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Diffamazione: non sussiste in caso di fiction che non riporta fedelmente i fatti storici


Corte di Cassazione

La massima

In tema di diffamazione, la rappresentazione in una "fiction" giudiziaria di fatti storici non del tutto fedeli al dato investigativo e processuale, non è di per sé diffamatoria, attesa la natura creativa ed artistica dell'opera, salvo che vengano distorti, in senso denigratorio, gli accadimenti reali, deformando irrimediabilmente la verità processuale emersa, in modo da potenziare il sospetto nei confronti dei protagonisti della vicenda oltre quello derivante dagli elementi indiziari vagliati nel processo (Cassazione penale sez. V - 30/06/2021, n. 30724).

Fonte: CED Cass. pen. 2021




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La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V - 30/06/2021, n. 30724

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata dalla Corte di appello di Firenze, che ha confermato la decisione del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale della stessa città che aveva assolto L.D.F., M.L., T.A., H.E.W.D., L.H.S. e M.M.K. dall'accusa di diffamazione ai danni di C.F. con la formula "perché il fatto non sussiste".


Gli imputati erano stati chiamati a rispondere del reato di diffamazione loro addebitato per avere contribuito alla realizzazione della fiction "il mostro di Firenze", in cui secondo l'editto accusatorio essi offendevano la reputazione di C.F., ingenerando nel pubblico la convinzione che questi fosse il mandante di quattro duplici omicidi attribuiti al "mostro", nonostante l'assoluzione con sentenza passata in giudicato emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Firenze.


L. risponde del reato quale presidente del Consiglio di amministrazione della Wilder s.r.l. (società produttrice della fiction) e quale presidente del consiglio di amministrazione della Fox international Channels Italy s.r.l. (società distributrice della fiction).


M. e T. sono chiamati a rispondere del reato quali consiglieri di amministrazione della Wilder s.r.l.;


H. risponde quale presidente del Consiglio di amministrazione della Fox international Channels Italy s.r.l.;


L. e M. sono imputati quali consiglieri dell'anzidetta Fox international Channels Italy s.r.l.


2. Ricorre per cassazione C.F., figlia del defunto C.F., a mezzo del proprio difensore Avv. Gabriele Zanobini, affidando le proprie censure ad un unico, lungo motivo, che lamenta violazione di legge processuale (in particolare, dell'art. 238-bis c.p.p.) e vizio di motivazione; motivo di seguito sintetizzato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come previsto dall'art. 173 disp. att. c.p.p..


