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Bancarotta impropria e falso in bilancio: oltre alla volontà protesa al dissesto, deve sussistere anche il dolo generico di falso(Cassazione penale n. 47900/23)


Bancarotta fraudolenta


1. La massima

In tema di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio (previsto dall'art. 2621 c.c., nel testo vigente "ante" riforma del 2015), quest'ultimo deve perfezionarsi in tutte le sue componenti, anche soggettive, con la conseguenza che, oltre alla volontà protesa al dissesto, da intendersi come consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico, deve sussistere anche il dolo generico di falso, il dolo intenzionale dell'inganno rivolto a soci o al pubblico e il dolo specifico del fine di conseguire un ingiusto profitto.


2. La sentenza integrale

Cassazione penale sez. V, 13/10/2023, (ud. 13/10/2023, dep. 30/11/2023), n.47900

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di C.A., N.F. e R.A. per concorso nel delitto di bancarotta impropria da reato societario, con riguardo al fallimento della società (Omissis) S.p.A., già (Omissis) spa (di seguito (Omissis)), dichiarata fallita dal Tribunale di Milano il (Omissis).

1.1. Gli imputati sono stati ritenuti responsabili del delitto di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1 in relazione al reato di falso in bilancio (art. 2621 c.c.) commesso, rispetto alla posizione di C. e N., negli anni 2005, 2006, 2007 (punti 4, 5 e 6 dell'editto accusatorio), nonché, per tutti compreso R., in relazione al bilancio del 2008 (punto 7).

Il titolo di responsabilità e l'apporto concorsuale dei singoli imputati è stato indicato come segue:

- C.A. e N.F., quali concorrenti estranei, per aver svolto l'incarico di revisori contabili, redigendo le relazioni sui bilanci consolidati e d'esercizio sopra citati;

- R.A., nella veste di Presidente del Consiglio di amministrazione della fallita dal (Omissis).

Il fatto contestato è descritto secondo il seguente schema generale (cui segue la specificazione delle singole operazioni): "perché, con l'intenzione di ingannare il pubblico ed i creditori, al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé e per altri, esponendo nel bilancio ordinario (e nel consolidato) fatti non corrispondenti al vero in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari della comunicazione sociale sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, alterando in modo sensibile la rappresentazione economico-patrimoniale-finanziaria col superamento delle soglie di rilevanza previste dalla legge, non adottando i provvedimenti di cui all'art. 2446 c.c., concorrevano a cagionare il dissesto della società (Omissis), la quale, avendo in realtà ridotto per l'anno 2005 il capitale sociale di oltre un terzo e avendo azzerato il capitale sociale nel 2006, - circostanze tutte occultate dalle false comunicazioni sociali che si sono susseguite dal 2005 alla data del fallimento -, continuava l'attività di impresa senza mezzi propri aggravando il dissesto".

1.2. Le sentenze di merito spiegano che il presente processo costituisce il residuo di altro, ben più esteso, incardinato (anche) nei confronti degli amministratori e sindaci della fallita per questa e altre imputazioni; le relative posizioni sono state definite ai sensi dell'art. 444 c.p.p. con sentenza, divenuta irrevocabile, deliberata dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data (Omissis).

2. Avverso la pronuncia indicata ricorrono gli imputati, tramite i rispettivi difensori, sviluppando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. att. c.p.p., comma 1.

3. C.A. e N.F. presentano due atti di impugnazione.

3.1. Il ricorso a firma degli avvocati Ponti Giovanni e Lucio Lucia, all'epoca in difesa congiunta di entrambi gli imputati, articola sette motivi che denunciano la mancanza di motivazione o la sua contraddittorietà, nonché il vizio di travisamento della prova in relazione ai motivi di appello riferiti a:

- l'operazione di acquisto e cessione dei claims;

- l'omessa svalutazione della partecipazione (Omissis) costruzioni;

- l'omessa svalutazione dei costi per la c.d. "offerta (Omissis)" e l'iscrizione di un credito verso il Comune di Milano;

- i crediti vantati da (Omissis) nei confronti del Ministero dei Trasporti dell'(Omissis) e la loro cessione a (Omissis);

- l'operazione "(Omissis)";

- l'iscrizione del credito per imposte anticipate;

- l'omessa iscrizione di costi e la iscrizione di ricavi ritenuti inesistenti nel bilancio 2007.

3.2. L'atto di ricorso che firmano gli avvocati Manes Vittorio e Lucio Lucia, nell'interesse di C.A., e gli avvocati Manes Vittorio e Ponti Giovanniò nell'interesse di Francesca Novati, sviluppa sette motivi.

