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Risponde di abbandono di minori anche chi omette di attivare i soccorsi dopo essersi assunto di fatto la custodia dell’incapace (Cass. Pen. n. 26473/25)

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26473 del 18 luglio 2025, ha affermato che il reato di abbandono di persona incapace è configurabile anche nei confronti di chi, pur privo di formali obblighi giuridici, abbia assunto di fatto la custodia del soggetto vulnerabile e, successivamente, se ne disinteressi, omettendo di attivare le necessarie tutele o di richiedere l’intervento di terzi idonei.


Il fatto

La Corte d’appello di Milano aveva condannato L.K. e G.L. per il delitto di cui all’art. 591 cod. pen., in danno del fratello P.L., affetto da gravi disturbi psichiatrici.

Le imputate, pur avendo inizialmente assistito il fratello, lo avevano lasciato vivere in condizioni di grave degrado, in un appartamento inagibile, senza cibo, denaro né utenze attive, e in uno stato di abbandono materiale e psichico.

Contro la sentenza d’appello è stato proposto ricorso per cassazione, sostenendo che le ricorrenti non avessero l’obbligo giuridico di custodia e che, comunque, si fossero attivate presso le strutture pubbliche, le quali non avrebbero agito con la necessaria tempestività.

La difesa ha inoltre invocato l’inapplicabilità della posizione di garanzia a soggetti non qualificati e non investiti di doveri giuridici formali.


La decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo che il reato di abbandono di persona incapace è configurabile anche in assenza di un obbligo di cura formalmente sancito da legge o contratto, qualora il soggetto attivo abbia assunto di fatto la custodia dell’incapace.

Nel caso in esame, le imputate avevano compiuto atti inequivoci di presa in carico del fratello, assumendosi di fatto la responsabilità della sua protezione.

La successiva cessazione di ogni intervento, in presenza di un soggetto incapace di provvedere a sé stesso, ha integrato la condotta omissiva sanzionata dall’art. 591 cod. pen., configurando un’esposizione a pericolo anche solo potenziale per l’incolumità della vittima.

La Corte ha inoltre chiarito che l’assoluta o relativa incapacità del soggetto passivo va accertata in concreto e che l’eventuale sollecitazione delle strutture pubbliche, se tardiva o inefficace, non esime l’agente da responsabilità se questi non si attiva ulteriormente per tutelare la persona vulnerabile.


Il principio di diritto

Integra il reato di abbandono di persona incapace anche la condotta di chi, pur non rivestendo una posizione di garanzia formalmente derivante da legge o contratto, abbia assunto di fatto la custodia del soggetto vulnerabile, omettendo poi ogni intervento e lasciandolo in uno stato di pericolo anche solo potenziale.

Il dovere di custodia può infatti derivare da una relazione di fatto e non richiede un’accertata incapacità assoluta, essendo sufficiente una condizione contingente di vulnerabilità che renda il soggetto incapace di provvedere adeguatamente a sé stesso.


La sentenza integrale

Cass. pen., sez. V, ud. 12 giugno 2025 (dep. 18 luglio 2025), n. 26473


Ritenuto in fatto


1. Con sentenza del 12 febbraio 2025 la Corte di appello di Milano - in parziale riforma della sentenza del 27 settembre 2023 del Tribunale di Milano - ha assolto L.K. dall'imputazione di cui all'art. 643 cod. pen., rideterminando la pena a lei irrogata, ed ha confermato nel resto la prima decisione che aveva condannato la stessa imputata e G.L. per il delitto di cui all'art. 591 cod. pen. in danno del fratello P.L. come a loro rispettivamente ascritto, con le conseguenti statuizioni civili.