La formulazione delle censure prende le mosse dalla denunzia della non corretta considerazione, da parte del Giudice di prime cure, della sentenza irrevocabile di assoluzione di C., cui era contestato di essere il mandante degli omicidi perché interessato ad avere parti del corpo delle povere vittime di sesso femminile e di essere stato presente ad uno di essi. Circostanza che si scontra con il fatto che, in uno dei duplici omicidi, non erano state asportate parti del corpo della donna e che un altro delitto riguardava due uomini. Anche la tesi secondo cui C. era un tramite con dei soggetti che tenevano delle orge e messe nere nella Villa "la sfacciata" è contraddetta dal fatto che detti individui avevano già abbandonato detta villa all'inizio del 1984. Inoltre L., nel processo cosiddetto dei compagni di merende, aveva sempre affermato che V. gli aveva detto che il committente delle macabre mutilazioni era un medico. La sentenza di assoluzione del Giudice dell'udienza preliminare nei confronti di C., dunque, non era legata ad un'insufficienza di prove, ma alla totale assenza dei presupposti dei reati, sicché la lettura della sentenza suddetta fatta dal Giudice di prime cure in questo procedimento sarebbe violativa dell'art. 238-bis c.p.p.. Il ricorso prosegue evidenziando come il Giudice dell'udienza preliminare che aveva assolto C. avesse reputato accertata l'inattendibilità di C.M., moglie di C., affetta da una grave forma di patologia psichiatrica e come, invece, il Giudice di prime cure nel presente procedimento avesse ritenuto che le dichiarazioni della Ciulli avessero arricchito il quadro di sospetti a carico del C., per poi affermarne l'inattendibilità (come per V.), così dando luogo ad un'evidente contraddittorietà. Lamenta, ancora, la ricorrente che, nell'appello, si fosse rimarcato che l'assoluzione del C. era avvenuta per la mancanza dei presupposti del reato e che la Corte territoriale ha, invece, ritenuto che la teoria dei mandanti non era stata confermata ma neanche sconfessata dall'accertamento processuale. Si legge nel ricorso che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare, quale rappresentazione diffamatoria, che, nella terza puntata della fiction, R. padre di R.P., una delle vittime - aveva riferito agli inquirenti del contenuto di un memoriale consegnatogli dalla C.; nel parlargliene, quest'ultima aveva rivelato a R. che C. era tornato ferito la notte dell'omicidio delle vittime francesi e che il 15 settembre era tanto sconvolto da aver lasciato, in maniera del tutto inusuale, la cantina aperta, dove la donna era entrata ed aveva visto appesi lembi di pelle umana. Un altro passaggio della fiction che la ricorrente reputa diffamatorio è quello in cui vengono riprodotte le dichiarazioni di V. al Dott. G., secondo le quali anche il "farmacista di (OMISSIS)" partecipava ai festini con le prostitute, mentre la sentenza di assoluzione di C. aveva smentito del tutto l'attendibilità di V., soggetto dallo stato di salute mentale compromesso.


Il ricorso prosegue sostenendo che, al di là dell'apparente presa di distanza della Corte di merito rispetto ad alcuni contenuti della sentenza di primo grado e della sottolineatura dei toni dell'appello, la decisione impugnata sarebbe comunque censurabile. In particolare, lo sarebbe quando ha ritenuto l'ambiguità della sentenza di assoluzione di C., ancorché non impugnata dai Pubblici ministeri, e quando ha sostenuto che la riproduzione cinematografica non avesse portata diffamatoria.


A seguire, il ricorso riporta una sintesi dei passaggi della fiction riferiti ala posizione di C., secondo la parte muniti di portata diffamatoria a dispetto di quanto sostenuto dalla Corte di appello.


Nel primo episodio, la moglie di C. riferiva a R. che il marito era il mostro di Firenze.


Nel secondo episodio, R. si recava dal pubblico ministero e dal funzionario di polizia che si occupava delle indagini e leggeva - come in precedenza già ricordato dalla ricorrente un passaggio del memoriale della C. contenente pesanti accuse nei confronti dell'ex marito.


Nel terzo episodio veniva rappresentata la perquisizione a C. ed il colloquio tra il Dott. P. e R. circa l'esito negativo della medesima.


Quanto al colloquio R.- C., aggiunge la ricorrente che, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte di appello, esso darebbe l'idea che la C. era diventata pazza dopo aver visto quanto aveva commesso il marito. Aggiunge ancora il ricorso che l'interrogatorio di C. sarebbe inventato e che l'episodio della visita di R. a (OMISSIS), con l'allontanamento sia di V. che di C., indurrebbe il telespettatore a ritenere che quest'ultimo volesse sottrarsi al confronto con il padre di una delle vittime.


Nel sesto episodio il commissario G. andava a trovare V. in una struttura dove questi si trovava ricoverato ed il dialogo - in cui V. indicava il "farmacista di (OMISSIS)" come partecipe ad alcune sortite per incontrare prostituite a Firenze non è neutro come sostenuto dalla Corte territoriale ed è comunque totalmente inventato.


La ricorrente critica, ancora, la minimizzazione della valenza diffamatoria della scena ambientata presso la questura di Firenze, quando il commissario G. affermava - riferendosi a R. - "mi sa che c'eri vicino caro R. Non sai nemmeno quanto", riferendosi ai sospetti di R. circa la responsabilità di C..


