La massima
Il reato di frode informatica si differenzia da quello di danneggiamento di dati informatici, di cui agli artt. 635 bis e ss. cod. pen., perché, nel primo, il sistema informatico continua a funzionare, benché in modo alterato rispetto a quello programmato, mentre nel secondo l'elemento materiale è costituito dal mero danneggiamento del sistema informatico o telematico, e, quindi, da una condotta finalizzata ad impedire che il sistema funzioni (Cassazione penale , sez. II , 01/12/2016 , n. 54715).
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La sentenza integrale
Cassazione penale , sez. II , 01/12/2016 , n. 54715
RITENUTO IN FATTO
1. Nella sentenza impugnata, il fatto risulta descritto nei seguenti termini: " P.M.C. veniva condannato alla pena di anni due di reclusione ed Euro 200,00 di multa perchè ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 81 cpv., 640 ter e 648 c.p., per avere acquistato e posto in esercizio due macchinette slot-machines immatricolate come macchine da gioco ai sensi del comma 7 lett. c) dell'art. 110 T.U.L.P.S. per le quali, attraverso un telecomando o combinazione di tasti, era possibile modificare il funzionamento in macchine da gioco elettronico eroganti vincite in denaro, soggette alla diversa disciplina di cui all'art. 110, comma 6, T.U.L.P.S., in tal modo procurandosi l'ingiusto profitto derivante dall'incasso totalmente in nero di somme soggette a prelievo erariale unico che l'imputato ometteva di versare all'erario. Risulta dall'impugnata sentenza che, in data 17.11.20, personale della Squadra Mobile di Caltanissetta eseguiva una perquisizione all'interno del circolo privato "(OMISSIS)" il cui presidente era l'odierno imputato e, nel corso del controllo, gli operanti rinvenivano due slotmachines "a rullo", rientranti nella disciplina di cui all'art. 110, comma 7 T.U.L.P.S., tuttavia collegate, attraverso modem, alla rete degli apparecchi e dovendo ritenersi sottoposti alla diversa disciplina prevista datì art. 110, comma 6, T.U.L.P.S.. Le slot-machines soggette a controllo presentavano una doppia scheda inserita al loro interno. Entrambe le macchine, dopo la schermata di gioco lecito, su apposita sollecitazione manuale, presentavano le immagini di altro gioco (rispettivamente denominati "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)"). In entrambe le macchine vi erano monete (per complessivi importi di Euro 27,50 e 80,00). Veniva disposta una consulenza tecnica dal P.M. e il consulente accertava che i giochi sopra indicati dovevano ritenersi rientrare nelle previsioni di cui al comma 6 dell'art. 110, dal momento che il gioco non consentiva la distribuzione diretta di vincite in denaro ma soltanto la possibilità di rigiocare i punti vinti e in quanto l'importo delle vincite era superiore a cento Euro".
2. P.M.C. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza in epigrafe deducendo:
1.1. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 406,415 BIS E 416 c.p.p.: il ricorrente ha reiterato l'eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio in quanto, dopo la proroga delle indagini preliminari (notificatagli il 24/05/2012), gli era stato notificato il solo avviso di fissazione dell'udienza preliminare (in data 05/07/2012), senza che gli fosse mai stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini.
1.2. VIOLAZIONE DELL'ART. 640 TER c.p.: ad avviso del ricorrente il suddetto reato sarebbe insussistente perchè "non sussistendo alcun collegamento telematico, il sistema telematico che si pretende frodato, in realtà, non è mai esistito: donde l'insussistenza del reato di frode informatica.
1.3. VIOLAZIONE DELL'ART. 648 c.p.: sostiene il ricorrente che il reato presupposto era quello di cui all'art. 110, comma 6 TULPS, reato però già assorbito in quello di frode informatica. Peraltro, a tutto concedere, la presenza della seconda scheda di gioco, non connessa ai Monopoli di Stato, integra la contravvenzione di cui all'art. 718 c.p., e, quindi, non può fungere da reato presupposto.
1.4. VIOLAZIONE DELLE NORME SUL TRATTAMENTO SANZIONATORIO: il ricorrente Si duole: a) dell'eccessività della pena inflittagli; b) della mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4; c) della mancata concessione dell'attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all'art. 648 c.p., comma 2; d) della mancata concessione del beneficio di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 53; e) della mancata esclusione dell'aggravante del danno allo Stato e, quindi, della non procedibilità a querela; f) infine, il ricorrente ha chiesto l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 406,415 BIS E 416 c.p.p.: la censura è manifestamente infondata.