2. Avverso la sentenza di appello è stato proposto ricorso per cassazione nell'interesse delle imputate, col medesimo atto, articolando un unico motivo (di seguito esposto, nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), con il quale sono stati denunciati la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nonché il travisamento della prova (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.). In particolare, sarebbero state travisate le dichiarazioni del dott. M. L., medico del CPS che ha avuto in cura P.L. tra il 2016 e il 2018, già del tutto trascurate dal primo Giudice. Tali dichiarazioni dimostrerebbero che le ricorrenti non avrebbero affatto abbandonato il fratello ma lo avrebbero «preso in carico, per quanto hanno potuto fare, facendo varie segnalazione al CPS e accompagnandolo più volte presso le strutture pubbliche»; e smentirebbero l'asserto secondo cui le strutture pubbliche, una volta avvertite, si siano tempestivamente attivate. Inoltre, ad avviso della difesa, dopo che le imputate hanno contattato le strutture pubbliche non potrebbe a loro addebitarsi più nulla (e segnatamente il ritardo nella nomina dell'amministratore di sostegno), considerato pure che, in ragione delle condizioni cliniche di P.L., l'obbligo di garanzia dovrebbe attribuirsi a soggetti che hanno una determinata qualifica (che ne comprovi capacità e competenze specialistiche) e che si trovino in una particolare relazione con il malato, derivante da fonti giuridiche (legge o contratto), il che dovrebbe escludersi per le imputate. Piuttosto, sotto il profilo dell'intervento delle strutture pubbliche il dott. L. avrebbe mostrato reticenza (nella deposizione resa solo a seguito di accompagnamento coattivo).


Considerato in diritto


Il ricorso nel complesso è infondato.


1. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:


- «l'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all'art. 591 cod. pen., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo» (Sez. 5, n. 27705 del 29/05/2018, P., Rv. 273479 - 01; cfr. pure Sez. 1, n. 35814 del 30/04/2015, Andreini, Rv. 264566 - 01; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012 - dep. 2013, T., Rv. 255172 - 01; cfr. già Sez. 5, n. 332 del 12/10/1982 - dep. 1983, Figone, Rv. 156917 -01, secondo cui «per la sussistenza del delitto di abbandono di persone minori o incapaci basta uno stato, sia pure potenziale, di pericolo per l'incolumità del minore o dell'incapace in dipendenza dell'abbandono, onde l'abbandono è punibile anche se temporaneo»);


- si tratta di «un reato proprio, che può essere commesso solamente da parte di un soggetto che riveste una posizione di garanzia nei confronti del soggetto passivo, sia esso un minore o un incapace»; e la condotta incriminata «consiste nell'abbandono della vittima, cioè nella volontaria sottrazione anche solo parziale o temporanea [ai] propri obblighi di custodia o di cura, nella consapevolezza della esposizione a pericolo della vita o dell'incolumità individuale del soggetto incapace di attendervi da solo» (Sez. 5, n. 7974 del 19/10/2015 -dep. 2016, Bancheri, Rv. 265920 - 01); tale condotta - come già osservato - è «integrata da qualunque azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l'incolumità del soggetto passivo» (ivi) cfr. pure Sez. 1, n. 5945 del 15/01/2009, Foti, Rv. 243372; Sez. 5, n. 15245 del 23/02/2005, Nalesso, Rv. 232158; Sez. 5, n. 10126 del 21/09/1995, Granzotto, Rv. 203004); tanto che risponde del delitto anche colui che, «pur non allontanandosi dal soggetto passivo, ometta di far intervenire persone idonee ad evitare il pericolo stesso» (Sez. 5, n. 7974/2015, cit.; Sez. 2, n. 10994 del 06/12/2012 - dep. 2013, T., Rv. 255172);


- «il dovere di custodia implica una relazione tra l'agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall'esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell'agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali» (Sez. 5, n. 18665 del 03/02/2021, S., Rv. 281080 - 01).


La giurisprudenza di legittimità ha già chiarito la «natura di delitto di pericolo e non di danno» della fattispecie, che prevede una «tutela anticipata a garanzia di soggetti particolarmente vulnerabili, appunto minori infra-quattordicenni o soggetti incapaci» (come si trae dal fatto che «l'evento dannoso, lesivo della incolumità personale, è indicato solo come circostanza aggravante dal terzo comma [dell'art. 591 cod. pen.], per altro come conseguenza non voluta, altrimenti si verterebbe nelle rispettive ipotesi di lesioni personali o di omicidio»); fermo restando che, «ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 591 cod. pen. è necessario accertare in concreto, salvo che si tratti di minore di anni quattordici, l'incapacità del soggetto passivo di provvedere a se stesso» (Sez. 5, n. 4557 del 12/10/2023 - dep. 2024, S., Rv. 285977 - 01, che a quest'ultimo riguardo richiama Sez. 5, n. 6885 del 09/04/1999, Santarelli, Rv. 213801 - 01, la quale ha escluso la presunzione assoluta di incapacità per il caso della vecchiaia, affermando che: tale stato non è una condizione patologica ma fisiologica, che deve essere accertata concretamente quale possibile causa di inettitudine fisica o mentale all'adeguato controllo di ordinarie situazioni di pericolo per l'incolumità propria; e che il dovere di cura e di custodia deve essere raccordato con la capacità, ove sussista, di autodeterminazione del soggetto anziano).


