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La registrazione di una conversazione tra presenti è utilizzabile nel processo penale?



Sì, lo ha affermato la Seconda sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 40148/22.

Ed invero, la registrazione di una conversazione tra presenti, eseguita d'iniziativa da uno dei partecipi al colloquio, costituisce prova documentale, utilizzabile come tale in dibattimento, e non intercettazione ambientale soggetta alla disciplina degli artt. 266 e ss. c.p.p. , anche quando sia effettuata su impulso della polizia giudiziaria e/o con strumenti forniti da quest'ultima, con la specifica finalità di precostituire una prova da far valere in giudizio.


Cassazione penale , sez. II , 06/07/2022 , n. 40148

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Napoli confermava l'affermazione di responsabilità di A.O. in ordine al contestato delitto di estorsione, aggravata dal ricorso al metodo mafioso, nonché quella degli imputati D.M.M. e D.V.A. in relazione al reato di riciclaggio, previa esclusione dell'aggravate dell'agevolazione mafiosa; l' A., debitrice nei confronti di un architetto ( C.G.), che aveva reso prestazioni professionali nell'interesse dell'imprenditrice, attraverso l'intervento di un politico da lei conosciuto ( T.L.) e di un esponente della criminalità organizzata locale, incaricato dal politico, aveva costretto il creditore ad accettare una consistente riduzione della pretesa per gli onorari spettanti, come era risultato da una transazione intervenuta tra le parti, immediatamente dopo l'omicidio del politico; il D.V. e il D.M. si erano prestati a ostacolare l'individuazione del pagamento del compenso illecito, per l'attività posta in essere dall'esecutore materiale dell'estorsione, pagamento che avveniva facendo apparire il versamento di quella somma come controprestazione rispetto all'apparente fornitura di beni in favore di una società riconducibile all' A..


2. Ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Napoli deducendo, con il primo motivo, la violazione della legge penale per l'errato giudizio di equivalenza delle riconosciute attenuanti generiche con la circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.


2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione, conseguente al travisamento della prova, per l'affermata insussistenza della circostanza aggravante di cui al L. n. 203 del 1991, art. 7 in riferimento al reato di riciclaggio contestato al capo B); osserva il P.G. ricorrente che la Corte d'appello ha omesso di valutare elementi di prova desumibili dal dialogo registrato il 3 giugno 2019, dagli interrogatori resi degli imputati e da talune dichiarazioni testimoniali, da cui emergevano elementi dirimenti per affermare la finalità di agevolazione del sodalizio mafioso, realizzata mediante la condotta di riciclaggio, contestata agli imputati.


3. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputata A., a mezzo dell'avvocato Stravino, deducendo con il primo motivo di ricorso, l'assenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, conseguente al travisamento del fatto e delle risultanze processuali, con specifico riguardo alle condotte attribuite erroneamente all'autore materiale della condotta estorsiva; dagli atti processuali non si apprezzavano sollecitazioni o pressioni messe in atto dal M. per costringere la persona offesa a concludere la transazione, considerato altresì che sin dal mese di dicembre 2008 non erano più intervenuti incontri tra le parti con tali finalità, mentre l'iniziativa della transazione era stata assunta autonomamente dalla persona offesa nel febbraio 2009; allo stesso modo, era stata travisata la portata della vicenda dell'incontro avvenuto prima delle feste natalizie del 2008 presso le terme tra la presunta vittima ed il M., poiché si trattava di incontro sollecitato dalla persona offesa e non anche dal M.; anche l'iniziativa assunta dalla persona offesa, che si era rivolta al Belviso - soggetto pregiudicato e inserito in contesti criminali organizzati - dopo l'incontro avuto con il M., non assumeva alcun significato sintomatico poiché nel citato incontro il M. aveva tenuto un atteggiamento del tutto corretto; in definitiva, non era dimostrato alcun legame tra le condotte tenute dal M. e la decisione autonomamente assunta dalla persona offesa di transigere la controversia. Anche il dato della reazione violenta del M. nel corso dell'incontro avvenuto presso le terme trovava logica giustificazione nell'iniziativa assunta dalla persona offesa che aveva richiesto l'intervento di un soggetto noto nel contesto delinquenziale, qual era il Belviso, per essere sostenuto nelle proprie posizioni.


3.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione quanto alla valutazione dei risultati desunti dalla registrazione del dialogo del 3 giugno 2009 e dalle intercettazioni eseguite nel settembre del 2009; la sentenza impugnata aveva valutato in modo suggestivo (e attraverso deduzioni non sorrette da riscontri oggettivi) le espressioni dell'imputata che in realtà attestavano unicamente il timore della donna circa le interpretazioni del rapporto da lei instaurato con il T. alla luce dell'omicidio dello stesso.


3.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica del fatto e all'affermata sussistenza dell'aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7; la decisione impugnata aveva affermato in modo apodittico l'ingiustizia della pretesa della persona offesa, sia dal punto di vista dell'ammontare delle somme richieste, sia dalle modalità seguite per conseguire il pagamento, facendo ricorso all'intervento di soggetti noti negli ambienti criminali. Per altro verso, dagli atti processuali era risultato che la proposta transattiva si fondava su pareri e valutazioni tecniche che la sentenza impugnata aveva ignorato; era assente la finalità di ingiusto profitto nella richiesta dell'imputata, consistente in un modesto sconto rispetto alla somma richiesta dal professionista mentre era irrilevante la decisione dell'ordine professionale in ordine alla congruità della parcella, trattandosi di evento che si collocava temporalmente a distanza dagli incontri avvenuti tra la persona offesa e il M. mentre alcun effetto aveva sortito l'assassinio del T. rispetto alla conclusione della transazione; ciò doveva indurre a apprezzare la rilevanza del fatto contestato esclusivamente nei termini di cui all'art. 393 c.p., essendo mancata la prova della consapevolezza da parte dell'imputata dell'intervento di soggetti estranei per conseguire l'obiettivo della riduzione del credito professionale, con finalità violente e minacciose; allo stesso modo, era indimostrato il ricorso a condotte qualificabili in termini di evocazione del metodo mafioso.


