Non basta la “fama criminosa”: la Corte ridefinisce i limiti della confisca di prevenzione (Cass. Pen. n. 27704/2025)
- Avvocato Del Giudice
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Indice:
1. Introduzione
La decisione si concentra sulla corretta applicazione dell’art. 24 d.lgs. 159/2011, precisando che la confisca di prevenzione richiede l’accertamento di condotte abituali e profittevoli, temporalmente correlate all’acquisizione dei beni, e non può fondarsi su vicende penali remote o concluse con esito assolutorio.
Il nodo centrale riguarda l’uso, sempre più frequente e problematico, della pericolosità generica quale presupposto per la confisca di prevenzione, soprattutto quando il giudizio si fonda su vicende penali remote, prescritte o concluse con assoluzioni, utilizzate per retrodatare arbitrariamente la “pericolosità” al fine di aggredire beni acquisiti molto tempo prima.
La Cassazione, con la sentenza n. 27704/2025, interviene con decisione netta, riaffermando la necessità di una perimetrazione cronologica rigorosa e di una motivazione rafforzata, idonea a dimostrare non solo la reiterazione di condotte, ma la loro effettiva attitudine lucrativa e l’impatto significativo sulla formazione del patrimonio.
2. La vicenda processuale
La vicenda trae origine da un procedimento di prevenzione promosso dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, nel quale l’autorità giudiziaria aveva disposto, in via congiunta, la misura personale della sorveglianza speciale e l’ablazione di un articolato compendio patrimoniale, comprendente società con sede a Malta attive nel settore delle scommesse, trust di diritto estero riconducibili al nucleo familiare del proposto e numerose posizioni finanziarie, tra cui conti correnti e polizze assicurative.
La decisione di primo grado muoveva dall’assunto che il soggetto fosse portatore non soltanto di una pericolosità generica, ma altresì di una pericolosità qualificata, radicata nei legami con un’associazione a delinquere operante nel settore del gioco d’azzardo on line.
Si richiamava, a tal fine, il procedimento penale noto come Galassia, sviluppatosi a partire dal 2012, incentrato sulla raccolta clandestina di puntate tramite siti non autorizzati e successivamente, dal 2015, affiancata a un’attività formalmente legittimata da concessioni statali.
Investita dell’appello, la Corte territoriale operava una parziale riforma.
Veniva infatti esclusa la sussistenza di una pericolosità qualificata, anche in ragione del venir meno dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p., ma veniva confermata la valutazione di una pericolosità generica, ritenuta sufficiente a sorreggere la misura patrimoniale.
In questa prospettiva, i giudici calabresi non si limitarono a valorizzare gli esiti del procedimento Galassia, bensì ampliarono l’orizzonte probatorio fino a comprendere pregresse vicende penali, risalenti agli anni Novanta e ai primi anni Duemila, alcune delle quali definite con pronunce di assoluzione o di prescrizione.
Ne risultava un quadro interpretativo in cui la pericolosità del proposto veniva proiettata su un arco temporale di quasi tre decenni, così da legittimare la confisca di beni acquisiti ben prima delle condotte effettivamente accertate nel procedimento Galassia.
Una scelta motivazionale che, pur sorretta dall’intento di ricostruire una presunta continuità criminosa, finiva per diluire i requisiti di attualità e di effettiva incidenza economica delle condotte illecite, trasformando la prevenzione patrimoniale in un istituto capace di inglobare anche vicende processuali ormai risolte e temporalmente lontane.
3. La pronuncia della Cassazione
Investita del ricorso, la Suprema Corte ha scelto di concentrare l’attenzione su un punto dirimente: la correttezza del metodo seguito dalla Corte d’appello nel fondare il giudizio di pericolosità generica.
È proprio su questo terreno che la motivazione del decreto impugnato si rivela, secondo la Cassazione, priva del necessario rigore.