L'accenno, della Corte di merito, ad altri elementi non riprodotti nella fiction che avrebbero potuto nuocere alla reputazione di C. (circostanza significativa, quindi, dell'assenza di volontà diffamatoria degli imputati) riguarda soltanto le sommarie informazioni testimoniali di due donne che avevano "sputato veleno" sul predetto per avere avuto con lui una relazione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e', nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.


1. Una prima precisazione preliminare si impone in ordine alla memoria a firma dell'Avv. Nicola Pisani versata in atti.


Detta memoria è stata trasmessa via PEC solo il 28 giugno 2021 ed e', quindi, inammissibile perché tardivamente depositata, in violazione del disposto di cui all'art. 611 c.p.p., comma 1, ultimo periodo. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, si tratta di un termine previsto a pena di decadenza che, ove non rispettato, determina l'impossibilità di considerare il contenuto degli atti intempestivamente depositati (Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, A., Rv. 278719; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani S., Rv. 278745; Sez. 1, n. 13597 del 22/11/2016, dep. 2017, De Silvio, Rv. 269673; Sez. 1, n. 8960 del 07/02/2012, Mangione, Rv. 252215). Per quanto di interesse in questa sede, esso si applica anche ai procedimenti celebrati in pubblica udienza (Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, cit.; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, cit.; Sez. 3, n. 50200 del 28/04/2015, Ciotti, Rv. 265935; Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014, Cutrì e altro, Rv. 259618).


Va altresì precisato che il processo seguiva le regole della trattazione orale, richiesta dal difensore di parte civile e dal Procuratore generale, sicché non si applicano le disposizioni di cui al D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8, conv. dalla L. n. 176 del 2020, ma le regole ordinarie; ad ogni buon conto, il Collegio rileva che comunque la memoria sarebbe intempestiva anche a lume della disposizione emergenziale, che prevede il deposito delle conclusioni scritte dei difensori non oltre il quinto giorno antecedente all'udienza.


Ne consegue che, della memoria anzidetta, non si è tenuto conto ai fini dell'odierna decisione.


2. Un'ulteriore premessa concerne l'ambito del vaglio di legittimità in tema di diffamazione. Il Collegio ritiene di riaffermare, anche quando la diffamazione sia portata in un'opera televisiva come quella in esame, il principio già sancito in ordine alle espressioni diffamatorie, secondo cui la Corte di cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva dell'altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 33115 del 14/10/2020, non massimata; Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284. Ne consegue che, anche grazie alla visione (dal supporto in atti) dei tratti della fiction su cui si sono soffermati sia le sentenze di merito che il ricorso, è stato possibile vagliare i passaggi "incriminati" e verificare la tenuta delle argomentazioni spese dai Giudici di merito per supportare la pronunzia liberatoria.


3. Fatte queste premesse, come anticipato, il ricorso non merita accoglimento.


Esiste un primo dato di fondo, che sgombera il campo dai ripetuti riferimenti della ricorrente alla sentenza del Giudice dell'udienza preliminare che aveva assolto C. e dalle critiche rivolte nel ricorso alle affermazioni dei Giudici di merito a proposito della natura dell'anzidetto proscioglimento. Si tratta della circostanza, evidenziata dalla Corte territoriale e non specificamente avversata dall'impugnante, che ciò che la fiction ha rievocato è la storia delle difficili, complesse e pluriennali indagini che hanno seguito i terribili omicidi attribuiti al "mostro". Storia nell'ambito della quale C. si è indiscutibilmente collocato a prescindere dall'assoluzione passata in giudicato nei suoi confronti e dalla formula attraverso la quale tale assoluzione è stata pronunziata - essendo un dato obiettivo che il predetto sia stato sottoposto ad indagini e poi processato per essere il mandante di quattro dei duplici omicidi che hanno funestano i dintorni di Firenze. Ed è sul dato storico - innegabile -del coinvolgimento di C. nel procedimento che si incentra la fiction, che non rappresenta al telespettatore la colpevolezza o l'innocenza di quest'ultimo, ma solo gli elementi anche nella loro debolezza - che lo condussero dinanzi al Giudice dell'abbreviato ed i cui limiti gli sono valsi, poi, l'assoluzione riportata. Assoluzione della quale, peraltro, come si evince dai passaggi dello sceneggiato riprodotti nel dvd in atti, il telespettatore è stato debitamente informato nei titoli di coda. Di fronte a questa impostazione, che si reputa corretta, il ricorso lambisce l'inammissibilità in quanto rimarca ripetutamente la valenza della pronunzia assolutoria, non avvedendosi che C. non è stato rappresentato come un soggetto colpevole di essere uno dei mandanti dei delitti, ma solo come una persona sottoposta ad indagini perché raggiunta da accuse in tal senso, accuse la cui fondatezza non sarebbe stata poi validata dal Giudice del rito abbreviato.