4. Ha proposto autonomo ricorso nell'interesse dell'imputata A. l'avvocato Bongiorno deducendo, con il primo motivo, la violazione di norme processuali, in riferimento agli artt. 234,266 e 267 c.p.p. e art. 271 c.p.p., comma 2, attesa l'inutilizzabilità della conversazione tra presenti registrata in data 3 giugno 2009 da T.G., elemento di prova decisivo quanto all'affermazione di responsabilità dell'imputata. Rileva la ricorrente che la registrazione del dialogo era stata effettuata dal T. pacificamente con attrezzature e su disposizioni impartite dalla polizia giudiziaria, senza rispetto delle disposizioni regolatrici delle attività di intercettazione.


4.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in relazione al profilo della consapevolezza dell'imputata in ordine alla condotta estorsiva in danno di C.G., mediante l'intervento di un esponente della criminalità organizzata locale ( M.S.) nell'ambito della controversia civile tra l'imputata e il professionista. La decisione impugnata aveva tratto la prova di tale consapevolezza dal contenuto del dialogo registrato in cui, al contrario, le espressioni dell'imputata si caratterizzavano per indicazioni prive di specificità ed, anzi, assolutamente contraddittorie con la tesi di accusa; la sentenza, inoltre, non aveva considerato l'ipotesi alternativa secondo la quale l'imputata aveva iniziato a maturare i sospetti circa l'illiceità delle altrui condotte solo dopo l'assassinio del T. e la repentina decisione del C. di concludere e sottoscrivere la transazione; per altro verso, la motivazione era contraddittoria nella misura in cui, nell'esaminare le dettagliate e specifiche censure formulate con l'atto di appello e con i motivi nuovi di impugnazione, da un lato aveva affermato che la consapevolezza dell'imputata circa l'intervento di esponenti della criminalità dovesse desumersi da una frase in cui l'imputata aveva riferito di aver narrato al coimputato D.M. delle modalità con cui era stata realizzata l'operazione, mediante l'intermediazione di malavitosi, dall'altro aveva escluso la consapevolezza dello stesso D.M. e del D.V. circa l'agevolazione della stessa organizzazione criminale mediante l'attività di riciclaggio loro contestata. La ricorrente deduce, altresì, la mancanza di motivazione in relazione all'omesso esame delle censure formulate con l'atto di appello e con i motivi nuovi di impugnazione, che avevano indicato circostanze di prova decisive e incompatibili con l'ipotizzata consapevolezza dell'imputata circa il coinvolgimento di un'esponente della criminalità organizzata nell'intermediazione relativa alla trattativa con la persona offesa; in particolare, non erano stati valutati e considerati tutti i dati di prova che, al contrario, attestavano la tesi di un'autonoma iniziativa adottata dal T., senza che lo stesso avesse messo al corrente l'imputata di tale sua iniziativa, come del resto risultava ampiamente dal contenuto delle intercettazioni eseguite nel mese di settembre del 2009 in occasione di dialoghi tra l'imputata e il marito; né poteva dirsi sufficiente l'argomento già speso nella sentenza di primo grado, in cui si ipotizzava che in quei dialoghi la donna avesse cercato di nascondere la realtà dei rapporti intrattenuti col T. al fine di rappresentare al coniuge la propria posizione di inconsapevole vittima delle iniziative adottate dal T., trattandosi di argomento fondato su mere illazioni. Ulteriore vizio motivazionale veniva segnalato in relazione al carattere meramente apparente dell'apparato giustificativo mediante il quale la Corte territoriale aveva superato le censure dell'appellante in ordine alla criticata attendibilità delle dichiarazioni rese dalla teste Vingiani, vedova del T., dovendosi tenere conto della contraddizione interna alla stessa decisione che da un lato aveva ammesso come le espressioni utilizzate dall'imputata dimostravano che ella non sapesse dell'identità di colui che stava operando per conto del T., dall'altro aveva affermato che le dichiarazioni della teste Vingiani davano conto della conoscenza da parte dell'imputata del nominativo del soggetto interessato dal T..


4.2. Con il terzo motivo di ricorso si deduce il vizio della motivazione in relazione all'omesso esame delle censure formulate con l'atto di impugnazione in grado di appello, concernenti circostanze probatorie decisive e incompatibili con l'affermazione della sussistenza di un rapporto causale tra l'incarico di mediazione conferito al correo M. e la sottoscrizione dell'accordo transattivo tra le parti.


Erano state ignorate le circostanze del rapporto di conoscenza, a carattere amicale, tra la persona offesa ed il M.; della documentata successione di più incontri tra le parti, tutti caratterizzati dall'assenza di tratti minacciosi o violenti, in contrasto con la tesi di accusa dell'incarico volto a esercitare "forti pressioni" sul creditore; al contrario, il professionista si era attivato rivolgendosi ad un esponente della malavita locale per imporre al M., e quindi alla debitrice A., le proprie pretese economiche; era questa la casuale dell'unico episodio in cui il M. aveva reagito in modo determinato e veemente nei confronti della presunta persona offesa; inoltre non era stato considerato in alcun modo come tra tale complesso di circostanze e la sottoscrizione dell'atto di transazione fosse intervenuto il tragico evento dell'assassinio di T.L.. Osserva in conclusione la ricorrente che le circostanze dedotte con i motivi di appello erano astrattamente idonee a disarticolare il ragionamento posto a fondamento dell'affermazione di responsabilità e su tali motivi di impugnazione la Corte territoriale non aveva fornito risposta alcuna.


4.3. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'applicazione degli artt. 629 e 393 c.p., anche in relazione all'omessa valutazione della richiesta ex art. 603 c.p.p., di acquisizione della relazione di accertamento tecnico preventivo del 28 settembre 2016. La sentenza impugnata aveva escluso la buona fede dell'imputata, avendo il professionista ottenuto il parere di congruità degli onorari dall'ordine professionale, mentre l'imputata avrebbe dovuto intraprendere un giudizio di esito incerto ricorrendo a consistenti spese per incarichi defensionali, nel tentativo di dimostrare la minor somma del credito vantato; inoltre, la vicenda non poteva essere diversamente qualificata, in quanto la condotta tipica posta in essere dal terzo rendeva evidente che costui non agiva al solo fine di esercitare il preteso diritto, ma al contrario per realizzare un proprio profitto (come attestato dal pagamento della somma versata dall'imputata al M.).