La Quinta Sezione richiama, in apertura, i principi consolidati a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, nonché della propria giurisprudenza più recente (tra cui la decisione Zingrillo del 2020). In base a tali coordinate, la pericolosità generica non può essere affermata in modo astratto o sulla base di mere propensioni criminose, ma deve poggiare su tre requisiti essenziali: l’abitualità delle condotte, la loro effettiva capacità di generare profitti e la funzione di tali profitti come fonte rilevante di sostentamento del proposto.
La Cassazione osserva, invece, che la Corte territoriale ha ritenuto di poter estendere l’area di pericolosità valorizzando procedimenti penali risalenti nel tempo, taluni conclusi con assoluzione per non aver commesso il fatto, altri estinti per prescrizione.
In tal modo, si è finito per utilizzare vicende giudiziarie ormai definitivamente chiuse come indici di pericolosità, in aperto contrasto con il principio – affermato già nel caso Diotallevi – per cui l’accertamento negativo contenuto in una sentenza irrevocabile di assoluzione impedisce di assumere quella condotta come elemento indiziante.
L’errore metodologico, sottolinea la Suprema Corte, non si esaurisce nell’uso improprio di tali precedenti, ma si riflette anche sull’assenza di una chiara perimetrazione cronologica della pericolosità rispetto all’acquisizione dei beni confiscati.
Come affermato dalle Sezioni Unite Spinelli, il giudice della prevenzione è chiamato a individuare il momento iniziale in cui la pericolosità si manifesta e a verificare se le acquisizioni patrimoniali ricadano in quel preciso arco temporale. Nulla di tutto ciò emerge dalla motivazione della Corte d’appello, la quale ha preferito costruire un quadro di continuità criminale trentennale, senza però dimostrare in che misura le condotte risalenti abbiano inciso sulla formazione del patrimonio oggetto di confisca.
Ne consegue che, pur riconoscendo la gravità delle condotte accertate nel procedimento Galassia – condotte che effettivamente coprono gli anni 2012-2017 e che hanno trovato conferma in una condanna penale – la Cassazione non può accettare che tali fatti siano usati come grimaldello per legittimare l’ablazione di beni acquisiti in epoca molto anteriore, attraverso una “proiezione retroattiva” della pericolosità generica.
La motivazione della Corte d’appello viene così giudicata insufficiente e, soprattutto, inidonea a rispettare lo standard probatorio richiesto dall’art. 24 del d.lgs. 159/2011. Da qui la decisione di annullare il decreto impugnato, con rinvio a diversa composizione della Corte d’appello di Reggio Calabria, affinché proceda a un nuovo esame alla luce dei criteri rigorosi imposti dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
4. Osservazioni conclusive
La sentenza in esame si segnala per la chiarezza con cui riafferma principi che, pur essendo ormai consolidati, necessitano di essere ribaditi con forza, alla luce della prassi non sempre rigorosa dei giudici di merito.
L’idea di una pericolosità generica dilatabile a piacimento, capace di abbracciare decenni di vicende giudiziarie, comprese quelle concluse con esiti liberatori o estintivi, rappresenta una deriva che svuota di significato la funzione stessa delle misure di prevenzione.
La Cassazione richiama i giudici a un compito che è anzitutto metodologico: individuare con precisione il momento di insorgenza della pericolosità, collocarlo temporalmente rispetto alle acquisizioni patrimoniali e verificare la concreta attitudine lucrativa delle condotte illecite accertate.
Senza questa perimetrazione, il giudizio di prevenzione si trasforma in un giudizio reputazionale, che punisce la “fama criminosa” più che i comportamenti effettivi, in aperto conflitto con i principi di legalità, proporzionalità e prevedibilità.
La pronuncia merita di essere letta anche in chiave convenzionale.
