Con la sentenza in argomento la Corte di cassazione ha affermato che la detenzione di semi di marijuana non costituisce un fatto penalmente rilevante in quanto non è possibile dedurre l'effettiva destinazione degli stessi.
Per quanto riguarda la coltivazione di piante di marijuana, il reato si configura mediante l'esecuzione di attività in tutte le fasi dello sviluppo delle piante, indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile e dalla destinazione del prodotto.
Tuttavia, una condotta di coltivazione per uso personale, svolta in forma domestica e con un modesto numero di piante, non costituisce reato se non sono presenti indizi significativi di coinvolgimento nel mercato illegale.
Cassazione penale sez. III, 13/09/2023, (ud. 13/09/2023, dep. 13/10/2023), n.41586
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 10 dicembre 2021 la Corte di appello di Bari ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Foggia il 30 gennaio 2019 a V.V. alla pena di un anno di reclusione ed Euro 3.000 di multa per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, commesso in (Omissis), per la coltivazione di 8 piante di marijuana e la detenzione di marijuana e di semi di marijuana.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato.
2.1. Dopo aver riportato il fatto per come ricostruito dalle sentenze di merito, riassunto i motivi di appello e la decisione della Corte di appello, con il primo motivo si deduce il vizio della motivazione.
Al punto 1.1., si deduce il travisamento della testimonianza di M.A. all'udienza del 15 giugno 2018 dinanzi al Tribunale di Foggia: la Corte territoriale avrebbe riportato in sentenza che tale teste avrebbe indicato che gli agricoltori sono dotati di riserve di acqua mentre il teste avrebbe riferito che gli affittuari dei terreni si approvvigionano di acqua fornita dal consorzio.
Il travisamento sarebbe rilevante perché le dichiarazioni del teste M., ove correttamente riportate, unitamente alla prova fornita dalla difesa, sull'assenza di erogazione di acqua al fondo da parte del consorzio il 9 agosto 2016, smentirebbero quanto riportato dai CC sull'aver visto il ricorrente innaffiare le piante di marijuana o presumere che le stesse innaffiando.
Al punto 1.2. si deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la sentenza ha attribuito con certezza all'imputato la condotta contestata, pur ammettendo l'esistenza di una prova certa documentale contraria prodotta dalla difesa costituita dalla mancata erogazione dell'acqua (cfr. pag. 6 e 7 del ricorso) e dalle copiose piogge cadute nel due giorni precedenti il fatto. Tali prove dimostrerebbero che l'imputato non avrebbe potuto innaffiare le piante e non ne avrebbe avuto la necessità, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata.
La Corte di appello avrebbe adoperato un ragionamento contraddittorio e apodittico; non avrebbe valutato che le azioni viste dai Carabinieri erano compatibili con la preparazione del terreno per la semina, da effettuare il giorno successivo, né che gli stessi militari constatarono che il terreno era bagnato per le piogge dei giorni precedenti; avrebbe, in contrasto con i dati probatori, ritenuto la presenza dell'acqua per scopi irrigui.
Al punto 1.3. si deduce la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha sostenuto che i Carabinieri non abbiano mentito. Contrariamente a quanto si afferma nella sentenza, l'imputato non ha mai accusato i Carabinieri di calunnia ma che i verbali di arresto, perquisizione e sequestro - in cui si affermava che i Carabinieri avevano visto il ricorrente annaffiare una pianta, poi recarsi con un secchio d'acqua precedentemente riempito con un tubo di plastica ed annaffiare altre piante - fossero poi stati smentiti dalle prove acquisite in dibattimento.
L'iniziale ricostruzione dei carabinieri sarebbe stata smentita anche all'udienza del 10 dicembre 2021 dal M.llo D.B., che ha ammesso di non aver visto l'acqua uscire dal tubo, mentre il Carabiniere V.A., anche egli firmatario degli atti di Polizia giudiziaria, all'udienza del 14 settembre 2016, ha riferito di aver visto l'acqua. La certificazione prodotta dalla difesa sull'assenza di acqua dimostrerebbe che l'imputato ed il M.llo D.B. avrebbero detto il vero, contrariamente al C.re V..