3.2.1. Con il primo si eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la nullità della decisione per difetto di correlazione tra accusa e sentenza.

Si sostiene che l'imputazione ascrive agli imputati le seguenti condotte: aver esposto nei bilanci ordinari fatti non corrispondenti al vero; aver alterato in modo sensibile la situazione economico-patrimoniale-finanziaria; non aver adottato i provvedimenti di cui all'art. 2446 c.c. o di cui all'art. 2447 c.c.

L'editto accusatorio, quindi, descriverebbe due condotte c:ommissive, riferite ad attività mai svolte dai revisori, e una omissiva rispetto ad obblighi estranei ai compiti dei revisori.

Invece gli imputati sono stati condannati, fin dal primo grado, per la diversa condotta, ancorata all'art. 40 c.p., di concorso per omissione nel reato commesso dagli amministratori e consistita nel: "non aver espresso un giudizio negativo" o comunque nel "non aver esplicitamente rilevato gravi falsificazioni dei bilanci nelle loro relazioni".

In tal modo si sarebbe realizzata una trasformazione radicale del fatto che ha frustrato i diritti difensivi.

3.2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l'inosservanza della L. Fall. e artt. 2621-2624 c.c.

Il giudice di merito ha ricondotto la responsabilità degli imputati alla fattispecie del concorso omissivo, per inadempimento dell'obbligo di impedire l'evento gravante sui revisori.

Obiettano i difensori che una simile costruzione è giuridicamente erronea, poiché, come affermato anche dalla Corte di cassazione, l'extraneus potrebbe concorrere nel reato proprio soltanto mediante una partecipazione attiva e non invece ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2.

Ciò in quanto nei reati c.d. propri (qualli sono il falso in comunicazioni sociali e la bancarotta) è il legislatore a individuare, in modo tassativo, gli autori del reato, con ciò assegnando solo a costoro una posizione di garanzia, sicché una responsabilità omissiva sarebbe configurabile a carico loro ma non di terzi estranei.

Si osserva inoltre che i revisori non hanno il potere di impedire l'approvazione di un bilancio non veritiero: l'espressione di una valutazione negativa non è di ostacolo a che il bilancio venga portato in assemblea dagli amministratori ed approvato dai soci. Come dimostra quanto accaduto per il bilancio relativo al 2009: il revisore non ha certificato il bilancio, che però è stato approvato.

3.2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del reato in contestazione relativamente a una condotta dei revisori sussumibile nell'art. 2624 c.c. (norma incriminatrice vigente all'epoca dei fatti).

Secondo il giudice di appello la relazione finale dei revisori "e' risultata essere non veritiera e, per questo, inattendibile".

Il falso nella relazione integra una autonoma fattispecie di reato "proprio" dei revisori, allora prevista dall'art. 2624 c.c., diversa e non concorrente con il falso in bilancio di amministratori e sindaci disciplinato nell'art. 2621 c.c., così da rendere manifesta la scelta legislativa di tenere distinte, anche ai fini della bancarotta societaria, le due fattispecie.

Si evidenzia inoltre che la Corte di appello avrebbe aggirato la questione affermando che i revisori concorrono nel reato fallimentare, ma non anche in quello societario presupposto. L'assunto sarebbe insostenibile poiché il fatto storico che dà luogo al delitto di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, deve sempre identificarsi nella condotta prevista dall'art. 2621, c.c.

Inoltre la condotta di falso nella relazione di revisione costituisce un posterius rispetto alla predisposizione del bilancio, sicché sarebbe causalmente irrilevante; del resto l'affermata influenza della relazione falsa sull'approvazione dei bilanci degli anni successivi rimarrebbe un mero assunto sfornito di ragioni a sostegno.

3.2.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 25,111,117 Cost. 7 p.1 CEDU, art. 14 preleggi, artt. 2621, 2624, c.c., artt. 1,2 e art. 110 c.p., perché l'applicazione che in concreto è stata data in sentenza delle norme citate, riconoscendo il concorso dei revisori per falsità in bilancio, sarebbe frutto di una interpretazione in malam partem della norma penale, come tale non prevedibile.

La fattispecie punitiva creata dalla Corte di appello da un lato si porrebbe in contrasto con il divieto di applicazione analogica in malam partem della norma incriminatrice, dall'altro, in assenza di precedenti arresti anche solo di merito su "situazioni connesse", avrebbe determinato una incriminazione non ragionevolmente prevedibile dagli imputati.

3.2.5. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge in punto di elemento soggettivo del reato.