Era contraddittoria siffatta motivazione nella parte in cui collegava la qualificazione in termini di estorsione della condotta alla luce delle caratteristiche e delle incertezze del giudizio che l'imputata avrebbe dovuto intraprendere, così implicitamente ammettendo l'esistenza della pretesa azionata; allo stesso modo, era errata la motivazione nella misura in cui faceva discendere la qualificazione in termini di estorsione della condotta evidenziando il presunto vantaggio costituito dal compenso per l'intermediazione del terzo, trattandosi al più di elemento che doveva essere valorizzato insieme ad altri dati di prova sintomatici del dolo di estorsione. Del tutto mancante era la motivazione in ordine alla sollecitazione volta alla rinnovazione istruttoria, che aveva ad oggetto documentazione rilevante nella dimostrazione della legittimità della pretesa dell'imputata, al contrario di quanto artatamente preteso dal professionista mediante l'inserimento nella parcella di voci non corrispondenti all'attività effettivamente prestata.


4.4. Con il quinto motivo si deduce vizio della motivazione per mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità quanto al riconoscimento della circostanza aggravante del ricorso al metodo mafioso e dell'agevolazione dell'attività del sodalizio camorristico D.. La decisione impugnata anche in tale parte aveva replicato gli errori di metodo e i vizi motivazionali già esposti e censurati col secondo motivo di ricorso, in quanto fondati sulla presunta consapevolezza da parte dell'imputata dell'intermediazione estorsiva del M.; in ogni caso, anche l'ipotizzata consapevolezza non poteva essere sufficiente per dimostrare la finalità agevolativa del sodalizio mafioso, potendo al più rappresentare l'obiettivo di favorire esclusivamente un suo partecipe (mancando del resto ogni elemento di prova circa la conoscenza da parte dell'imputata che la dazione di denaro fosse destinata alle attività del sodalizio). Anche in relazione al profilo del ricorso al metodo mafioso, non sarebbero stati indicati elementi obiettivi da cui desumere la conoscenza da parte della ricorrente dell'attuazione di una mediazione a suo favore fondata sull'impiego di poteri criminali derivanti dall'appartenenza ad un sodalizio di stampo mafioso, circostanza peraltro espressamente negata dall'imputata nei dialoghi intrattenuti con il marito, oggetto di intercettazione; neppure poteva darsi rilievo, così come avevano fatto i giudici di merito, alla circostanza dell'intervenuto pagamento del compenso di 15.000 Euro, operato dall'imputata, dal momento che anche sul piano logico il pagamento di tale importo non doveva necessariamente essere collegato alla qualifica soggettiva di colui che aveva operato come mediatore. Infine, la sentenza impugnata non aveva considerato che, a fronte di ripetuti rifiuti opposti dalla persona offesa alle richieste del M., non aveva fatto seguito alcuna reazione violenta o evocativa di poteri mafiosi da parte del M., essendosi costui alterato unicamente in occasione dell'incontro che la stessa persona offesa aveva sollecitato, per essere in quell'occasione spalleggiato da altri esponenti della criminalità.


5. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputato D.M., a mezzo dell'Avv. Briganti, deducendo con il primo motivo violazione della legge penale in relazione all'art. 648 bis c.p. e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del reato contestato, poiché il denaro oggetto della condotta illecita descritta nel capo di imputazione non poteva in alcun modo dirsi di provenienza delittuosa in quanto oggetto di un pagamento operato mediante bonifico bancario da persona estranea al reato presupposto del delitto di riciclaggio (una società, pur se riconducibile all' A.), né poteva tenersi conto dell'eventuale risparmio conseguito dalla A. quale profitto del reato estorsivo. Nell'operazione oggetto di contestazione si sarebbe al più potuta ravvisare un'ipotesi di favoreggiamento reale.


5.1. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge penale e vizio di motivazione con riferimento al profilo della dimostrazione dell'elemento psicologico del reato, nonché violazione di norme processuali previste a pena di inutilizzabilità, in relazione alla utilizzazione del dialogo registrato il 3 giugno 2009; si deduce ancora l'erronea applicazione dell'art. 648 bis c.p., dovendo qualificarsi il fatto quale ipotesi di favoreggiamento reale, con conseguente accertamento dell'intervenuto estinzione per prescrizione del fatto di reato. Osserva il ricorrente che, esclusa la finalità dell'agevolazione mafiosa, era risultato dal giudizio che il ricorrente aveva agito nell'esclusivo interesse dell'imputata A. ciò che contraddiceva la dimostrazione del dolo richiesto per il delitto di riciclaggio; era stata utilizzata in violazione dei divieti probatori la registrazione del dialogo del 3 giugno 2009, trattandosi di attività sollecitata dagli organi investigativi in difetto dei necessari provvedimenti autorizzativi delle intercettazioni; non era stata data risposta alle doglianze difensive circa la consapevolezza in ordine alla provenienza illecita del denaro oggetto del pagamento; l'esclusivo interesse del ricorrente nel favorire l'imputata A. dovevi indurre a qualificare il fatto di reato quale ipotesi di cui all'art. 379 c.p., reato che al momento della pronuncia in grado di appello era estinto per intervenuta prescrizione.


6. Nell'interesse del ricorrente D.M. è stato proposto ricorso anche dall'Avv. Propenso che ha dedotto con il primo motivo la violazione di legge in relazione agli artt. 266 e 267 c.p.p., artt. 15 Cost., in relazione al profilo dell'utilizzabilità della conversazione tra presenti registrata in data 3 giugno 2009 con argomenti sovrapponibili agli analoghi motivi di ricorso proposti nell'interesse degli altri coimputati.