È utile osservare che la sussistenza del reato «non richiede una incapacità in senso assoluto da parte della persona offesa, ben potendo essere integrata anche solo da una relativa incapacità di provvedere a se stessi, correlata alla situazione di fatto in cui il soggetto passivo viene a trovarsi, che determini la impossibilità, del tutto contingente, di prendersi cura di sé in modo adeguato» (Sez. 5, n. 4557/2023 - dep. 2024, cit.). Né, per vero, occorre un provvedimento del Giudice civile conseguente all'Incapacità (o allo stato di infermità o menomazione) del soggetto in stato di abbandono, come per vero si trae dalla lettera della legge oltre che dalla stessa ratio su cui si fonda (sul punto, soccorre la Relazione al Re sul codice penale, n. 196, esplicativa dell'inserimento nell'alt. 591 cod. pen., tra le ipotesi di incapacità, a fianco dell'età o dalla malattia, dell'«altra causa» volta a ricomprendere nella sfera applicativa della norma pure «la persona [...], anche se sana e di età valida», che si trovi può «per semplici circostanze, nelle stesse condizioni del minore di quattordici anni, del malato o del vecchio»),


2. Nel caso in esame, la Corte distrettuale ha attribuito alle imputate la posizione di garanzia verso il congiunto poiché lo avevano effettivamente «preso in carico [...] mediante comportamenti pienamente consapevoli, salvo poi abbandonare del tutto il fratello» che, a causa delle sue condizioni psichiatriche, non era per nulla in grado di badare a sé stesso; sotto tale ultimo profilo, i Giudici di merito hanno dato espressamente conto non solo della patologia da cui è affetto P.L. ma anche delle condizioni in cui versava, emerse dall'istruttoria (relative sia alle condizioni della casa dove abitava, «del tutto inagibile», sia alla persona offesa «in stato di isolamento e abbandono»: cfr. sentenza impugnata; cfr. pure, più in dettaglio, la sentenza di primo grado, che ha esposto che P.L. è «stato rinvenuto [...] in un appartamento inagibile dalle condizioni igienico-sanitarie pessime oltreché senza utenze attive» nonché «in uno stato confusionale, sprovvisto di cibo e di denaro»). Si tratta di un'argomentazione conforme ai princìpi sopra riportati; e sotto tale profilo il ricorso, oltre a risultare infondato nella parte in cui ha inteso limitare la fonte dell'obbligo di garanzia alla legge o al contratto, non ha mosso alcuna censura al profilo centrale nell'iter appena esposto, ossia l'assunzione della custodia (e non della cura) del fratello da parte delle imputate, che anzi il ricorso rivendica e che non trova smentita neppure nelle dichiarazioni del dott. L. in esso richiamate. L'impugnazione poi non muove utili censure neppure nella parte in cui ha inteso contestare la tempestiva attivazione delle strutture pubbliche (allorché contattate) poiché si tratta di un profilo che non incide sulla circostanza, affermata in sentenza e cui il ricorso non indirizza puntuali allegazioni, dello stato di abbandono in cui P.L. versava.


3. Ai sensi dell'alt. 616 cod. proc. pen., le ricorrenti devono essere condannate al pagamento delle spese processuali.


Le imputate devono essere condannate alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che si liquidano in complessivi euro 1600,00, oltre accessori di legge.


Si dispone che sia apposta a cura della cancelleria, sull'originale della sentenza, l'annotazione prevista dall'alt. 52, comma 3, D. Lgs. 196/2003, volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi degli interessati.


P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Condanna, inoltre, le imputate alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 1600,00, oltre accessori di legge.

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