La Corte di appello - nell'affrontare il tema della necessaria sussistenza del dolo specifico e del dolo intenzionale del falso in bilancio - ha replicato che, ai fini della integrazione dell'elemento soggettivo della bancarotta societaria, è sufficiente la consapevolezza, in capo all'agente, che dalla propria condotta possa derivare una diminuzione della garanzia dei creditori.

L'assunto sarebbe erroneo poiché, nel reato complesso di bancarotta societaria, il delitto presupposto di falso in bilancio deve essere integrato in tutte le sue componenti oggettive e soggettive.

Ergo il concorrente nel reato dovrebbe essere, quantorneno, consapevole dell'altrui finalità che non potrebbe essere desunta dal ruolo ricoperto né dalla fittizietà delle operazioni.

3.2.6. Con il sesto motivo si contesta la configurabilità del dolo al cospetto di meri profili di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi e regolamenti.

3.2.7. Con il settimo ci si duole dell'entità della pena sia in quanto nel giudizio di bilanciamento la Corte di appello non avrebbe considerato l'accordo transattivo raggiunto, nelle more del giudizio di secondo grado, con la procedura fallimentare; sia in quanto il giudice di merito valorizza, in termini negativi, l'ammontare del passivo anziché il danno derivato, in via immediata e diretta, dalla condotta degli imputati.

4. R.A., con l'avv. Vezzoli Giovanni, formula quattro motivi.

4.1. I primi tre motivi attengono al punto della responsabilità e mirano ad evidenziare il difetto e la contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza, nel caso concreto, dell'elemento soggettivo.

4.1.1. R., presidente del consiglio di amministrazione in un periodo ristretto e conclusivo della vita della società (Omissis) (dal (Omissis)), è stato giudicato colpevole del reato di bancarotta societaria, riferita alla falsità del bilancio del 2008.

Il ricorrente precisa di non aver mai contestato la configurabilità di una responsabilità omissiva dell'amministratore di diritto nella condotta attiva dell'amministratore di fatto, tema su cui la Corte di appello si diffonde; ma pone in risalto come, nella valutazione della posizione di R., il giudice di merito abbia omesso di considerare (o le abbia ingiustificatamente sminuite) le iniziative assunte al fine di impedire l'approvazione del bilancio del 2008, avvenuta contro la sua volontà, dopo che l'esperto da lui incaricato della verifica della situazione contabile non aveva avuto accesso alla documentazione.

In sostanza R. avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per impedire l'evento, senza riuscirvi:

- le appostazioni non veritiere riguardavano operazioni risalenti negli anni e non imputabili al proprio periodo di gestione e da lui non immediatamente percepite al momento della redazione del progetto di bilancio al 31 dicembre 2008;

- il progetto di bilancio predisposto da R., con i suoi collaboratori, evidenziava chiaramente ingenti perdite e un crollo del fatturato, con necessità di adozione dei provvedimenti di cui all'art. 2446 c.c.; così offrendo una immagine della società che, in assenza di un progetto di ristrutturazione, era destinata al fallimento;

- in epoca anteriore alla approvazione del bilancio, aveva incaricato un consulente esterno per l'attestazione di un piano di risanamento L. Fall., ex art. 67;

- al consulente non era stata consegnata la documentazione relativa ai costi sostenuti e capitalizzati per il c.d. "tunnel (Omissis)", progetto nel quale l'imputato puntava per risollevare il destino della società;

- in tale situazione il R., aveva deciso di non convocare l'assemblea per l'approvazione del bilancio; ciononostante il bilancio del 2008 era stato approvato, in sua assenza, da una assemblea illegittimamente tenutasi perché priva di formale convocazione; di conseguenza il bilancio era stato approvato contro la volontà di R.;

- da quel momento i rapporti tra R. e gli altri organi sociali si erano fortemente deteriorati tanto che R. impugnava la delibera di approvazione del bilancio, ma poi veniva estromesso dalla gestione della società quando, nel corso dell'assemblea del (Omissis), tutti gli altri consiglieri rassegnavano le dimissioni provocando la decadenza dell'intero consiglio.

Tutto ciò dimostrerebbe, per un verso, l'interruzione del nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento e, dall'altro, l'assenza di dolo in capo al ricorrente; ma su nessuna di queste fondamentali circostanze, tutte rappresentate con l'atto di appello, la Corte di appello avrebbe fornito risposta.