6.1. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione della legge penale, in relazione agli artt. 43 e 648 bis c.p. e vizio della motivazione cerca il profilo della consapevolezza del ricorrente in ordine alla finalità dell'operazione compiuta nonché del contributo assicurato nell'attività di ostacolo all'individuazione della provenienza delittuosa, ancorata dalla sentenza impugnata alle sole espressioni registrate nel corso dell'intercettazione più volte ricordata in cui l'imputata A. affermava che il D.M. fosse a conoscenza dell'intera vicenda delittuosa.


7. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputato D.V. deducendo con il primo motivo di ricorso la violazione di norme processuali previste a pena di inutilizzabilità, in relazione agli artt. 267 e 271 c.p.p., in relazione all'assenza di decreti autorizzativi della registrazione del dialogo avvenuto il 3 giugno 2009, motivo fondato sui medesimi argomenti illustrati nei su esposti ricorsi proposti dai coimputati.


7.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all'art. 648 bis c.p. e vizio di motivazione, quanto all'affermata responsabilità per il delitto di riciclaggio con riguardo al profilo dell'elemento soggettivo ed in particolare alla consapevolezza circa la provenienza del denaro da attività delittuose, mancando del tutto la prova che l'imputata A. avesse informato il ricorrente della vicenda intercorsa con il professionista, considerato altresì che dagli atti era risultato che in più occasioni l'imputata avesse fatto ricorso al sistema delle fatturazioni per operazioni inesistenti per altre causali.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del P.G. è fondato limitatamente al primo motivo del ricorso.


La circostanza aggravante (già) prevista dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 (ed attualmente disciplinata dall'art. 416 bis.1 c.p.) è per espresso disposto normativo sottratta alle regole del giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.; la Corte territoriale ha, invece, dichiarato l'equivalenza tra le concesse circostanze attenuanti generiche e l'aggravante contestata e riconosciuta, così violando il disposto della L. n. 203 del 1991, art. 7, comma 2.


La sentenza deve essere annullata sul punto con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, affinché proceda a rideterminare il trattamento sanzionatorio applicando, sulla pena base da infliggere per il reato di cui all'art. 629 c.p., l'aumento ex L. n. 203 del 1991, art. 7 ritenuto adeguato alla stregua dei criteri ex art. 133 c.p. e, successivamente, determinando la diminuzione da applicare per le riconosciute circostanze attenuanti.


1.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.


La parte pubblica lamenta, in modo cumulativo, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata che avrebbe travisato il contenuto di prove a disposizione del giudice di merito, dimostrative della consapevolezza degli imputati D.M. e D.V. delle ragioni dell'elargizione della somma di denaro in favore del M. e della sua destinazione ad un soggetto inserito in contesti criminali, ritenendo che tale omissione valutativa di prove acquisite possieda carattere di decisività nel disarticolare il ragionamento della decisione impugnata, che aveva al contrario ritenuto che gli imputati avessero agito con distinte ed autonome finalità, l'uno (il D.M.) per assecondare le richieste della A. con cui collaborava, l'altro (il D.V.) per far ottenere ad un soggetto cui era legato da vincoli parentali la somma spettante al congiunto.


Premesso che la configurabilità dell'aggravante in esame richiede la dimostrazione dello scopo perseguito dall'autore, ossia quello di contribuire all'attività di un'associazione operante in un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche previste dall'art. 416 bis c.p. (Sez. 2, n. 27548 del 17/05/2019, Gallelli, Rv. 276109 - 01; Sez. 6, n. 24883 del 15/05/2019, Crocitta, Rv. 275988 - 0; Sez. 6, n. 28212 del 12/10/2017, dep. 2018, Barallo, Rv. 273538 - 0), va osservato che le prove indicate dalla parte pubblica avrebbero, secondo la stessa prospettiva del ricorrente, capacità dimostrativa della consapevolezza del coinvolgimento, nell'operazione per cui gli imputati prestavano la loro opera affinché fosse resa difficoltosa la tracciabilità del pagamento della somma destinata al beneficiario, di un soggetto coinvolto in organizzazioni criminali; circostanza che non può ritenersi sufficiente per sostenere il giudizio della finalizzazione della condotta in esame in termini di agevolazione (non del singolo, ma) dell'organizzazione criminale nei termini su ricordati. Del resto, la lettura complessiva della motivazione della sentenza impugnata (che ha riconosciuto la sussistenza della stessa circostanza aggravante in relazione alla posizione dell'imputata A., relativamente al ricorso al metodo mafioso: pag. 9) restituisce una chiave di lettura dell'operazione di riciclaggio ascritta agli imputati che era direttamente funzionale ad assicurare all' A., mandante dell'attività estorsiva affidata al M., l'occultamento del pagamento del compenso da riconoscere all'esecutore materiale, senza che fossero emersi elementi idonei a ipotizzare che la specifica attività estorsiva (originata dalle sollecitazioni della A. che si era rivolta a T.L., affidando l'incarico che sarebbe poi stato materialmente eseguito dal M.) costituisse manifestazione del potere di controllo del territorio da parte dell'organizzazione criminale.


2. I ricorrenti A. (con il primo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Bongiorno), D.M. (con il primo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Propenso) e D.V. (con il primo motivo del ricorso) hanno proposto, con argomenti in parte sovrapponibili quanto alle ragioni poste a fondamento della censura e comunque sostanzialmente coincidenti, la questione relativa all'inutilizzabilità (patologica) della registrazione eseguita da T.G., nel corso del dialogo intrattenuto con l'imputata in data 3 giugno 2009, perché eseguita con attrezzature messe a disposizione della polizia giudiziaria, e su sollecitazione degli investigatori. Ritiene il Collegio che la questione sollevata non sia fondata.


