La massima
La costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità di reati originariamente perseguibili d'ufficio, divenuti perseguibili a querela a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. riforma "Cartabia"), posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione.
Fonte: Ced Cassazione Penale 2023
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La sentenza
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28/06/2022, la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente confermato la sentenza del Gup del Tribunale di Reggio Calabria del 30 giugno 2021 - resa all'esito di giudizio abbreviato - con la quale l'imputato era stato condannato - anche al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, con liquidazione di provvisionale immediatamente esecutiva - per 18 capi di imputazione, aventi ad oggetto maltrattamenti, lesioni personali aggravate, violenza sessuale aggravata, rapina aggravata, violenza privata, tutti contestati come commessi ai danni della sua compagna non convivente.
In particolare, la Corte territoriale ha riqualificato il reato di cui al capo 1 (art. 572 c.p.), ai sensi dell'art. 612-bis c.p., comma 2, e ha derubricato il reato di cui al capo 8 (art. 628 c.p.) in quello di cui all'art. 624-bis c.p., comma 2, rideterminando in diminuzione la pena finale in sei anni e otto mesi di reclusione e confermando nel resto la sentenza di primo grado.
2. Avverso la sentenza d'appello l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. Si denunciano, in primo luogo, vizi di motivazione e violazione di legge in relazione alla valutazione della prova della ritenuta responsabilità penale, con riferimento ai messaggi spediti dalla persona offesa all'imputato nel corso della relazione tra i due. In particolare, non si sarebbe valutato il fatto che la stessa persona offesa, pur lamentandosi di percosse, non aveva mai fatto riferimento a violenze sessuali e che, anzi, proprio subito dopo le pretese violenze sessuali la stessa aveva più volte contattato l'imputato per nuovi incontri amorosi e per continuare la relazione. La difesa si riferisce, in particolare al capo 4 (violenza sessuale del (Omissis)) e alla successiva chat del (Omissis), nella quale la vittima manifesta un sentimento di amore verso l'imputato e gli chiede di rivederla. Analoghe considerazioni verrebbero in relazione al capo 7 (violenza sessuale della notte fra il (Omissis) e il (Omissis)), in relazione al quale la non veridicità della versione accusatoria della parte civile sarebbe confermata dal fatto che questa aveva sostenuto che la violenza si fosse verificata intorno alle cinque di mattina e di avere sentito il vociare di bambini che andavano a scuola, senza considerare che quel giorno le scuole non erano ancora aperte e che era comunque domenica; su questo profilo di censura, proposto con l'atto di appello, non vi sarebbe risposta dei giudici di secondo grado. Con riferimento al capo 12 (violenza sessuale della notte fra il (Omissis)), le chat del (Omissis) farebbero pensare a violenze fisiche, ma non anche a violenze sessuali e la parte civile avrebbe comunque espresso il desiderio di rivedere l'imputato. Quanto al capo 15 (violenza sessuale della notte fra il (Omissis)), le chat del (Omissis) gennaio non conterrebbero riferimenti a reati eventualmente subiti, ma solo al desiderio sessuale della donna nei confronti dell'uomo, seppure nell'ambito di un rapporto molto conflittuale.
La difesa lamenta che queste chat non sono state valutate e che la Corte d'appello ha erroneamente affermato che la ricostruzione storica dei fatti e la credibilità della parte civile non erano state messe in discussione con l'atto di appello, nel quale si erano invece segnalati elementi di prova inconciliabili con la versione accusatoria, quali le chat stesse e le dichiarazioni delle amiche della persona offesa. Si afferma che anche in altre chat, lontane dai presunti episodi di violenza sessuale, la persona offesa, pur rimproverando all'imputato condotte ed avvenimenti negativi, non aveva mai menzionato violenze sessuali, analogamente a quanto avvenuto in una lettera scritta a mano, non presa in considerazione dalla Corte d'appello. Si richiamano, poi: le sommarie informazioni rese da V., amica della persona offesa, nella quale questa affermava di avere ricevuto confidenze su violenze fisiche ma non su violenze sessuali; quelle rese da B., di analogo tenore; quelle rese da R., la quale aveva precisato che le confidenze relative a violenze sessuali erano state solo successive alla presentazione della querela, ma mai precedenti. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe incoerente, inoltre, nella parte in cui non spiega perché la parte civile abbia dichiarato, sia di avere tentato di divincolarsi e di avere subito i rapporti sessuali nonostante la sua contrarietà, sia di avere realizzato di essere stata violentata sessualmente solo nel corso dei colloqui del (Omissis) con la psicologa.
