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Minaccia: confermata condanna per infondatezza dei motivi di appello (Tribunale di Frosinone in funzione di giudice di appello- Giudice Monocratico dott.ssa Aurora Gallo)


Reato di minaccia (art. 612 c.p.)

Proponiamo una sentenza di merito, pronunciata dal Tribunale di Frosinone, in funzione di giudice di appello, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna pronunciata in primo grado nei confronti di un imputato, accusato del reato previsto dall'art. 612 c.p.


Tribunale Frosinone, 24/08/2023, (ud. 05/06/2023, dep. 24/08/2023), n.13

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con sentenza del 29 ottobre 2018, depositata in data 8 novembre 2018, il Giudice di Pace di Frosinone ha condannato l'imputato Ca.Iv. per il reato di cui all'art. 612 c.p. a lui ascritto, con le conseguenti statuizioni in ordine alla domanda risarcitoria proposta dalla parte civile, (…), ritenendo provato il fatto contestato sulla scorta della deposizione testimoniale resa dalla persona offesa nel corso dell'istruttoria svoltasi in primo grado.

Con atto di impugnazione tempestivamente e ritualmente depositato, il difensore dell'imputato ha proposto appello avverso la sentenza su menzionata chiedendo, in via principale, l'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530, co. 1 c.p.p., perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, in subordine, l'assoluzione ai sensi dell'art. 530, co. 2 c.p.p., in ulteriore subordine, l'applicazione del minimo edittale e, in ultimo, in via ulteriormente gradata, l'applicazione dell'art. 34 d.lgs. n. 274/2000.

A sostegno del gravame, l'appellante ha dedotto l'omesso adeguato vaglio critico della deposizione resa dalla parte offesa, avendo il giudice di primo grado ritenuto attendibile la persona offesa nonostante l'incoerenza e la contraddittorietà del racconto fornito dalla predetta; ha inoltre dedotto l'assenza degli elementi costitutivi della fattispecie contestata.

Disposti alcuni rinvii del procedimento (v. decreto del 23 aprile 2020, verbali del 01 febbraio 2021, del 14 giugno 2021, del 15 novembre 2021, del 7 marzo 2022, del 26 maggio 2022, del 24 novembre 2022 e del 6 marzo 2023), all'odierna udienza, verificata la ritualità della notificazione della citazione dell'imputato appellante e della Parte civile appellata, si è disposta la discussione orale, al termine della quale, sulle conclusioni formulate dalle parti (versate in atti quanto alla Parte civile), è stata pronunciata la sentenza resa in dispositivo, pubblicato mediante lettura.

2. Ritiene il Tribunale che la sentenza appellata debba essere confermata, stante l'infondatezza dei motivi di gravame.

Appare opportuno premettere, relativamente ai poteri attribuiti al giudice d'appello, che la norma di cui all'art. 597, co. 1, c.p.p. gli attribuisce gli stessi poteri del primo giudice e, conseguentemente, il giudice del gravame, fermo restando il limite del divieto di reformatio in peius, non più vincolato da quanto prospettato dall'appellante, ma può affrontare, relativamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi di gravame, tutte le questioni enucleabili all'interno dei punti medesimi. Nondimeno, i limiti dell'effetto devolutivo dell'appello attengono alle statuizioni del provvedimento impugnato e non anche alla motivazione dello stesso (cfr. Cass., Sez. 3, sent. 10 dicembre 2008, n. 9841), ben potendo, tra l'altro, il giudice dell'appello provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (v. Cass., Sez. Un., sent. 27 novembre 2008, n. 3287). Ai fini dell'individuazione dell'ambito di cognizione attribuito al giudice di secondo grado, inoltre, per punto della decisione deve ritenersi quella statuizione della sentenza che può essere considerata in modo autonomo, non anche le argomentazioni esposte in motivazione, che riguardano il momento logico e non già quello decisionale del procedimento; ne deriva che, in ordine alla parte della sentenza suscettibile di autonoma valutazione che riguarda una specifica questione decisa in primo grado, il giudice dell'impugnazione può pervenire allo stesso risultato cui è pervenuto il primo giudice anche sulla base di considerazioni e argomenti diversi da quelli considerati dal primo giudice o alla luce di dati di fatto non valutati in primo grado, senza, con ciò, violare il principio dell'effetto parzialmente devolutivo dell'impugnazione (v. Cass., Sez. 5, sent. 15 maggio 2014, n. 40981).