Il Collegio intende dare seguito all'orientamento sicuramente prevalente e maggioritario (Sez. 2, n. 12347 del 10/02/2021, D'Isanto, Rv. 280996 - 01; Sez. 2, n. 3851 del 21/10/2016, dep. 2017, Spada, Rv. 269089 - 0; Sez. 2, n. 50986 del 06/10/2016, Occhineri, Rv. 268730 - 0; Sez. 5, n. 4287 del 29/09/2015, dep. 2016, Pepi, Rv. 265624 - 0) che trova la sua origine nel dictum della pronuncia a Sezioni unite (n. 36747 del 28/05/2003, Torcasio, Rv. 225465 - 01) con cui fu stabilito il principio secondo il quale "la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l'autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell'art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa". Le Sezioni unite chiarirono che l'ammissibilità della prova documentale, rappresentata dalla registrazione fonografica di una comunicazione tra presenti ad opera di uno degli interlocutori o di persona ammessa ad assistervi (che non può essere ricondotta alla nozione di intercettazione contenuta nel codice di rito, difettando "la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la "terzietà" del captante", poiché "con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall'altro o dagli altri interlocutori") implica di regola l'utilizzabilità processuale del contenuto della prova così raccolta, fatta eccezione per le ipotesi in cui mediante tale prova vengano superati divieti espressamente previsti dalla legge e, in particolare, quelli destinati a limitare l'acquisizione di contributi dichiarativi ad opera della polizia giudiziaria con modalità non consentite (la decisione richiamava i divieti fissati dagli artt. 62,63,141 bis, 195 e 203 c.p.p.). Per tale ragione, la registrazione di colloqui eseguiti dalla polizia giudiziaria con soggetti indagati, con imputati e con persone informate sui fatti (senza adottare le prescritte modalità di documentazione), ovvero con informatori anonimi, non potrebbe essere utilizzata nel processo poiché costituirebbe un mezzo surrettizio per introdurre tra le prove utilizzabili dichiarazioni sulle quali il funzionario di polizia giudiziaria che la ha apprese non potrebbe deporre.


Una tale condizione non si realizza, invece, quando la registrazione sia stata operata dal privato - pur se su indicazione della polizia giudiziaria, o con mezzi da essa forniti - non sussistendo limiti di utilizzabilità nel sistema processuale rispetto all'assunzione della testimonianza del privato sul contenuto di quelle dichiarazioni: "la spendibilità processuale delle registrazioni clandestine si gioca sulla pertinenza del documento fonico alla rappresentazione di notizie (aventi ad oggetto il contenuto del colloquio) che ben possono essere introdotte nel processo attraverso la testimonianza del partecipe implicato nella registrazione".


Le decisioni che taluni dei ricorrenti hanno richiamato (Sez. 2, n. 19158 del 20/03/2015, Pitzulu, Rv. 263526 - 0; Sez. 4, n. 48084 del 11/07/2017, B., Rv. 271059 - 0), a sostegno della tesi dell'inutilizzabilità della registrazione in esame, poiché svolta non già autonomamente e al di fuori del procedimento, ma su direttive della polizia giudiziaria e nel contesto di indagini già avviate, non sono pertinenti rispetto ai dati processuali a disposizione in quanto: a) il teste T.G. ha indicato l'autonomia delle decisioni assunte nel decidere se e quando registrare i dialoghi (v. le sentenze di merito e in particolare quella del Tribunale a pag. 26 e 47); b) le indagini in corso riguardavano altra vicenda (l'omicidio di T.L. e non l'episodio estorsivo); c) nel novero delle fonti di prova utilizzate dalle decisioni di merito, rileva anche la testimonianza di T.G. sul dialogo e sulle circostanze riferite dalla A. nel corso della circostanza storica in cui fu registrato il dialogo (pag. 27 e pagg. 46 ss. della sentenza del Tribunale); d) non è stata operata dalle parti ricorrenti la necessaria "prova di resistenza", prendendo in esame il complesso delle prove testimoniali (ad iniziare da quella di T.G.).


3. I ricorsi proposti nell'interesse dell'imputata A. sono entrambi infondati.


3.1. Le censure articolate con il secondo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Bongiorno, così come quelle esposte con il primo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Stravino, sia quanto al vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità, sia per il censurato omesso esame di specifiche deduzioni formulate in grado di appello, in relazione al profilo della consapevolezza dell'imputata in ordine dalla condotta estorsiva in danno di C.G., mediante l'intervento di un esponente della criminalità organizzata locale ( M.S., coimputato separatamente giudicato e condannato per lo stesso fatto), non sono fondate.


La prospettiva dei ricorrenti, secondo i quali la prova della consapevolezza dell'imputata circa l'intervento di un soggetto appartenente alla criminalità organizzata discenderebbe dal contenuto del dialogo registrato da T.G. (il cui contenuto sarebbe caratterizzato da espressioni prive di specificità ed, anzi, contraddittorie con la tesi di accusa), tralascia di considerare come il giudizio sulla consapevolezza sia stato fondato non unicamente su quel dato di prova (di cui, peraltro, si propone una differente interpretazione condivisa anche con gli argomenti esposti nel secondo motivo del ricorso dell'Avv. Stravino - affidata a selettive analisi delle espressioni linguistiche, astratte dal contesto complessivo della vicenda, caratterizzata dal coinvolgimento soggettivo di personaggi in contatto con gli ambienti criminali e dall'obiettivo di indurre il creditore a ridurre drasticamente le proprie pretese, anche al prezzo di remunerare un soggetto terzo con un importo più che considerevole), bensì sulla valutazione congiunta di plurime fonti dichiarative che conducevano ad escludere l'affidamento inconsapevole dell'incarico da parte dell' A. a T.L., ignorando l'intervento di personaggi in grado di conseguire immediatamente il risultato economico atteso (le dichiarazioni della vedova del T.; le ulteriori intercettazioni aventi ad oggetto dialoghi svolti dall'imputata: v. pagg. 5-7 della sentenza impugnata) anche in virtù di argomenti logici che sono risultati coerenti con il complesso del materiale probatorio.