In punto di fatto, è pacifico che: a) in data 23/05/2012 veniva notificato all'imputato un avviso di conclusione delle indagini; b) in data 24/05/2012 veniva notificata la richiesta di proroga delle indagini con pedissequo provvedimento del giudice delle indagini preliminari; c) in data 05/07/2012 veniva notificato l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare con allegata copia della richiesta di rinvio a giudizio.
Il ricorrente, sulla base delle date di notifica sostiene che, dopo la richiesta di proroga delle indagini, notificatagli il 24/05/2012, avrebbe dovuto essergli notificato l'avviso di conclusione delle indagini.
La Corte territoriale ha respinto la suddetta eccezione in punto di fatto, osservando quanto segue: " La medesima eccezione risulta essere stata respinta dal G.U.P. all'udienza preliminare sulla base del rilievo che la richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari risulta essere stata depositata dal P.M. in data 6.4.2012 (risultando, invece, l'avviso di conclusione delle indagini depositato in data 18.5.2012), essendosi altresì considerato che "gli adempimenti relativi alla richiesta di proroga dei termini delle indagini non possono influire determinando una nullità dell'avviso di conclusione delle indagini". Tali considerazioni vengono condivise dalla Corte, dovendosi rilevare che - avuto riguardo ai rispettivi termini di deposito della richiesta di proroga delle indagini e dell'avviso di conclusione delle indagini - può ritenersi solamente che la notifica della richiesta di proroga delle indagini sia stata "inutilmente" effettuata un giorno dopo la notifica dello stesso avviso di conclusione delle indagini, senza che tale circostanza possa, tuttavia, influire sulla validità dei medesimi atti, non risultando peraltro determinata alcuna violazione del diritto di difesa. Invero, risultando emesso l'avviso di conclusione delle indagini in data 18.5.2012 - ovvero in epoca successiva alla stessa richiesta di proroga risalente invece al 6.4.2012 - doveva apparire evidente che l'avviso di conclusione costituiva un posterius rispetto alla richiesta di proroga, pur essendo stato tale atto notificato un giorno prima".
Alle suddetta ineccepibili considerazioni, nulla ritiene di aggiungere questa Corte, limitandosi solo a rilevare, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, che, nel caso di specie, non rileva "la data della notifica", ma, al contrario, la data in cui risultano depositati gli atti da parte dei competenti organi processuali: e, nel caso di specie, non vi è dubbio che la sequenza processuale (richiesta di proroga delle indagini; avviso di conclusione delle indagini; richiesta di rinvio a giudizio) è stata correttamente rispettata come lo stesso ricorrente ben avrebbe potuto rilevare solo prestando il minimo di attenzione alle date apposte sugli atti che gli erano stati notificati.
3. VIOLAZIONE DELL'ART. 640 TER c.p..
La censura è infondata.
In punto di diritto, questa Corte ha reiteratamente stabilito che il reato di frode informatica si differenzia dal reato di truffa perchè l'attività fraudolenta dell'agente investe non la persona (soggetto passivo), di cui difetta l'induzione in errore, bensì il sistema informatico di pertinenza della medesima, attraverso la manipolazione di detto sistema: ex plurimis Cass. 44720/2009 Rv. 245696 - Cass. 3065/1999 riv 214942. Anche nel reato di frode informatica, quindi, l'ingiusto profitto costituisce elemento costitutivo reato di cui all'art. 640 ter c.p., prevede, poi, due distinte condotte.
La prima, consiste nell'alterazione, in qualsiasi modo, del "funzionamento di un sistema informatico o telematico": in tale fattispecie vanno fatte rientrare tutte le ipotesi in cui viene alterato, in qualsiasi modo, il regolare svolgimento di un sistema informatico o telematico.
Per sistema informatico o telematico deve intendersi "un complesso di apparecchiature destinate a compiere una qualsiasi funzione utile all'uomo, attraverso l'utilizzazione (anche parziale) di tecnologie informatiche, che sono caratterizzate - per mezzo di un'attività di "codificazione" e "decodificazione" dalla "registrazione" o "memorizzazione", per mezzo di impulsi elettronici, su supporti adeguati, di "dati", cioè di rappresentazioni elementari di un fatto, effettuata attraverso simboli (bit), in combinazione diverse, e dalla elaborazione automatica di tali dati, in modo da generare "informazioni", costituite da un insieme più o meno vasto di dati organizzati secondo una logica che consenta loro di esprimere un particolare significato per l'utente": Cass. 3067/1999 riv 214945.