Mancherebbe, inoltre, l'apprezzamento dell'elemento soggettivo dei reati, a fronte di una totale assenza di lamentele, nell'arco di un anno e mezzo, da parte della persona offesa circa l'avere subito violenze sessuali. Non si sarebbe considerato, inoltre, che dalle chat - nell'ambito di una relazione che era andata avanti fino al (Omissis), con una serie di rapporti sessuali certamente consensuali, oltre a quelli oggetto di imputazione - risultava il gradimento da parte della persona offesa rispetto a rapporti sessuali connotati da prevaricazione e da un certo grado di violenza, consensualmente accettata. Sarebbe erronea la conclusione della Corte d'appello secondo cui tali rapporti erano lontani nel tempo e inseriti in una fase di serenità relativa della relazione di coppia, perché non si sarebbe considerata una chat del (Omissis), nella quale la persona offesa prende atto della violenza degli atti, ma sostanzialmente ammette di avervi prestato il suo consenso (attraverso l'uso della formula "abbiamo esagerato"). In tale contesto di violenza e prevaricazione normalmente accettata nell'ambito dei rapporti sessuali, si sarebbe dovuta considerare la possibilità di un errore dell'imputato sull'elemento essenziale del consenso, specialmente perché la sentenza sembrerebbe attribuire all'imputato stesso una violenza sessuale da contesto, da condotta complessiva, ovvero nell'ambito di una relazione sentimentale caratterizzata da percosse e maltrattamenti; cosicché il dissenso espresso dalla persona offesa avrebbe potuto essere considerato limitato a dette percosse e maltrattamenti e non agli atti sessuali in quanto tali.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si contestano la violazione dell'art. 610 c.p. e vizi della motivazione in relazione al capo 10 dell'imputazione: l'imputato avrebbe sottratto alla vittima il telefono per controllarlo e le avrebbe poi impedito di reimpossessarsene. La difesa sostiene che quest'ultima non ha perso il possesso del telefono, cosicché il fine di impossessarsi dello stesso da parte dell'imputato non si è realizzato; con la conseguenza che la sentenza avrebbe dovuto motivare sulla riqualificazione del reato quale tentativo di violenza privata.
2.3. Analogamente, si contestano, quanto al capo 16) dell'imputazione, la violazione di legge e il vizio di motivazione, sul rilievo che l'imputato non si sarebbe effettivamente impossessato del telefono della persona offesa, così configurandosi al più un reato tentato ex artt. 56 e 610 c.p..
2.4. Le stesse considerazioni varrebbero quanto al capo 18) - oggetto di un quarto motivo di doglianza - in relazione al quale la difesa aveva affermato, di fronte alla Corte d'appello, che l'imputato aveva sottratto alla persona offesa il cellulare con un gesto repentino, anche se quest'ultima non ne aveva perso il controllo, nonostante le fosse strappato dalle mani; di talché, sarebbe configurabile esclusivamente il reato di minaccia ex art. 612 c.p..
2.5. Una quinta, articolata censura si riferisce alla violazione degli art. 88 e 89 c.p. e a vizi della motivazione in relazione alla capacità di intendere e di volere dell'imputato. Si sostiene che il perito d'ufficio ha esaminato in modo incompleto gli atti processuali, non avendo preso in esame le dichiarazioni della persona offesa e le chat, e avrebbe altresì ammesso di non essere un esperto di test psicodiagnostici e, quindi, di non avere avuto la capacità di analizzare quelli somministrati all'imputato dall'ausiliario del consulente di parte. La sentenza di primo grado - per la difesa - sarebbe erronea nella parte in cui afferma che la somministrazione dei test è superflua, perché non prende in considerazione il fatto che questi hanno una funzione che va oltre la diagnosi clinica, essendo utili per corroborarla o smentirla; la Corte d'appello avrebbe amplificato tale vizio logico, comunque attribuendo valore alla somministrazione di test in funzione di conferma o smentita della gnosi fornita sul colloquio clinico, con un esito di compatibilità con il disturbo narcisistico di personalità. Nel ricorso si ribadisce la correttezza dell'operato del consulente di parte, il quale aveva effettuato una valutazione documentale degli atti, una visita medico-peritale, un articolato esame psicodiagnostico, somministrato da una sua ausiliaria ed avente ad oggetto:
"proiettivo di Rorschach"; "reattivo di Wartegg"; "MMPI-2"; "SCID-5". Si sostiene, inoltre, che il perito di ufficio avrebbe affermato di aver riascoltato le chat, che però sono presenti in atti solo in forma scritta, e di non avere letto l'incidente probatorio, dal quale emergerebbe conferma dell'incapacità di intendere di volere dell'imputato, per il suo atteggiamento di gelosia patologica. Si ribadisce, poi, la prospettazione difensiva secondo cui si avrebbe la presenza dei "cinque criteri diagnostici del disturbo narcisistico della personalità", emergente dal test SCID-5.
