L'uso dei social per offendere l'onore altrui configura diffamazione aggravata (Trib. Cassino n. 1917/2025)
- Avvocato Del Giudice
- 24 apr
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La diffusione capillare dei social media ha ridefinito le frontiere della comunicazione, rendendo indispensabile un bilanciamento tra la libertà di espressione e la tutela dell’onore e della reputazione individuale. In tale cornice si colloca la sentenza del Tribunale di Cassino, che ha condannato un’utente per diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3, c.p., per la pubblicazione reiterata di post lesivi sul gruppo Facebook "Pignataro Interamna Idee, Segnalazioni e Progetti".
Fatto
L'imputata, Ca.St., aveva pubblicato una serie di commenti su Facebook contenenti accuse gravi nei confronti di Na.Ag., imprenditore agricolo, definendolo tra l'altro "corrotto", "assassino autorizzato", e responsabile di "inquinamento" e "molestie". La persona offesa ha querelato la donna, lamentando anche le conseguenze reputazionali subite nel piccolo centro abitato.
Le frasi offensive, pur non menzionando sempre espressamente il nome, erano chiaramente riferibili alla persona offesa, come confermato dalle interazioni dirette tra le parti sulla piattaforma e dai contenuti specifici riferiti all'attività agricola gestita dalla famiglia di Na.Ag.
Decisione
Il Tribunale ha ritenuto provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell'imputata, che aveva ammesso la paternità dei post. La condotta è stata ritenuta idonea a ledere la reputazione della persona offesa, non essendo inquadrabile nel legittimo esercizio del diritto di critica, in quanto priva di una base fattuale accertata e caratterizzata da modalità espressive fortemente lesive.
La tesi difensiva della provocazione è stata respinta: il giudice ha chiarito che lo stato d'ira di cui all'art. 599 c.p. presuppone una reazione immediata a un fatto ingiusto altrui, mentre nella specie i comportamenti denunciati erano risalenti e privi di quei requisiti oggettivi che li rendano "ingiusti" secondo i canoni della convivenza civile.
Principio di diritto
La pubblicazione su un gruppo Facebook di messaggi offensivi, anche senza menzione espressa del nome della vittima, integra il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma 3, c.p., quando:
il destinatario è individuabile,
le espressioni sono potenzialmente lesive della reputazione,
manca una base fattuale idonea a scriminare la condotta.
Conclusione
La sentenza del Tribunale di Cassino n. 1917/2025 rappresenta un ulteriore punto fermo nell’elaborazione giurisprudenziale sul tema della responsabilità penale per diffamazione via social. Essa conferma che l’anonimato parziale e l’uso di mezzi di comunicazione virtuali non attenuano, ma anzi aggravano, la portata lesiva di certe condotte, imponendo a tutti i cittadini maggiore consapevolezza nella gestione della propria comunicazione online.