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Minaccia aggravata: sentenza di condanna (Tribunale di Trieste - Giudice Monocratico dott. Alessio Tassan)


Reato di minaccia (art. 612 c.p.)

Proponiamo una sentenza di merito, pronunciata dal Tribunale di Frosinone, con la quale l'imputato è stato condannato per il reato di minaccia aggravata previsto dall'art. 612 c.p.


Tribunale Trieste, 23/08/2023, (ud. 26/05/2023, dep. 23/08/2023), n.1093

Svolgimento del processo

Con decreto di citazione diretta emesso in data 10/06/2022, Lo.GE. veniva tratto a giudizio avanti all'intestato Tribunale per rispondere dei reati di oltraggio a pubblico ufficiale, minaccia aggravata, rifiuto d'indicazioni sulla propria identità e diffamazione aggravata, come meglio descritto in rubrica. Alla prima udienza del 28/10/2022 l'imputato non comparso veniva dichiarato assente, in quanto la conoscenza del procedimento da parte dello stesso era attestata dal perfezionamento della notifica con domicilio eletto presso il difensore di fiducia.

In assenza di questioni preliminari il Tribunale dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva le prove richieste dalle parti.

All'udienza del 17/03/2023, rigettata la richiesta di rinvio del processo per legittimo impedimento a comparire da parte dell'imputato, si procedeva all'esame dei testimoni Sa.RI. e Da.CA. indicati dal pubblico ministero, nonché Br.CA. e U.RO. citati dalla difesa (questi ultimi con le garanzie previste dall'art. 210, co. 6, c.p.p. in quanto imputati in procedimento collegato); si procedeva, inoltre, all'acquisizione della documentazione dimessa dal pubblico ministero e rappresentata dai filmati audio-video indicati in imputazione e memorizzati su DVD; infine, su accordo delle parti, si acquisivano le trascrizioni delle parole pronunciate nei suddetti video compiute dalla polizia giudiziaria, nonché la querela sporta dal maresciallo RI. e il verbale di sommarie informazioni rese da An.IU.

All'udienza del 26/05/2023 il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti concludevano come da verbale di udienza e il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo.


Motivi della decisione

Deve essere pronunciata sentenza di condanna nei confronti dell'imputato in ordine a tutti i reati a lui ascritti in rubrica.

1. Fatto.

1.1. L'intervento dei Carabinieri presso l'Ufficio Postale Come ricostruito dal maresciallo maggiore Sa.RI., dapprima in querela (acquisita su accordo delle parti, aff. 75 p.m.) e poi anche in dibattimento, la mattina del 21/09/2021 il direttore dell'ufficio postale di Viale (…) a Trieste aveva richiesto l'intervento delle forze dell'ordine in quanto una cliente, successivamente identificata in Br.CA., si era ripetutamente rifiutata di indossare la mascherina protettiva delle vie respiratorie (come imposto dalla normativa allora vigente per contrastare la diffusione del virus COVID-19), ingaggiando un alterco con i funzionari di (…), alterco che aveva coinvolto anche altri soggetti presenti nell'ufficio postale.

Sul posto erano quindi giunti anche il maresciallo RI. con il carabiniere Ni.BU.

I due carabinieri avevano trovato dinnanzi all'entrata dell'ufficio postale proprio la CA., la quale, con tono polemico, provocatorio e irriverente nei confronti dei militari, aveva dichiarato di essere la causa della richiesta del loro intervento. Accanto alla CA. vi erano numerose altre persone.

Come ammesso dalla stessa CA. nel corso del proprio esame testimoniale, quest'ultima con il proprio telefono aveva avvertito dell'intervento dei Carabinieri il proprio compagno, GE., e RO., candidato sindaco al Comune di Trieste per il partito (…), contestualmente impegnato nella propria campagna elettorale.

Pochi minuti dopo la telefonata, un uomo (successivamente identificato nel GE.) era sopraggiunto presso l'Ufficio Postale con la propria autovettura (peraltro condotta a gran velocità) e, una volta sceso, aveva cominciato ad inveire contro gli operanti: di fronte ad una ventina di presenti (oltre ad alcune persone affacciate dai balconi delle abitazioni limitrofe), aveva loro rivolto - tra le altre - le seguenti frasi: "Siete vergognosi, quello che state facendo è vergognoso! Trieste è territorio libero! Voi qua non avete giurisdizione! Non valete un cazzo! Siete ignoranti! Siete dei coglioni! Imparate la storia di Trieste! I Carabinieri qua non valgono nulla come anche la Polizia!".