Per alterazione deve intendersi ogni attività o omissione che, attraverso la manipolazione dei dati informatici, incida sul regolare svolgimento del processo di elaborazione e/o trasmissione dei suddetti dati e, quindi, sia sull'hardware che sul software.
In altri termini, il sistema continua a funzionare ma, appunto, in modo alterato rispetto a quello programmato: il che consente di differenziare la frode informatica dai delitti di danneggiamento informatico (artt. 635 bis - ter - quater - quinquies c.p.) non solo perchè in quest'ultimi è assente ogni riferimento all'ingiusto profitto ma anche perchè l'elemento materiale dei suddetti reati è costituito dal mero danneggiamento dei sistemi informatici o telematici e, quindi, da una condotta finalizzata ad impedire che il sistema funzioni o perchè il medesimo è reso inservibile (attraverso la distruzione o danneggiamento) o perchè se ne ostacola gravemente il funzionamento (cfr. sul punto, in particolare, l'art. 635 quater c.p.).
La seconda condotta prevista dall'art. 640 ter c.p., è costituita dall'intervento "senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico (...)": si tratta di un reato a forma libera che, finalizzato pur sempre all'ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, si concretizza in una illecita condotta intrusiva ma non alterativa del sistema informatico o telematico.
Ora, applicando i suddetti principi al caso di specie, deve ritenersi che, correttamente è stato ritenuta la configurabilità del reato di cui all'art. 640 ter c.p., in quanto la condotta contestata è sussumibile nella prima ipotesi (quella dell'alterazione), "poichè la scheda originariamente contenuta nell'apparecchio così modificato era la sede del software del sistema informatico complessivo costituente l'impianto di gioco (al quale non era essenziale una componente telematica, non prevista come obbligatoria dal citato art. 110, comma 7, cit. T.U.L.P.S.), è innegabile che la sostituzione di essa abbia comportato l'attivazione di un diverso programma e, per tal via, quella "alterazione del funzionamento di un sistema informatico" che la norma penale è finalizzata a reprimere. Non rileva, cioè, il fatto che il software contenuto nella scheda originaria sia rimasto inalterato e possa operare regolarmente una volta riattivato: ciò che risulta alterato, nel caso in esame, è il funzionamento del sistema informatico nel suo complesso, in dipendenza della sostituzione del software con altro diversamente operante: a ciò non essendo di ostacolo la reversibilità della modifica. Nè si richiede necessariamente, ai fini della configurabilità della frode, che vi sia un intervento sui dati, poichè tale ipotesi è prevista dall'alt. 640 ter c.p. in via alternativa all'alterazione del sistema informatico (come è espresso dall'uso della congiunzione disgiuntiva "o"); ciò che rileva è invece l'acquisizione di un ingiusto profitto con altrui danno, che nel caso di cui ci si occupa è ravvisato nell'esercizio del gioco d'azzardo senza assoggettarlo al controllo telematico e alla conseguente tassazione proporzionale": in terminis Cass. 27135/2010 Rv. 248306 (in motivazione).Pertanto, va ribadito il seguente principio al quale la Corte territoriale si è correttamente adeguata: "integra il reato di frode informatica, previsto dall'art. 640 ter c.p., l'introduzione, in apparecchi elettronici per il gioco di intrattenimento senza vincite, di una seconda scheda, attivabile a distanza, che li abilita all'esercizio del gioco d'azzardo (cosiddette "slot machine"), trattandosi della attivazione di un diverso programma con alterazione del funzionamento di un sistema informatico".
4. VIOLAZIONE DELL'ART. 648 c.p..
La censura è infondata per le ragioni di seguito indicate.
In punto di diritto, è appena il caso di rammentare che, per rispondere del reato di ricettazione, occorrono - sotto il profilo dell'elemento materiale - due requisiti: a) non avere concorso nel reato presupposto; b) avere acquistato ricevuto od occultato "cose provenienti da un qualsiasi delitto" al fine di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto.
