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Lesioni colpose: condannato gestore di una piscina in quanto titolare di una posizione di garanzia


Sentenze della Corte di Cassazione in relazione al reato di calunnia

La massima

Il gestore di una piscina è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell' articolo 40, comma secondo, cod. pen. , in forza della quale è tenuto a garantire l'incolumità fisica degli utenti mediante la presenza di un assistente bagnante a bordo piscina, che non può essere trasferita, in via convenzionale, sulle persone a protezione delle quali essa è prevista. (Fattispecie nella quale, sulla base del suddetto principio, è stata ritenuta immune da censure la sentenza che, in ragione dell'omessa predisposizione di un servizio di assistenza bagnanti, aveva riconosciuto la responsabilità dei componenti del consiglio direttivo di un'associazione sportiva dilettantistica che gestiva in forma imprenditoriale una piscina aperta al pubblico per l'omicidio colposo di una bambina deceduta per annegamento dopo essere sfuggita al controllo del padre consapevole che la figlia non sapeva nuotare, ritenendo irrilevante l'impegno assunto dal genitore di sorvegliare la minore - Cassazione penale , sez. IV , 16/01/2020 , n. 4890).

 

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La sentenza integrale

Cassazione penale , sez. IV , 16/01/2020 , n. 4890

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 14 novembre 2017 il Tribunale di Udine, all'esito di giudizio ordinario, riteneva S.M., P.A. e S.A., nelle rispettive qualità di Presidente, Vicepresidente e Segretario dell'Associazione Sportiva Dilettantistica "W La...", responsabili del reato loro ascritto in rubrica e condannava S.M. e P.A. alla pena di anni uno e mesi due di reclusione e S.A. alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, pena sospesa per tutti. Condannava, altresì, gli imputati a risarcire alle costituite parti civili i danni cagionati dal reato da liquidarsi in separato giudizio civile, riconoscendo una provvisionale immediatamente esecutiva ex lege dell'importo di Euro 100.000,00 per ciascuno dei genitori della defunta V.A.M. e di Euro 30.000 in favore del fratello, V.C.M., nonchè a rimborsare alle stesse parti civili le spese di rappresentanza e costituzione che liquidava in complessivi Euro 6.500,00 oltre spese ed accessori di legge.


1.1. Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 589 c.p., art. 40 c.p., comma 2 e art. 113 c.p. perchè, quali soci fondatori, amministratori e componenti del Consiglio Direttivo ( S.M. nella qualità di Presidente, P.A. nella qualità di Vicepresidente e S.A. nella qualità di Segretario) dell'associazione sportiva dilettantistica "W La...", che gestiva in forma imprenditoriale la piscina ed il complesso sportivo aperti al pubblico, sito in (OMISSIS), realizzavano e gestivano l'impianto natatorio in assenza delle autorizzazioni necessarie, non avendo predisposto ed attuato adeguati presidi di assistenza e salvataggio nello svolgimento dell'attività natatoria, avendo così consentito al pubblico l'utilizzo di attrezzature carenti sotto il profilo della sicurezza; avendo omesso un adeguato controllo del complesso natatorio, non avendo idoneamente organizzato l'attività, non avendo vigilato sulle regole interne e quelle emanate dalla Federazione Italiana Nuoto, nè essendosi adeguati alle prescrizioni del CONI e del centro sportivo educativo nazionale a cui l'associazione era affiliata, non garantivano l'incolumità degli associati/fruitori così cagionando, per colpa o comunque non impedivano ex art. 40 c.p. il decesso, per annegamento, di V.A.M..


In (OMISSIS).


1.2. Con la sentenza n. 1334/2018 del giorno 17/10/2018, la Corte di Appello di Trieste, adita dagli imputati, confermava la sentenza di primo grado.


2. Avverso tale sentenza d'appello propongono ricorso per cassazione S.M., P.A. e S.A., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1):


I) vizi motivazionali in ordine all'accertamento della causa del decesso e dei decorsi causali alternativi all'annegamento. Deducono che la Corte Territoriale ha immotivatamente valorizzato la testimonianza resa dal teste R.M., desumendo dalla stessa una circostanza fattuale di carattere dirimente sulla scorta della quale è stata accertata la presenza di segni di vitalità in acqua della vittima, in contrasto con gli esiti della consulenza resa dal perito, Dott.ssa F.C., in sede di incidente probatorio, secondo la quale non è stato possibile determinarsi -nel caso in esame- la genesi dell'arresto cardiocircolatorio che ha determinato il decesso della piccola A., non sussistendo, peraltro, elementi patognomonici riconducibili all'annegamento.