A quel punto i militari avevano chiesto (almeno per cinque volte) all'uomo di declinare le proprie generalità o favorire un documento di identificazione. L'imputato però si era ripetutamente rifiutato sia di fornire oralmente le proprie generalità che di esibire un proprio documento.

Con atteggiamento di scherno e dileggio, l'imputato aveva chiamato il numero di emergenza chiedendo l'intervento della Polizia di Stato, sostenendo di essere stato aggredito dai Carabinieri.

Solo dopo molti minuti di tensione, di fronte alla prospettazione da parte del maresciallo RI. della necessità di tradurlo in caserma, il GE. aveva finalmente dichiarato nome e cognome.

L'imputato aveva però proseguito nel suo atteggiamento provocatorio e derisorio: richiesto di favorire una patente di guida, il GE., sbracato su una panchina, aveva esibito un documento di guida del regno Unito, a distanza tale però da impedire ai militari di leggere i dati, arrivando al punto di fingere di voler consegnare il suddetto documento, salvo ritrarre la mano non appena il maresciallo RI. aveva compiuto il gesto di afferrarla.

Interrogata la banca dati, era emersa una nota di rintraccio per il GE., sicché i militari l'avevano invitato a seguirlo in caserma.

Nel frattempo, però, a sostegno della CA. e del GE. era sopraggiunto anche il candidato sindaco RO., il quale, munito di megafono, aveva iniziato a proferire slogan contro la normativa emergenziale e l'azione repressiva delle forze dell'ordine, indirizzando l'amplificatore alle orecchie dei due carabinieri, facendo così precipitare la situazione.

I Carabinieri, raggiunti da altre pattuglie di rinforzo, avevano proceduto all'arresto del RO. per successivi atti di resistenza a pubblico ufficiale.

Caricato il RO. nell'autovettura di servizio, il GE. si era avvicinato al RI. e aveva pronunciato, con tono rabbioso e minaccioso, la frase: "Comandante tanto ti becco e vedrai".

Il testimone (…), assunto a sommarie informazioni a ridosso dei fatti (verbale aff. 20-21 p.m. acquisito su accordo delle parti), ha dichiarato di aver assistito ai fatti accaduti la mattina del 21/09/2021 davanti all'ufficio postale: il GE., soggetto assai noto sui social media per le sue posizioni particolarmente ostili rispetto alle politiche di prevenzione anti-COVID adottate dal Governo, e la compagna si erano rifiutati di consegnare i documenti ai Carabinieri; il GE. aveva richiesto al telefono l'intervento della Polizia di Stato, mentre la CA. aveva chiamato il RO., il cui arrivo aveva fatto degenerare la situazione. Il GE. era particolarmente agitato e aveva più volte offeso i militari con le parole: "Bastardo!", "Stronzo!", "Vaffanculo!".

Br.CA., esaminata con le garanzie previste dall'art. 210, co. 6, c.p.p., ha confermato l'alterco avuto con le impiegate e il direttore dell'ufficio postale, insorto per la pretesa - a suo giudizio ingiustificata - di indossare la mascherina. Agitata per la situazione, dopo l'intervento dei Carabinieri, la CA. aveva dapprima chiamato il GE. e poi il RO., candidato sindaco del movimento politico nelle cui liste era candidata anche lei.

Circa le specifiche condotte contestate al GE., la CA. ha sostenuto che il proprio compagno aveva fin da subito declinato le proprie generalità, mostrando una calma inconsueta per il suo carattere. La testimone ha dichiarato, però, di non poter riferire sul contenuto delle frasi proferite dal GE. all'indirizzo dei militari perché troppo distante.

Allo stesso modo, RO., anch'egli sentito con le garanzie di cui all'art. 210 co. 6 c.p.p., nulla ha saputo riferire circa il contenuto delle frasi rivolte dal GE. ai Carabinieri, salvo confermare che al suo arrivo in loco (sollecitato dalla telefonata della CA.) il GE. stava discutendo animatamente con i militari poiché si rifiutava di declinare le proprie generalità.