Del resto, è la stessa tesi difensiva a lamentare la mancata considerazione di una ricostruzione alternativa (l'imputata aveva iniziato a maturare i sospetti circa l'illiceità delle altrui condotte solo dopo l'assassinio del T. e la repentina decisione del C. di concludere e sottoscrivere la transazione), censura che in sede di legittimità non può trovare spazio in assenza di alcuno dei vizi indicati dall'art. 606 c.p.p., lett. e). Non può, infatti, ritenersi contraddittoria la motivazione della Corte territoriale che per un verso aveva desunto la consapevolezza dell'imputata, circa l'intervento di esponenti della criminalità nella richiesta diretta nei confronti della persona offesa, dall'ammissione (formulata dall' A. nei dialoghi captati) circa l'aver esposto e illustrato al coimputato D.M. le modalità con cui era stata realizzata l'operazione mediante l'intermediazione di malavitosi, mentre in altra sede della decisione la Corte territoriale aveva escluso la sussistenza della circostanza aggravante contestata al D.M. ed al D.V., circa l'agevolazione di un'organizzazione criminale mediante l'attività di riciclaggio oggetto di addebito; come esposto nell'esame del secondo motivo del ricorso del P.G. (v. supra, p. 1.2.), ciò che non è risultata provata è la finalizzazione dell'attività di riciclaggio perché fosse agevolato un sodalizio di stampo mafioso, non già la consapevolezza attestata dalle dichiarazioni dei soggetti coinvolti e dalle modalità dell'operazione - del beneficio che il M., soggetto pacificamente inserito in contesti criminali organizzati, traeva dall'operazione disposta dall' A..


Allo stesso modo, la doglianza relativa all'omesso esame da parte della Corte territoriale di circostanze di prova decisive, contrastanti l'assunto accusatorio dell'ipotizzata consapevolezza dell'imputata, desumibili dal contenuto delle intercettazioni eseguite nel mese di settembre del 2009 in occasione di dialoghi intercorsi tra l'imputata e il marito, subito dopo l'ascolto dell' A. da parte degli investigatori, fa leva ancora una volta sul rilievo da attribuire a isolate espressioni dell'imputata, a fronte di un'analisi complessiva e completa quale quella che già la sentenza di primo grado aveva condotto (pagg. 80-86), in cui si evidenziava sia il peculiare contesto storico - che rendeva logica l'interpretazione delle frasi dell'imputata come espressione della predisposizione di una strategia difensiva, nella consapevolezza della gravità della situazione accertata dagli investigatori -, sia il peso da attribuire alle rivelazioni dell' A. al coniuge, ignaro di numerosi dettagli della vicenda e al quale logicamente la donna intendeva fornire una versione che consentisse di limitare le sue responsabilità esclusivamente per l'operazione riguardante il pagamento della falsa fattura emessa, addebitando al defunto T. le scelte e le iniziative circa la conduzione dell'operazione di costrizione della persona offesa ad accedere ad un accordo transattivo (specie se poste a raffronto con le inequivoche affermazioni rese nell'incontro, anteriore a quella data e quando l' A. ignorava l'esistenza di elementi indiziari a suo carico, avuto con T.G.).


Alla stregua di queste valutazioni, e delle altre considerazioni tratte dalle sentenze di merito circa l'incontestabile versamento di un rilevante importo in denaro, con le modalità descritte nell'imputazione di riciclaggio contestata ai coimputati, indice della consapevolezza circa l'illiceità della condotta posta in essere dai terzi interessati dal T. (circostanza storica che l'imputata conosceva di certo prima che il T. fosse assassinato: v. pag. 6 della sentenza impugnata), a fronte di una controversia che si protraeva da lungo tempo tra l' A. ed il C. e che in pochi mesi si sarebbe risolta a favore dell'imputata, la tesi della prospettazione del ruolo di vittima inconsapevole da parte dell' A. non può definirsi, come pretende parte ricorrente, fondata su mere illazioni; per le medesime ragioni, le censure riguardanti il carattere apparente della motivazione con cui erano state superate le doglianze riguardanti la ritenuta attendibilità delle dichiarazioni rese dalla teste V., vedova del T., a fronte di evidenti contraddizioni dell'apparato argomentativo della sentenza (che contemporaneamente aveva riconosciuto l'ignoranza della teste circa l'identità del soggetto interessato dal coniuge per far raggiungere l'obiettivo auspicato dall' A., affermando però che le dichiarazioni della teste davano conto della conoscenza da parte dell'imputata del nominativo di tale soggetto) non erano idonee a superare il dato obiettivo della consapevolezza, già acquista dall' A. prima della morte del T., che terzi - cui doveva essere riconosciuto un compenso - avrebbero operato per ottenere dal C. la riduzione della pretesa creditoria.


3.2. Anche il terzo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Bongiorno, così come le coincidenti argomentazioni contenute nel primo motivo del ricorso dell'Avv. Stravino sul difetto del legame causale tra la condotta del M. e la sottoscrizione della transazione da parte della persona offesa, non sono meritevoli di accoglimento.


Il motivo di ricorso dell'Avv. Bongiorno, nel lamentare la carenza di risposta alle censure formulate con l'atto di appello, dimostra che quelle stesse doglianze sollecitavano una differente valutazione dei dati probatori (i rapporti tra il M. e il C. per definire la questione economica pendente tra l'imputata ed il professionista non avevano messo in luce alcun ricorso a iniziative violente o minacciose da parte del primo sino a quando, solo per l'iniziativa del C. che si era determinato a richiedere l'intervento di un esponente della malavita locale per contrastare le pretese veicolate dal M., quest'ultimo aveva reagito violentemente mutando atteggiamento nei confronti della persona offesa) che già la sentenza di primo grado aveva considerato, ritenendola incoerente con l'insieme dei dati di prova raccolti.


Il G.u.p. aveva osservato (pagg. 85-86) come, già dal punto di vista logico, l'intervento del M. finalizzato ad ottenere una riduzione considerevole della pretesa azionata dal C., intervento che implicava una retribuzione ingiustificata rispetto alla mera attività di mediazione, fosse dimostrativo non solo dell'interesse e della consapevolezza dell' A. circa la strumentalità di quell'intervento, ma anche dell'obiettivo perseguito dal M. prima ricorrendo a mere sollecitazioni, poi passando alle intimidazioni.


