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Truffa: si consuma nel momento e nel luogo in cui viene effettuata la ricarica postepay


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di truffa

La massima

Nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie “postepay”), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima (Cassazione penale , sez. II , 17/07/2020 , n. 23781).


 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. II , 17/07/2020 , n. 23781

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15/01/2019, la Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza emessa in data 12/03/2018 dal Tribunale di Lodi, con la quale O.F. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al delitto di truffa in danno di M.L.N., indotto a versare su una carta postepay il corrispettivo per l'acquisto di un bene mai consegnato.


2. Ricorre per cassazione l' O., a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al rigetto dell'eccezione di incompetenza territoriale ritualmente formulata. Si censura l'omessa pronuncia su quanto dedotto in appello circa la nullità dell'ordinanza del Tribunale, che, nel rigettare l'eccezione si era in definitiva riservato di motivarla all'esito dell'istruttoria dibattimentale, violando l'art. 491 c.p.p.. Si lamenta inoltre l'accoglimento, da parte della Corte territoriale, dell'indirizzo interpretativo secondo cui la competenza territoriale per il reato di truffa, nelle ipotesi di versamento della somma su carta postepay, deve radicarsi nel luogo in cui avviene tale versamento: dovendosi al contrario preferire l'indirizzo per cui, non essendovi certezza sul luogo di consumazione, dovrebbe aversi riguardo al luogo di residenza o domicilio dell'imputato (si sollecita, al riguardo, la rimessione ricorso alle Sezioni Unite).


3. Con requisitoria presentata ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 12-ter, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, evidenziando la correttezza della decisione sulla competenza territoriale, alla luce della giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, e il difetto di specificità delle ulteriori censure proposte.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.


2. Per ciò che riguarda la prima censura, va evidenziata la manifesta infondatezza della corrispondente doglianza proposta in appello e non esaminata dalla Corte territoriale, posto che - secondo quanto dedotto dallo stesso ricorrente - non vi è stata un'omessa pronuncia nella fase degli atti preliminari: l'eccezione risulta infatti esaminata e disattesa con ordinanza, decisione che ha trovato ampia e argomentata conferma nella motivazione della sentenza impugnata. E' peraltro il caso di accennare al fatto che l'eventuale mancata decisione in limine litis sulla competenza territoriale, da parte del giudicante, avrebbe avuto il solo effetto di rendere la questione proponibile anche oltre il termine di cui all'art. 491 c.p.p., comma 1 (cfr. tra le tante Sez. 2, n. 24736 del 26/03/2010, Amato, Rv. 247745), senza produrre alcuna nullità. Deve conseguentemente farsi applicazione, nella fattispecie in esame, del consolidato indirizzo interpretativo secondo cui "in tema di ricorso per cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato" (Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012, dep. 2013, Tannoia, Rv. 256314).


3. Quanto alla residua questione, va posto in rilievo che è stato lo stesso ricorrente a rappresentare, nel motivo di ricorso, che la più recente giurisprudenza della Suprema Corte si è consolidata nel senso opposto a quello auspicato dal ricorrente medesimo. Si è in particolare chiarito che "nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie postepay), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poichè tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima" (Sez. 1, n. 52003 del 22/11/2019, confl. comp. Trib. Napoli, Rv. 277861. In senso pienamente conforme cfr. anche Sez. 2, n. 14730 del 10/01/2017 - dep. 24/03/2017, Spagnolo, Rv. 269429 e, da ultimo, Sez. 2, n. 49195 del 05/06/2019, Duecento).


Ritiene il Collegio che non vi siano ragioni per discostarsi da tale indirizzo interpretativo, recepito dai giudici di merito ed ormai consolidato, risultando quindi ultronea la richiesta rimessione della questione alle Sezioni Unite.


4. Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 17 luglio 2020.


Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2020

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