1.2. I successivi commenti diffamatori.

Esauritasi la vicenda dell'ufficio postale con l'arresto del RO., il pomeriggio dello stesso giorno, il GE. aveva pubblicato sul proprio profilo "Facebook" un video (video n. 1, aff. 85 p.m.) con il quale, nel commentare quanto accaduto la mattina, si era rivolto al maresciallo RI. con le seguenti parole: "io solo volevo dirti al Comandante non so di dove cazzo sei di dove, dove hai la caserma, ti puoi solo che vergognare, ti puoi solo che vergognare sei uno schifoso ma te lo dico qua apertamente te l'ho già detto e mi fa io e te ci rivediamo ma anche io e te ci rivediamo" (minuto 4:17); e ancora "Mi hanno preso i documenti volevano farmi la multa perché il cane era qua, sti bastardi. Il cane era qua con l'auto ferma. Comandante, ti ho già detto, te l'ho già detto davanti tutti quanti" (minuto 5:57). Successivamente, la sera del 22/09/202,1, il GE. aveva pubblicato un ulteriore video a commento degli avvenimenti del giorno precedente, dicendo: "Se ti comporti con più onore, più rispetto e più umanità i Hezbollah a Beirut che ieri i Carabinieri (…) mezz'ora quaranta minuti, son stato istigado, son sta istigado, a risponder e a reagir, i cercava i cercava, i cercava che mi reagisso e che perdo la calma, però mi dopo i hezbollah quattro carabinieri me fa rider" (video n. 3 aff. 85 p.m. min. 3:46).

In data 27/09/2021 il GE. aveva pubblicato, sempre sul proprio profilo "Facebook", un ulteriore video (video n. 4, aff. 85 p.m.). accompagnato dalle seguenti parole: "complimenti in primis alla Procura di Trieste per aver archiviato e chiuso le indagini contro la polizia locale seconda nota, i carabinieri ho quasi sempre avuto rispetto per voi, ma dopo quello che mi avete fatto a me (…) e (…) siete scesi già come quando tiro l'acqua nel wc!!!!!". Nel predetto video, a partire dal minuto 04:47, il GE., sempre alludendo ai fatti del 21/09/2021, aveva detto: "Il Carabiniere che ha fatto finta di cadere (…) questo vuol dire esser proprio un pezzo di (…), un pezzo di (…), ma un grandissimo pezzo di (…)"; "è ora di finirla, avete rotto le palle, vi state comportando veramente da fare schifo (…). Farmi 400 euro di multa per una cosa che non ho fatto significa essere dei vigliacchi, schifosi, significa essere dei grandissimi pezzi di (…)"; "Sei una grandissima vergogna, un prepotente, mi hai fatto proprio schifo".

Ancora: "Quando uno è prepotente e bugiardo, Comandante dei Carabinieri di Strada di (…) che sarebbe in via san (…). Veramente se sei un uomo, se sei un uomo, ho capito che hai perso la pazienza e che hai il cazzo pieno anche tu come tutti quanti, ma se sei un uomo, perché puoi sbagliare, o/c, dovresti aver le palle di raccontare la verità, perché quando mi hai chiesto la patente e non te l'ho data, perché volevi prendermi la patente che avevo in mano e non te l'ho data, ti sei inventato di farmi una multa con la macchina ferma perché il cane era seduto di dietro e quindi sei un pezzo di, hai capito sei un grandissimo pezzo di (…)". Infine: "Comandante di Via (…) comunque, non ho vendetta. Puoi avere qualsiasi uniforme, puoi aver giurato, ma se ti comporti da pezzo di merda per me resti un pezzo di merda (…). Mi assumo tutte le responsabilità, non me ne frega un cazzo, ve l'ho già detto, io quando sbaglio chiedo scusa, ma quando uno mi fa una prepotenza e uno che mi tira fuori le manette perché no non, ma perché non cado alle sue istigazioni, sei una bassezza, una pochezza uno zero assoluto".

2. Valutazione della prova e qualificazione giuridica.

Così compendiato quanto emerso nel corso del giudizio, risulta ampiamente provata la penale responsabilità dell'imputato in ordine a tutti i reati a lui contestati.

Quanto accaduto il 21/09/2021 davanti all'ufficio postale è stato dettagliatamente ricostruito dal maresciallo maggiore Sa.RI., le cui dichiarazioni hanno trovato ampio e puntuale riscontro in quanto riferito dal testimone oculare An.IU.