Aveva poi considerato (pagg. 94-95) che l'aggressione messa in atto nel corso dell'incontro alle terme - che si assume dalla difesa fosse stato richiesto dal C. per farsi spalleggiare da altro esponente della criminalità - costituiva l'epilogo, per così dire, naturale dei primi approcci apparentemente privi di carica intimidatoria, ma già espressivi della ineludibile necessità di trovare una soluzione rispetto al problema costituito dal contrasto tra le posizioni del C. e dell' A., secondo un modulo comportamentale noto che vede l'estorsore assumere la veste di soggetto disinteressato che intende evitare alla persona offesa problemi e rischi, ventilati come altamente probabili, sino al momento in cui si rende necessario esplicitare la carica minacciosa per conseguire il risultato atteso.


Le valutazioni espresse sono state sostanzialmente condivise dalla Corte territoriale (pagg. 6 e 7); del resto, già la lettura delle dichiarazioni della persona offesa restituiva una quadro sufficientemente delineato sulla portata delle richieste a lei formulate dal M., sempre in termini di pressione esercitata, inizialmente in modo larvato e implicito (ma non per questo irrilevante, ove si tenga conto delle alle circostanze concrete dell'azione, della personalità dell'agente, delle condizioni soggettive della vittima ed delle condizioni ambientali in cui si realizza il fatto storico: Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, Lavitola, Rv. 254797 - 0; Sez. 2, n. 6818 del 31/01/2013, Piazza, Rv. 254501 - 0) e poi con caratteristiche di indubbia valenza intimidatoria; né può ritenersi che, a fronte di una siffatto quadro ricostruttivo, aderente ai dati probatori raccolti, la decisione del C. di arginare la pressione (che, dunque, già era avvertita) del M. ricorrendo alla protezione di altro esponente della criminalità, così come l'omicidio del T., potessero assurgere a cause sopravvenute idonee a interrompere il nesso causale tra la condotta del M. e l'evento costrittivo (come già escluso dalla sentenza di primo grado, quanto alla rilevanza dell'assassinio del T.: pag. 112), assumendo al più il ruolo di cause eventualmente concorrenti.


Ritenuto, pertanto, che la tesi difensiva non prospettava circostanze decisive, nel disarticolare il ragionamento del giudice di primo grado, non può dirsi sussistente il denunciato vizio della motivazione della sentenza impugnata.


3.3. Il quarto motivo del ricorso dell'Avv. Bongiorno, così come il terzo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Stravino nella parte relativa alla qualificazione giuridica del fatto contestato, sono sostanzialmente reiterativi delle argomentazioni formulate con l'atto di appello, esaminate dalla Corte territoriale e superate con motivazione immune da errori di diritto e vizi logici.


Il profilo decisivo ed assorbente, che è stato correttamente richiamato dalla sentenza impugnata (pagg. 9-10), risiede nella incontestata riferibilità della condotta costrittiva ad opera non del titolare dell'ipotizzata pretesa tutelabile in sede giudiziaria, ma di un terzo che non agiva nell'esclusivo interesse del titolare della pretesa, ma per finalità di profitto proprio (ingiusto). Il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità a sezioni unite (n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 - 03) non può esser equivocato: " se, ai fini della distinzione tra i reati de quibus (il delitto di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni), alla partecipazione al reato di terzi concorrenti non creditori (abbiano, o meno, posto in essere la condotta tipica) non è possibile attribuire rilievo decisivo, risulta, al contrario, determinante il fatto che i terzi eventualmente concorrenti ad adiuvandum del preteso creditore abbiano, o meno, perseguito (anche o soltanto) un interesse proprio. Ove ciò sia accaduto, i terzi (ed il creditore) risponderanno di concorso in estorsione; in caso contrario, ove cioè i concorrenti nel reato abbiano perseguito proprio e soltanto l'interesse del creditore, nei limiti in cui esso-sarebbe stato in astratto giudizialmente tutelabile, tutti risponderanno di concorso in esercizio arbitrario delle proprie ragioni" (p. 13.2.). Ne consegue che le censure con cui si attacca la motivazione quanto al profilo dell'astratta fondatezza della pretesa giuridica dell' A., lamentando anche l'omesso esame della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria, restano superate dal dirimente profilo della qualificazione giuridica della condotta in ragione dell'ingiusto profitto perseguito dal terzo.


3.4. Il quinto motivo del ricorso a firma dell'avv. Bongiorno è infondato.


Se le censure dirette a sostenere l'insussistenza dell'aggravante, nella forma dell'agevolazione dell'organizzazione criminale mafiosa, risultano astrattamente fondate (per il difetto di elementi probatori idonei a dimostrare il necessario atteggiamento soggettivo caratterizzato dal dolo specifico), resta invece insuperato il profilo del ricorso al metodo mafioso (che viene contestato anche con il terzo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Stravino); la difesa, sul punto specifico, si richiama agli argomenti illustrati a sostegno del secondo motivo di ricorso (che sono stati già esaminati in precedenza) e si affida ad una valutazione alternativa circa la portata neutra del pagamento del corrispettivo nella misura accertata nel processo, valutazione che non risulta in grado di demolire l'impianto motivazionale delle decisioni di primo e secondo grado; così come reiterativi sono gli argomenti sul carattere amicale, privo di toni espressamente minacciosi, dei primi incontri avvenuti tra il M. ed il C., alla luce degli argomenti già illustrati nell'esame del terzo motivo (v. supra, p. 3.2.), mentre restano del tutto trascurati i rilievi condotti da entrambe le sentenze di merito sulla dimostrata consapevolezza della ricorrente circa la riferibilità della condotta (volta a costringere il C. a rinunciare alle proprie competenze professionali, ridimensionando le relative pretese economiche) a personaggi che operavano in contesti criminali di stampo mafioso.