La difesa critica, del pari, l'affermazione della sentenza che nega sul piano generale rilievo scientifico alla diagnosi di "narcisismo in forma covert" effettuata dal consulente di parte, sostenendo che non si è considerata la letteratura sul punto, la cui autorevolezza non è stata comunque contrastata dal perito d'ufficio. Quest'ultimo si sarebbe limitato ad affermare che la gelosia dell'imputato ha tratti patologici, ma non tali da potere essere connotata come delirio e, dunque, non incide sulla sua capacità. Si sostiene che anche il consulente della parte civile avrebbe concordato sull'esistenza in capo all'imputato del delirio di gelosia patologica connesso al narcisismo, salvo poi affermare che questo non ha rilievo penale. La difesa critica, poi, la mancata considerazione, da parte del perito d'ufficio, della paura del tradimento provata dall'imputato, quale innesco della sua condizione psicopatologica.
2.6. Con un sesto motivo di doglianza, si denunciano la violazione delle disposizioni incriminatrici e il vizio della motivazione in relazione al reato di cui al capo 9, per il quale la Corte d'appello avrebbe affermato la sussistenza del dolo eventuale, essendo la condotta dell'imputato diretta, ancora una volta, all'appropriazione del cellulare della vittima. Si tratterebbe, secondo il ricorrente, di lesioni quale conseguenza non voluta di altro reato, caratterizzati dalla colpa e non dal dolo.
2.7. Si denunciano, in settimo luogo, la violazione delle disposizioni incriminatrici e vizi della motivazione in relazione alla mancata riqualificazione in lesioni colpose del reato di cui al capo 2, consistente nel lancio di una sedia da parte dell'imputato, da cui era scaturita una lesione al dito della vittima. Si contesta sul piano logico il mancato frazionamento della condotta fra il lancio della sedia e la causazione della lesione.
2.8. Un'ottava censura è riferita ai capi 2, 3, 5 dell'imputazione, in relazione all'applicazione alla fattispecie della circostanza aggravante dell'art. 577 c.p., in ragione della previsione modificata, in vigore dal 9 agosto 2019. Non si sarebbe considerato, che prima della modifica dell'agosto 2019, l'art. 577 in parola trovava applicazione nei casi di convivenza stabile, non essendo sufficiente la semplice relazione affettiva; con la conseguenza che l'aggravante avrebbe dovuto essere esclusa per i fatti antecedenti ad (Omissis), con riflesso sulla pena applicata in continuazione, vista la pacifica mancanza di un rapporto di convivenza tra le parti.
2.9. Quanto reato di cui al capo 4, si sostiene che la querela avrebbe dovuto essere presentata entro 12 mesi, mentre è stata presentata il 23 giugno 2020. Si sostiene, altresì, che anche tutti gli altri reati di violenza sessuale sarebbero procedibili a querela e non di ufficio, così come quello di cui all'art. 612-bis c.p. e quelli di cui agli artt. 610 e 582 c.p., a seguito della "riforma Cartabia".
2.10. Con una decima doglianza, la difesa deduce la violazione dell'art. 61 c.p., n. 1), e degli artt. 582 e 583 c.p., in relazione ai capi a 2, 3, 5, 6, 9, 11, 13, 17. Si contesta la mancata considerazione del movente della gelosia quale spinta sufficiente ad escludere la futilità del motivo a delinquere, a fronte di una patologica gelosia dell'imputato, accertata in giudizio.
