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Il bullismo configura il reato di violenza privata.

Cassazione penale sez. V, 30/11/2020, (ud. 30/11/2020, dep. 05/01/2021), n.163

La Suprema Corte, con la sentenza in argomento, ha affermato che il bullismo configura il reato di violenza privata quando la vittima viene posta in una condizione di soggezione psichica che non si esaurisce nel singolo atto offensivo. (Nella fattispecie, l’imputato è stato condannato per aver restituito l'evidenziatore al compagno dopo lo strofinamento sui suoi genitali, per le parolacce scritte sui suoi libri di scuola e per i calci e i pugni inferti che, in quanto ripetuti, hanno, all'evidenza ingenerato un "pati" nella vittima).



Fatto

1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Bologna -sezione per i minorenni - ha confermato la decisione del Tribunale di quella stessa città, che aveva riconosciuto il minore D.R. colpevole di violenza privata e lesioni personali ai danni di un coetaneo. 2. Propone ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, il quale svolge tre motivi. 2.1. Con il primo, denuncia violazione dell'art. 610 c.p., e correlato vizio della motivazione, manifestamente illogica. Secondo il ricorrente, nel caso di specie, vi è perfetta coincidenza tra la condotta minacciosa e violenta dell'imputato - concretizzatasi in sputi in faccia, nel prendere a calci la persona offesa, nel simulare, appoggiandosi sul suo corpo, un atto sessuale e nell'appropriarsi di materiale scolastico - e l'evento del reato, sicchè la condotta non era finalizzata ad alcun evento ulteriore, integrando gli atti di violenza e di minaccia il "pati" a cui la persona offesa è stata costretta. 2.2. Con il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per omessa motivazione, in ordine all'eccessiva afflittività del trattamento sanzionatorio, poichè la Corte di appello non ha affatto replicato al motivo specifico con il quale si era segnalata, al fine di un maggiore contenimento della pena base, l'occasionalità della condotta, il modesto disvalore del fatto e l'incensuratezza del ricorrente. 2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione degli artt. 1 e 81 c.p. e art. 25 Cost. e del principio di legalità della pena. Nell'effettuare il calcolo dell'aumento per la continuazione tra reati con pene eterogenee (detentiva quella per il reato più grave e solo pecuniaria quella del reato satellite), non è stato rispettato il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione; pertanto, l'aumento a titolo di continuazione per il reato sub b), di giorni sei di reclusione, va ragguagliato alla pena pecuniaria di Euro 1500,00. 3.Con requisitoria scritta del 10/11/2020 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Diritto