È evidente, infatti, che una confisca fondata su condotte assolte o prescritte rischia di violare la presunzione di innocenza (art. 6 § 2 CEDU), mentre una retrodatazione arbitraria della pericolosità finisce per incrinare il diritto di proprietà garantito dall’art. 1 Prot. 1 CEDU, mancando il nesso logico tra fatto illecito e bene ablato. La Corte di Strasburgo ha più volte ammonito l’Italia sul rischio che la prevenzione patrimoniale si trasformi in una confisca senza condanna, e la decisione del 2025 sembra muoversi proprio nella direzione di prevenire nuove condanne internazionali.
In questo senso, la sentenza n. 27704/2025 ha un valore che trascende il singolo caso: essa ribadisce che la prevenzione non può diventare uno strumento onnivoro, capace di assorbire qualunque sospetto, qualunque vicenda, qualunque frammento di processo.
La misura patrimoniale, per restare legittima, deve rimanere ancorata a un tessuto probatorio concreto, delimitato nel tempo e nello spazio, e sorretto da una motivazione che dia conto in modo puntuale dei tre requisiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità: abitualità, profitto e rilevanza reddituale.
Se così non fosse, la confisca di prevenzione rischierebbe di trasformarsi in ciò che più volte si è cercato di scongiurare: una sanzione occulta, priva delle garanzie del processo penale ma capace di incidere in modo devastante sui diritti fondamentali della persona.
È contro questa deriva che la Cassazione, con la decisione in commento, erige un argine, restituendo alle misure di prevenzione il volto che la Costituzione e la Convenzione europea impongono: quello di misure eccezionali, rigorosamente tipizzate e strettamente necessarie.
5. La sentenza integrale
Cass. pen., sez. V, ud. 14 luglio 2025 (dep. 29 luglio 2025), n. 27704
Ritenuto in fatto
1. Con decreto del 19 novembre 2024, la Corte d'Appello di Reggio Calabria- sezione Misure di prevenzione ha in parte riformato la decisione del Tribunale, con cui Ri.An. era stato sottoposto alla misura personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per anni due e mesi sei, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.
Il Tribunale aveva altresì disposto la confisca dei beni, indicati infra; ad avviso del Tribunale, i principali elementi a sostegno della pericolosità sociale qualificata, oltre generica, si desumevano dalle risultanze del procedimento penale ed "Galassia", in cui il Ri.An. veniva rinviato a giudizio quale capo dell'associazione a delinquere, di cui al capo d) della rubrica, avente a oggetto la gestione e la raccolta, sul territorio dello Stato, di puntate su giochi e scommesse attraverso siti non autorizzati, dapprima in totale assenza della concessione e quindi, dal 2015, in parallelo all'attività autorizzata.
La Corte d'Appello ha disatteso il giudizio di pericolosità sociale qualificata, formulato dal primo giudice, dato il venir meno dell'aggravante di cui all'art. 416 bis.l cod. pen., condividendo, invece, il giudizio di pericolosità sociale generica. In particolare, la condanna per il reato associativo, pronunciata dal G.u.p. il 9 luglio 2024, oltre alle condotte delittuose di cui ai capi e), f), g), h) - omessa dichiarazione di reddito ai fini Ires e la truffa ai danni dello Stato - devono ritenersi, secondo i giudici dell'appello, sintomatiche della pericolosità generica contestata al Ri..
Ad avviso della Corte, ulteriori, pregresse condotte del ricorrente (descritte alle pp. 34 e 35 del decreto: due imputazioni e una condanna), aventi come unico denominatore la produzione di profitto illecito, contribuiscono a fondare il giudizio di pericolosità generica.
Tanto premesso, la Corte ha ritenuto mancante il requisito dell'attualità, posto che le condotte sintomatiche di pericolosità sociale si arrestano al 2017 e che, in seguito all'emissione di ordinanza cautelare nel 2018, è seguito lo stato detentivo. Visto l'intervallo temporale rispetto al decreto del Tribunale, emesso il 12 giugno 2023, e data l'assenza di elementi cui ancorare la persistenza della ritenuta pericolosità, la Corte d'Appello ha rigettato la richiesta di misura personale della sorveglianza speciale.
