione o all'andatura di marcia. Il Consulente della parte civile ha ritenuto che la velocità dell'auto fosse pari a km/h 40,00, come tale non commisurata allo stato dei luoghi, che il pedone fosse fermo o camminasse lentamente all'interno della corsia di emergenza degli autobus, con la conseguenza che l'auto avrebbe invaso quella corsia, che lo spazio di frenata fosse di mt. 22, che il veicolo avesse la possibilità di avvistare il pedone, per cui se l'avesse visto in tempo, sarebbe comunque arrivato addosso al pedone, ma solo nella fase terminale. Il Consulente dell'imputato ha affermato che la velocità dell'auto era moderata (km/h 40,32), la velocità del pedone era pari a mt. 1,5 al secondo (passo svelto); che fra il punto d'urto iniziale e quello sul parabrezza vi era uno spazio di cm. 15 cm; che se il pedone fosse stato fermo sarebbe stato sbalzato in avanti, circostanza smentita dai rilievi, secondo i quali il pedone rotolò sul cofano e cadde sulla destra; che il punto d'urto fra l'auto ed il pedone é interno alla corsia di marcia della vettura; che il pedone non poteva essere avvistato dall'investitrice, in quanto il medesimo é passato dalla linea gialla che delimita la corsia dei bus, alla carreggiata in circa un secondo (0,93 secondi), lasso temporale incompatibile con la reazione psicotenica; che il pedone non poteva essere nella corsia del bus perché la posizione finale dell'auto é incompatibile con detta ipotesi. Osserva che, dunque, la consulenza della parte civile é del tutto incompatibile con quelle del Pubblico ministero e della difesa e con gli accertamenti della Polizia municipale, essendo rivolta a dimostrare la responsabilità esclusiva dell'automobilista. Dalle consulenze del Pubblico ministero e della difesa emerge, infatti, che il pedone compì una manovra gravemente azzardata ed altamente imprudente, attraversando lontano dalle strisce pedonali, poste a trenta metri e dagli impianti semaforici, in un punto di intenso traffico veicolare, dati questi ignorati dalla sentenza impugnata. 5. Con il terzo si duole, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) dell'erronea applicazione della legge penale in ordine all'art. 43 c.p., alla nozione di colpa e di concorso di colpa, nonché del vizio di motivazione, sotto il profilo dell'omessa verifica delle evidenze processuali.
Rammenta che originariamente il Pubblico ministero aveva richiesto al G.I.P. l'archiviazione del procedimento evidenziando che alla luce del rapporto della Polizia municipale e della Consulenza tecnica non erano emersi comportamenti concreti idonei ad attribuire all'indagata la responsabilità del sinistro, determinato dall'attraversamento irregolare ed incauto del pedone. Tanto che, a seguito del provvedimento del G.I.P., all'esito dell'udienza di opposizione all'archiviazione, il Pubblico ministero aveva formulato l'incolpazione, ai sensi dell'art. 409 c.p.p., comma 5, sottolineando il parere contrario del pubblico ministero e il marcato profilo di colpa del pedone C.G., che aveva intrapreso l'attraversamento in violazione delle disposizioni dettate dall'art. 190 C.d.S., commi 2, 3 e 5. Assume che le evidenze processuali hanno inequivocabilmente dimostrato che il pedone attraversò in una zona non consentita, a passo svelto, o quantomeno con una velocità normale, che il punto d'urto é interno alla carreggiata impegnata dall'automobile, che la velocità dell'auto era di km/h 40,00. Rileva che la sentenza affermando l'avvistabilità del pedone (unico punto di antitesi fra la consulenza del Pubblico ministero e quella della difesa) omette di tenere in considerazione il tempo psicotecnico di reazione, posto che, come messo in evidenza dalla difesa, siffatto tempo era troppo ridotto rispetto alla velocità tenuta dal pedone. Né la decisione tiene in considerazione che al momento del sinistro pioveva, ciò diminuendo la visibilità, né che in quel punto gli automobilisti sono portati a volgere lo sguardo a destra, per porre attenzione ai veicoli che svoltano a sinistra, mentre il pedone ha attraversato in un punto vietato proprio da sinistra. Né , infine, la sentenza si fa carico di chiarire se, qualora avesse potuto avvistarlo, l'automobilista avrebbe potuto con una brusca frenata evitare l'impatto con il pedone. Richiama la giurisprudenza di legittimità sulla prevedibilità ed evitabilità del pericolo. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata, con assoluzione dell'imputata perché il fatto non costituisce reato, o, in subordine con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Roma. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Il primo motivo, con cui si fa valere l'intervenuta prescrizione del reato prima della pronuncia della sentenza di seconda cura, é infondato. 3. La pronuncia di questa Sezione (Sez. 4, n. 3291/2017 del 5 ottobre 2016) richiamata dal ricorrente, lungi dall'avvalorare l'assunto secondo il quale il reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, si prescrive in dieci anni, chiarisce che il termine prescrizionale é stabilito in anni dodici, aumentati, ai sensi dell'art. 161 c.p., comma 2, ad anni quindici. Ripercorrendo la modifiche legislative che hanno interessato il disposto dell'art. 589 c.p. -per quanto qui di interesse, essendo il reato stato commesso in data (OMISSIS), cioé prima della disciplina di cui al D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 1, convertito con modificazioni nella L. n. 125 del 2008, che ha ulteriormente aumentato la pena massima prevista dall'art. 589 c.p., nell'ipotesi di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme in materia di circolazione stradale- deve rilevarsi che la L. 21 febbraio 2006, n. 102, art. 2, ha aumentato la pena minima prevista dall'art. 589, comma 2, mantenendo fermo il massimo edittale in anni cinque di reclusione In tema di prescrizione, invece, la L. n. 251 del 2005 (c.d. ex Cirielli) ha riscritto l'art. 157 c.p., introducendo la regola per la quale la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. La normativa ha, inoltre, inserito per la prima volta la regola del raddoppio dei termini per alcuni reati fra i quali quello di cui all'art. 589 c.p., commi 2 e 3. Secondo la disciplina della prescrizione vigente alla data di commissione del fatto ((OMISSIS)), dunque, il termine di estinzione per i reati che prevedono la pena massima di cinque anni di reclusione non é quello corrispondente al massimo della pena prevista bensì quello fissato in via sussidiaria dal legislatore con valenza generale, pari ad anni sei di reclusione. Nondimeno, secondo la previsione dell'art. 157 c.p., comma 6, tale termine é raddoppiato per il reato di cui all'art. 589, comma 2. Ciò posto, nondimeno, deve rilevarsi che la regola del raddoppio introdotta con il richiamato art. 157 c.p., comma 6 non incide sulla pena edittale, bensì sul termine di prescrizione. E "poiché i commi che precedono il sesto nell'art. 157 c.p. attengono unicamente al termine "ordinario", ovvero quello che non tiene conto di eventuali sospensioni o interruzioni del medesimo, la regola del raddoppio si applica su tale termine e non su quello massimo (che infatti risulta dalla regola posta dall'art. 161 c.p., comma 2). Per esemplificare, ove il termine ordinario sia quello di sei anni e quindi quello massimo di sette anni e sei mesi, il raddoppio del termine concerne la misura di sei anni, non quella di sette anni e sei mesi. Ove si determini una causa interruttiva o di sospensione del termine, la previsione dell'art. 161 c.p., comma 2, secondo la quale in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, condurrà a calcolare l'aumento sui termine raddoppiato, ovvero su dodici anni (e non sul termine di sette anni e sei mesi)" (Sez. 4, n. 3291/2017 del 5 ottobre 2016). Dunque, per il caso di reato commesso dopo l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 157 (legge ex Cirielli) e prima dell'entrata in vigore del testo dell'art. 589, come risultante dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 1, convertito con modificazioni nella L. n. 125 del 2008, il termine di prescrizione ordinario, é pari ad anni dodici, ai sensi del comma 6 della norma, che ne prevede il raddoppio, aumentato, in forza del disposto dell'art. 161 c.p., comma 2, ad anni quindici (dodici anni più un quarto). Sicché essendo il reato stato commesso in data (OMISSIS), il termine di prescrizione decorre in data 11 aprile 2023, come correttamente indicato dalla Corte territoriale. 4. Il secondo motivo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, non sono fondati.
5. La doglianza, con la quale si lamenta, in primo luogo, il rigetto dell'istanza di conferimento di incarico peritale, nonostante la difformita