2.11. Ci si duole, poi, della motivazione della sentenza in relazione alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6), fondata sulla ritenuta non congruità dell'offerta reale e sul rifiuto della parte civile. Non si sarebbe considerato che l'offerta di Euro 50.000,00 non era irrisoria, ma era accompagnata dalla disponibilità ad offrire di più; e si sarebbe basata la valutazione di non congruità sul semplice rifiuto della persona offesa di accettare tale offerta, pur in presenza di una relazione sentimentale consensuale fra i due soggetti, che avrebbe richiesto - ad avviso della difesa - una motivazione rafforzata quanto alla quantificazione del danno realmente subito dalla vittima.
2.12. Con un'ultima doglianza, si lamentano la violazione dell'art. 62-bis c.p. e vizi della motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, fondato sull'irrilevanza del comportamento collaborativo, per la presenza di pregnanti elementi probatori a carico, nonché sull'insufficienza dell'offerta risarcitoria quale manifestazione di resipiscenza. Per la difesa, si sarebbe dovuta considerare complessivamente la personalità dell'imputato, nonché la situazione psicopatologica dello stesso. Mancherebbe, inoltre, una motivazione sull'intensità del dolo e sulla valenza dello stato di costrizione, alla luce della prosecuzione del rapporto dopo il verificarsi degli eventi asseritamente violenti, dopo i quali - come già sostenuto nel ricorso - la persona offesa aveva continuato a cercare l'imputato per proseguire la relazione.
2.13. Con successiva memoria, la difesa ha proposto un "motivo nuovo" di impugnazione, anch'esso riferito al diniego delle circostanze attenuanti generiche, lamentando la mancata considerazione dell'inconsapevolezza dell'imputato circa la sofferenza della persona offesa, nonché la mancata considerazione del suo stato di incensuratezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato, limitatamente all'ottavo motivo di doglianza, e infondato nel resto.
1.1. La prima censura del ricorrente - riferita alla valutazione della prova della ritenuta responsabilità penale, con particolare riferimento ai messaggi spediti dalla persona offesa all'imputato nel corso della relazione tra i due, alla valutazione della prova testimoniale, all'incoerenza intrinseca della versione accusatoria della vittima, al contesto generale, da cui poteva emergere in capo all'imputato il convincimento dell'esistenza di un consenso ai rapporti sessuali - è inammissibile, perché sostanzialmente diretta ad ottenere da questa Corte una rivalutazione del quadro istruttorio, e perciò non è riconducibile alle categorie di cui all'art. 606 c.p.p. La prospettazione difensiva si riduce, in altri termini, ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa tali da dimostrare un'effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A fronte della ricostruzione e della valutazione della Corte di appello, il ricorrente non offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l'intrinseca incompatibilità degli enunciati.
Le considerazioni appena svolte valgono innanzitutto con riferimento alle chat fra persona offesa e imputato, in relazione alle quali la difesa vorrebbe sostenere che non vi erano stati espliciti riferimenti a violenze sessuali e, comunque, che la stessa vittima aveva più volte cercato di riallacciare la relazione amorosa con l'imputato.
Si tratta, a ben vedere, di circostanze tanto pacifiche quanto irrilevanti nell'economia del quadro istruttorio correttamente delineato dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, il quale restituisce l'esistenza di una relazione sentimentale molto conflittuale, nel cui ambito l'imputato ha commesso diversi reati, che la persona offesa ha subito e non immediatamente denunciato, avendo mostrato fin dall'inizio titubanze legate a timori personali e all'esigenza, inizialmente molto sentita, di mantenere comunque in vita tale relazione. Ne' la credibilità della versione accusatoria è esclusa dalli eventuale inesattezza nella ricostruzione di circostanze di contorno - come i rumori percepiti all'esterno rispetto all'episodio di violenza del capo 7 dell'imputazione. Nessun rilievo dirimente può essere attribuito, poi, alla circostanza - anch'essa pacifica - che la persona offesa non abbia confidato immediatamente alle sue interlocutrici, sentite quale persone informate sui fatti, le violenze sessuali subite, essendosi limitata alla descrizione di altri meno gravi reati.
Del resto, la Corte d'appello e il giudice di primo grado danno conto del fatto che le violenze sessuali si inscrivono in una relazione caratterizzata anche da rapporti sessuali consensuali, oltre che da continui ripensamenti sul piano affettivo-sentimentale, ma anche sul piano più strettamente sessuale, da parte della persona offesa, la quale ha anche adeguatamente spiegato la sua titubanza prima di denunciare i fatti. E ciò non toglie che le violenze sessuali - come riportate dalla persona offesa - siano tali; mentre il tentativo della difesa di ricostruirle come "violenze di contesto" si scontra con i dati oggettivi, dai quali emerge la dolorosa descrizione di una violenza fisica specifica e aggiuntiva rispetto alle vessazioni, ai maltrattamenti, alle percosse che hanno in generale caratterizzato la relazione.