Per altro verso, il giudice d'appello non può limitare il proprio sindacato alla tenuta della motivazione della decisione di primo grado, ma, nei limiti del devoluto, ha un preciso dovere di rivalutazione delle prove (cfr., Cass., Sez. 2, sent. 16 febbraio 2016, n. 8947).

3. Fatte tali premesse, devono ritenersi infondate le doglianze formulate con l'atto di impugnazione avverso la decisione appellata, essendo provato, alla stregua delle risultanze dibattimentali acquisite nel corso dell'istruttoria espletata nel giudizio di primo grado, il fatto oggetto di contestazione ascritto all'imputato.

Il Giudice di primo grado ha correttamente ritenuto provata e sufficientemente motivato la sussistenza della condotta delittuosa sulla scorta della deposizione testimoniale della persona offesa, costituitasi parte civile.

S'impongono, pertanto, alcune riflessioni riguardo all'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità circa la valenza probatoria delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.

E' noto che, nel vigente sistema processuale penale, alla vittima del reato per il cui accertamento viene instaurato il procedimento è riconosciuta piena capacità testimoniale e che, tuttavia, trattandosi di soggetto chiaramente e potenzialmente portatore di interessi confliggenti con quelli dell'imputato, in quanto astrattamente titolare di interesse a specifici esiti della vicenda processuale, la giurisprudenza di legittimità, condivisibilmente formatasi sul punto, postula che la testimonianza della persona offesa debba essere valutata con rigorosa attenzione per l'evidente interesse accusatorio che inevitabilmente la connota. Nondimeno, trattandosi pur sempre di deposizione testimoniale, la stessa assume pieno valore probatorio pur in assenza di riscontri esterni, non trovando in tal caso applicazione i principi di cui

all'art. 192, co. 3, c.p.p. che presuppongono l'esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l'attendibilità (cfr. Cass., Sez. un., sent. 24 ottobre 2012, n. 41461). Tale approdo ermeneutico ha poi trovato conferma nella successiva elaborazione giurisprudenziale dalla quale non si ritiene di doversi discostare (v. Cass., Sez. 5, sent. 8 luglio 2014, n. 1666; Cass., Sez. 2, sent. 24 settembre 2015, n. 43278).

Risulta imprescindibile, quindi, un'attenta e dettagliata verifica dell'intrinseca credibilità della testimonianza resa dalla persona offesa, verifica che dev'essere ovviamente più rigorosa rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni degli altri testimoni e che va condotta ricorrendo all'utilizzazione e all'analisi di ogni elemento ricavabile dal processo, che possa concretamente supportare il giudizio di attendibilità.

Alla luce di quanto precede deve ritenersi che, nel caso di specie, effettuate le doverose valutazioni di cui si è detto, la deposizione resa dalla parte offesa, (…), superi il rigoroso controllo di credibilità oggettiva e soggettiva cui necessariamente dev'essere essere sottoposta, come correttamente affermato dal giudice di prime cure.

La persona offesa, costituitasi parte civile, ha ricostruito i fatti, rendendo dichiarazioni chiare, lineari, intrinsecamente verosimili e scevre da apprezzabili contraddizioni in ordine agli aspetti rilevanti della vicenda, deposizione che non è svalutata da ulteriori acquisizioni dibattimentali.

Il (…), escusso all'udienza dell'11 giugno 2018, ha invero spiegato che il giorno dei fatti per cui è processo riceveva una telefonata dall'imputato-appellante, nonché suo cognato, Ca., nel corso della quale il Ca. lo aveva minacciato di morte a seguito di questioni sorte per la gestione di una società, proferendo specificamente nei suoi confronti la seguente frase "ti sparo in testa".

Il teste si è poi soffermato sulle ragioni sottese alla conflittualità dei rapporti con l'odierno imputato ed ha infine precisato che a seguito della minaccia ricevuta aveva avuto paura, anche in considerazione dei precedenti penali di cui il Ca. è gravato, avendo riportato una condanna anche per il reato di omicidio.