II) vizi motivazionali in ordine all'accertamento della posizione di garanzia in capo ai componenti del Consiglio Direttivo e, in particolare, con riferimento al Segretario dell'Associazione, nonchè in relazione all'esclusione totale della posizione di garanzia in capo al padre/accompagnatore adulto. Deducono l'assenza di una normativa specifica che imponga alle strutture di tipo privato (quale quella che ci interessa) il rispetto delle prescrizioni imposte agli impianti pubblici; oltre a tale emergenza, la Corte non riteneva di escludere dal giudizio di colpevolezza neppure il Segretario dell'Associazione, S.A., che si limitava, in concreto, a redigere i verbali delle assemblee, riconducendo in capo allo stesso una responsabilità oggettiva per l'incarico formalmente assunto. Assumono che la Corte non ha considerato la circostanza che il Presidente ed il Vicepresidente, seppur alternativamente, fossero presenti a bordo piscina per controllare quanto accadesse nello specchio d'acqua, a conferma della prudenza e della diligenza degli stessi nella gestione della propria attività. Sostengono che la stessa Corte non ha considerato la posizione di garanzia -da ritenersi quantomeno concorrente- del padre, che aveva accompagnato la figlia in piscina e, seppur consapevole che la stessa non sapesse nuotare, aveva omesso di dotare di braccioli, consentendole -tra l'altro - di allontanarsi da lui per ben sette minuti.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi sono manifestamente infondati e, perciò, inammissibili.


4. Va premesso che, nel caso di sostanziale "doppia conforme", le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.


4.1. Occorre, inoltre, evidenziare che i ricorrenti ignorano le analitiche ragioni esplicitate dal giudice del merito.


4.2. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto ed è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute, anche implicitamente, infondate dal giudice dell'appello, dovendosi gli stessi considerare non specifici (cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, dep.1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 44139 del 27/10/2015).


4.3. Sul punto va, poi, ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).


4.4. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè -come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).


4.5. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).


4.6. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nei ricorsi in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.


4.7. In realtà i ricorrenti, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tentano di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).


5. Ciò posto, in replica alla doglianza sub I), mette conto evidenziare che correttamente la Corte del merito ha sottolineato l'approccio errato e fuorviante dei ricorrenti "perchè il gestore di una piscina aperta al pubblico che ometta di assicurare un adeguato servizio di assistenza e salvataggio dell'utenza certamente non risponde ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2, solo nel caso di morte per annegamento di un bagnante, essendo assai frequente e prevedibile anche l'evenienza che una persona in acqua sia colta da un qualche malore improvviso che può condurre rapidamente all'exitus qualora manchi un tempestivo soccorso. Correttamente, dunque, il giudice di primo grado ha ritenuto rilevante non tanto stabilire se V.A.M. sia deceduta per annegamento, quanto piuttosto accertare se la sua morte sia stata istantanea o, al contrario, sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso temporale di modo che un soccorso immediato ed eseguito a regola d'arte avrebbe potuto salvare la bambina e, dunque, impedire l'evento di cui sono chiamati a rispondere gli imputati (...) Un punto fermo sul quale si trovano d'accordo tutti gli specialisti medico-legali, sia di parte che d'ufficio, che si sono occupati del caso è che si deve comunque escludere una causa di morte violenta perchè sul corpo della vittima non sono state riscontrate lesioni traumatiche significative in tal senso, quali ecchimosi recenti, fratture od altri segni tipici di una morte violenta E...) l'accertamento di vitalità in acqua della bambina per un tempo apprezzabile, con asfissia degenerata progressivamente nell'arresto del sistema cardio circolatorio, quindi nella morte cerebrale -in entrambi i casi di annegamento primario o di sincope anossica con perdita di coscienza ed involontaria sospensione dell'attività respiratoria- è certamente compatibile con un giudizio di penale responsabilità degli imputati in quanto l'osservanza da parte loro delle regole cautelari imposte ai gestori di una piscina avrebbe potuto salvare la bambina". Secondo la logica e, quindi, ineccepibile- ricostruzione del fatto operata dai giudicanti del merito sulla base di tutti gli elementi emersi dall'istruttoria, quali desumibili dall'ispezione cadaverica, A. era viva al suo ingresso in acqua ed è deceduta dopo un apprezzabile lasso temporale.