In punto di fatto, secondo la conforme (e non contestata) ricostruzione effettuata da entrambi i giudici di merito, risulta accertato che l'imputato: a) acquistò le due macchine slot-machine già alterate; b) una volta installate nella sala gioco, egli, attraverso un telecomando o combinazione di tasti, di volta in volta, modificava il funzionamento in macchine da gioco elettronico eroganti vincite in denaro, ossia le trasformava da macchine abilitate a giochi di abilità (art. 110/7 TULPS) in macchine abilitate al gioco d'azzardo (art. 110/6 TULPS) "in tal modo procurandosi l'ingiusto profitto derivante dall'incasso totalmente in nero di somme soggette a prelievo erariale unico che il P. ometteva di versare all'Erario" (cfr pag. 2 sentenza di primo grado).Il ricorrente, in questa sede (pag. 6 ricorso), ha sostenuto che il reato di ricettazione non sarebbe configurabile: a) "in quanto lo stesso fatto giuridico - (ossia) la presenza della seconda scheda ex art. 110 comma 6, TULPS - deve ritenersi già assorbito dal reato di frode informatica ex art. 640 ter c.p., di cui costituisce necessario elemento materiale, in quanto la seconda scheda integra l'elemento oggettivo del reato p. e p. dall'art. 640 ter c.p., la presenza della "seconda scheda" di gioco all'interno della macchinetta slot-machine non dimostra che la stessa sia di provenienza delittuosa (...)"; b) perchè "non viene specificato nè è rilevabile dagli atti, quale sia il reato presupposto da cui discenda il reato di che trattasi".
Entrambe le censure sono infondate.
Invero, sia dal capo d'imputazione sia da entrambe le sentenze di merito, si evince che il reato presupposto è stato ritenuto quello di cui all'art. 640 ter c.p., e cioè per avere l'imputato "acquistato e posto in esercizio" due macchinette "alterate".E' chiaro, infatti, che del suddetto reato si è reso colpevole, a monte, innanzitutto, chi aveva provveduto materialmente all'inserimento della scheda che consentiva di passare da un gioco di mera abilità a quello d'azzardo. La nozione di "alterazione" di cui all'art. 640 ter c.p., come si è detto, è amplissima in quanto la condotta prevista e punita dal suddetto reato può essere realizzata "in qualsiasi modo". D'altra parte, neppure lo stesso ricorrente ha mai prospettato di essere stato lui a manomettere materialmente il meccanismo delle macchinette e, quindi, poichè non può essere ritenuto partecipe del reato presupposto, correttamente è stato ritenuto colpevole del reato di ricettazione di un bene il cui sistema telematico risultava essere stato alterato.
Fuorviante, quindi, è l'osservazione secondo la quale non sarebbe configurabile il reato di ricettazione perchè la seconda scheda non aveva provenienza delittuosa, e, comunque, al più, integrerebbe un mero illecito amministrativo. Lo si ripete: il reato presupposto va ritenuto l'art. 640 ter c.p., e non "la presenza della seconda scheda all'interno della macchinetta".
Il reato di ricettazione, poi, nella fattispecie in esame, concorre anche con quello di frode informatica, sia perchè diverso è il bene giuridico, sia perchè diversa è la condotta.Infatti, una volta che l'imputato ricettò il bene provento del reato di cui all'art. 640 ter c.p., egli, nel momento in cui - attraverso un telecomando o combinazione di tasti - modificava il funzionamento delle macchinette trasformandole da macchine abilitate a giochi di abilità (art. 110, comma 7 TULPS) in macchine abilitate al gioco d'azzardo (art. 110, comma 6 TULPS), teneva una condotta sussumibile nell'ambito dell'art. 640 ter c.p., proprio perchè anche quell'azione rientra nell'ampia nozione di alterazione in qualsiasi modo di un sistema telematico.
La censura, quindi, va respinta alla stregua del seguente principio di diritto: "Risponde del reato di ricettazione chi acquisti una macchina da gioco elettronico il cui sistema telematico sia stato alterato ex art. 640 ter c.p., senza aver concorso nel suddetto reato. Ove, il suddetto soggetto, successivamente, utilizzi quella macchina, risponde anche del reato di frode informatica posto che la condotta di alterazione del sistema telematico si realizza ogni volta che si attivi il meccanismo fraudolento da altri installato consentendo, quindi, all'agente di procurare a sè un ingiusto profitto con altrui danno".
