top of page

Il mero stato di agitazione non basta per configurare l'attenuante della provocazione.

Con la sentenza in argomento, la Suprema Corte ha affermato che l'attenuante della provocazione (art. 62, n. 2, c.p.) richiede il verificarsi delle seguenti condizioni: "a) lo "stato d'ira", costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il "fatto ingiusto altrui"; b) il "fatto ingiusto altrui", che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta.

Cassazione penale sez. VI, 22/09/2022, (ud. 22/09/2022, dep. 05/10/2022), n.37699

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'Appello di Bologna confermava la condanna di D.F. per evasione (art. 386 c.p.) dal domicilio della sorella presso il quale era ristretto in applicazione della misura degli arresti domiciliari.


2. Avverso tale sentenza presenta ricorso l'imputato che, per il tramite del suo difensore, articola un unico motivo di ricorso, in cui lamenta la mancata applicazione della circostanza attenuante dell'art. 62 c.p., n. 2. In particolare, l'allontanamento sarebbe stato determinato da uno stato d'ira indotto dal fatto ingiusto di essere trattato come se non fosse in casa propria e fosse invece un peso per la famiglia della sorella.


Con il medesimo motivo deduce altresì vizio della motivazione sotto il profilo del travisamento della prova, avendo il giudice fondato la sua decisione sul dato meramente congetturale - che "l'attualità e il disaccordo fra l'imputato e la sorella non ha affatto assunto la connotazione di una situazione psicologica innescata da un impulso emotivo irrefrenabile da cui sia derivata la perdita di autocontrollo e un forte turbamento caratterizzato da aggressività", dato ritenuto in contrasto con il contenuto degli atti processuali.


La Corte si sarebbe inoltre astenuta dal considerare ogni elemento di riscontro alla configurabilità della circostanza. Ha infatti argomentato che l'imputato non si è più reso reperibile né ha contattato le forze dell'ordine, omettendo di considerare che quella era la prima ed unica evasione di D., il quale è stato arrestato nell'immediatezza dell'evasione, senza, dunque, aver avuto il tempo di costituirsi e/o di fornire una motivazione alla propria condotta.


3. L'imputato presenta altresì motivi nuovi di ricorso in Cassazione nei quali invoca l'applicazione dell'art. 131-bis c.p., alla luce della situazione di disagio, dovuta ai motivi di conflittualità, che avrebbe indotto l'imputato alla fuga, precisando come la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sia rilevabile d'ufficio anche in Cassazione (Sez. U,, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj Rv. 266589; Sez. 2, n. 49446 del 03/10/2018, Zingari, Rv. 274476; Sez.1, n. 27752 del 09/05/2017, Rv. 270271).


Nelle conclusioni, insiste per l'accoglimento dei motivi principali e di quelli aggiunti.


4. Il procedimento è stato trattato in forma cartolare, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e del D.L. n. 228 del 30 dicembre 2021, art. 16, comma 1, convertito dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile e va dunque respinto.


2. La sentenza impugnata ha escluso la configurabilità dell'attenuante della provocazione (art. 62, n. 2, c.p.) sulla base della giurisprudenza di legittimità che, nello specificare i requisiti della suddetta circostanza, richiede il verificarsi delle seguenti condizioni: "a) lo "stato d'ira", costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il "fatto ingiusto altrui"; b) il "fatto ingiusto altrui", che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta (Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454, cui è possibile aggiungere quantomeno Sez. 5, n. 12558 del 13/02/2004, Fazio, Rv. 228020; Sez. 1, n. 21409 del 27/03/2019, Leccisi, Rv. 275894).


Nella specie, ha quindi negato fosse configurabile sia il requisito dell'impulso emotivo irrefrenabile, ritenendo la condizione psicologica di D. riconducibile ad uno stato di agitazione e, al più, di risentimento, sia la sussistenza di un nesso causale tra l'offesa e la reazione.


A fronte di tale valutazione di merito, non manifestamente illogica e nemmeno incompleta, il ricorrente non allega elementi suscettibili di decostruire il percorso argomentativo del giudice di secondo grado, limitandosi a prospettare, in modo generico, una lettura alternativa della vicenda fattuale che, come tale, non può essere vagliata e/o recepita in sede di legittimità.


Nemmeno rileva la considerazione che il D. non avrebbe avuto il tempo di presentarsi presso gli uffici della Questura, una volta elaborata la reazione di ira. Anche in questo caso, infatti, l'imputato non adduce elementi a sostegno di tale versione, che contrasta con quanto affermato nella sentenza di secondo grado (nonché in quella primo grado che, trattandosi di c.d. "doppia conforme", si salda con la prima a formare un corpo unico: tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) secondo cui, dopo l'evasione, l'imputato non ha contattato le forze dell'ordine, come, invece, avrebbe potuto fare.


Il motivo è dunque generico.


3. Il dato della irreperibilità di D. dopo l'evasione impedisce inoltre di accogliere il motivo aggiunto di ricorso e di ritenere applicabile l'art. 131-bis, c.p., sulla non punibilità per particolare tenuità del fatto, non potendo il danno cagionato essere ritenuto esiguo (vd., a contrario, Sez. 6, n. 21514 del 02/07/2020, Molino, Rv. 279311, relativa ad un'episodica violazione del permesso di uscita per lo svolgimento di attività lavorativa, in un caso in cui l'imputato si era recato in una sede operativa diversa da quella presso la quale era stato autorizzato a lavorare ed era rientrato a casa con due ore di ritardo).


Il motivo è dunque manifestamente infondato.


4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 c.p.p..


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, il 22 settembre 2022.


Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2022

bottom of page