5.1. Occorre, a questo punto, riaffermare che le cause sopravvenute idonee a escludere il rapporto di causalità sono sia quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dall'agente, sia quelle che, pur inserite in un percorso causale ricollegato alla condotta (attiva od omissiva) dell'agente, si connotino per l'assoluta anomalia ed eccezionalità, sì da risultare imprevedibili in astratto e imprevedibili per l'agente (v. anche Sez. 4, n. 43168 del 21/06/2013 Ud. -dep. 22/10/2013- Rv. 258085). Siffatti connotati devono pertanto ravvisarsi nel caso di un percorso causale atipico; di una linea di sviluppo della condotta del tutto anomala, oggettivamente imprevedibile in astratto e imprevedibile per l'agente che non può anticipatamente rappresentarla come conseguente alla sua azione od omissione (quest'ultimo versante riguarda l'elemento soggettivo ma il problema, dal punto di vista dell'elemento oggettivo del reato, si pone in termini analoghi).


5.1.1. Tanto premesso, non resta che condividere l'iter argomentativo, unanimemente seguito dai giudici di merito a dimostrazione della infondatezza della tesi sostenuta dai ricorrenti.


L'omessa sorveglianza della minore era circostanza non imprevedibile per gli imputati. In ogni caso, non costituiva elemento del tutto eccezione (e tantomeno imprevedibile) il fatto che una bambina dell'età di A. potesse comunque sfuggire al controllo del genitore. Ha indubbiamente contribuito alla causazione dell'evento letale la mancata adozione delle basilari precauzioni cautelari -ascritte agli imputati- volte ad impedire l'accesso all'area della piscina in difetto di idoneo servizio di sorveglianza e di custodia.


Nè l'eventuale affidamento riposto dagli imputati nella condotta del genitore poteva valere ad escluderne la colpa, sul rilievo che l'incidenza, agli effetti della produzione dell'evento di concause prevedibili per gli agenti, non implica l'interruzione del nesso eziologico giacchè chi è titolare di una posizione di garanzia deve poter prevedere e prevenire le altrui imprudenze ed avventatezze e conseguentemente uniformare la propria condotta ai comuni canoni di accortezza. Ciò tanto più rileva in presenza di una piscina fonte di indubbia pericolosità per l'incolumità di chiunque (massime per una infante) in mancanza di adeguati presidi cautelari. Sul punto, la motivazione del Collegio territoriale si mostra ineccepibile poichè si fonda sull'irrilevanza giuridica (ai fini di un trasferimento degli obblighi che discendono, anche ai sensi dell'art. 2051 c.c., dalla posizione di garanzia del gestore di una piscina) dell'impegno assunto dagli iscritti adulti, accompagnatori di minori, a sorvegliare questi ultimi perchè, diversamente opinando, "si consentirebbe all'obbligato originario di scegliere, mediante la semplice predisposizione unilaterale di una scrittura privata, i limiti di operatività della sua posizione di garanzia e trasferirli, in tutto od in parte, proprio sulle persone a protezione delle quali essa è stata predisposta, così da eludere facilmente le fonti normative da cui discendono i propri obblighi giuridici. Si aggiunga che una siffatta clausola di preventivo esonero da responsabilità del debitore di un servizio (nel caso di specie oltretutto neppure gratuito, ma reso a fronte del pagamento di un corrispettivo) sarebbe comunque nulla e priva di effetti giuridici ai sensi dell'art. 1229 c.c. e che, in ogni caso, gli imputati stessi sarebbero venuti meno al loro dovere di far rispettare il Regolamento interno al nuovo "socio" V.V.M., iscrittosi appena pochi minuti prima, nel momento in cui la bambina, sfuggita al controllo del padre, era stata vista allontanarsi da sola dal chiosco dove aveva rivolto alcune domande proprio alla moglie di uno dei soci, che abitualmente collaborava nell'attività".


5.2. Quanto ai richiami agli esiti di perizie e consulenze, occorre rammentare che il giudice del merito può fare legittimamente propria, allorchè gli sia richiesto dalla natura della questione, l'una piuttosto che l'altra tesi scientifica, purchè - come nella specie - dia congrua ragione della scelta, e dimostri di essersi soffermato sulla tesi o sulle tesi che ha creduto di non dover seguire. Entro questi limiti, è del pari certo, in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, che non rappresenta vizio della motivazione, di per sè, l'omesso esame critico di ogni più minuto passaggio delle consulenze, poichè la valutazione delle emergenze processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale, per adempiere compiutamente all'onere della motivazione, non deve prendere in esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono resi determinanti per la formazione del suo convincimento (v. anche, Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018 Ud. -dep. 09/11/2018- Rv. 274478; Sez. 5, n. 10835 del 08/07/1988 Ud. - dep. 11/11/1988 - Rv. 179651).


