La diffamazione via social può concorrere con lo stalking (Cass. Pen. n. 43089/2024)
- Avvocato Del Giudice
- 23 apr
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Con la sentenza n. 43089/2024, la Quinta Sezione penale della Cassazione torna sul rapporto tra il delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e la diffamazione aggravata a mezzo social (art. 595, comma 3 c.p.), confermando l'autonomia delle due fattispecie anche quando i fatti si intersecano, e ribadendo l'importanza dell'accertamento dell'effetto destabilizzante delle condotte nella vittima.
Fatto
Va.Pi., imputata per i reati di atti persecutori e diffamazione aggravata e continuata in danno del proprio ex compagno Et.Se., veniva condannata in primo grado dal Tribunale di Roma alla pena di due anni e tre mesi di reclusione, poi ridotta in appello a un anno e nove mesi con sospensione condizionale. I fatti si riferivano a una serie di comportamenti molesti e offensivi, condotti anche tramite social network (tra cui Twitter), protrattisi fino al settembre 2019, pur a relazione ormai cessata.
In particolare, l'imputata avrebbe reiteratamente minacciato la vittima con frasi allusive alla divulgazione di segreti personali, utilizzato toni denigratori pubblici online, e manifestato un atteggiamento ossessivo anche attraverso canali informatici. La persona offesa, secondo la ricostruzione dei giudici, avrebbe modificato abitudini di vita e manifestato un chiaro stato d'ansia a causa di tali condotte.
Decisione
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’imputata, confermando l’impianto motivazionale della Corte d’Appello e rigettando tutte le censure, incentrate soprattutto sulla pretesa inattendibilità delle prove digitali e sull'asserita mancanza dell'evento tipico del reato di atti persecutori.
Secondo la Cassazione:
non è necessaria una sequenza prolungata nel tempo per configurare il reato di stalking;
bastano anche pochi atti reiterati se idonei a causare uno stato grave e perdurante di ansia o a mutare le abitudini di vita della vittima;
è corretta la valorizzazione del mezzo social come strumento dotato di autonoma efficacia offensiva ai fini dell'aggravante della diffamazione a mezzo pubblicità;
non vi è sovrapposizione tra i due reati poiché l'evento del 612-bis (effetto psicologico sulla vittima) è distinto dall’offesa alla reputazione di cui all’art. 595 c.p.
Principio di diritto
Il delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) può concorrere con quello di diffamazione (art. 595 c.p.), anche quando le condotte diffamatorie costituiscono parte del comportamento molesto reiterato, purché siano riscontrati gli specifici eventi offensivi propri di ciascuna fattispecie.
La pubblicazione su social network configura aggravante per uso di mezzo di pubblicità, anche in assenza di prova dell’effettiva lettura da parte di terzi, rilevando la potenzialità diffusiva del mezzo.