È stata invece confermata la misura patrimoniale della confisca di 1) beni e società, indicate in rubrica, tutte con sede in Malta, ma di fatto operanti su territorio statale; 2) due trust, l'Atomic Trust e il Rotter Trust, aventi entrambi, come beneficiari, la moglie del proposto, Id.Ma., e i due figli, Fe.Ri.e Gi.Ri.; 3) nonché le posizioni finanziarie, analiticamente indicate in rubrica, tra cui conti correnti e polizze assicurative.
In relazione alle società ablate, la Corte d'Appello ha ritenuto sussistente sia il requisito della disponibilità delle società (segnatamente, della Oia Services Ltd, Harvey Gaming Lmt, già GVC New Ltd, Wls Ltd) in capo al proposto, come dimostrato dagli esiti del menzionato procedimento "Galassia", sia il requisito della correlazione temporale ovvero dell'acquisizione nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale generica.
In riferimento al procedimento "Galassia", la Corte ha richiamato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Mario Gennaro e Fabio Lanzafame in merito alla riconducibilità delle società Oia Services Ltd, Harvey Gaming Lmt, già GVC New Ltd, Wls Ltd, nonché del sito di scommesse "Betaland", al Ri.. Quanto alla correlazione temporale, la Corte ha ritenuto che la costituzione delle tre citate società (nel 2012, 2013 e 2015) ricadesse pienamente nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale del proposto, dal momento che il tempo dei delitti di omessa dichiarazione IRES, di cui ai capi e) ed f), è riferito agli anni d'imposta 2013, 2014 e 2016; e il tempo dei delitti di truffa aggravata ai danni dell'erario dello Stato, di cui ai capi g) e h), è riferito agli anni d'imposta 2012, 2013, 2014, 2015 e 2016. In applicazione dell'art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2011, i giudici della prevenzione hanno ritenuto le società ablate di provenienza illecita; il Ri., nello svolgimento dell'attività d'impresa, avrebbe commesso attività delittuose che hanno contaminato di illiceità tutti i ricavi. Secondo i giudici della prevenzione, le condotte illecite accertate nel procedimento "Galassia" avrebbero inquinato l'intero patrimonio aziendale, sicché, in ragione del carattere unitario del bene "azienda" e del sottostante modus operandi che ha contaminato l'intero guadagno, non è stato possibile differenziare l'apporto di componenti lecite da quello imputabile alle condotte illecite.
Quanto ai due trust, la Corte territoriale ha disatteso la tesi difensiva per cui vi sarebbe stato un effettivo trasferimento dei beni dal Ri.An.al trustee (nella specie, la Fides Fiduciary Ltd) e ha evidenziato la riconducibilità al proposto delle società che, a vario titolo, hanno partecipato alla costituzione e/o al finanziamento dei trust.
La Corte ha condiviso la prospettazione accusatoria circa la fittizietà ovvero l'intento fraudolento dei trust, non ravvisando elementi idonei a sostenere l'estraneità del proposto rispetto alla disponibilità dei beni oggetto dei trust. Infine, è stata confermata la confisca dei conti correnti intestati al Ri.An. e alla di lui moglie, accesi presso S. e B., avendo la Corte condiviso la tesi del primo giudice della prevenzione circa la natura di reimpiego di beni illeciti. 2. Avverso il decreto della Corte d'Appello, ha proposto ricorso per cassazione Antonio Ri., per il tramite del proprio difensore, Avv. S., affidando le proprie censure ai due motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1.
Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 1, 4 e 24 D.Lgs. n. 259 del 2011 (d'ora in poi C.a.m), per avere la Cotte d'appello valorizzato procedimenti penali, afferenti agli anni 1995-1996 e 2003-2007, definiti con declaratorie di prescrizione e di proscioglimento nel merito, e, ciò, al solo scopo di proiettare a ritroso nel tempo l'indimostrata pericolosità generica del Ri.An.e di colpire cespiti patrimoniali acquisiti dal ricorrente in epoca antecedente al procedimento "Galassia" (che ha avuto a oggetto condotte commesse tra il 2013 e il 2017), l'unico cui è conseguita pronuncia di condanna, peraltro con pena sospesa; ciò che implicherebbe, a parere della difesa, l'assenza di pericolosità del condannato. Tale approccio valutativo si è tradotto nella violazione di una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata del giudizio di prevenzione, che impone, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte, di non tener conto di fatti non accertati in sede penale. È palese, inoltre, 1) lo sfasamento temporale tra le condotte oggetto di incriminazione penale evidenziate dalla Corte e le acquisizioni patrimoniali oggetto di confisca di prevenzione; 2) l'assenza di congruenza quantitativa tra i profitti conseguiti e il valore dei beni confiscati, richiesta dall'art. 24 del C.a.m. 2.2 Col secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 259 del 2011.
Con motivazione meramente apparente, la Corte ha del tutto pretermesso il riscontro documentale costituito dalla consulenza di parte, a firma del De Marinis, che attestava la legittimità della provvista di capitale (euro 1.471.528) impiegata per la costituzione, l'8 marzo 2013, dell'(Omissis), nonché la sentenza del giudice svizzero del 19 dicembre 2012, che disponeva un indennizzo in favore del ricorrente, la cui somma transitava interamente presso la Fides Fiduciary Ltd, trustee del predetto trust.
La pronuncia dell'autorità svizzera dimostra 1) la preesistenza della provvista (2012) rispetto al dies a quo (2013) del sorgere dell'asserita pericolosità sociale del Ri.An. e dell'acquisto (2013-2014) delle quattro società del gruppo riconducibile alla Oia services; 2) la provenienza non inquinata da attività illecite della provvista di Euro 1.471.528, precedente la costituzione delle quattro società.
La motivazione è asseverativa, là dove sostiene la natura simulatoria del trust in ambito familiare e illogica, perché non considera come l'effetto caratteristico del Trust sia quello di privare il disponente di quanto conferito nel trust stesso. Inoltre, le dichiarazioni del Ce. avevano evidenziato che l'accrescimento del fondo si era realizzato con metodi leciti (v. p. 26 ricorso) e al di fuori di aree di influenza del Ri..
L'Atomic trust ha avuto quale unica finalità quella di garantire ai figli del ricorrente e alla moglie, da cui egli si separava nel 2006 e che aveva in affidamento la prole, un fondo patrimoniale adeguato alle loro necessità di vita.
La motivazione è basata su congetture anche per quel che concerne il Rotter Trust, in cui sono confluite, nel 2018, le plusvalenze realizzate sul portafoglio dell'Atomic Trust; anche in tal caso, i movimenti finanziari attestano che la provenienza dei fondi è sganciata dalle condotte coincidenti col procedimento "Galassia" (2013-2017).
La decisione impugnata contrasta palesemente con le risultanze - che risalgono fino al 1996- del prospetto elaborato dalla GdF, da cui emerge l'insussistenza della sproporzione tra i beni ablati e il reddito dichiarato dal Ri.. La Corte non ha considerato che lo standard dimostrativo richiesto dall'art. 24 C.a.m. non può appiattirsi su un giudizio di mera verosimiglianza, richiedendosi bensì la prova certa in ordine alla sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituali. Infine, l'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 416 bis. l cod. pen. ha dimostrato che le società del proposto non si inserivano in un sodalizio di natura mafiosa; ciò avrebbe imposto alla Corte un maggior scrupolo motivazionale nel determinare la misura in cui il patrimonio delle società sia stato effettivamente contaminato da apporti di capitale illecito.
Peraltro, come ricordato nel medesimo provvedimento impugnato, dopo il 2015, la Oia services aderiva alla procedura di regolarizzazione sanando le posizioni di 98 punti attivi in Italia nella raccolta delle scommesse.