Quanto alle dichiarazioni della persona offesa allo psicologo, queste contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente - non smentiscono la qualificazione delle condotte come descritte dalla stessa, in termini di violenza sessuale. Dalla motivazione della sentenza impugnata, pienamente logica e coerente sul punto, emerge che esse rappresentano solo una presa di consapevolezza della qualificazione giuridica degli atti, mentre la natura effettiva degli atti stessi era chiara alla medesima persona offesa fin dall'inizio. Appaiono, dunque, manifestamente infondate le censure relative al fatto che nell'ambito della relazione ci fossero anche rapporti sessuali consensualmente violenti e quelle relative ad un errore giustificabile sul consenso: le stesse si scontrano con la deposizione della persona offesa, molto chiara nel descrivere gli atti di violenza e la relativa mancanza del consenso, distinguendoli nettamente dagli atti consensuali anche di tipo "non convenzionale" (pagg. 46-50).
1.2. Il secondo motivo di doglianza - con cui si contestano la violazione dell'art. 610 c.p. e vizi della motivazione in relazione al capo 10 dell'imputazione - è inammissibile. Dalla descrizione dei fatti riportata in sentenza emerge la conferma della condotta descritta nell'imputazione, secondo cui l'imputato ha sottratto alla vittima il telefono per controllarlo e le ha poi impedito di reimpossessarsene. La prospettazione difensiva secondo cui la persona offesa non avrebbe perso il possesso del telefono, cosicché il fine di impossessarsi dello stesso da parte dell'imputato non si sarebbe realizzato, risulta basata su mere affermazioni che si scontrano frontalmente con tali univoche risultanze (pag. 50 della sentenza).
1.3. Analoghe considerazioni valgono in relazione al terzo motivo, riferito al capo 16) dell'imputazione, anche esso basato su un'arbitraria ricostruzione difensiva, che si oppone all'evidenza dei fatti come descritta dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, che delinea con nettezza un reato consumato e non un tentativo (pagg. 50-51 della sentenza).
1.4. I rilievi appena svolti possono essere estesi al quarto motivo di ricorso, relativo al capo 18). La prospettazione secondo cui la vittima non aveva perso il controllo del telefono cellulare e', non solo meramente congetturale, ma direttamente contraria all'evidenza dei fatti, che hanno visto l'imputato strappare il telefono dalle mani di questa (pag. 51 della sentenza impugnata).
1.5. La quinta censura - che si riferisce alla violazione degli art. 88 e 89 c.p. e a vizi della motivazione in relazione alla valutazione della capacità di intendere e di volere dell'imputato - è infondata.
La sentenza impugnata evidenzia con sufficiente chiarezza (pagg. 51-55) che, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, il perito d'ufficio ha esaminato in modo completo gli atti rilevanti, non avendo alcun onere di prendere in esame le dichiarazioni della persona offesa e le chat - che possono essere al più oggetto di valutazione da parte del giudice ai fini della ricostruzione dei fatti - nell'ambito di un'attività che può essere solo diretta ad accertare la capacità di intendere e di volere dell'imputato e non anche la sua eventuale colpevolezza.
Quanto ai test psicodiagnositci somministrati all'imputato dall'ausiliare del consulente di parte della difesa, la Corte d'appello - correttamente richiamando e vagliando gli esiti della perizia d'ufficio - sottolinea come gli stessi non possano fare trasparire deficit della capacità di intendere e di volere, perché nulla aggiungono rispetto all'ipotizzata esistenza di un disturbo narcisistico della personalità, di per sé non incidente su tale capacità. Dunque, già la sentenza di primo grado ha coerentemente svalutato la valenza esplicativa di tali test, i quali possono avere una funzione solo in presenza di un quadro clinico di seria compromissione della capacità, manifestamente inesistente nel caso di specie.