6. In ordine alla censura sub II), deve, subito, osservarsi che l'obbligo giuridico di approntare un servizio di assistenza bagnanti qualificato discendeva dalle disposizioni dei D.M. 18 marzo 1996 che si applica ai "complessi impianti sportivi di nuova costruzione nei quali si svolgono manifestazioni e attività sportive regolate dal CONI e dalle Federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI" (cfr. anche Sez. 4, n. 39139 del 19/06/2018); inoltre, va rilevato (sulla base della incontestabile ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito) come "l'A.D.S. "W La..." non solo era affiliata al CSEN, Ente di Promozione sportiva riconosciuto dal CONI, ma, come si legge all'art. 2 del proprio Atto Costitutivo e Statuto dell'1 maggio 2006, aveva accettato incondizionatamente di conformarsi alle norme e direttive del CONI ed a tutte le disposizioni statutarie del medesimo Ente di promozione, ivi compreso, dunque, il citato D.M. 18 marzo 1996 che era perciò obbligata a rispettare".


6.1. Occorre, poi, condividere l'assunto della Corte distrettuale allorchè ha affermato: "La posizione di garanzia ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2, che assume su di sè, nei confronti dei frequentatori, il titolare e gestore di una piscina aperta al pubblico è fuori discussione: egli è tenuto, infatti, a garantire l'incolumità fisica degli utenti, a maggior ragione se si tratta di bambini e/o persone inesperte, mediante l'idonea organizzazione delle attività e la vigilanza sul rispetto delle regole interne e di quelle emanate dalla Federazione italiana nuoto, che assumono anche valore di norme di comune prudenza, al fine di impedire che vengano superati i limiti del rischio connaturato alla normale pratica sportiva. La normativa sportiva imponeva, per lo svolgimento dell'attività de qua, la presenza di un'assistente bagnanti a bordo piscina e l'approntamento di un idoneo servizio di assistenza dei frequentatori che avrebbe potuto garantire, in tempi rapidi, un tentativo di salvataggio foriero di elevate possibilità di salvezza.


Come detto, l'evento che il gestore di una piscina ha l'obbligo giuridico di impedire non si limita certamente alla morte per annegamento - come parrebbe che gli appellanti intendano sostenere - perchè sono assai frequenti i casi di persone, anche esperti nuotatori, colte da malore improvviso in acqua, ed il nesso causale tra la condotta omissiva e, come già si è detto, l'evento si interrompe solo in presenza di una morte così istantanea che anche l'approntamento di un idoneo servizio di assistenza non avrebbe avuto concrete probabilità di successo".


6.2. Quanto alle posizioni di garanzia, appare ineccepibile la scansione motivazionale seguita dai Giudici del merito che hanno, preliminarmente, dato atto che l'Atto costitutivo e lo Statuto dell'Associazione Sportiva Dilettantistica "W La... ", prevedevano che "L ‘Associazione è diretta ed amministrata da un Consiglio Direttivo che si compone di tre membri: Presidente, Vicepresidente e Segretario" "Il Presidente ha la rappresentanza legale ed i poteri di firma dell'Associazione, cura l'esecuzione dei deliberati dell'Assemblea e del Consiglio Direttivo. Il Vicepresidente coadiuva il Presidente in tutti i suoi compiti e lo sostituisce, con uguali poteri, quando necessario. Il Segretario collabora alla gestione dell'associazione, cura la tenuta dei libri sociali e segue gli adempimenti contabili ed amministrativi". Ciò posto, hanno correttamente osservato che "tutti e tre gli imputati, in quanto membri del Consiglio Direttivo e partecipi alla direzione ed amministrazione dell'A.S.D., rivestivano una autonoma posizione di garanzia rispetto all'evento occorso, e ben potevano e dovevano attivarsi, sia giuridicamente che nei fatti, per predisporre un efficace ed idoneo servizio di assistenza bagnanti che, viceversa, non c'era e fino a quel momento non risulta fosse mai stato attivato.


Ciò vale anche per il Segretario S.A. che, collaborando alla gestione dell'Associazione, al pari degli altri due componenti del Consiglio Direttivo, avrebbe avuto l'obbligo di informarsi e di prevenire tutti i rischi connessi all'assenza di un bagnino in quella piscina che nel periodo estivo raggiungeva un numero di fruitori piuttosto considerevole, sicuramente superiore alle 20 unità, come sarebbe stato ben possibile verificare da un semplice controllo delle registrazioni di cassa dei biglietti emessi.