Anche tale elemento avrebbe imposto alla Corte di operare dei distinguo tra beni realizzati con capitali derivanti da profitti illeciti e beni sottratti a una siffatta provenienza, per poi circoscrivere l'intervento ablatorio alla sola componente eventualmente anomala del compendio societario e dei beni del Ri.. 3. Sono pervenute le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Giuseppina Casella, la quale ha chiesto l'annullamento del decreto impugnato, con rinvio al giudice a quo per nuovo giudizio.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito illustrate. 2. Il primo motivo è fondato e assorbe le restanti doglianze.
Ritiene il Collegio che la Corte d'Appello non abbia correttamente applicato al caso in scrutinio i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, alla stregua dei quali "in tema di misure di prevenzione, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, le "categorie di delitto" legittimanti l'applicazione di una misura fondata sul giudizio di c.d. pericolosità generica, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 159 del 2011, devono presentare il triplice requisito - da ancorare a precisi elementi di fatto, di cui il giudice di merito deve rendere adeguatamente conto in motivazione - per cui deve trattarsi di delitti commessi abitualmente, ossia in un significativo arco temporale, che abbiano effettivamente generato profitti in capo al proposto e che costituiscano, o abbiano costituito in una determinata epoca, l'unica, o quantomeno, una rilevante fonte di reddito per il medesimo. (Sez. 5, n. 182 del 30/11/2020, dep. 2021, Zingrillo, Rv. 280145 - 03). I "precisi elementi di fatto", richiamati dal citato principio, cui necessariamente deve ancorarsi il giudizio di pericolosità c.d. generica, non risultano adeguatamente evidenziati nel decreto impugnato, in particolare con riguardo ai tre procedimenti penali (1/1995 presso il Tribunale di Bari, 14398/2002 presso il Tribunale di Bari, 43937 Tribunale di Roma) citati dalla Corte territoriale alle pagg. 34 e 35 del gravato provvedimento.
Coglie nel segno, a tal riguardo, il ricorrente, nel dolersi della valorizzazione, operata dalla Corte d'Appello, di procedimenti penali, afferenti agli anni 1995-1996 e 2003-2007, in relazione ai quali è stata pronunciata 1) sentenza di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto, del 4 marzo 2022, nel procedimento 1/1995, per fatti risalenti al 1995-1996; 2) sentenza di condanna, del 9 aprile 2010, nel procedimento 14398/2002, per fatti del 2003; 3) sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, per fatti commessi tra il 2003 e il 2007. Per quel che ha riguardo alla pronuncia indicata sub 1), deve ricordarsi il principio di diritto in base al quale "l'accertamento negativo contenuto in una sentenza irrevocabile di assoluzione impedisce di assumere una determinata condotta come elemento indiziante ai fini del giudizio di pericolosità sociale" (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Diotallevi, Rv. 277438 - 02).
La motivazione del decreto impugnato si limita a evidenziare che il giudice del merito statuiva essere le condotte imputate al Ri.An. verosimilmente inquadrabili in fattispecie di truffa.
Al riguardo, è sufficiente ribadire che la constatazione di condotte genericamente indicative della propensione al delitto - per le quali, peraltro, nel caso in scrutinio era intervenuta pronuncia di non luogo a procedere per non aver commesso il fatto - non è sufficiente a basare il giudizio di pericolosità sociale del soggetto proposto per l'applicazione della confisca di prevenzione ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. a) e b), D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159. A tal fine, "il giudice della prevenzione deve individuare il momento iniziale della suddetta pericolosità, al fine di sostenerne la correlazione con l'acquisto dei beni, sulla base non della constatazione di condotte genericamente indicative della propensione al delitto, ma dell'apprezzamento di condotte delittuose corrispondenti al tipo criminologico della norma che intende applicare, individuando il momento in cui le stesse abbiano raggiunto consistenza e abitualità tali da consentire, già all'epoca, l'applicazione della misura di prevenzione" (Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018, R., Rv. 273976 - 01).