Di qui non solo l'infondatezza delle critiche della ricorrente tese a valorizzare il decisum del Giudice dell'udienza preliminare su C., ma anche l'irrilevanza ai fini della tenuta del verdetto assolutorio - di ogni considerazione dei Giudici di merito che abbia valorizzato il portato di incertezza che una pronunzia ex art. 530 c.p.p., comma 2, può lasciare, irrilevanza che la Corte di merito ha finito per ammettere quando ha asserito che la decisione liberatoria per gli odierni imputati sarebbe stata da confermare anche qualora C. fosse stato assolto con formula più ampia.


Ed è in questo quadro che - come correttamente rilevato dai Giudici di entrambi i gradi di merito analizzando le singole scene che si assumono diffamatorie - si colloca, da una parte, l'illustrazione degli elementi a carico (si pensi alle dichiarazioni accusatorie della moglie del C., C.M., o a quelle di uno degli autori materiali degli omicidi, V.M.), ma anche la rappresentazione di tutta la loro debolezza, sia quanto alla scarsa affidabilità delle fonti di accusa, sia in ordine alla mancanza di riscontri oggettivi, pure cinematograficamente riprodotta (si pensi all'esito delle perquisizioni).


Trascura, altresì, la ricorrente che il tutto va riguardato in rapporto non già ad un documentario - che, come tale, aveva il dovere di una rappresentazione assolutamente fedele al dato investigativo e a quello processuale - ma di un genere televisivo, la fiction giudiziaria, che reca in sé la necessità, per esigenze artistiche, di rappresentazioni anche in parte divergenti rispetto alla stretta riproduzione della realtà processuale; divergenza che è giustificata da esigenze creative proprie del genere dello sceneggiato, ma che - come ben evidenziato dal Giudice di prime cure trova il proprio limite, oltre il quale sfocia nella lesione della reputazione del soggetto rappresentato, nella distorsione in senso denigratorio degli accadimenti reali che lo riguardano, in modo da generare sospetti ulteriori nei suoi confronti oltre quelli derivanti dagli elementi indiziari vagliati nel processo, finendo quindi per deformare irrimediabilmente la verità processuale emersa. Dà atto, al contrario, la sentenza impugnata che questa distorsione non vi è stata e che al telespettatore sono stati forniti elementi per figurarsi, in tutta la sua complessità e le sue sfaccettature, l'iter investigativo in cui C. fu coinvolto. In questa direzione, come emerge dall'analisi delle singole scene reputate diffamatorie dalla parte civile svolta dalla Corte di appello, gli autori della fiction hanno avuto cura, quando rappresentavano un elemento di accusa, di disegnarne nel contempo anche i limiti, fornendo così al telespettatore una prospettiva sostanzialmente fedele - pur con le licenze legate alla natura parzialmente creativa dell'opera - rispetto a quanto poi valutato dal Giudice dell'assoluzione di C..