Quanto, più in generale, alla correttezza scientifica dell'operato del consulente di parte - il quale ha effettuato una valutazione documentale degli atti, una visita medico-peritale, un esame psicodiagnostico, somministrato da una sua ausiliaria ed avente ad oggetto: "proiettivo di Rorschach"; "reattivo di Wartegg"; "MMPI-2"; "SCID-5" - la stessa appare smentita dalla mancanza di connessione logica fra gli esiti delle sue indagini e le conclusioni cui egli giunge. La difesa richiama, sul punto una non meglio precisata "gelosia patologica" e un "narcisismo in forma covert", che sono comunque inidonei - anche a prescindere dalla scorrettezza del metodo scientifico seguito per affermare la loro sussistenza - ad incidere sulla capacità rilevante ai fini penali. Del tutto logica e coerente appare, infine, la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui valorizza - conformemente alle conclusioni del perito d'ufficio - la totale mancanza di tracce di anomalie nei rapporti e di psicopatologie precedenti alla consulenza di parte, inspiegabilmente svalutate da quest'ultima.
1.6. Il sesto motivo, riferito al reato di cui al capo 9, è inammissibile, perché meramente ripetitivo di un'identica doglianza manifestamente infondata già proposta in appello. Del tutto correttamente la Corte territoriale ha affermato la sussistenza del dolo eventuale di lesioni (contusioni al dito della vittima), essendo la condotta dell'imputato diretta, ancora una volta, all'appropriazione del cellulare della vittima, con modalità tanto violente da manifestare l'accettazione dell'evento lesivo da parte dell'agente (pagg. 55-56 della sentenza).
1.7. La settima censura - relativa alla violazione delle disposizioni incriminatrici e a vizi della motivazione sulla mancata riqualificazione in lesioni colpose del reato di cui al capo 2, consistente nel lancio di una sedia da parte dell'imputato, da cui era scaturita una lesione al dito della vittima - è parimenti inammissibile. Ripetendo un rilievo manifestamente infondato già proposto in appello, si contesta sul piano logico il mancato frazionamento della condotta fra il lancio della sedia e la causazione della lesione, laddove - secondo la logica argomentazione dei giudici di merito - la lesione è evidentemente conseguenza normale e soggettivamente voluta del lancio della sedia contro la persona offesa (pagg. 56-57).
1.8. L'ottava censura - riferita ai capi 2, 3, 5 dell'imputazione, in relazione all'applicazione alla fattispecie della circostanza aggravante dell'art. 577 c.p., in ragione della previsione modificata, in vigore dal 9 agosto 2019 - è fondata. Effettivamente, i giudici di merito non hanno considerato che prima della modifica introdotta dalla L. 19 luglio 2019, n. 69, art. 11, comma 1, lett. a), a decorrere dal 9 agosto 2019, il testo della disposizione che qui rileva era il seguente: "1. contro l'ascendente o il discendente o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l'altra parte dell'unione civile o contro la persona legata al colpevole da relazione affettiva e con esso stabilmente convivente;". L'art. 577 in parola trovava, dunque, applicazione nei casi di convivenza stabile, non essendo sufficiente la semplice relazione affettiva; con la conseguenza che l'aggravante avrebbe dovuto essere esclusa, con riflesso sulla pena applicata in continuazione, vista l'inesistenza di un rapporto di convivenza, accertata nella sentenza di secondo grado. Dunque - in accoglimento di quanto richiesto dalla difesa - l'aggravante deve essere esclusa per i capi 2, 3 e 5, riferiti a fatti precedenti all'(Omissis).
Questa Corte può provvedere anche all'esclusione della relativa pena, essendo possibile quantificarla sulla base delle statuizioni del giudice di merito, ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. I). L'aggravante in parola, secondo l'art. 585 c.p., incide al massimo per un terzo della pena; per ciascuno dei capi in questione è stato computato, sulla pena-base, un mese di reclusione, poi diminuito di un terzo; quindi, l'effettivo aumento per ciascuno di tali reati-satellite è di 20 giorni di reclusione, dai quali, ritenendo l'aggravante operante per un terzo e in applicazione del principio del favor rei, dovrebbero essere tolti 7 giorni, che, moltiplicati per tre reati e arrotondati per eccesso per ragioni di semplicità di calcolo, portano a dovere escludere complessivamente un mese di reclusione.
1.9. Il nono motivo di ricorso - riferito alla non procedibilità dei reati sotto il profilo della mancanza di querela - è infondato.
