La vicenda processuale
La Corte d'appello di Messina confermava la sentenza del Tribunale di Messina con la quale l'imputato S.B. veniva condannato per i reati previsti dagli articoli 416 e 648 bis del codice penale e il Decreto Legislativo n. 231 del 2007, articolo 55, comma 9.
L'imputato S.B. presentava ricorso in cassazione contro questa sentenza, in cui ha sollevato due motivi:
sosteneva che la Corte d'appello non aveva tenuto conto di alcune prove che dimostravano l'assenza dell'elemento psicologico del reato associativo e che la qualificazione giuridica dei fatti era errata, in quanto il reato di riciclaggio non era configurabile, considerato anche che a S.B. era contestato l'uso indebito di carte di credito contraffatte;
affermava che i giudici di merito avrebbero dovuto sospendere l'esecuzione della pena, dato che era inferiore a quattro anni, facendo riferimento a una sentenza della Corte costituzionale.
La Corte suprema ha accolto parzialmente il ricorso.
Con riferimento al primo motivo, ha dichiarato che la Corte d'appello aveva valutato in modo corretto le prove e aveva fornito una motivazione sufficiente. Tuttavia, ha riconosciuto che l'accusa di riciclaggio era errata in quanto il reato presupposto era costituito dall'uso indebito di carte di credito contraffatte e clonate.
Con riferimento al secondo motivo, la Corte suprema ha respinto l'argomentazione dell'imputato, sostenendo che la sospensione dell'esecuzione della pena non poteva essere decisa con la sentenza di condanna, ma in sede di esecuzione.
Il principio di diritto enunciato dalla Corte
La Corte ha affermato il seguente principio di diritto: "Integra il concorso nel delitto di indebita utilizzazione di carte di credito di cui all' art. 55, comma 9, d.lg. 21 novembre 2007, n. 231 , ora 493-ter c.p. , e non quello di riciclaggio, la condotta dell'agente che, avendo ricevuto i supporti magnetici contraffatti e clonati da terzi soggetti, si limiti ad utilizzarli al solo fine di prelevare e beneficiare degli importi di denaro, senza porre in essere ulteriori e distinte operazioni quali la sostituzione, il trasferimento o il reimpiego del profitto illecito" (Cassazione penale , sez. II , 17/09/2020 , n. 27885).
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. II , 17/09/2020 , n. 27885
RITENUTO IN FATTO
La CORTE di APPELLO di MESSINA, con sentenza del 18/5/2018, ha confermato la sentenza pronunciata dal GIUDICE per le INDAGINI PRELIMINARI del TRIBUNALE di MESSINA in data 15/6/2017, nei confronti di S.B. per i reati di cui agli artt. 416 e 648 bis c.p. e D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9.
1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato che, a mezzo del difensore, ha dedotto i seguenti motivi.
1.1. Violazione di legge in relazione all'art. 495 c.p.p. con riferimento alla mancata assunzione di una prova decisiva. Nella prima parte del primo motivo, così nella sostanza rubricato, la difesa rileva la contraddittorietà della motivazione circa la coscienza e volontà dell'imputato di far parte di una associazione a delinquere. Sul punto la Corte territoriale non avrebbe correttamente valorizzato le dichiarazioni rese del ricorrente e la circostanza che in effetti lo stesso conosceva e aveva rapporti solo con uno degli altri associati. Nella seconda parte del primo motivo la difesa evidenzia che la qualificazione giuridica attribuita ai fatti sarebbe errata in quanto il reato di riciclaggio, considerato che al ricorrente è contestato anche l'utilizzo indebito delle carte di credito clonate, non sarebbe configurabile, ciò anche in virtù della clausola di esclusione di cui all'art. 648 bis c.p., comma 1.
1.2. Violazione di legge in relazione all'art. 656 c.p.p..
Nel secondo motivo la difesa evidenzia che i giudici di merito, considerata la sentenza n. 41 del 2018 della Corte costituzionale, avrebbero dovuto dichiarare sospesa l'esecuzione della pena, determinata in misura inferiore ai quattro anni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
1. Nella prima parte del primo motivo la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione nè valutato le prove fornite dalla difesa quanto all'insussistenza dell'elemento psicologico del reato associativo.
In specifico la difesa assume che i giudici di merito non avrebbero valorizzato la circostanza che il ricorrente, come dallo stesso dichiarato nell'interrogatorio, aveva conosciuto solo il coimputato V., unico associato con il quale avrebbe avuto rapporti.
La doglianza è manifestamente infondata.
La motivazione della sentenza impugnata, che si salda e integra con quella di primo grado, ha sul punto fornito adeguata risposta alla censura dedotta dalla difesa nell'atto di appello.