Per quel che concerne la decisione indicata sub 3), se è vero che "il giudice della prevenzione può ritenere la riconducibilità del proposto ad una delle categorie di pericolosità di cui agli artt. 1 e 4 D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, anche indipendentemente dall'esistenza di sentenze di condanna che abbiano accertato la pregressa commissione di reati, a condizione che la valutazione incidentale a tal fine compiuta non sia smentita da esiti assolutori di eventuali procedimenti penali, eccezion fatta per il caso in cui tali esiti siano dipesi dal riconoscimento di cause estintive (Sez. 1, n. 36080 del 11/09/2020, Cavazza, Rv. 280207 - 01, corsivo nostro), è anche vero che, "nondimeno, il giudice non può basare il suo accertamento su meri sospetti, ma è tenuto a prendere in considerazione fatti storicamente apprezzabili, l'efficacia dimostrativa dei quali deve essere più elevata in relazione alla pericolosità ed. generica, con la conseguenza che la riconduzione del proposto ad una delle categorie di questa non può essere fondata su semplici informazioni contenute nelle banche dati in uso alle forze di polizia non accompagnate da aggiornamenti in ordine ai relativi sviluppi procedimentali".
Il principio ora enunciato impone, dunque, al giudice della prevenzione un surplus d'impegno motivazionale che, nel caso in esame, avrebbe dovuto tradursi in una più precisa indicazione dei modi attraverso cui le condotte, al tempo (2003-2007) sub iudice, si erano rivelate causa di profitti illeciti, costituenti una fonte significativa di reddito.
Infine, relativamente alla sentenza di cui sub 2), la condanna intervenuta per contrabbando di cellulari attiene a un delitto commesso nel 2003. Non può, allora, non condividersi l'eccezione difensiva che insiste (in relazione sia alla sentenza di condanna di cui sub 3), sia alle altre due sentenze) sullo sfasamento temporale tra le condotte oggetto di incriminazione penale evidenziate dalla Corte e le acquisizioni patrimoniali oggetto di confisca di prevenzione.
Alla stregua delle coordinate tracciate da Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015, Spinelli, Rv. 262605 - 01, coglie nel segno la doglianza difensiva concernente il difetto di perimetrazione cronologica tra manifestazione della pericolosità e acquisizione dei beni confiscati.
Invero, è la stessa Corte d'Appello a chiarire che le società confiscate sono state costituite a partire dall'anno 2012; e coeva è stata la costituzione dei due trust.
Dunque, il ragionamento dei giudici della prevenzione appare corretto fin dove si valorizza la condanna, intervenuta il 9 luglio 2024, per il reato di associazione, di cui al capo d), oggetto del procedimento ed. Galassia, per fatti commessi tra il 2012 e il 2018 (retrodatabili, secondo i giudici della prevenzione, di almeno un biennio: v. p. 16 decreto impugnato). Ma, per i cespiti patrimoniali acquisiti dal ricorrente in epoca (1995-1996 e 2003-2007) antecedente al procedimento "Galassia", si condividono le notazioni difensive circa l'illegittima proiezione a ritroso nel tempo della pericolosità generica del Ri.. In definitiva, del triplice requisito richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte affinché il giudizio di pericolosità sociale sia correttamente reso (v. supra, Sez. 5, Zingrillo, Rv. 280145 - 03, cit.), la Corte tratteggia la sussistenza del primo, quello dell'abitualità, posto che, almeno dal 1995 a 2018, le decisioni richiamate dai giudici d'appello della prevenzione danno conto di un significativo arco temporale in cui le condotte illecite sono state attuate.