1.9.1. E' sufficiente qui rilevare che, per i reati di violenza privata e lesioni, divenuti perseguibili a querela a seguito della "riforma Cartabia", ovvero del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ("Attuazione della L. 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari"), trovano applicazione i principi affermati dalla recentissima sentenza Sez. 3, n. 16570 del 21/02/2023, la quale statuisce che il difetto della querela richiesta dal D.Lgs. n. 150 del 2022, art. 3, non ricorre quando, in relazione al reato per cui si procede, è rimasta ferma la costituzione di parte civile. Si richiama, sul punto, il principio enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui la sussistenza della volontà di punizione da parte della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere riconosciuta dal giudice anche in atti che non contengono la sua esplicita manifestazione", e, quindi, "può essere riconosciuta anche nell'atto con il quale la persona offesa si costituisce parte civile, nonché nella persistenza di tale costituzione nei successivi gradi di giudizio", con la conseguenza che i precisati atti e comportamenti possono ritenersi equivalenti ad una querela nel caso in cui la proposizione di quest'ultima sia divenuta necessaria per disposizioni normative sopravvenute nel corso del giudizio (Sez. U, n. 40150 del 21/6/2018, par. 3.2, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità). Il principio si collega ad una consolidata elaborazione giurisprudenziale (ex multis, Sez. 5, n. 43478 del 19/10/2001, Rv. 220259), ed è stato ribadito da successive decisioni (ex multis, Sez. 2, n. 5193 del 05/12/2019, dep. 2020, Rv. 277801).
Dunque, la costituzione di parte civile non revocata equivale a querela ai fini della procedibilità dei reati prima perseguibili d'ufficio e divenuti perseguibili a querela in seguito alla "riforma Cartabia".
1.9.2. Per violenza sessuale e atti persecutori, a prescindere da ogni considerazione circa la tempestività della querela, la procedibilità d'ufficio è data alla connessione con il reato di furto con strappo ex art. 624-bis (capo 8 dell'imputazione), che era perseguibile di ufficio al momento della sua commissione e lo è anche dopo la "riforma Cartabia". Può richiamarsi sul punto, fra le molte, Sez. 5, n. 55807 del 30/10/2017, Rv. 272004, secondo cui, ai fini della procedibilità, assume rilievo non solo la connessione in senso processuale, di cui all'art. 12 c.p.p., ma anche quella in senso materiale, che si verifica ogniqualvolta l'indagine sul reato procedibile d'ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, in presenza delle condizioni di collegamento probatorio di cui all'art. 371 c.p.p., purché le indagini sul reato procedibile d'ufficio siano state effettivamente avviate e sebbene all'esito del giudizio i relativi fatti siano stati diversamente qualificati. Vale in ogni caso, in relazione alla connessione di violenza sessuale e atti persecutori con i reati di violenza privata e lesioni divenuti perseguibili di ufficio a seguito della "riforma Cartabia", la disposizione transitoria fissata dall'art. 85, comma 2-ter: "Per i delitti previsti dagli art. 609-bis, 612-bis e 612-ter c.p., commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, si continua a procedere d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto".
1.10. La decima doglianza - con cui si prospetta la violazione dell'art. 61 c.p., n. 1), e degli artt. 582 e 583 c.p., in relazione ai capi a 2, 3, 5, 6, 9, 11, 13, 17, per la mancata considerazione del movente della gelosia quale spinta sufficiente ad escludere la futilità del motivo a delinquere, a fronte di una patologica gelosia dell'imputato - è infondata.
Nel caso di specie, l'esistenza di una "gelosia patologica" - come visto, comunque non incidente sulla capacità di intendere di volere - risulta tutt'altro che accertata in base agli atti, non essendo l'accertamento di patologie non incidenti sulla capacità di intendere di volere lo scopo della disposta perizia psicologica. Del tutto destituita di fondamento appaiono, del resto, le affermazioni della difesa circa l'esistenza di una tempesta emotiva patologica scatenata dalla gelosia, che determinava stati deliranti e rendevano l'imputato insensibile ai normali meccanismi di autocontrollo.
La motivazione della sentenza impugnata (pag. 58) risulta, in ogni caso, pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove evidenzia che - anche a volere, per assurdo, ritenere sussistente uno stato di gelosia determinato dalla conoscenza nell'ottobre del 2019 della messaggistica fra la persona offesa e il suo ex fidanzato - tale condizione non può in alcuna maniera giustificare le gravissime condotte di cui si è reso autore l'imputato, espressione di una volontà punitiva assolutamente sproporzionata rispetto ad un qualunque movente in astratto rilevante.