5. VIOLAZIONE DELLE NORME SUL TRATTAMENTO SANZIONATORIO.
5.1.: Eccessività della pena: la Corte ha ritenuto congrua la pena inflitta per i due reati (anni due) "tenuto conto delle potenzialità lesive della condotta". Si tratta di un giudizio adeguato alla gravità dei fatti e, quindi, incensurabile tanto più che già il primo giudice aveva ritenuto di concedere le attenuanti generiche per adeguare la pena al fatto ed in considerazione dello stato d'incensuratezza;
5.2.: Mancata concessione delle attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 4 - art. 648 c.p., comma 2: corretta e, quindi, incensurabile deve ritenersi la motivazione con la quale la Corte territoriale ha negato entrambe le attenuanti, rilevando, da una parte, che il danno non poteva essere ritenuto di speciale tenuità nè il fatto di particolare tenuità proprio in considerazione "delle illecite e sostanzialmente illimitate potenzialità di gioco correlate alla manomissione del sistema informatico";
5.3.: Mancata esclusione dell'aggravante del danno allo Stato relativamente al reato di cui all'art. 640 ter c.p., e, quindi, mancata declaratoria di non procedibilità per mancanza di querela: la censura è manifestamente infondata, laddove si consideri che, come si evince dalla semplice lettura del capo d'imputazione sub a), l'aggravante di cui all'art. 640 c.p., comma 2, n. 1, risulta contestata in fatto nella parte in cui è scritto "(...) essendosi procurato l'ingiusto profitto derivante dall'incasso totalmente in nero di somme soggette a prelievo erariale unico che ometteva di versare all'Erario".
5.4.: Il ricorrente ha chiesto l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., che, però, va respinta sotto un duplice profilo: a) perchè la continuazione fra reati (nella specie fra i reati di ricettazione e frode informatica) esclude l'applicabilità della suddetta causa di non punibilità (ex plurimis Cass. 23020/2016); b) perchè, comunque, il fatto è stato ritenuto grave da entrambi i giudici di merito.
5.5.: Mancata concessione del beneficio di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 53.
L'imputato è stato condannato alla pena di anni due ed Euro 200,00 di multa.Nonostante una precisa domanda diretta ad ottenere la sostituzione della suddetta pena, la Corte territoriale l'ha respinta adducendo la seguente testuale motivazione: "non sussistono i presupposti per concedere il beneficio richiesto della semidetenzione in ragione dell'entità della pena inflitta".
La censura è fondata.
Non è, infatti, chiaro il motivo per cui la Corte ha respinto la suddetta richiesta e cioè se per un motivo di stretta legalità (pena superiore al limite legislativo) oppure perchè ha ritenuto l'imputato non meritevole L. n. 689 del 1981, ex art. 58.
In entrambi i casi, la sentenza, sul punto, va annullata.
Se il giudice ha respinto la richiesta ex art. 58 legge cit., la motivazione deve ritenersi apparente e, quindi, omessa non potendosi evincere quale sia stato il percorso motivazionale seguito.
Se, invece, l'ha respinta perchè ha ritenuto che la pena complessivamente inflitta (anni due ed Euro 200,00 di multa) fosse superiore al limite massimo previsto dall'art. 53, comma 1, Legge cit. (anni due di pena detentiva), la decisione deve ritenersi errata per le ragioni di seguito indicate.
5.5.1. Il ragionamento della Corte sarebbe corretto se la pena pecuniaria si dovesse conteggiare ai fini della pena complessa e, quindi, dovesse essere ragguagliata ex art. 135 c.p.: in tale ipotesi, in effetti, seppure per un solo giorno, la sostituzione non sarebbe consentita.
Va premesso, al fine di una più corretta comprensione della problematica, che la pena finale di anni due di reclusione ed Euro 200,00 di multa è il risultato dei due reati ritenuti in continuazione e della diminuzione di un terzo per il rito abbreviato, secondo il seguente calcolo: P.b. = anni tre ed Euro 300,00 di multa (art. 640 ter c.p.) - art. 62 bis c.p. = anni due ed Euro 200,00 di multa + art. 81 (art. 648 c.p.) = anni tre di reclusione ed Euro 300,00 di multa - 1/3 per il rito abbreviato = anni due di reclusione ed Euro 200,00 di multa.
Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "quando si procede nelle forme del rito abbreviato (o del patteggiamento), il giudizio sulla concedibilità della pena sostitutiva alla pena detentiva breve di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 53, deve essere fatto, nel caso di più reati uniti dal vincolo della continuazione, con riferimento alla quantificazione della sanzione risultante all'esito della diminuzione di un terzo di quella da irrogare in concreto e perciò dopo l'aumento determinato dalla continuazione, in deroga al principio stabilito dall'art. 53 cit., u.c., che prevede come riferimento la pena per il reato più grave prima dell'aumento per la continuazione": Cass. 45450/2014.