Non priva di rilevanza, in questa ottica, è poi la circostanza - pure ben evidenziata dal Giudice di prime cure - che la raffigurazione televisiva degli elementi di coinvolgimento di C. nell'indagine è stata svolta dal punto di vista, necessariamente parziale, del padre di una delle vittime, la cui disperata ricerca di una verità che giustificasse l'orrore subito è debitamente rappresentata nella fiction, depotenziando fortemente la fondatezza e, quindi, la portata diffamatoria dei sospetti agitati da R. e delle sollecitazioni da questi rivolte agli inquirenti.


Di poi, i Giudici di appello, come già aveva fatto il Tribunale, hanno evidenziato, episodio per episodio, i dati rappresentativi della debolezza degli elementi di accusa a carico di C., veicolati attraverso una serie di dati rappresentativi fruibili dal telespettatore ed idonei a formarne il convincimento.


E' così che la Corte di merito ha ricordato che nella fiction si collocano:


- l'esito negativo della perquisizione a C. a seguito della denunzia della moglie;


- l'avvertimento, da parte di uno dei poliziotti protagonisti dell'indagine, a R. e, quindi, ai telespettatori, del proliferare di denunzie, anche intrafamiliari, circa la responsabilità per gli omicidi del "mostro";


- l'incontro tra R. e C., dove questi rimarca la malattia mentale della moglie ed attribuisce al suo interlocutore la ricerca di un colpevole per sfogare la sua rabbia;


- la natura esclusivamente soggettiva - e rappresentata come tale -della convinzione di R. circa l'affidabilità delle accuse della C.;


- la voce dello stesso C. allorché, nell'interrogatorio, precisa che la moglie era stata dichiarata incapace di intendere e di volere;


- il colloquio del commissario G. con V. - prostrato psichicamente e ricoverato in una struttura e la circostanza che questi abbia intonato una canzone dopo il dialogo, connotati eloquenti della sua fragilità mentale;


- la finalizzazione della scena in cui il Commissario G., pensando ad alta voce, dice: "Caro R., c'eri vicino, non sai quanto....", a disegnare non già la concretezza dei sospetti di R., ma la mera convinzione di un investigatore, tanto effettiva che aveva condotto al procedimento contro C., conclusosi però con la sua assoluzione.


Ne' appare manifestamente illogica la spiegazione che la Corte territoriale ha fornito alla scena in cui R. si reca a (OMISSIS), laddove l'allontanamento di C. dalla farmacia dopo aver visto chiaramente R. affacciarsi nell'esercizio può avere avuto il significato di voler evitare un incontro molto probabilmente fortemente polemico con un soggetto che egli sapeva intimamente coinvolto nella vicenda. Men che meno la natura pacificamente inventata di questo episodio, funzionale alle esigenze della fiction, contiene una manipolazione della realtà che appaia munita della capacità di distorcerne l'essenza e di offendere la reputazione di C., essendo, piuttosto la plastica riproduzione, da una parte, della ricerca della verità - anche attuata in maniera scomposta di un padre straziato e, dall'altra, dell'atteggiamento di un soggetto che aveva la comprensibile esigenza di sottrarsi ad un confronto che sarebbe stato comunque problematico, a prescindere dal suo reale coinvolgimento nei delitti. Ugualmente non manipolativi della realtà processuale e gratuitamente denigratori sono gli episodi dell'interrogatorio di C. e della visita del Commissario G., che pure la ricorrente assume essere inventati, dal momento che essi trasmettono l'informazione, da una parte, della contestazione di C. circa l'affidabilità delle accuse della moglie e, dall'altra, tratteggiano V.M. come un soggetto di scarsa affidabilità.


In definitiva C. non è stato rappresentato come un sospettato, ma come - com'era realmente un soggetto protagonista di una complessa indagine e di un complesso processo, che comunque l'aveva visto indagato e poi imputato.


Di fronte a queste osservazioni, il ricorso pretende che questa Corte adotti, passaggio per passaggio della fiction, una diversa lettura della vicenda, spesso indulgendo in reinterpretazioni che esulano dai limiti dell'odierna delibazione e che mirano a riprodurre in questa sede la dinamica del processo che ha condotto all'assoluzione di C..


4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 30 giugno 2021.


Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021


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