In questo quadro, del tutto correttamente la Corte territoriale fa propria la giurisprudenza di legittimità che ritiene compatibile la gelosia con la futilità del motivo a delinquere. Infatti, la circostanza aggravante dei futili motivi sussiste ove la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno di tale levità, banalità e sproporzione, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso violento (Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, Rv. 280103 - 02). Più in particolare, la gelosia può integrare l'aggravante dei motivi abietti o futili, quando sia connotata non solo dall'abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima od un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall'agente come atti di insubordinazione (Sez. 1, n. 49673 del 01/10/2019, Rv. 278082 - 02; Sez. 5, n. 44319 del 21/05/2019, Rv. 276962).
1.11. L'undicesima doglianza - riferita alla mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6), fondata sulla ritenuta non congruità dell'offerta reale e sul rifiuto della parte civile - è inammissibile. Il ricorrente si limita a contrapporre una propria valutazione soggettiva alla motivazione della sentenza impugnata, la quale risulta pienamente logica e coerente, nella parte in cui esclude che l'offerta di Euro 50.000,00 presentata dalla difesa fosse congrua rispetto alla rilevante gravità dei fatti; affermazione che trova conferma nella descrizione degli stessi nella parte motiva del provvedimento e nell'entità del trattamento sanzionatorio applicato. Ne' possono assumere rilievo, sul piano logico, le censure difensive secondo cui nella sentenza si sarebbe dato spazio al rifiuto della persona offesa rispetto a tale offerta e non si sarebbe considerata la disponibilità dell'imputato ad offrire di più. Si tratta, infatti, di affermazioni sostanzialmente controproducenti per la stessa prospettazione difensiva, perché pongono l'accento sul mancato avvenuto pagamento della somma - condizione che sarebbe stata necessaria per l'applicazione della circostanza attenuante - nonché sull'effettiva inesistenza di una offerta di ammontare più alto, a fronte di una generica disponibilità in tal senso, non concretizzata in una cifra specifica. Del pari, non può essere dato rilievo all'affermazione difensiva secondo cui l'esistenza di una relazione sentimentale consensuale avrebbe richiesto una motivazione rafforzata sulla quantificazione del danno realmente subito dalla vittima, perché l'esame della quantificazione potenziale del danno è stato effettuato tenendo conto anche di tale profilo, che ha aggravato, anziché attenuare, la gravità dei reati commessi, perché ha rappresentato il sostrato dell'approfittamento e del sopruso posti in essere.
1.12. L'ultima doglianza e il motivo aggiunto - con cui si lamentano la violazione dell'art. 62-bis c.p. e vizi della motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche - sono inammissibili.
Si tratta, ancora una volta, del tentativo di opporre una propria rivalutazione del quadro istruttorio alle argomentazioni dei giudici di merito, i quali hanno correttamente valorizzato in senso negativo l'irrilevanza del comportamento collaborativo, per la presenza di pregnanti elementi probatori a carico, nonché l'insufficienza dell'offerta risarcitoria quale manifestazione di resipiscenza (pagg. 58-59 della sentenza d'appello). Del resto, la rilevata insussistenza di elementi positivi di giudizio non è messa in discussione, sul piano logico, da elementi genericamente richiamati, quali la complessiva personalità dell'imputato o la sua incensuratezza, o non accertati dalla sentenza, quali la situazione psicopatologica dell'imputato, o addirittura espressamente esclusi, come la rilevanza della prosecuzione del rapporto sentimentale anche dopo il verificarsi degli eventi asseritamente violenti o l'inconsapevolezza dell'imputato circa la sofferenza che infliggeva.
2. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 577, n. 1), c.p. per i reati di cui ai capi 2, 3, 5; circostanza aggravante che deve essere esclusa, con conseguente eliminazione del relativo aumento di pena di un mese di reclusione.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
L'imputato deve anche essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Reggio Calabria con separato di decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83 con pagamento in favore dello Stato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla circostanza aggravante di cui all'art. 577 c.p., n. 1), per i reati di cui ai capi 2, 3, 5, circostanza aggravante che esclude; elimina il relativo aumento di pena di un mese di reclusione, così rideterminando la pena in anni sei e mesi sette di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'appello di Reggio Calabria con separato di decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2023