Quindi, la questione del se e in che termini la suddetta pena possa essere o meno sostituita, dev'essere rapportata alla sola pena finale di anni due di reclusione ed Euro 200,00 di multa, senza che, nella questione, possa entrare in gioco la normativa di cui all'art. 53, comma 4, Legge cit. che detta regole speciali per l'ipotesi in cui la pena finale sia il risultato di uno o più reati posti in continuazione.
5.5.2. Tanto premesso, e ritornando ora alla questione se la pena pecuniaria debba essere o meno considerata ai fini della sostituzione, va osservato che la suddetta problematica impegnò molto la giurisprudenza nel vigore dell'art. 77, Legge cit. che prevedeva una sorta di patteggiamento ante litteram, rinviando, per la determinazione e l'applicazione della sanzione sostitutiva, alle "disposizioni della sezione I di questo capo", ossia all'art. 53 e ss. Le soluzioni prospettate furono le più disparate, ma, sul punto, vanno segnalate, in particolare, due sentenze della Corte Cost. (n. 148/1984; n. 350/1985).Con la sentenza n. 148/1984, la Corte Cost. - pur dichiarando inammissibile per difetto di rilevanza le varie questioni sollevate in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 77 - affrontò il problema della sostituibilità della (sola) pena pecuniaria, tanto nell'ipotesi in cui questa fosse comminata dalla norma penale alternativamente a quella detentiva, ma il giudice avesse deciso di applicare la pena pecuniaria, quanto per i casi in cui questa fosse prevista da sola.
Con la suddetta sentenza, la Corte Cost. prese decisa posizione in favore della tesi secondo la quale le pene pecuniarie non erano soggette ad alcun ragguaglio per un duplice motivo: a) perchè, come pure era stato precisato da una parte della giurisprudenza di legittimità, la sostituzione non può essere applicata alla sanzione pecuniaria, in quanto multa e ammenda non sono per sè soggette a sostituzione; b) perchè "lo scopo della norma e la sua stessa ratio indicano chiaramente che il legislatore, lungi dal sottintendere la pena pecuniaria nella procedura per le sanzioni sostitutive (tanto d'ufficio quanto a richiesta dell'imputato), ha inteso invece manifestamente di escluderla. Suo scopo, infatti, è stato quello di apprestare misure alternative alle pene detentive brevi, ritenute portatrici, sul piano criminogeno, su quello rieducativo e su quello stesso dell'organizzazione penitenziaria, di quei mali di cui diffusamente si legge nei lavori preparatori: mali che peraltro non trovano compenso nemmeno sul piano della prevenzione generale, attesa la scarsa intimidazione inerente alla brevità dell'afflizione minacciata. Al contrario, non ha ritenuto il legislatore che la pena pecuniaria meritasse la stessa sfiducia in relazione al recupero sociale del reo, nè, che rappresentasse cagione di rilevante aggravio al carico processuale degli uffici giudiziari: il tutto nel quadro di una attuale generale tendenza di politica criminale ad un più ampio ricorso preferenziale (e non soltanto in Italia) alla pena pecuniaria piuttosto che a quella detentiva, nei confronti di una certa fascia di criminalità. Del resto, il problema nemmeno riguarderebbe la pena dell'ammenda per la quale esiste un'autentica causa di estinzione (l'oblazione: art. 162 c.p.), rimessa esclusivamente alla volontà dell'imputato, e ben più incisiva di quanto non sia quella prevista dall'art. 77 della legge. La multa, d'altra parte, non ha effetto afflittivo diverso da una sanzione amministrativa, non impone il dibattimento giacchè può essere irrogata per decreto, e non impedisce successive concessioni della sospensione condizionale della pena. In presenza di tali caratteri positivi, il legislatore deve avere altresì considerato che la sostituzione di una pena pecuniaria avrebbe potuto risultare addirittura pregiudizievole a causa della definitiva preclusione della possibilità di ottenere, successivamente, la sostituzione di eventuale pena detentiva breve (art. 80). Pregiudizio quest'ultimo assolutamente non compensato da una atipica formula di estinzione di un reato punito con la multa, che la stessa Cassazione ha valutato, in numerose decisioni, in termini di sostanziale condanna ad effetti limitati. In tali condizioni, l'interpretazione estensiva della norma di cui all'art. 77, della legge in guisa da ricomprendervi anche la sostituzione della pena pecuniaria (multa), si sostanzierebbe in un'aperta violazione della norma e della sua ratio".