Il riferimento alle intercettazioni telefoniche e agli stessi passi dell'interrogatorio pure indicati nell'atto di ricorso, infatti, evidenziano l'inserimento del ricorrente nell'associazione e la piena consapevolezza dello stesso, seppure non conoscendo direttamente gli altri associati, dell'esistenza degli stessi ("no... con certezza proprio... che lo non, non li conosco e nè... cioè incontrati... avendo i supermercati forse qualche volta sono venuti dentro i supermercati....") e di far parte di un articolato sodalizio criminoso.
A fronte di tale motivazione ogni ulteriore critica, peraltro fondata sulle sole dichiarazioni dell'imputato, risulta inconferente e, comportando una diversa e alternativa lettura di quanto emerso, è preclusa in questa sede (così da ultimo Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062).
2. Nella seconda parte del primo motivo la difesa deduce la violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di riciclaggio in quanto la circostanza che al ricorrente sia contestato anche il reato di uso indebito di carte di credito contraffatte e clonate, in virtù della clausola di riserva di cui al comma 1, escluderebbe la punibilità per il reato di cui all'art. 648 bis c.p..
Diversamente da quanto evidenziato nella motivazione della sentenza, infatti, la condotta posta in essere dall'imputato non sarebbe strumentale alla commissione del reato di riciclaggio ma, piuttosto, ne sarebbe il reato presupposto.
La censura è fondata.
2.1. In astratto la commissione del reato di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9, ora art. 493 ter c.p., non esclude la punibilità per il reato di riciclaggio.
La norma, infatti, prevede diverse condotte tra di loro autonome, così come le ipotesi di reato che ne derivano, che possono concorrere tra di loro, costituire reato presupposto del reato di ricettazione o di riciclaggio (così da ultimo cfr. Sez. 2, n. 46652 del 18/09/2019, Orobosa, Rv. 277777) ovvero essere strumentali alla commissione del riciclaggio medesimo (Sez. 2, n. 18965 del 21/04/2016, Barrai e altri, Rv. 266947 e Sez. 2, n. 47147 del 24/10/2013, Tumbarello, Rv. 257821).
2.2. In concreto, d'altro canto, considerata la condotta complessivamente ed effettivamente tenuta, il reato di cui all'art. 493 ter c.p. può anche essere il reato presupposto del riciclaggio ed escluderne quindi la punibilità.
Sotto altro profilo, poi, in alcune situazioni, l'indebito utilizzo della carta non è strumentale alla sostituzione, al trasferimento o al reimpiego del profitto del reato presupposto quanto, piuttosto, è la modalità di commissione del reato presupposto stesso, l'azione con la quale l'autore consegue il profitto della condotta criminosa posta in essere.
In tali ipotesi, nelle quale il soggetto utilizzando indebitamente la carta di credito o di pagamento non "ripulisce" la somma ma la consegue, senza porre in essere ulteriori e distinte operazioni, la commissione del reato di cui all'art. 493 ter c.p. esclude la sussistenza del riciclaggio.
2.3. Nel caso di specie la condotta contestata allo S. a titolo di riciclaggio, così come descritta nel capo di imputazione e compiutamente indicata nella sentenza di primo grado, è consistita nel ricevere e utilizzare nel proprio supermercato le carte di credito clonate al fine di prelevare gli importi di denaro.
In tal modo l'imputato, condannato anche per il reato associativo, proprio attraverso le transazioni fittizie, cioè con l'indebito uso delle carte clonate, ha beneficiato dei proventi illeciti dallo stesso prodotti, per sè e per l'associazione.
Condotta questa nella sostanza coincidente con quella oggetto della contestazione di cui all'art. 493 ter c.p. per la quale il ricorrente è stato condannato e che, pertanto, non può in concreto costituire l'elemento materiale del diverso reato di riciclaggio.
3. Nel secondo motivo la difesa rileva che la sentenza sarebbe errata in quanto l'esecuzione della pena, inferiore a quattro anni, considerata la recente sentenza n. 41 del 2018 della Corte costituzionale, avrebbe dovuto essere sospesa.
La doglianza è manifestamente infondata.
La sospensione dell'esecuzione della pena, infatti, non può essere disposta con la sentenza di condanna ma in sede di esecuzione, cui si riferisce l'art. 656 c.p.p., oggetto della pronuncia della Corte costituzionale citata dalla difesa.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento al reato di riciclaggio perchè il fatto non sussiste e rinvia alla Corte d'Appello di Reggio Calabria per la determinazione della pena.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto e irrevocabile l'accertamento di responsabilità per i residui reati.
Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2020