a cura dell'avv. Rossella Zaccariello.
Corte Costituzionale, sentenza 12 maggio – 21 giugno 2021, n. 126.
La Corte Costituzionale, con la pronuncia in argomento, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all'art. dell’art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge n. 4/2019 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, con l. n. 26/2019, norma che prevede la sospensione del reddito di cittadinanza nei confronti di coloro che risultino destinatari di una misura cautelare personale, violazione degli artt. 1, 2, 3 e 4 Cost.
In particolare, la Corte ha affermato che "il legislatore ha dunque previsto un particolare requisito di onorabilità per la richiesta del reddito di cittadinanza – la mancata soggezione a misure cautelari personali – che, al pari di qualsiasi altro requisito, deve sussistere non solo al momento della domanda, ma anche per tutta la durata dell’erogazione del beneficio economico.
Il provvedimento di sospensione in caso di misure cautelari sopravvenute, quindi, «altro non è che la conseguenza del venir meno di un requisito necessario alla concessione del beneficio e rientra per ciò stesso tra i casi in cui la giurisprudenza costituzionale riconosce la legittimità di sospensione, revoca o decadenza, anche attraverso meccanismi automatici (si vedano le sentenze n. 161 del 2018, n. 276 del 2016, n. 2 del 1999, n. 226 del 1997 e n. 297 del 1993)».
In riferimento a tutte le questioni sollevate e, in primo luogo, a quella relativa alla violazione degli artt. 2 e 3 Cost., al di là degli argomenti di cui alla ricordata sentenza n. 122 del 2020, rileva che la disciplina del reddito di cittadinanza definisce un percorso di reinserimento nel mondo lavorativo che va al di là della pura assistenza economica.
Ciò differenzia la misura in questione da altre provvidenze sociali, la cui erogazione si fonda essenzialmente sul solo stato di bisogno, senza prevedere un sistema di rigorosi obblighi e condizionalità.
Così, ad esempio, per quelle prestazioni che si configurano quali misure di sostegno indispensabili per una vita dignitosa, come la pensione d’inabilità civile – di cui all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) – diretta alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili e alla tutela di bisogni primari della persona (sentenza n. 7 del 2021), al fine di garantire un minimo vitale di sussistenza a presidio del nucleo essenziale e indefettibile del diritto al mantenimento, garantito a ogni cittadino inabile al lavoro (sentenza n. 152 del 2020).
Si pensi anche alla pensione di cittadinanza – prevista dallo stesso d.l. n. 4 del 2019, come convertito, per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni – che è una misura di mero contrasto alla povertà delle persone anziane; o ancora all’assegno sociale – riconosciuto dall’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) a coloro che abbiano compiuto 65 (ora 67) anni di età e siano titolari di un reddito al di sotto della soglia di legge – volto a far fronte a un particolare stato di bisogno derivante dall’indigenza.
Per tali provvidenze non è prevista la sospensione nel caso di misure cautelari personali.
Il reddito di cittadinanza, invece, non ha natura meramente assistenziale, proprio perché accompagnato da un percorso formativo e d’inclusione che comporta precisi obblighi, il cui mancato rispetto determina, in varie forme, l’espulsione dal percorso medesimo.
Pertanto, la sospensione del beneficio non ha una ragione punitiva e sanzionatoria, ma si collega appunto agli obiettivi dell’intervento legislativo. In tal senso, la presenza di più specifiche e severe condizioni per la richiesta e per il mantenimento della provvidenza (ex multis, sentenza n. 194 del 2017), oltre a dar corpo al particolare requisito morale sotteso dall’istituto, è anche strumentale all’effettiva realizzazione del percorso d’inserimento lavorativo, che può essere ostacolato o addirittura impedito dalla misura cautelare.
La sospensione in esame, pertanto, risulta espressione della discrezionalità attribuita al legislatore (tra le tante, sentenze n. 113 del 2019, n. 222 del 2018, n. 194 del 2017, n. 223 del 2015, n. 214 e n. 81 del 2014, n. 134, n. 120 e n. 36 del 2012), «che può essere ed è stata discussa, ma non si presenta affetta da quella irrazionalità “manifesta e irrefutabile” che richiederebbe la declaratoria d’illegittimità costituzionale (tra le tante, sentenze n. 86 del 2017 e n. 46 del 1993)» (sentenza n. 122 del 2020).
Tra l’altro, la stessa sospensione del reddito di cittadinanza non comporta, di per sé, la necessaria privazione in capo al soggetto interessato dei mezzi per vivere.
Infatti, proprio in quanto provvidenza non meramente assistenziale, essa è compatibile con ulteriori, seppur limitati, redditi, derivanti da lavoro o da altri strumenti assistenziali, la cui presenza determina semmai una decurtazione dell’importo da erogarsi (e i benefici non soggetti alla prova dei mezzi non sono neppure computati nel reddito rilevante ai fini ISEE).
In ogni caso, a colui che si veda sospendere il beneficio economico non sarebbe preclusa la possibilità, ove ne ricorrano i presupposti, di accedere ad altre forme di assistenza sociale previste dall’ordinamento, per le quali la presenza di misure cautelari personali non costituisce causa ostativa".
Scarica la sentenza ↓
Se ha bisogno di contattare lo Studio, può chiamarci al numero 08119552261 o inviare una mail a info.avvocatodelgiudice@gmail.com.