Ma la connessione tra le condotte oggetto dei tre procedimenti indicati e il ricavo di profitti illeciti che il proposto avrebbe indirizzato nella costituzione di società, trust e beni confiscati con procedimento de quo, nonché la dimostrazione che il Ri.An. abbia vissuto, in tutto o in parte, coi proventi delle illecite attività, non può dirsi dimostrato. Benché la motivazione sia chiara nel sottolineare a) che la misura ablativa è stata giustificata non sulla base della sproporzione, bensì su quella della natura illecita delle risorse reimpiegate nella gestione dell'attività d'impresa, e b) che, in ragione del carattere unitario del bene "azienda", non è stato possibile sceverare l'apporto di componenti lecite da quello imputabile a condotte illecite, ciò, a parere del Collegio, non basta a fondare un percorso dimostrativo, invece necessario, in ordine alla pericolosità generica, idoneo a giustificare la conferma del sequestro dei beni del proposto.
È certamente vero, come più volte sottolineato da questa Corte, che, in tema di pericolosità generica, la sistematica condotta di evasione fiscale, di rilievo penale, (contestata al proposto, insieme al delitto di la truffa ai danni dello Stato, sub capi e), f), g), h) e la conseguente immissione di capitali di provenienza non lecita in un complesso aziendale - che comporta l'impossibilità di scindere tra eventuali componenti sane, riferibili ad attività imprenditoriale lecita, e apporto di capitali illeciti - rappresenta un elemento rilevanti al fine dell'inquadramento di una persona nella categoria di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 -02).
Al giudice della prevenzione, infatti, non è richiesto, come si è precisato in più occasioni, che egli accerti in modo specifico la entità del profitto correlato a ogni condotta delittuosa, sì da trasformare la confisca di prevenzione in una tipologia di confisca latamente "pertinenziale" (con limitazione dell'ablazione al valore dei beni corrispondenti al profitto illecito ricavabile dalle condotte delittuose), posto che, una volta stabilita anche la semplice "incidenza" (componente significativa della redditività nel periodo considerato, secondo le indicazioni di Corte cost., sent. n.24 del 2019) del reddito illecito sul mantenimento del tenore di vita, soccorre, ai fini di individuazione dei beni confiscabili, il presupposto concorrente della "sproporzione" tra redditi leciti e valore degli investimenti realizzati nel periodo. In altri termini, la confisca di prevenzione non ha natura strettamente pertinenziale e la constatazione delle reiterate attività illecite, unitamente al parametro della sproporzione, consente - sul piano logico - di ipotizzare che la formazione del patrimonio non giustificato abbia derivazione da attività illecite similari (anche ulteriori rispetto a quelle espressamente censite).
Ciò perché la "sproporzione" di valori, come chiarito in più arresti di questa Corte di legittimità (v. da ultimo Sez. 1, n. 15617 del 2020, n.m.) e dalla stessa Corte costituzionale nella decisione n. 24 del 2019, altro non è che una "semplificazione probatoria" consentita dal sistema, rispetto all'accertamento 'pieno' del nesso di derivazione tra attività illecita, censita in sede di ricognizione della pericolosità, e impiego delle risorse in tal modo prodotte.
Fatta salva l'importanza di tali precisazioni, si è già illustrato il motivo per cui il decreto impugnato non dà adeguatamente conto di quel nesso di derivazione tra attività illecite e impiego delle risorse in tal modo prodotte.
Peraltro, nel decreto impugnato non emerge una chiara distinzione tra i dati rivelatori di pericolosità lucro-genetica di cui alla sentenza resa nella ed. operazione Galassia e i dati specificamente esaminati analizzando il primo motivo di ricorso, nel senso che resta inesplorata, ai fini della perimetrazione cronologica dell'illiceità dei beni prodotti dalle attività assunte come rivelatrici di pericolosità negli ultimi anni, la sufficienza di queste ultime a giustificare, al netto delle precedenti e risalenti attività attribuite al Ri., la indispensabile correlazione con le acquisizioni dei beni oggetto di confisca. Tanto comporta l'assorbimento del secondo motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria in diversa composizione.