Sono fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso che, nel resto, è infondato. 1. Lo è, manifestamente, il primo motivo, con il quale è dedotto il vizio di motivazione della sentenza gravata in punto di affermazione della responsabilità dell'imputato. Il motivo, infatti, oltre a reiterare l'atto di appello sul punto, non si confronta con la corretta motivazione offerta dai giudici di merito nella conforme decisione di condanna, che, valutando gli atti di bullismo dell'imputato, ai danni della giovane vittima, suo coetaneo, hanno ritenuto che essi, lungi dall'esaurirsi nella violenza perpetrata ai suo danni, si siano manifestati in comportamenti oggettivamente coercitivi della volontà della vittima. E tanto è sufficiente a integrare il reato contestato, che, nella consolidata lezione ermeneutica di questa Corte, ritiene che nel delitto di violenza privata è tutelata la libertà psichica dell'individuo, e che la fattispecie criminosa ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure in cui la violenza alle persone è elemento costitutivo del reato, sicchè, esso reprime genericamente fatti di coercizione non espressamente considerati da altre norme di legge. Altrettanto consolidato è l'orientamento secondo cui il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa (tra le tante, Sez. 2 n. 11522 del 3.3.2009 rv. 244199 che ha definito la libertà morale come libertà di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, sicchè alla libertà morale va ricondotta sia la facoltà di formare liberamente la propria volontà sia quella di orientare i propri comportamenti in conformità delle deliberazioni liberamente prese - Sez. 5, n. 40291 del 06/06/2017 Rv. 271212). Nelle pronunce di questa Corte la nozione di violenza è riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa, indipendentemente dall'esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (Sez. 2, n. 39941 del 25/09/2002 Rv. 222847; Sez. 2, n. 1176 del 11/10/2012 (dep. 2013) Rv. 254126). 1.2. Non v'è dubbio, che, nel caso di specie, il giovane compagno di scuola, bersagliato dal ricorrente, sia stato costretto a tollerare "la volgare simulazione dell'atto sessuale da dietro", come osservato dalla Corte di appello, che non può non essersi concretizzata, come del resto è contestato, nell'appoggiarsi sul corpo del ragazzo, in tal modo, costretto a sopportare, per una certa frazione temporale, una prevaricazione sia fisica che psicologica. Lo stesso è a dirsi per la restituzione dell'evidenziatore dopo lo strofinamento sui genitali dell'imputato, che l'ha poi riposto in mano alla vittima; così, per le parolacce scritti sui libri di scuola e per i calci e i pugni che, in quanto ripetuti, hanno, all'evidenza, come le altre richiamate condotte, ingenerato un "pati" che costituisce l'ulteriore evento, integrante la fattispecie di cui all'art. 610 c.p.., rispetto alle violenze di cui gli diversi fatti contestati. 1.3. E' vero, infatti, come hanno puntualizzato le Sezioni Unite di questa Corte, che la condotta violenta o minacciosa "deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: vale a dire la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa; deve, dunque, trattarsi di "qualcosa" di diverso dal "fatto" in cui si esprime la violenza", sicchè "la coincidenza tra violenza" - e, può aggiungersi, minaccia - "ed evento di "costrizione a tollerare" rende tecnicamente impossibile la configurabilità del delitto di cui all'art. 610 c.p." (Sez. U, n. 2437 del 18/12/2008 - dep. 21/01/2009, Giulini, in motivazione). Non è configurabile, cioè, il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un "pati", ma siano essi stessi produttivi dell'effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coartazione della libertà di determinazione della persona offesa (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Rv. 268405). Ma tale situazione, per quanto osservato, non è riscontrabile nella fattispecie in esame, risolvendosi il rilievo difensivo nella infondata reiterazione dei motivi di appello, già esaurientemente risolti dai giudici di merito. 2. Come premesso, sono invece, fondati gli altri due motivi di ricorso, perchè l'appellante aveva invocato un trattamento sanzionatorio più mite,, enucleando alcuni indicatori sia fattuali che soggettivi rilevanti a tali fini, che, tuttavia, sono stati del tutto obliterati dalla Corte di appello, limitatasi a esplicitare il calcolo materialmente operato, senza replicare in alcun modo alle critiche difensive. Il Giudice, nell'esercitare il suo potere discrezionale di individuazione delle pene da irrogare deve tenere conto dei criteri indicati nell'art. 133 c.p., tra i quali sono compresi la personalità dell'autore, la vita anteatta, e lo stato di incensuratezza, nonchè le connotazioni dell'azione, tutti elementi dedotti specificamente dall'appellante, in termini critici rispetto alla valutazione del primo giudice che, nell'individuare in mesi sei di reclusione (rispetto al minimo legale di 15 giorni), la pena base per il reato di violenza privata, aveva omesso ogni valutazione, limitandosi a richiamare i criteri legali di cui all'art. 133 c.p. La Corte di appello è venuta meno al proprio dovere valutativo, avendo trascurato di replicare allo specifico motivo devoluto con l'appello, finalizzato alla esplicitazione dei motivi della determinazione della pena, quale tipica espressione del potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere al relativo obbligo di motivazione, pur non essendo tenuto ad una analitica enunciazione di tutti gli elementi presi in considerazione, deve, tuttavia, esplicitare quelli determinanti per la soluzione adottata, la quale è insindacabile in sede di legittimità qualora sia immune da vizi logici di ragionamento. 3. E' fondato anche l'ultimo motivo. Premesso che, come è noto, in tema di lesioni personali volontarie lievi (art. 582 c.p., comma 2, il D.Lgs. n. 274 del 2000 ha attribuito tale reato alla cognizione del Giudice di pace, il quale, per espresso dettato legislativo, può infliggere soltanto una pena diversa da quella detentiva, occorre ricordare il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite "Giglia" in tema di concorso di reati puniti con sanzioni eterogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione. In tali casi, " l'aumento di pena per il reato "satellite" va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per "moltiplicazione", rispettando tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato "satellite", nel senso che l'aumento, in continuazione, della pena detentiva prevista per il reato più grave, dovrà essere ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell'art. 135 c.p." (Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, Giglia, Rv. 273751). Questo vuol dire che laddove, come nel caso di specie, l'aumento per la continuazione rispetto a un reato punito con pena detentiva, debba essere operato rispetto a un reato punito, invece, solo con la pena pecuniaria, il giudice, una volta operato l'aumento sulla pena detentiva - base, deve procedere al ragguaglio, della porzione di pena così individuata in aumento, con quella pecuniaria, ai sensi dell'art. 135 c.p.. Pertanto, nel caso di specie, erroneamente, la Corte di appello ha fissato in giorni sei di reclusione l'aumento di pena per il delitto di lesioni di cui al capo B), senza procedere al ragguaglio con la pena pecuniaria.

PQM

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Bologna sezione minorenni. Rigetta nel resto il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 30 novembre 2020. Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2021



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