4.1.2. A quest'ultimo riguardo il ricorrente lamenta anche un erroneo inquadramento dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta societaria che la Corte di appello ricostruirebbe come dolo eventuale riferito al dissesto, senza tenere conto del dolo intenzionale di ingannare i soci o il pubblico (pacificamente assente da parte del R.) richiesto dal reato presupposto di falso in bilancio, secondo la norma incriminatrice all'epoca vigente.

4.2. Con il quarto motivo invoca un giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti, alla luce del ruolo marginale assunto dall'imputato nella vicenda.

5. Il Procuratore generale ha trasmesso una memoria cori la quale evidenzia le ragioni di inammissibilità dei ricorsi.

I difensori degli imputati C.A. e N.F. hanno depositato una memoria congiunta con la quale contestano gli argomenti del pubblico ministero.

6. Si è proceduto a discussione orale su richiesta delle difese.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati.

2. I ricorsi di C.A. e N.F..

2.1. L'esito del processo - che conduce il collegio ad adottare una pronuncia di annullamento senza rinvio "per non aver commesso il fatto" - consente di incentrare la disamina sulle questioni, devolute con i ricorsi, aventi portata decisiva, rimanendo superate o assorbite tutte le altre.

In tale ottica occorre muovere da un sintetico inquadramento dedicato al delitto di bancarotta societaria e all'evoluzione dello statuto penale dei revisori per poi esaminare la condotta che, in concreto, i giudici di merito hanno addebitato agli imputati.

Si rende necessario, comunque, anteporre alcune precisazioni sui limiti temporali e oggettivi del presente scrutinio: i fatti-reato ricadono ratione temporis nell'alveo della disciplina dell'attività di revisione anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. n. 39 del 2010; si collocano nella formulazione dei reati societari anteriore alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 69 del 2015; riguardano una società non quotata in borsa.

2.2. La bancarotta societaria.

La L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1 punisce gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli artt. 2621,2622,2626,2627,2628,2629,2632,2633 e 2634 c.c..

2.2.1. Viene in rilievo un reato proprio (non esclusivo) o a "soggettività ristretta" (come la gran parte dei reati fallimentari) che richiede la partecipazione di almeno un soggetto rientrante nelle categorie codificate dalla norma.

In forza dell'art. 110 c.p. anche l'extraneus (es. dipendente, collaboratore, professionista esterno) può concorrere nel reato con il soggetto qualificato fornendo un consapevole contributo morale (es. istigazione, determinazione, rafforzamento dell'altrui proposito criminoso) o materiale (es. predisposizione del bilancio falso) alla realizzazione dell'illecito, in presenza della necessaria componente soggettiva.

2.2.2. I reati societari specificamente indicati - i quali, a loro volta, sono reati propri (nella specie rileva quello di cui all'art. 21521 c.c.) -rappresentano un elemento costitutivo della fattispecie di bancarotta in esame (cfr. Sez. 5, n. 37264 del 19/06/2023, Austa, n. m.).

I fatti di falso in bilancio seguiti dal fallimento della società non costituiscono un'ipotesi aggravata del reato di false comunicazioni sociali, ma integrano l'autonomo reato di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario (Sez. 5, n. 15062 del 02/03/2011, Siri, Rv. 250092).

Il reato societario deve perfezionarsi in tutte le sue componenti oggettive e soggettive. Invero i reati societari sono richiamati con tutti i loro estremi, anche psicologici, come definiti dal codice civile: per "fatti" deve intendersi la "tipicità" del reato, vale a dire l'insieme degli elementi fattuali descritti dal legislatore nell'ambito di una singola disposizione incriminatrice, all'interno della quale, dunque, trova posto anche il dolo (vedi in motivazione Sez. 5 n. 28508 del 12/04/2013, Mannino; Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti).

2.2.3. Si tratta, infine, di reato di evento, nel senso che -- a differenza delle ipotesi di bancarotta fraudolenta impropria di cui alla L. Fall., art. 223 comma 1, che sono reati di pericolo- nella fattispecie in rassegna il dissesto è evento del reato che, come tale, deve essere causalmente ricollegabile ai reati presupposti e investito del necessario elemento soggettivo.

Quanto all'elemento oggettivo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell'amministratore che espone nel bilancio dati non veri al fine di occultare la esistenza di perdite e consentire quindi la prosecuzione dell'attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori, poiché l'evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto (tra le altre Sez. 5, n. 42811 del 18/06/2014, Ferrante, Rv. 261759; Sez. 5 n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, Bevilacqua, Rv. 282537).