Traendo spunto dalla suddetta sentenza, questa Corte di legittimità, affermò, quindi, il principio secondo il quale "la speciale procedura prevista dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, ("modifiche al sistema penale") può essere adottata nell'ipotesi di reato punito con pena pecuniaria congiunta a quella detentiva. In tal caso la pena pecuniaria, pur restando estranea alla determinazione del limite di cui all'art. 53 legge citata, si affianca a quella detentiva e non è affatto incompatibile alla declaratoria di estinzione del reato": Cass. 1639/1985 riv 167949.
Successivamente, la Corte Cost. si pronunciò con la sentenza n. 350/1985 proprio sulla questione di legittimità costituzionale della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 77, (anche in riferimento all'art. 53 della stessa legge), in quanto non consentiva l'applicabilità delle sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato quando per il reato fosse prevista una pena detentiva congiunta a quella pecuniaria.Ancora una volta la Corte Cost. dichiarò inammissibili tutte le sollevate questioni ma solo perchè ritenne che, sul punto, si era consolidata un'interpretazione secondo la quale, trattandosi di pena complessa, l'insostituibilità di una delle sue componenti avrebbe reso impossibile l'intera operazione. Di conseguenza, poichè si trattava di "diritto vivente" che escludeva la possibilità di dare soluzione al problema sul piano interpretativo, la Corte non ritenne di addivenire ad un intervento additivo.
Nella motivazione della sentenza, la Corte Cost., fra l'altro, osservava che "la Corte di cassazione, però, non è favorevole nemmeno al proposto ragguaglio (sia pure ai soli fini della sostituzione) della pena pecuniaria a quella detentiva sulla base dell'art. 135 c.p., da cui procedere poi alla sostituzione dell'unica pena detentiva così ottenuta. Ritiene, infatti, la Corte di cassazione che quel ragguaglio sia operabile esclusivamente rispetto agli effetti previsti dal legislatore: si tratterebbe, cioè, di una fictio iuris cui l'interprete non può fare ricorso senza un riferimento normativo che la giustifichi".
Il pensiero della Corte Cost, però, sulla questione (ossia sulla evidente disarmonia che si era creata nel sistema) traspariva in modo chiaro dalla stessa motivazione della sentenza che si concludeva dichiarando la soluzione scelta "sicuramente inappagante per i quesiti che la giustizia propone con giustificata preoccupazione. Proprio per questo, però la Corte non può esimersi dal richiamare l'attenzione del legislatore sull'ormai indifferibile esigenza di dare alla materia in esame una più adeguata normativa".
5.5.3. La questione, poi, si decantò con l'abrogazione del cit. art. 77 per effetto dell'art. 234 disp. att. c.p.p., e con la contestuale introduzione dell'istituto dell'applicazione della pena quando questa non superi, ex art. 445 c.p.p., comma 1, "due anni (o, cinque anni, ex art. 444 c.p.p., comma 1) soli o congiunti a pena pecuniaria".In ordine all'interpretazione della suddetta locuzione, questa Corte ha ritenuto che "l'espressione "due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria" che si legge nell'art. 444 c.p.p., sta a significare che la pena di due anni è quella massima irrogabile sia quando la pena detentiva è sola sia quando deve infliggersi anche la pena pecuniaria la quale si aggiunge ai due anni di pena detentiva. Non si deve, pertanto, procedere a ragguagli per tenere conto, ai fini dei due anni, della pena pecuniaria ragguagliata": Cass. 4310/1996 rv. 204129.
Interpretazione, questa, condivisa anche dalla dottrina secondo la quale la suddetta normativa non prevede alcun limite massimo relativamente alla pena pecuniaria sia quando questa è sola, sia quando è prevista in aggiunta a quella detentiva.
Questo meccanismo di "separazione" della pena pecuniaria da quella detentiva, con conseguente sterilizzazione del ragguaglio, ha trovato un'ulteriore conferma con l'istituto della particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis c.p., il quale prevede, come limite massimo entro il quale la punibilità può essere esclusa, "la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena": anche in tale ipotesi, è pacifico che la pena pecuniaria - ove sia congiunta a quella detentiva di qualsiasi entità essa sia, non concorre a formare la misura della pena detentiva prevista per poter usufruire del beneficio.