La Corte territoriale avrebbe contraddittoriamente ritenuto la ricostruzione dei Carabinieri sull'uso dell'acqua affidabile nonostante il contrasto tra le loro dichiarazioni e le prove documentali prodotte dalla difesa.
Inoltre, i Carabinieri negli atti di Polizia giudiziaria avrebbero omesso di riferire che durante l'operazione era intervenuto un appartenente alla Polizia di Stato, tale F., il quale, come emerso dall'esame di V.A. del difensore, si era anche introdotto nell'Ape car dell'imputato durante la perquisizione in cui fu ivi rinvenuta una bustina di cellophane contenente la sostanza stupefacente.
2.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell'art. 192 c.p.p., comma 2, art. 530 c.p.p., comma 2, e art. 533 c.p.p., comma 1, avvenuta nel redigere la motivazione, come indicato nel primo motivo.
La Corte di appello avrebbe dedotto la presenza dell'acqua nella condotta idrica perché i Carabinieri hanno riferito di aver visto il ricorrente posizionare il tubo; avrebbe dedotto da un indizio non grave, che si prestava all'interpretazione alternativa fornita dall'imputato - la preparazione del terreno per la semina del giorno successivo - un fatto certo, la presenza dell'acqua, smentito dalla prova fornita dalla difesa. Analogamente, per addebitare al ricorrente la sostanza stupefacente rinvenuta nel barattolo trovato nel box di proprietà di suo suocero, la Corte territoriale avrebbe fatto riferimento al possesso delle chiavi del box, omettendo di valutare la testimonianza di R.B. che ha riferito, all'udienza del 24 gennaio 2018, che il box era adoperato da tutti i familiari ed era aperto.
2.3. Il difensore con le conclusioni scritte, anche in replica a quelle del Procuratore Generale, ha chiesto, in via principale, l'assoluzione del ricorrente; in via subordinata l'annullamento con rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1. La condanna dell'imputato, secondo l'imputazione, è avvenuta per due distinti reati: la coltivazione delle 8 piante di marijuana, di cui una sola posta sul terreno in uso all'imputato, le altre 7 in un terreno adiacente; la detenzione di 12 grammi di marijuana, di cui 6 rinvenuti su di un motocarro in uso al ricorrente e 6, di marijuana essiccata, conservati in un barattolo all'interno di un garage di cui il ricorrente aveva le chiavi; come risulta dal testo della sentenza di primo grado la condanna è stata emessa anche per la detenzione di 100 semi di marijuana, raccolti in un bicchiere.
1.2. La detenzione dei semi di marijuana è un fatto penalmente irrilevante. Per Sez. 6, n. 41607 del 19/06/2013, Lorusso, Rv. 256802 - 01, la semplice detenzione di semi di pianta dalla quale siano ricavabili sostanze stupefacenti non è penalmente rilevante, per l'impossibilità di dedurre l'effettiva destinazione degli stessi (in applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio una sentenza di patteggiamento relativa a detenzione di marijuana e di semi di marijuana, osservando che l'accordo sulla pena non poteva estendersi anche ad una condotta non rilevante penalmente).
Nella tabella 2, con riferimento alla cannabis, rientrano solo le foglie e infiorescenze, l'olio e la resina; non i semi. Su tale parte del capo di imputazione la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
1.3. Quanto alle piante di marijuana, secondo Sez. U, n. 12348 del 19/12/2019, dep. 2020, Caruso, Rv. 278624, il reato di coltivazione si concretizza mediante il compimento di attività in ogni fase dello sviluppo della pianta, dalla semina fino al raccolto ed è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e produrre sostanza stupefacente.
Non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all'uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto.