Sotto il profilo soggettivo si è affermato che, in tema di bancarotta impropria da reato societario, il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (tra le altre Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Baraldi, Rv. 252804; Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Solignani, Rv. 260356; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Sistro, Rv. 261446; Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Nicosia, Rv. 274449).

2.3. La responsabilità penale dei revisori.

2.3.1. Il revisore esula dal novero dei soggetti qualificati L. Fall., ex art. 223, sicché può essere chiamato a rispondere del reato di bancarotta societaria soltanto in veste di estraneo, secondo le norme generali sul concorso.

L'affermazione non è superflua poiché segna la distanza "normativa" che separa amministratori e sindaci, da un lato, e revisori dall'altro, secondo un canone legislativo non sufficientemente recepito dall'editto accusatorio che -equiparandone le posizioni ("se gli amministratori avessero correttamente formato bilancio e i sindaci e i revisori avessero svolto la loro funzione legale, avrebbero per contro dovuto evidenziare nel conto economico a seguente perdita dell'esercizio (...)") - pone i revisori sul medesimo piano dei soggetti qualificati, così da ingenerare equivoci già a livello contestativo.

2.3.2. L'evoluzione normativa dello statuto penale dei revisori è tracciata dalle Sezioni Unite Deloitte Touche spa (n. 34476 del 23/06/2011) alla cui ampia disamina si rimanda.

In questa sede è opportuno ricordare che, all'epoca dei fatti, l'attività del revisore era disciplinata dall'art. 2409-ter c.c. e che la falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni delle società di revisione era punita dall'art. 2624 c.c.

L'art. 2409-ter (modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2007 n. 32 che ha stabilito i contenuti della relazione e successivamente abrogato dal D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39), sotto la rubrica, "funzioni di controllo contabile" così recitava: "Il revisore o la società incaricata del controllo contabile:

a) verifica, nel corso dell'esercizio e con periodicità almeno trimestrale, la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione;b) verifica se il bilancio di esercizio e, ove redatto, il bilancio consolidato corrispondono alle risultanze delle scritture contabili e degli accertamenti eseguiti e se sono conformi alle norme che li disciplinano;

c) esprime con apposita relazione un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato, ove redatto.

La relazione comprende (comma aggiunto per effetto del D.Lgs. n. 32 del 2007):

a) un paragrafo introduttivo che identifica il bilancio sottoposto a revisione e il quadro delle regole di redazione applicate dalla società;

b) una descrizione della portata della revisione svolta con l'indicazione dei principi di revisione osservati;

c) un giudizio sul bilancio che indica chiaramente se questo è conforme alle norme che ne disciplinano la redazione e se rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell'esercizio;

d) eventuali richiami di informativa che il revisore sottopone all'attenzione dei destinatari del bilancio, senza che essi costituiscano rilievi;

e) un giudizio sulla coerenza della relazione sulla gestione con il bilancio.

Nel caso in cui il revisore esprima un giudizio sul bilancio can rilievi, un giudizio negativo o rilasci una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio, la relazione illustra analiticamente i motivi della decisione.

La relazione è datata e sottoscritta dal revisore. La relazione sul bilancio è depositata presso la sede della società a norma dell'art. 2429. Il revisore o la società incaricata del controllo contabile può chiedere agli amministratori documenti e notizie utili al controllo e può procedere ad ispezioni; documenta l'attività svolta in apposito libro, tenuto presso la sede della società o in luogo diverso stabilito dallo statuto, secondo le disposizioni dell'art. 2421, comma 3".

Nella motivazione delle Sezioni Unite Deloitte Touche spa si legge che: "Le falsità incidenti sulle comunicazioni e relazioni delle società di revisione furono introdotte nel nostro ordinamento penale dal D.P.R. n. 31 marzo 1975, n. 136, art. 14, (norma diretta a garantire la fedele certificazione obbligatoria di bilancio). Il D.Lgs. n. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, T.U.F.) rimodulò la condotta mediante l'art. 175. Il riordino normativo dei reati societari, portato dal D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, comportò la riformulazione dell'art. 2624 c.c.".

"La L. 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari) riportò alcune disposizioni relative ai revisori contabili in seno al T.U.F., con la formulazione dell'art. 174-bis, pertinente alle società quotate in borsa (o a società da queste controllate ed a società che emettono strumenti finanziari diffusi tra il pubblico in misura rilevante) creando, in tal modo, un doppio binario repressivo, rispetto all'art. 2624, norma destinata a reprimere il solo mendacio reso nella revisione contabile relativa a società comuni ed articolata in reato contravvenzionale (di pericolo) ed in fattispecie delittuosa, caratterizzata dalla causazione di danno patrimoniale per i destinatari del messaggio infedele dei revisori (precetti tra loro differenziati anche relativamente al momento soggettivo)".