Del resto, i testimoni della difesa RO. e CA. non hanno reso dichiarazioni idonee a confutare la ricostruzione accusatoria, essendosi trincerati dietro numerosi "non ricordo" o "non ero in grado di sentire" con riguardo alle parole proferite dal GE.

Il RO., tuttavia, ha dato conferma del rifiuto opposto dal GE. alla richiesta dei militari di dichiarare le proprie generalità. Le considerazioni sull'operato del maresciallo RI. contestate al GE. al capo D) sono, invece, comprovate per tabulas dai files audio-video acquisiti agli atti, le cui parole sono state fedelmente trascritte dalla polizia giudiziaria.

Venendo alla qualificazione giuridica, risulta pienamente integrato il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale contestato al capo A): il GE., infatti, ha urlato all'indirizzo del maresciallo RI. e del carabiniere BU., in luogo pubblico e alla presenza di più persone, parole dal carattere inequivocabilmente offensivo e oltraggioso. Del resto, l'intero contegno tenuto dal GE. di fronte ai due carabinieri è parso sfrontatamente provocatorio e canzonatorio, tale cioè da ledere la rispettabilità e l'onore dei militari di fronte ai numerosi astanti.

In secondo luogo, sussiste il delitto di minaccia di cui all'art. 612 c.p. contestato al capo B), per aver rivolto al maresciallo RI. la seguente frase intimidatoria: "Comandante, tanto ti becco e vedrai!"; reato aggravato ai sensi dell'art. 61, n. 10), c.p., perché commesso ai danni di un pubblico ufficiale nell'esercizio e causa delle sue funzioni. Minaccia, peraltro, ripresa dallo stesso GE. nel commentare l'accaduto durante una sua pubblicazione on-line (video n. 1, aff. 85 P.M. minuto 4:17).

In terzo luogo, ricorre la contravvenzione di rifiuto d'indicazioni sulla propria identità di cui all'art. 651 c.p. contestata al capo C), per aver il GE. ripetutamente rifiutato di declinare le proprie generalità; solo dopo numerose richieste e l'intervento di altre due pattuglie, l'imputato si era, infatti, deciso a fornire ai militari nome e cognome, circostanza quest'ultima del tutto irrilevante ai fini del già avvenuto perfezionamento della fattispecie. Infatti, come ribadito dalla Suprema Corte, il reato di cui all'art. 651 c.p. si perfeziona con il semplice rifiuto di fornire al pubblico ufficiale indicazioni sulla propria identità personale ed è, pertanto, irrilevante, ai fini della configurazione dell'illecito, che tali indicazioni vengano fornite successivamente" (Cass. pen. Sez. I Sent. 14/11/2014. n. 9957 -262644). assumendo rilievo il mero intralcio all'attività del pubblico ufficiale, come puntualmente avvenuto nel caso di specie.

Da ultimo, assumono tutti i connotati del delitto di diffamazione contestato al capo D), i commenti, o - per meglio dire - gli sfoghi rabbiosi dal carattere palesemente offensivo e denigratorio pubblicati sui propri profili social dal GE. nei confronti del maresciallo RI., che seppur non citato per nome e cognome, era ben identificato con il ruolo ricoperto di "Comandante dei Carabinieri di Strada di (…)".

Ricorre la contestata aggravante di cui all'art. 595, co. 3, c.p., posto che la diffamazione perpetrata attraverso la pubblicazione sulla bacheca "Facebook" è sussumibile nel concetto di "altro mezzo di pubblicità", poiché i "social network" sono strumenti idonei a raggiungere un'ampissima cerchia di soggetti, aggravando in tal modo l'offensività del delitto (Cass. Pen. Sez. V. 27 gennaio 2017. n. 8482). Tutti i reati contestati si connotano per una non banale offensività e una spiccata intensità del dolo, avendo nell'occasione il GE. provocato e dileggiato i Carabinieri in modo aggressivo, sfrontato e strafottente, contribuendo a creare una situazione di forte tensione anche sotto il profilo della gestione dell'ordine pubblico. Del resto, il comportamento del GE. appare anche abituale, come dimostrano i numerosissimi analoghi precedenti di polizia per fatti coevi, sicché appare francamente insostenibile la tesi della particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p.

