
RITENUTO IN FATTO
B.A., ricorre avverso l'ordinanza del 24/07/2022 del Tribunale di Treviso, che ha dichiarato inammissibile l'appello proposto nei confronti del provvedimento con cui il GIP del Tribunale di Treviso ha rigettato l'istanza di revoca del sequestro preventivo, emesso nel procedimento in cui il ricorrente è indagato dei reati di cui all' art. 110 c.p.e art. 640 c.p., commi 1 e 2, n. 1 (capo 1) e 110, 81 cpv., 648-terl c.p. (capo 2). In particolare, il vincolo reale ha riguardato un notevole importo stimato pari al valore di crediti che si sostiene indebitamente acquisiti dal (Omissis) alla data dell (Omissis) per cantieri, in ipotesi d'accusa, non ancora attivati ed è stato disposto, anche per equivalente, nei confronti dell'indagato e degli altri correi. Il Tribunale ha dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione ritenendo operante la preclusione a far valere, con l'istanza di revoca del sequestro, profili attinenti alle condizioni legittimanti la misura reale (nella specie relative al fumus delicti), laddove l'interessato abbia in precedenza proposto istanza di riesame, poi non coltivata mediante rinuncia all'impugnazione.
Al riguardo, deduce:
1. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale di cui agli artt. 322,324,322-bis e 591 c.p.p., in ragione della mancata equiparazione tra il difetto di proposizione del riesame e la rinuncia alla richiesta di riesame, sul "fallace presupposto logico-giuridico secondo cui la formale rinunzia all'interposta richiesta di riesame reale può sorreggere la pronuncia d'inammissibilità dell'appello cautelare successivamente instaurato".
Il giudizio d'inammissibilità del Tribunale di Treviso sol:tintenderebbe una "fallace" interpretazione dell'istituto della rinuncia all'impugnazione, vale a dire della rinuncia alla richiesta di riesame. La rinuncia, invece, deve ritenersi perfettamente equiparabile alla mancata interposizione del rimedio stesso, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale.
La rinuncia al riesame precluderebbe una pronuncia di merito, e per tale via una delibazione su qualsivoglia questione relativa agli elementi legittimanti il provvedimento restrittivo. La rinuncia definita dalle Sezioni unite quale negozio processuale abdicativo con natura sopravvenuta ed esplicita sarebbe la rinuncia all'impugnazione interposta, vale a dire l'appello cautelare e non la rinuncia a un riesame precedentemente interposto. La rinuncia al riesame reale deve equipararsi alla mancata presentazione del gravame medesimo.
2. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli all' art. 321, comma 2, artt. 322 e 322-bis c.p.p., in ragione della configurazione, adottata dal collegio trevigiano, del riesame quale unico mezzo di gravame per i vizi genetici del provvedimento di sequestro preventivo, in spregio alle argomentazioni svolte dalle Sezioni unite nella sentenza n. 46201 del 2018.
Si tratterebbe di un orientamento che fa leva su un approccio interpretativo minoritario da disattendersi e che si basa sulla natura decadenziale del termine per proporre riesame. Sarebbe ben possibile, invece, avanzare col rimedio ex art. 322-bis c.p.p., un'istanza di revoca del sequestro preventivo, anche in assenza di fatti sopravvenuti. Il riesame, dunque, non sarebbe l'unico rimedio per contestare la legittimità dell'imposizione del vincolo e, nello specifico, la sussistenza del fumus commissi delicti.
La difesa sostiene, peraltro, la carenza dei presupposti legittimanti il vincolo ablatorio e l'insussistenza del fumus commissi delicti anche in ragione di elementi probatori sopravvenuti in quanto formatisi in un momento postumo rispetto sia alla data in cui veniva emesso il decreto di sequestro preventivo, sia alla data di interposizione della richiesta di riesame, sia alla data della richiesta di riesame medesima (19 luglio 2022), tra cui i plurimi verbali di assunzione di informazioni ex art. 391-bis e 391-ter c.p.p. e una dettagliata consulenza tecnica redatta in data 26 luglio 2022.
3. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), inosservanza della norma processuale di cui all'art. 125 c.p.p., comma 3, in ragione del difetto assoluto di motivazione in ordine ai motivi enunciati con l'atto di appello cautelare ex art. 322-bis c.p.p., interposto dalla difesa.
4. Il P.G. presso questa Corte, con requisitoria in data 15/12/2022, sul rilievo della fondatezza dei primi due motivi di ricorso, ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
5. Con memoria in data 27/12/2022, la difesa del ricorrente ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso, con particolare riguardo a quelli principali attinenti all'assenza della formazione di alcun giudicato cautelare nel caso di specie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1. La censura di violazione di legge, mossa dalla difesa del ricorrente con i primi due motivi di ricorso, muove dalla ritenuta equiparazione al caso in esame - costituito dalla rinunzia all'impugnazione cautelare avvenuta nel corso delle more della procedura incidentale - dei principi espressi dalle Sezioni unite Romagnoli (n. 29952 del 24/05/2004, Rv. 228117 - 01) e Noemi (n. 46201 del 31/05/2018, Rv. 274092 - 01), secondo cui la mancata tempestiva proposizione, da parte dell'interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non ne preclude la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilità, neanche in assenza di fatti sopravvenuti; con la conseguenza che andrebbe ritenuto ammissibile l'appello cautelare avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca, non potendosi attribuire alla mancata attivazione del riesame la valenza di una rinuncia all'impugnazione.
Si tratta di un'opzione ermeneutica che, a giudizio del Collegio, non è condivisibile.