A siffatto quadro è succeduto il D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, entrato in vigore dopo la commissione dei fatti per cui è processo.

2.3.3. L'art. 2624 c.c., qui in rilievo ratione temporis, al comma 1 prevede(va) una ipotesi contravvenzionale di reato "proprio", di pericolo (Sez. 5, n. 23449 del 21/05/2002, Fabbri, Rv. 221920), assistita da dolo specifico e intenzionale, consistente nel fatto dei responsabili della revisione che, nelle relazioni o in altre comunicazioni, attestano il falso od occultano informazioni concernenti la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società, ente o soggetto sottoposto a revisione, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sulla predetta situazione.

Il comma 2 invece punisce, come delitto, la medesima condotta ove produttiva di un evento dannoso: aver cagionato un danno patrimoniale ai destinatari delle comunicazioni.

Il falso deve cadere sulla relazione (che costituisce l'oggetto specifico del reato), nonché su "altre comunicazioni" non meglio specificate e di non agevole individuazione.

La condotta può realizzarsi sia affermando il falso sia occultando informazioni vere. Si parla, nella seconda ipotesi, di "falso per omissione", ma è bene chiarire sin d'ora che, al di là della terminologia utilizzata, viene in rilievo, comunque, una condotta che giuridicamente deve definirsi "attiva" e non "omissiva", poiché si concreta sempre e comunque in una azione: la stesura della relazione.

L'art. 2624 c.c. assegna(va) una precisa valenza penale al falso ideologico commesso dal revisore come disposizione che da un lato serve a rafforzare, dall'esterno, la tutela della correttezza e trasparenza delle informazioni a presidio degli interessi patrimoniali della società e dei soci e, dall'altro, ne costituisce anche il limite; nel senso che, come osservato dalle difese, la scelta del legislatore è chiara: i revisori non sono soggetti qualificati del falso in bilancio (pur potendovi concorrere ai sensi dell'art. 110 c.p.); il falso nelle relazioni di revisione si colloca al di fuori del perimetro del reato di falso in bilancio punito dai precedenti artt. 2621 e 2622 c.c..

2.4. Il fatto accertato in concreto.

2.4.1. La lettura delle sentenze di primo e secondo grado rende palese che le condotte accertate e addebitate agli imputati sono consistite nel formulare, nelle relazioni degli anni dal 2005 al 2008, false attestazioni di regolarità dei bilanci e nell'omettere informazioni rilevanti sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società: "i revisori non avevano redatto una relazione attendibile e veritiera, tralasciando importanti segna/azioni in merito alle operazioni in itinere, richieste dai principi contabili, in primis dal principio di prudenza (...) i revisori redigevano sempre relazioni prive di rilievi" (pag. 63 sentenza impugnata).

Dunque viene in rilievo una condotta "attiva" e non omissiva, poiché, come detto (paragrafo 2.3.3.) anche il c.d. falso per omissione è giuridicamente un fatto commissivo. Invero nei reati di falso l'omissione non può riguardare l'atto nella sua interezza (e nella specie non l'ha riguardata) assumendo rilevanza l'omissione che riguardi un singolo enunciato significativo di un atto che tuttavia, nel suo complesso, deve essere formato (cfr. Sez. 5, n. 9192 del 23/09/1996, Benussi, Rv. 205942).

La natura commissiva del fatto accertato è rivelata dalla circostanza che i giudici di merito ricavano l'omissione, cui fanno precipuo riferimento, volgendo "in negativo" la condotta attiva: aver omesso di redigere una relazione veritiera significa aver redatto una relazione falsa; "non aver espresso un giudizio negativo" (pag. 21 sentenza di primo grado e pag. 23 sentenza di appello) vuol dire aver espresso un giudizio positivo sapendolo falso.

Tuttavia, quando i medesimi giudici si sforzano di individuare obblighi diversi da quelli attinenti ai contenuti della relazione, riescono solo a indicare profili marginali e privi di rilevanza o perché postuiano obblighi insussistenti - omessa segnalazione alla Consob (pag. 67 sentenza impugnata) ma la società (Omissis) non era assoggettata alla vigilanza di tale Commissione - o perché si riferiscono a mancate comunicazioni ad amministratori o sindaci (pagg. 67 e 69 sentenza impugnata) la cui rilevanza causale è pressoché nulla dato che, nel presente processo, tutti i potenziali destinatari della segnalazione sono i principali autori del reato.