Se poi gli altri due componenti del Direttivo, che a quanto risulta erano ben più presenti nella struttura, non avessero aderito alle segnalazioni del Segretario, impedendogli di operare secondo legge, per andare esente da ogni responsabilità il S.A. avrebbe potuto e dovuto dimettersi dal Consiglio Direttivo (...) Occupandosi in prima persona degli adempimenti contabili ed amministrativi, S.A. sapeva perfettamente che l'Associazione non aveva a libro paga un bagnino nè avrebbe potuto legittimamente confidare sull'attività di vigilanza diretta e di efficace assistenza dei bagnanti da parte di S.M. e P. perchè, se è vero che costoro erano quasi sempre presenti durante l'orario di apertura al pubblico, è altrettanto certo che contemporaneamente si occupavano anche di numerose altre incombenze e che non avevano una preparazione tecnica specifica, non avendo mai frequentato alcun corso in materia e tanto meno conseguito l'abilitazione di assistente bagnanti".


6.2.1. Vale evidenziare che il D.M. Interno 18 marzo 1996, art. 14 "Norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi", dispone, tra l'altro, che "Il servizio di salvataggio deve essere disimpegnato da un assistente bagnante quando il numero di persone contemporaneamente presenti nello spazio di attività è superiore alle 20 unità o in vasche con specchi d'acqua di superficie superiore a 50 m2". Successivamente, il Documento della Conferenza Stato-Regioni del 2003 ha stabilito: "L'assistenza ai bagnanti deve essere assicurata durante tutto l'orario di funzionamento della piscina. L'assistente bagnanti abilitato alle operazioni di salvataggio e di primo soccorso ai sensi della normativa vigente vigila ai fini della sicurezza, sulle attività che si svolgono in vasca e negli spazi perimetrali intorno alla vasca. In ogni piscina dovrà essere assicurata la presenza continua di assistenti bagnanti". Ancora successivamente, dopo che il Gruppo di lavoro, composto anche da rappresentanti della Regione Friuli-Venezia Giulia, aveva elaborato il documento di "Disciplina interregionale delle piscine", approvato il 22 giugno 2004 dal Coordinamento Interregionale Prevenzione e il 14 luglio 2004 dalla Conferenza degli Assessori regionali alla sanità, la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province autonome ha approvato definitivamente il documento il 16 dicembre 2004, con la veste giuridica dell'Accordo interregionale al cui punto 16 si stabilisce che "L'attività natatoria deve essere svolta nel rispetto di esigenze di sicurezza e sorveglianza degli utenti".


6.3. Quanto, infine, alla questione inerente al diniego di riconoscimento delle attenuanti generiche, basterà riaffermare che, soprattutto dopo la specifica modifica dell'art. 62-bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 2002 convertito con modifiche dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere valutato e applicato i criteri di cui all'art. 133 c.p. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, ex plurimis, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 1 n. 12496 del 02/09/1999, Guglielmi ed altri, Rv. 214570; Sez. 6, n. 13048 del 20//06/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217882; Sez. 1, n. 29679 del 13/06/2011, Chiofalo ed altri, Rv. 219891). In altri termini, dunque, va ribadito che l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez.2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, Rv. 245241, e Sez.4, n. 43424 del 29/09/2015).


6.4. Tra l'altro, la Corte territoriale, in replica alla medesima doglianza già proposta con i motivi d'appello, ha - insindacabilmente in questa sede - ritenuto di non poter accogliere la richiesta della difesa di concedere le attenuanti generiche poichè "non si ravvisano serie ed apprezzabili circostanze non codificate e che potrebbero giustificare un trattamento sanzionatorio più mite".


6.5. Preme, comunque, ribadire che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all'art. 133 c.p., come nel caso di specie) è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz'altro escludersi (v. anche Sez. 2, n. 45312 del 03/11/2015; sez. 4 n. 44815 del 23/10/2015).


7. Deve darsi atto dell'intervenuta revoca della costituzione di parte civile, da cui deriva l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti civili e la revoca delle relative statuizioni. Nel resto i ricorsi vanno dichiarati inammissibili, cui consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni per escludere la colpa degli stessi nel proporre l'impugnazione, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura indicata in dispositivo.


7.1. Deve, infine, disporsi l'oscuramento dei dati personali, siccome imposto dalla legge.


P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti civili revocando le relative statuizioni. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di duemila Euro alla Cassa delle Ammende.


In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.


Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.


Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020


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