Il concetto di rinuncia all'impugnazione equivale sostanzialmente ad un nolo contendere sulla censura a proposito dei presupposti genetici della misura, proprio perché lo strumento del riesame, attesa la sua natura integralmente devolutiva, equivale all'attivazione di un meccanismo che tende ad un controllo giurisdizionale di tipo "pieno" proprio su quei presupposti.
Di talché, la rinunzia a quello specifico rimedio non può non ridondare sulla preclusione a riproporre censure attinenti a quei presupposti genetici la cui sussistenza deve dunque ritenersi preclusa.
Non diversamente, d'altra parte, da ciò che accadrebbe nell'ipotesi in cui, positivamente scrutinata in sede di riesame la sussistenza dei presupposti genetici, lo stesso tema venisse riproposto tale e quale in sede di appello.
Dunque, se non è possibile, a lume degli insegnamenti delle S.U., ritenere che, in punto di verifica dei presupposti genetici della misura, eletta una via non datum recursus ad alteram, è altrettanto vero che alla dichiarazione di rinuncia all'impugnazione deve essere, in questa specifica ipotesi, annesso un significato di scelta univoca operata dal soggetto legittimato a proporre impugnazione.
Si tratta, infatti, di una abdicazione al tipico rimedio processuale intervenuta dopo la sua attivazione: il mancato esercizio del potere di controllo sui presupposti genetici della misura dipende, infatti, dalla scelta consapevole dell'interessato che a quel rimedio ha poi rinunziato. Non si e', dunque, al cospetto di una situazione processuale assimilabile al diverso caso della mancata tempestiva proposizione dell'impugnazione, trattandosi di situazioni processuali differenti, collocandosi, quella in esame, nell'ambito della categoria delle cause sopravvenute di inammissibilità. Ed è proprio il riferimento a tale "tipo" di inammissibilità che esclude la possibilità di ritenere del tutto "neutra", sul piano degli effetti processuali, l'avvenuta rinunzia all'impugnazione. Nei casi, infatti, di cause di inammissibilità originarie, difettano i presupposti previsti dalla legge per attivare il meccanismo impugnatorio, mentre - laddove tali presupposti sussistano - e l'impugnazione sia stata presentata, l'effetto caducatorio che si accompagna alla rinunzia è conseguenza dell'abdicazione a quel tipo di verifica giudiziale a cui l'interessato tendeva con l'impugnazione proposta.
L'ordinamento processuale prevede, in tema di misure reali, diversi rimedi, i quali si fondano su presupposti differenti e quello del riesame è alternativo rispetto all'appello, come quest'ultimo non è assorbente rispetto al riesame, tanto ricavandosi dalla chiara lettera della legge che espressamente stabilisce che le parti possono proporre appello contro le cirdinanze in materia di sequestro preventivo "fuori dei casi previsti dall'art. 322 c.p.p. ".
Si tratta, quindi, di due modalità di impugnazione differenti che si fondano ontologicamente su due prospettive di censura diverse: pertanto, laddove la parte si avvalga dell'appello cautelare, rinunciando al proposto riesame, rinuncia, al contempo, anche alla prospettiva di censure che il rimedio successivamente rinunziato le consentiva, ossia rinuncia a far valere le doglianze sui fatti genetici della misura; con la conseguenza che, correttamente, la cognizione del giudice di appello sarà parzialmente devolutiva, avendo riguardo alle ragioni poste a fondamento del diniego da parte del giudice dell'istanza di revoca.
Non si tratta, quindi, di introdurre una preclusione - anche di tipo sostanziale - ricollegabile al cd. giudicato cautelare, fondata, come noto, su presupposti differenti, ma di prendere atto - come correttamente ha rilevato l'ordinanza impugnata - di una "fuoriuscita" del perimetro cognitivo spettante al giudice di appello.
La rinuncia all'impugnazione non significa soltanto dismettere il relativo atto, ma operare una scelta di prospettiva processuale che tale rinunzia tipicamente sottende: si pensi al ricorso per saltum che tende ad una pronuncia di legittimità, con espressa rinunzia e preclusione a far valere sia le censure di merito tipiche del riesame che dell'ambito di cognizione che a tale giudice spetta. La rinuncia,
pertanto, fa venir meno l'obbligo del giudice di pronunciarsi, ma non gli effetti legati a quella prospettiva impugnatoria che si è scelta di perseguire.
2. Generico per difetto di autosufficienza e', invece, l'ultimo motivo con cui il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione in ordine alla valenza a discarico degli elementi sopravvenuti alla rinunzia alla richiesta di riesame (si tratta di verbali di assunzione di informazioni volti a dimostrare l'avvenuta esecuzione dei lavori, nonché di consulenza tecnica di parte volta a dimostrare la possibilità di fatturare ed includere negli stati di avanzamento lavori le spese c.d. strumentali, ma necessarie alla realizzazione successiva e conseguenziale degli interventi finanziabili), sui quali la difesa precisa avere fondato la richiesta di revoca ed articolato apposita censura nell'atto di appello. Posto che dalla lettura dell'ordinanza impugnata non si ricava se le questioni di merito dedotte dalla difesa si avvalgano di tale nouvm - richiamandosi a pag. 5 dell'ordinanza soltanto il tema generale, non privo di rilievo, sulla fatturabilità e possibilità di inclusione negli stati di avanzamento lavori di varie spese cd. pre-cantieristiche, ma strumentali e necessarie per realizzare gli interventi ammessi al cd. superbonus - era necessaria - affinché il Collegio potesse scrutinare compiutamente la doglianza - l'allegazione dell'istanza di revoca, del provvedimento impugnato e del relativo motivo di appello in relazione al quale si denuncia la violazione di legge per omessa motivazione.
3. Va, pertanto, rigettato il ricorso. Consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2023