Come osserva, condivisibilmente, il Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, l'omessa dolosa esecuzione dei controlli contabili da parte dei revisori ha rappresentato un antefatto che è materialmente sfociato in una attività contra legem, di tipo indubbiamente commissivo, costituita dall'avvenuta predisposizione da parte degli imputati di plurime relazioni con cui è stato espresso un giudizio pienamente positivo circa la chiarezza e correttezza dei bilanci e circa lo stimabile sviluppo della società, occultando la fittizietà di una serie di operazioni.

Nelle sentenze di merito si registra, pertanto, uno scarto rilevante tra situazione accertata in concreto, che attiene a una fattispecie commissiva, e impostazione dogmatica, completamente sbilanciata sul concorso per omissione e sulla individuazione di una posizione di garanzia in capo ai revisori (con scarsa attenzione alla effettiva sussistenza di poteri impeditivi).

Ne consegue che la puntuale e incisiva disamina svolta dai ricorrenti sul tema del concorso per omissione nei reati propri è sicuramente confacente all'impianto teorico esposto nella sentenza impugnata (e quindi doverosa in ottica difensiva), ma, al medesimo tempo, finisce per non attagliarsi alle caratteristiche del fatto concreto.

2.4.2. Coglie, invece, nel segno il terzo motivo del ricorso a firma congiunta dei tre difensori, che si incentra sui rapporti tra art. 2621 e art. 2624 c.c.

A ben vedere la condotta materiale accertata dai giudic di merito a carico degli imputati si sostanzia (impregiudicato l'elemento soggettivo) nell'elemento materiale tipizzato dall'art. 2624 c.c. (reato non contestato e da anni ormai prescritto).

La fattispecie del falso nelle relazioni dei revisori non ha attinenza né con l'art. 2621 c.c. né con la L. Fall., art. 223 comma 2, n. 1, e, per tale ragione, non può ex se rappresentare una modalità di concorso nei ridetti reati propri, pena la torsione dei principi di legalità e di tipicità.

Come nota autorevole dottrina, nel delineare le fattispecie di bancarotta impropria il legislatore ha inteso rafforzare l'imposizione di particolari doveri, correlati a penetranti poteri, posti dalla normativa civilistica a carico di determinati soggetti per la tutela dell'impresa individuale o della società, dei soci e dei creditori sociali. E, in tale ottica, ha tenuto conto della somma dei poteri che si concentrano nell'organo interno di gestione (che governa i meccanismi societari, è informato delle notizie più riservate, ha accesso alle fonti di finanziamento, domina le attività patrimoniali, effettua le scelte operative, ecc.) e in quello, sempre interno, di controllo (eletto dalla stessa maggioranza assembleare che esprime gli amministratori, vale a dire i soggetti la cui attività è assoggettata al controllo).

A tutto ciò il revisore, figura esterna agli organi societari, rimane estraneo (soprattutto nel sistema precedente alla riforma del 2010).

2.5. Quanto precede non esclude che il revisore possa fornire il proprio apporto all'autore qualificato nella commissione del reato di falso in bilancio (ad esempio assicurando allo stesso una relazione positiva) e, conseguentemente, di quello di bancarotta societaria; tuttavia si tratta di concorso che passa attraverso le ordinarie forme di cui all'art. 110 c.p. (e relativi oneri probatori) e non attraverso una non consentita combinazione di altre norme incriminatrici, foriera di inammissibili scorciatoie probatorie.

In particolare, nel caso di concorrente morale, il contributo causale può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso), che impongono al giudice di merito un obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110 c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101).

Nel caso in rassegna le sentenze di merito sono dotate di un'ampia ed esaustiva esposizione degli elementi di prova raccolti -non suscettibile di ulteriore arricchimento - dalla quale non emergono concreti elementi a sostegno di un contributo partecipativo dei revisori nel reato proprio di amministratori (se non come cenni meramente assertivi a una "inevitabile collusione", cfr. pag. 22 sentenza impugnata); d'altronde il tentativo di costruire un concorso per omissione non avrebbe avuto ragion d'essere se fossero state disponibili prove di un accordo preventivo tra amministratori e revisori.

Discende che l'annullamento va disposto senza rinvio perché un eventuale giudizio di rinvio, data la esaustiva disamina del materiale acquisito utilizzato nei pregressi giudizi di merito (puntualmente ripercorso nella sentenza di primo e sinteticamente ricordato alle pagg. 24 e 25 della sentenza impugnata), non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226100).