Tali essendo le risultanze istruttorie, si ritiene che le dichiarazioni della persona offesa, sopra compendiate, appaiono attendibili e degne di fede, avendo il (…) descritto il comportamento tenuto dall'imputato e le espressioni minacciose proferite nei suoi confronti, attraverso una deposizione che, nel suo complesso, appare immune da apprezzabili contraddizioni in ordine al nucleo essenziale del fatto denunciato e credibile sotto il profilo prettamente intrinseco, non essendo in verità emersi elementi dai quali poter desumere che il (…) sia stato indotto a rendere un racconto non veritiero, non potendosi nemmeno attribuire rilievo decisivo alla circostanza relativa alla sussistenza di pregressi rapporti conflittuali tra le parti (non celati dalla stessa persona offesa, la quale ne ha dato conto nel corso della sua deposizione), trattandosi di circostanza che di per sè, in mancanza di altri elementi (non emersi nel corso dell'istruttoria e non evincibili dal racconto reso dalla persona offesa), non inficia l'attendibilità della predetta.

Si aggiunga, che l'imputato, essendosi legittimamente avvalso della facoltà di non sottoporsi ad esame, non ha prospettato una versione alternativa dei fatti, tale da creare una situazione di oggettiva ed insuperabile incertezza.

Gli esposti rilievi conducono a formulare un positivo giudizio di attendibilità-credibilità del (…), le cui dichiarazioni testimoniali, sottoposte ad attenta verifica e prudentemente apprezzate, devono ritenersi degne di fede e consentono di ritenere provata, come correttamente affermato dal Giudice di Pace, la condotta delittuosa ascritta all'imputato, integranti il reato di cui all'art. 612 c.p.

Sul piano dell'elemento oggettivo della fattispecie incriminatrice, com'è noto, ai fini della configurabilità del ridetto reato di cui all'art. 612 c.p., è richiesta una limitazione della libertà psichica mediante la prospettazione di un male ingiusto che possa essere cagionato alla vittima e che dipenda dalla volontà dell'agente. Nel caso di specie, le espressioni pronunciate dall'imputato, integranti certamente la prospettazione di un male ingiusto, avevano un chiaro ed inequivoco carattere intimidatorio ed erano senz'altro idonee ad ingenerare timore sul soggetto passivo, come peraltro precisato dal (…) nel corso dell'esame testimoniale (testualmente: "Si confermo che ho avuto paura perché lui aveva precedenti penali anche per omicidio, aveva fatto 11 anni in carcere". (Cfr. testimonianza resa all'udienza dell'11 giugno 2018).

D'altra parte, "ai fini dell'integratone del delitto di cui all'art. 612 cod. pen. - che ha natura di reato di pericolo - è necessario che la minaccia - da valutarsi con criterio medio ed in relazione alle concrete circostante del fatto - sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto" (v. Cass., Sez. V, 6 novembre 2013, n. 644; Cass., Sez. Y, 12 maggio 2010 n. 21601).

Tenuto conto delle risultanze istruttorie acquisite, non è dubitabile, infine, che l'imputato abbia pronunciato le parole indicate nel capo di imputazione con la coscienza e volontà di minacciare un male ingiusto, sicché deve ritenersi integrato l'elemento soggettivo del reato di minaccia che è costituito dal dolo generico.

In conclusione, per le argomentazioni che precedono, la sentenza di primo grado deve dunque essere confermata, apparendo congrua la pena finale irrogata dal giudice di pace, avuto riguardo alle specifiche modalità e circostanze della condotta in concreto realizzata, all'intensità del dolo, tenuto altresì conto del tenore delle espressioni minacciose proferite, circostanze che inducono a ritenere non sussistenti i presupposti di cui all'art. 34 d.lgs. 274/2000, avuto altresì riguardo al disposto di cui al comma 3 della disposizioni normativa innanzi menzionata.

In conclusione, per le argomentazioni che precedono, la sentenza di primo grado deve dunque essere confermata.

4. Ai sensi dell'art. 592 c.p., l'appellante deve essere condannato al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, che si liquidano, tenuto conto delle tariffe in vigore e dell'attività processuale svolta, in euro 630,67, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge, somma che deve essere versata all'erario ai sensi dell'art. 110 comma 3 del DPR 115/02 essendo la parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

5. La natura delle questioni trattate ha suggerito di riservare il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione.


P.Q.M.

visti gli artt. 605 c.p.p. e 37 D.lgs. 274/2000,

conferma la sentenza n. 131/18 emessa dal Giudice di Pace di Frosinone in data 29 ottobre 2018, appellata dall'imputato Ca. e, per l'effetto, lo condanna al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio, nonché alla rifusione, in favore dello Stato, delle spese sostenute dalla parte civile costituita, che liquida in euro 630,67, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge;

indica il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Frosinone il 5 giugno 2023.

Depositata in Cancelleria il 24 agosto 2023.

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