La ratio legis, è, quindi, chiara: in presenza di istituti deflattivi, la pena pecuniaria - ove prevista congiuntamente a quella detentiva - non può incidere, tramite il meccanismo del conguaglio, sul limite massimo della pena detentiva previsto dalla legge per potere accedere ai suddetti istituti.
L'evoluzione della normativa, consente, quindi, di poter ritenere superato quel "diritto vivente" frutto di quella giurisprudenza secondo la quale, nelle ipotesi di reati che prevedono una pena complessa (pena detentiva congiunta a pena pecuniaria), l'insostituibilità di una delle sue componenti renderebbe impossibile l'intera operazione di sostituzione della pena.
Infatti, la suddetta conclusione dev'essere disattesa sia sotto il profilo letterale (la legge parla solo di sostituzione di "pena detentiva" e non pone alcun divieto alla sostituzione in caso di pene congiunte), sia sotto quello teleologico (come ha chiarito la Corte Cost., soprattutto, con la sentenza 148/1984 i cui argomenti, benchè relativi alla problematica delle sole pene pecuniarie, ben possono, mutatis mutandis, essere trasposti al diverso ma pur sempre contiguo caso delle pene congiunte), sia perchè, alla fin fine, si finirebbe per precludere l'accesso ad importanti e fondamentali istituti deflattivi per ragioni di sola coerenza dogmatica (ma non applicativi) creando una disarmonia sistemica (si leggano, sul punto, le considerazioni della stessa Corte Cost. contenute nella sentenza n. 350/1985 cit.) proprio nell'ambito dell'esecuzione della pena ossia in un campo in cui la volontà legislativa è tutta tesa verso un sistema penale alternativo a quello carcerario (si pensi, solo per restare nell'ambito della legge n. 689/1981, all'aumento del limite della pena entro cui effettuare la sostituzione ex art. 53, disposto con la L. n. 134 del 2003, art. 4, comma 1, lett. a).
Pertanto - in tema di sanzioni sostitutive - va escluso che, in caso di pene congiunte, si possa applicare il meccanismo del ragguaglio per un duplice motivo:
perchè si finirebbe, in modo surrettizio, di sostituire la pena pecuniaria con quella detentiva laddove l'art. 53, comma 2, riserva la sostituzione alla sola pena detentiva;
perchè, il ragguaglio, senza un riferimento normativo che lo giustifichi, non può essere applicato, come, al contrario, è previsto in particolari casi (artt. 163 e 175 c.p.).
Alla stregua degli argomenti illustrati, deve, quindi, concludersi che il limite previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 53, comma 1, vale per la sola pena detentiva.
Nelle ipotesi in cui, la pena edittale preveda la pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, di questa non se ne deve tener conto in quanto - una volta effettuata la sostituzione della sola pena detentiva - continuerà ad affiancarsi a questa, come, peraltro, si può desumere dall'art. 57, comma 1 legge cit., che, quanto all'effetto conseguente alla sostituzione, stabilisce che "per ogni effetto giuridico la semidetenzione e la libertà controllata si considerano come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita".
Infatti, per effetto della suddetta sostituzione non consegue una mutazione giuridicamente rilevante della pena in quanto - sebbene la pena detentiva sostituita sia qualitativamente diversa - la pena finale continua a rimanere una pena "complessa" (essendo costituita in parte da una pena, pur sempre di natura detentiva, e, dall'altra, da una pena pecuniaria) come prima della sostituzione.
La Corte territoriale, pertanto, si adeguerà al seguente principio di diritto: "in tema di sostituzione di pene detentive brevi, L. n. 689 del 1981, ex art. 53, ove il l'imputato sia stato condannato ad una pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, il giudice, fermo il potere discrezionale di cui all'art. 58 legge cit., deve sostituire la sola pena detentiva. In tal caso, la pena pecuniaria, essendo rimasta estranea alla determinazione del limite di cui all'art. 53 legge cit., continua ad affiancarsi alla sanzione sostitutiva in concreto applicata".
P.Q.M.
ANNULLA la sentenza impugnata limitatamente alla omessa motivazione sulla richiesta di sanzione sostitutiva con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanissetta per il giudizio sul punto RIGETTA il ricorso nel resto DICHIARA irrevocabile l'affermazione di responsabilità.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2016