3. Il ricorso di R.A.

3.1. R.A. ha rivestito la carica di presidente del consiglio di amministrazione di (Omissis) dal (Omissis).

Il delitto di bancarotta societaria viene a lui ascritto in tale qualità e riferito alla falsità nel bilancio relativo all'anno 2008.

Non sorgono problemi sulla configurabilità del reato, dato che l'imputato rientra tra i soggetti qualificati L. Fall., ex art. 2621 c.c. e art. 223.

Anche in questo caso va puntualizzato che, sebbene l'analisi dei giudici di merito sia incentrata sul reato omissivo, la responsabilità del R., viene ancorata, di fatto, a una condotta attiva: la predisposizione del progetto di bilancio al (Omissis), la conferma del progetto ad opera del consiglio di amministrazione presieduto dall'imputato il (Omissis).

3.2. Sono infondate le censure che, pur trattando dell'elemento soggettivo, evocano surrettiziamente l'insussistenza e/o l'interruzione del nesso di causalità tra condotta e dissesto.

Sul punto è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di bancarotta societaria (L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1), rilevano ai fini della responsabilità penale anche le condotte successive alla irreversibilità del dissesto, in quanto sia il richiamo alla rilevanza delle cause successive, espressamente dispiegata dall'art. 41 c.p. che disciplina il legame eziologico tra il comportamento illecito e l'evento, sia la circostanza per cui il fenomeno del dissesto non si esprime istantaneamente, ma con progressione e durata nel tempo (tanto da essere suscettibile di misurazione) assegnano influenza ad ogni condotta che incida, aggravandolo, sullo stato di dissesto già maturato (Sez. 5, n. 16259 del 04/03/2010, Chini, Rv. 247254 - 01).

Il delitto di bancarotta societaria sussiste anche quando la condotta illecita abbia concorso a determinare solo un aggravamento dell'evento costituito dal dissesto già in atto della società (Sez. 5, n, 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, Geronzi, Rv. 263803; coni. Sez. 5, n. 29885 del 09/05/2017, Merlo, Rv. 270877).

3.3. E' fondato, invece, il motivo di ricorso concernente l'elemento soggettivo della bancarotta societaria.

3.3.1. La decisione della Corte di appello si informa a una errata ricostruzione dell'elemento soggettivo del reato di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, poiché appunta la propria attenzione solo sulla copertura soggettiva dell'evento del reato, così dimenticando che anche il reato presupposto di falso in bilancio deve essere integrato nelle sue componenti soggettive (cfr. sopra paragrafo 2.2.2).

Invero, oltre alla "volontà protesa al dissesto" come sopra intesa (cfr. paragrafo 2.2.3.), deve sussistere anche l'atteggiamento psicologico richiesto dal reato societario, nella specie dall'art. 2621 c.c. che, nel testo vigente al momento del fatto, richiedeva: il dolo generico del falso, il dolo intenzionale dell'inganno rivolto a soci o al pubblico, il dolo specifico del fine di conseguire un ingiusto profitto.

La Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire che nel reato di bancarotta impropria da reato societario di falso in bilancio, l'elemento soggettivo presenta una struttura complessa comprendendo - oltre alla consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico - il dolo generico (avente ad oggetto la rappresentazione del mendacio), il dolo specifico (profitto ingiusto) ed il dolo intenzionale di inganno dei destinatari (Sez. 5, n. 46689 del 30/06/2016, Coatti, Rv. 268673 - 01).

E si è evidenziato che il pregiudizio interessato dal dolo del reato fallimentare "non sempre coincide con la volontà di danno supposto dalla norma penal/societaria, sicché non necessariamente la dimostrazione del dolo specifico del reato societario esaurisce l'onere probatorio sul momento soggettivo della bancarotta di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 1, (così in motivazione Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Baraldi).

3.3.2. L'errore di impostazione si traduce in vuoto motivazionale, dato che il giudice di merito ha del tutto pretermesso di esaminare il profilo soggettivo nelle sua struttura complessa.

Per tale ragione si impone un annullamento con rinvio.

Nell'indagine sul foro interno dell'agente il giudice di merito dovrà attenersi ai principi di diritto sopra enucleati, tenendo conto degli elementi di fatto rilevanti a tal fine, occupandosi anche di quelli dedotti dalla difesa a favore dell'imputato.

3.4. I motivi sul trattamento sanzionatorio rimangono assorbiti.

4. Discende che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di C.A. e N.F., per non aver commesso il fatto. La medesima sentenza va annullata con rinvio nei confronti di R.A..


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C.A. e N.F., per non aver commesso il fatto.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di R.A. con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2023

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