4. I ricorsi proposti nell'interesse dell'imputato D.M. sono entrambi infondati.


4.1. Il primo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Briganti non è fondato.


La tesi difensiva, infatti, secondo la quale il denaro trasferito, su incarico dell' A., dal D.M. al D.V. con le modalità descritte nell'imputazione, non era di provenienza delittuosa perché relativo a lecite provviste nella disponibilità dell' A., non tiene conto della specificazione contenuta nella sentenza impugnata (pag. 12) in cui si è attribuito a quella somma la provenienza delittuosa rapportandola al risparmio che l' A. aveva conseguito, grazie alla consistente riduzione della pretesa del suo creditore, ottenuta attraverso la condotta estorsiva di cui si era resa responsabile. Si tratta di applicazione corretta del principio già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il riferimento dell'art. 648 bis c.p. alle "altre utilità" ben può ricomprendere il risparmio di spesa che l'agente ottiene mediante la commissione del delitto (come più volte statuito in materia di individuazione del profitto a fini di confisca relativa a reati tributari: Sez. 3, n. 23040 del 01/07/2020, Multi Professional Service s.r.l., Rv. 279827 - 0; Sez. 3, n. 47103 del 02/10/2019, Barbieri, Rv. 277282 - 0; Sez. 3, n. 6348 del 04/10/2018, dep. 2019, Torelli, Rv. 274859 - 0; Sez. Unite, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036 - 0), poiché la specifica modalità di realizzazione della condotta delittuosa produce un mancato decremento del patrimonio che si concretizza in una utilità di natura economica (Sez. 2, n. 6061 del 17/01/2012, Gallo, Rv. 252701 - 01), essendo pacifico che nella nozione di profitto del reato, che costituisca certamente dimostrazione della provenienza delittuosa, va ricompreso il risparmio di spesa che si traduca in un immediato ed effettivo incremento del patrimonio, consistente in un risultato economico positivo, già identificabile in termini certi al momento della commissione del fatto (Sez. 6, n. 20179 del 10/03/2021, Toto Spa Costruzioni, Rv. 281306 - 01). Dalla lettura delle sentenze di merito si rileva che il pagamento della minor somma in sede di conclusione della transazione, frutto della condotta estorsiva posta in essere dall' A. e dagli altri correi, evidentemente consentì all'imprenditrice di conseguire un risparmio di spesa rispetto all'originaria pretesa del creditore, consentendo l'utilizzo di parte di quel risparmio per compensare subito dopo l'attività illecita posta in essere dall'autore materiale del reato.


4.2. Il secondo motivo di ricorso dell'Avv. Briganti, così come il secondo motivo del ricorso a firma dell'Avv. Propenso, sono nel loro complesso infondati.


Premesso, in via preliminare, che la censura afferente all'inutilizzabilità del contenuto della registrazione dei dialoghi eseguiti da T.G. è infondata per le ragioni già illustrate in precedenza (v. supra, p. 2.), la motivazione della sentenza impugnata (pag. 11-12) ha segnalato le circostanze fattuali decisive per dimostrare che il D.M. era a conoscenza dell'intera vicenda che aveva condotto l' A. a incaricare, attraverso il T., l'autore materiale dell'estorsione per costringere il proprio creditore a rinunciare ad una parte del credito spettante, oltre a essere edotto delle modalità (esecuzione di una simulata compravendita di beni strumentali, mai consegnati, del valore corrispondente alla somma da versare al D.V.) attraverso le quali si sarebbe dovuto procedere a ostacolare l'identificazione del pagamento del compenso illecito al M., indice univoco della consapevolezza richiesta per integrare l'elemento soggettivo del reato.


Quanto, poi, alle deduzioni riguardanti la possibile diversa qualificazione del fatto storico, quale ipotesi di favoreggiamento reale (che avrebbe comportato altresì la necessaria declaratoria di estinzione del relativo reato) è sufficiente ricordare che secondo la costante giurisprudenza di legittimità il delitto di favoreggiamento reale è una figura criminosa sussidiaria, rispetto a quella del riciclaggio ex art. 648 bis. c.p., sicché ove sussistano gli estremi della seconda ipotesi delittuosa, deve essere esclusa la prima (Sez. 2, n. 16819 del 22/03/2018, Mangino, Rv. 272793 - 01; Sez. 2, n. 43295 del 24/11/2010, Lombardo, Rv. 248949 - 0; Sez. 2, n. 11709 del 27/09/1994, Coluccia, Rv. 199762 - 0).


4.3. Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato D.V. è infondato.


La censura formulata dal ricorrente, quanto al difetto di motivazione della sentenza impugnata nell'esame del profilo dell'insussistenza della consapevolezza in ordine alla provenienza delittuosa delle somme accreditate sul suo conto corrente, si fonda sulla dichiarata ignoranza del D.V. in relazione sia alla commissione del reato presupposto, sia alla provenienza delle somme, oltre che all'assenza di contatti diretti tra il ricorrente e l' A. che rafforza la tesi difensiva dell'assoluta mancanza di dati obiettivi che avrebbero dovuto indurre il D.V. a conoscere delle vicende riguardanti la controversia tra l'imprenditrice ed il C..


La suggestiva ricostruzione, prospettata dalla difesa, trascura la lettura congiunta delle decisioni di primo e secondo grado da cui risulta una serie di circostanze fattuali, quali l'emissione di una fattura per un'operazione inesistente, necessaria per giustificare l'accredito a suo favore della somma di 15.000 Euro destinata allo zio M.S. (circostanze ammesse in parte dallo stesso imputato nel corso del suo esame), oltre a stringenti ragioni logiche (il rapporto di parentela tra il D.V. e il M. e l'accertato coinvolgimento del ricorrente nelle prime fasi dei contatti stabiliti dal M. con il C.: v. la sentenza del G.u.p. pag. 116 ss.), dimostrative della consapevolezza del ricorrente nell'operare al fine di ostacolare l'individuazione della provenienza delittuosa delle somme che avrebbe fatto pervenire al M..


5. Al rigetto dei ricorsi proposti nell'interesse degli imputati consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.O. limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.


Dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità nei confronti della stessa A..


Rigetta nel resto il ricorso del Procuratore generale.


Rigetta i ricorsi degli imputati, che condanna al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 6 luglio 2022.


Depositato in Cancelleria, il 24 ottobre 2022

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