1.3.1. La Corte di appello ha ritenuto che la condotta di coltivazione sussista perché, secondo la ricostruzione effettuata mediante l'istruttoria espletata - pag. 2 e 4 della sentenza - il ricorrente, dopo essere giunto con un'Ape nel terreno "... si avvicinava con un tubo nero ad una pianta..." di marijuana; quindi, "... poneva il tubo all'interno di un secchio e con quel secchio si avvicinava poi ad altre piante (in numero di 7), ubicate in un fondo attiguo. Infine tornava verso l'ape".
1.3.2. La sentenza di primo grado ha accolto l'originaria ipotesi accusatoria, contenuta nel verbale di arresto e ribadita in udienza dai testi V.A. e C.M., per cui l'imputato era stato visto innaffiare le piante.
La Corte territoriale ha disposto la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ed ha proceduto all'esame del teste D.B., che partecipò all'operazione di polizia giudiziaria, prendendo atto, in sostanza, delle prove contrarie fornite dalla difesa che non sono state valutate dalla sentenza di primo grado - il travisamento delle prove della difesa per omissione è stato esplicitamente dedotto con l'appello.
La difesa ha prodotto documentazione da cui risulta che il giorno dell'arresto il fondo de quo non aveva la fornitura dell'acqua e che nei giorni precedenti era caduta intensamente la pioggia sicché quanto riferito dai Carabinieri, sull'essere il terreno bagnato, aveva una spiegazione alternativa rispetto all'aver il ricorrente innaffiato le piante, come invece sostenuto nel verbale di arresto e nella sentenza di primo grado.
1.3.3. Dalla testimonianza di D.B., secondo quanto si riporta nella sentenza impugnata, la netta ricostruzione effettuata in primo grado sulla base della testimonianza dei Carabinieri V.A. e C.M., messa in crisi dalle prove prodotte dalla difesa, si è indubbiamente ridimensionata, perché il D.B. ha affermato esclusivamente di aver visto il ricorrente avvicinare il tubo di plastica (cfr. pag. 3) alla pianta di marijuana posta sul terreno in uso all'imputato; poi, di averlo visto introdurre il tubo nel secchio e con questo recarsi al fondo incolto appartenente a terzi. Dalla stessa sentenza della Corte di appello non risulta che l'esame del D.B. abbia fornito la prova diretta che il ricorrente abbia innaffiato le piante perché il teste ha riferito di non aver visto, o quanto meno di non ricordare di aver visto, sgorgare l'acqua dal tubo; il teste non ha neanche accertato a cosa l'altra estremità del tubo fosse collegata, perché il tubo era stato staccato da un altro militare di cui non ha riferito il nome.
1.3.4. La motivazione data dalla Corte territoriale sulla presenza dell'acqua, fondata sull'unica spiegazione plausibile della condotta dell'imputato, è dunque contraddittoria: da un lato, si fonda sulle dichiarazioni del teste M., che avrebbe riferito che gli agricoltori hanno riserve di acqua, senza però che risulti che anche sul fondo de quo vi fosse tale riserva o serbatoio.
Dall'altro, la Corte di appello ha escluso che il teste D.B. abbia effettuato tale accertamento né ha indicato che altri militari abbiano verificato la presenza di acqua, diversa da quella fornita dal consorzio e non erogata il giorno dell'arresto.
1.3.5. Dalle dichiarazioni dello stesso D.B. non vi è la prova che il ricorrente abbia, in concreto, effettuato le operazioni di erogazione dell'acqua alle piante, pur essendo il teste in appostamento con un binocolo, come si riferisce in sentenza.
