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Arresti domiciliari: L'autorizzazione a recarsi al lavoro non è un diritto del detenuto.

Con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che la concessione dell'autorizzazione a recarsi al lavoro non si configura come un diritto del detenuto agli arresti domiciliari, posto che consentire attività lavorative svolte con continui spostamenti, difficilmente controllabili, snaturerebbe il regime della custodia domestica, trattandosi di valutazione da improntare a criteri di particolare rigore, tenendo conto della compatibilità dell'attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva. (Sez. IV, 07/04/2022)

Cassazione penale sez. IV, 07/04/2022, (ud. 07/04/2022, dep. 20/04/2022), n.15205


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Salerno, sezione per il riesame delle misure cautelari, ha rigettato l'appello avverso il provvedimento con il quale è stata respinta l'istanza di autorizzazione a svolgere attività lavorativa, presentata nell'interesse di S.D.P.R., in atto in stato di custodia cautelare presso il domicilio in uso alla moglie, nell'ambito di un procedimento penale che lo vede accusato di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico e di detenzione illegale di sostanze stupefacenti (un chilogrammo di hashish, gr. 550 di cocaina, gr. 10,42 di marijuana).


2. Avverso la ordinanza, ha proposto ricorso la difesa di S.D.P., formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla valutata incompatibilità dello svolgimento dell'attività lavorativa rispetto alla tutela delle esigenze cautelari, avendo i giudici del merito valorizzato elementi non rilevanti (il possibile aiuto di terzi), mancando invece di considerarne altri rilevanti (condizioni familiari dell'istante, padre di due figli minori e unico soggetto deputato al loro mantenimento, stante lo stato di custodia in cui versa la madre, parimenti ristretta agli arresti domiciliari; continuità di svolgimento di lavoro già intrapreso, essendo stato il relativo contratto stipulato prima dell'esecuzione della misura e dopo i fatti per cui è processo; corretta condotta post factum, anche in regime di arresti domiciliari).


3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto GIORGIO Lidia, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Salerno.


4. Anche la difesa ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto annullarsi l'ordinanza del Tribunale del riesame di Salerno.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va rigettato.


2. Il Tribunale ha rilevato che il rigetto della misura era conseguito alla ritenuta incompatibilità dello svolgimento dell'attività lavorativa (dal lunedì al venerdì dalle 7:00 alle 14:00 e il sabato dalle 8:00 alle 13:00 presso il reparto di macelleria di un supermercato di Salerno) rispetto alle esigenze cautelari da salvaguardare, esso mal conciliandosi con le esigenze di controllo connesse alla misura domiciliare, siccome implicante continui spostamenti difficilmente monitorabili.


Nello svolgere la propria valutazione sul punto, alla stregua dei motivi articolati con il gravame, quel giudice ha ritenuto del tutto irrilevante, da un lato, la circostanza che analoga autorizzazione fosse già stata concessa in altro procedimento per fatto simile, atteso che, nella specie, all'interessato era contestato anche il delitto associativo, ma anche il rispetto delle prescrizioni imposte, siccome di per sé doveroso; dall'altro, la mancata documentazione di un'assoluta impossibilità per l'indagato di continuare a ricevere il sostegno dalle numerose persone che già lo avevano aiutato (e grazie alla disponibilità delle quali egli era passato dal regime più afflittivo a quello domiciliare), ma soprattutto ha ribadito la inconciliabilità dell'espletamento di quel lavoro con la salvaguardia dell'esigenza special-preventiva. Nella specie, infatti, l'attività lavorativa avrebbe dovuto esser svolta in Salerno, luogo di commissione dei gravi delitti contestati, sostanzialmente quasi tutti i giorni della settimana in modo che l'indagato sarebbe entrato in contatto con numerose persone, trattandosi, in definitiva, di un'attività lavorativa tale da snaturare la funzione stessa della misura, applicata già in deroga alla previsione di cui all'art. 275 c.p.p., comma 3.


3. Il motivo è infondato.


Questa Corte ha più volte precisato che la concessione dell'autorizzazione a recarsi al lavoro non si configura come un diritto del detenuto agli arresti domiciliari, posto che consentire attività lavorative svolte con continui spostamenti, difficilmente controllabili, snaturerebbe il regime della custodia domestica (sez. 3, n. 3472 del 20/12/2012, dep. 2013, Barbullushi, RV. 254428; se. 1, n. 103 del 1/12/2006, dep. 2007, Cherchi, Rv. 235341; sez. 4, n. 21758 del 26/6/2020, Costanzo, Rv. 279350), trattandosi di valutazione da improntare a criteri di particolare rigore, tenendo conto della compatibilità dell'attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva (sez. 2, n. 9004 del 17/2/2015, Prago, Rv. 263237).


Nella specie, al di là della ritenuta mancata dimostrazione di uno stato di assoluta indigenza, invero neppure allegato a difesa, o della necessità di provvedere alle indispensabili esigenze di vita, i giudici del merito hanno escluso la conciliabilità dell'espletamento dell'attività lavorativa, con le modalità richiamate, rispetto alla misura in atto, concessa all'indagato che risponde di un reato per il quale lo stesso legislatore pone una presunzione, sia pur relativa, di pericolosità. Di tale incompatibilità i giudici del merito hanno fornito spiegazione del tutto logica, in base alla quale l'istante si troverebbe quotidianamente a contatto con un numero indefinito di persone, all'interno di un esercizio commerciale, con evidenti difficoltà di monitoraggio e, quindi, con la sostanziale vanificazione della natura contenitiva della misura in atto.


4. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Motivazione semplificata.


Così deciso in Roma, il 7 aprile 2022.


Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2022

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