La maturazione dei fatti nel particolare contesto della crisi pandemica consente di non applicare la recidiva in relazione all'unico precedente giudiziario riportato nel certificato del casellario giudiziale a tal fine rilevante (una condanna per diffamazione alla sola pena pecuniaria, preceduta esclusivamente da una sentenza di applicazione pena per reato regolarmente estinto ai sensi dell'art. 445 co. 2 c.p.p.).

La contestualità spazio-temporale delle condotte contestate ai primi tre capi di imputazione, nonché l'inquadramento anche delle condotte diffamatorie in un più ampio programma di contestazione dell'iniziative anti-contagio intraprese dal Governo e presidiate dalle forze dell'ordine, consente di ravvisare un comune disegno criminoso con relativa applicazione della disciplina del reato continuato. Le condotte di oltraggio dirette a due distinti militari si pongono, invece, in concorso formale tra loro con i medesimi effetti sotto il profilo della disciplina sanzionatoria.

Trattamento sanzionatorio Valutati i parametri stabiliti dall'art. 133 c.p. risulta pena congrua quella pari a mesi 10 di reclusione così determinata:

pena base per il più grave reato di oltraggio a pubblico ufficiale commesso ai danni del maresciallo RI.: mesi 6 di reclusione;

pena aumentata per il concorso formale per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale commesso ai danni del carabiniere BU.: mesi 7 di reclusione;

pena aumentata ex art. 81 cpv. c.p. per il delitto di diffamazione contestato al capo D): mesi 8 giorni 15 di reclusione;

pena aumentata ex art. 81 cpv. c.p. per il delitto di minaccia aggravata contestato al capo B): mesi 9 giorni 15 di reclusione;

pena aumentata ex art. 81 cpv. c.p. per la contravvenzione di cui all'art. 651 c.p. contestata al capo C): mesi 10 di reclusione

Non sono emersi nel corso del dibattimento elementi degni di essere valorizzati ai sensi dell'art. 62-bis c.p.

Per la seconda e ultima volta, possono essere concessi all'imputato i benefici della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale nonché della sospensione condizionale della pena, purché l'imputato dia prova di concreta resipiscenza con il pagamento tempestivo della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno alle costituite parti civili, da compiersi nel termine di mesi 6 dalla intervenuta irrevocabilità della sentenza.

a. Risarcimento del danno.

Le condotte di oltraggio a pubblico ufficiale, minaccia e diffamazione hanno indubbiamente leso i diritti immateriali dell'onore, della reputazione e della tranquillità psichica delle due persone offese costituite parti civili. Trattasi di danno non patrimoniale liquidabile solo in via meramente equitativa.

Venendo alla sua precisa quantificazione, la lesione al diritto all'onore compiuto con il reato di oltraggio può essere liquidato in euro 1.000,00 a beneficio di ciascuna delle due parti civili.

Ulteriori 1.500,00 euro devono essere liquidati al maresciallo RI. per le condotte diffamatorie subite ed euro 500,00 per la minaccia.

L'imputato deve, inoltre, rifondere le spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili e liquidate in euro 2.000,00, oltre spese generali, IVA e CNA come per legge.

Infine, alla condanna consegue ai sensi dell'art. 535 c.p.p. il pagamento a carico dell'imputato delle spese processuali.

Data la natura della vicenda processuale e il carico del ruolo risulta termine congruo per la redazione della motivazione quello pari a giorni 90.


P.Q.M.

Il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.,

dichiara

LO.GE., colpevole del reato a lui ascritti in rubrica e, non applicata la contestata recidiva, ritenuti i reati uniti nel vincolo della continuazione, lo condanna alla pena di mesi 10 di reclusione ed euro 500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 533, co. 3, c.p.p., 165 e 175 c.p.,

concede all'imputato i benefici della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e della sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento entro il termine di 6 mesi dall'intervenuta irrevocabilità della sentenza della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.

Visti gli artt. 538 e 541 c.p.p.,

condanna l'imputato a risarcire il danno cagionato alle costituite parti civili che si quantifica in euro 3.000,00 a favore di Sa.RI. ed euro 1.000,00 a favore di Ni.BU., nonché a rifondere le spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle stesse parti civili, liquidate, per questo grado, in euro 2.000,00, oltre spese generali, i.v.a. e c.n.a. come per legge.

Visto l'art. 544 co. 3 c.p.p.,

indica il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Trieste il 26 maggio 2023.

Depositata in Cancelleria il 23 agosto 2023.

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