1.4. La Corte territoriale ha escluso l'intento calunniatorio, ma al contempo ha evidenziato - senza, però, trarne alcuna conseguenza - una effettiva contraddizione tra le dichiarazioni dei militari escussi in primo grado ed in appello: la sentenza di primo grado ha fondato la responsabilità dell'imputato sulle dichiarazioni dei testi V.A. e C.M. (il cui esame dell'udienza del 14 settembre 2016 è riportato in corsivo) che hanno riferito di aver visto il ricorrente innaffiare le piante; il ricorrente ha riportato i passi in cui nel verbale di arresto e di sequestro si fa esplicito riferimento all'acqua (cfr. pag. 8 del ricorso). Dunque, l'affermazione per cui i tutti i militari non avrebbero dichiarato di aver visto con certezza l'acqua fuoriuscire dal tubo collide con quanto riportato nella sentenza di primo grado sulle testimonianze dei militari e con gli stessi atti di polizia giudiziaria.
1.5. Va, infine, rilevato che l'affermazione per cui le piogge dei giorni precedenti non costituiscono elemento rilevante per escludere la necessità di innaffiare perché "le piante... quando raggiungono l'altezza riscontrata richiedono costante innaffiatura per non avvizzire..." si fonda non su una massima di esperienza - che sono caratterizzate da generalizzazioni tratte con procedimento induttivo dalla esperienza comune, conformemente agli orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione - ma su una vera e propria congettura, perché ipotesi fondata su una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità in assenza di concrete verifiche scientifiche sulla stagione, sulla natura della pianta e le sue necessità, sulle condizioni climatiche e del terreno.
2. Quanto alla detenzione della marijuana, ritrovata in due diversi luoghi, deve evidenziarsi che nella sentenza di primo grado manca del tutto la motivazione sulla responsabilità dell'imputato per tale reato.
2.1. Nella sentenza impugnata manca del tutto la motivazione sulla destinazione a terzi della sostanza stupefacente.
2.2. In relazione alla sostanza stupefacente rinvenuta sull'Ape, deve rilevarsi che la tesi difensiva, esposta nell'appello, non era quella relativa ad un accordo illecito tra i Carabinieri ed il F., un "poliziotto" intervenuto sul posto e non citato nei verbali di arresto e di sequestro, ma la prospettazione di una tesi alternativa, risultando che tale agente di polizia giudiziaria si era introdotto senza alcun titolo nell'Ape, e perché dalle dichiarazioni dei Carabinieri emergeva un contrasto sulla proprietà dei terreni su cui erano state rinvenute le piante di marijuana; l'appuntato V.A. aveva riferito che il F. aveva dichiarato che il fondo era suo; l'App. C. ha riferito esattamente il contrario.
In sostanza, né dalla sentenza di primo grado né da quella di appello risulta chi trovò la marijuana e se all'interno dell'Ape.
2.3. Fondato è il ricorso anche quanto alla sostanza stupefacente trovata all'interno del garage.
La Corte territoriale ritiene di poter attribuire la sostanza stupefacente al ricorrente in quanto, anche dalle dichiarazioni del teste esaminato, risulterebbe che l'imputato aveva aperto il garage con le chiavi in sua disponibilità: tale ricostruzione, però, è del tutto contrastante con quella riportata nella prima parte della sentenza in cui non si dà mai atto dell'apertura del garage.
La motivazione della Corte di appello e', altresì, manifestamente illogica perché ritiene irrilevante la disponibilità del garage anche da parte dei congiunti del ricorrente "giacché nessuno di loro ha tenuto condotte penalmente rilevanti e che avessero a che vedere con la sostanza stupefacente", ricorrendo ad un argomento di tipo soggettivo, che non dimostra con certezza l'esclusiva disponibilità di quanto ritrovato e senza alcuna dimostrazione della destinazione a terzi della sostanza stupefacente.
3. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla detenzione dei semi di canapa perché il fatto non sussiste.
Deve essere annullata, sussistendo gli indicati vizi della motivazione, relativamente alla coltivazione delle piante di marijuana e alla detenzione di sostanza stupefacente del tipo marijuana, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla detenzione dei semi di marijuana perché il fatto non sussiste.
Annulla la medesima sentenza relativamente alla coltivazione delle piante di marijuana e alla detenzione di sostanza stupefacente del tipo marijuana, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2023