Minaccia e tentate lesioni in progressione criminosa: il fatto è uno solo e il reato più grave assorbe quello meno grave (Cass. Pen. n. 15960/2025)
- Avvocato Del Giudice
- 29 apr
- Tempo di lettura: 2 min

Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione, seconda sezione penale, ha chiarito che quando le condotte di minaccia e tentate lesioni personali sono poste in essere in un contesto unitario, senza soluzione di continuità, esse integrano un’unica progressione criminosa e il reato meno grave (minaccia) deve ritenersi assorbito in quello più grave (tentate lesioni).
La Corte ha così accolto il ricorso dell’imputato, annullando senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna per il reato di cui all’art. 612 c.p.
2. Il fatto processuale e la doglianza dell’imputato
L’imputato era stato condannato per i reati di tentate lesioni personali (artt. 56 e 582 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.) e danneggiamento (art. 635 c.p.), per aver aggredito una persona brandendo una bottiglia di vetro, rompendola e poi lanciandola verso la vittima.
La difesa aveva dedotto in Cassazione la violazione dell’art. 15 c.p., lamentando il mancato assorbimento della condotta minacciosa in quella più grave e successiva di tentata lesione, trattandosi di una sequenza unitaria e priva di soluzione di continuità.
3. Progressione criminosa e principio di specialità
La Corte, aderendo alla tesi difensiva, ha fatto applicazione del principio di specialità di cui all’art. 15 c.p., in combinazione con la teoria della progressione criminosa, secondo cui l’intensificazione di una medesima attività lesiva comporta la trasformazione del titolo del reato, assorbendo le condotte iniziali in quelle successivamente più gravi.
Secondo l’insegnamento consolidato (cfr. Cass., sez. V, n. 18667/2021, Rv. 281250), si ha progressione criminosa quando l’agente, pur non realizzando un reato continuato ex art. 81 c.p., pone in essere una condotta unitaria che evolve da una fattispecie meno grave a una più grave, come nel caso di minaccia che si concretizza immediatamente in un'aggressione fisica.
Nel caso di specie, il brandeggio della bottiglia non si è esaurito in un fatto autonomo di minaccia, ma ha costituito l’antefatto necessario e funzionale all’azione lesiva tentata.
Da qui, il necessario assorbimento della prima condotta nella seconda.
4. Correzione della pena in sede di legittimità
In applicazione dell’art. 620, lett. l), c.p.p., la Corte ha anche provveduto direttamente alla rideterminazione della pena, eliminando l’aumento di un mese per il reato di minaccia (computato in continuazione). La pena finale è stata così ridotta a otto mesi di reclusione: sei per il reato di danneggiamento, più due mesi per la tentata lesione, secondo l’impianto originario della sentenza di merito.
5. Osservazioni conclusive
La decisione si segnala per la linearità del ragionamento e per il corretto bilanciamento tra tipicità formale e tipicità sostanziale. La Corte valorizza l’unitarietà del fatto storico, evitando una duplicazione punitiva che violerebbe il principio del ne bis in idem e le regole sul concorso apparente di norme.
Rilevante è anche il richiamo alla possibilità per la Corte di cassazione di intervenire ex officio sulla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 609 c.p.p., anche in assenza di specifica censura nei gradi precedenti, purché il giudizio di fatto sia ormai consolidato e la questione sia solo di diritto.
La sentenza ribadisce così che la funzione sistematica dell’art. 15 c.p. non è solo quella di evitare duplicazioni sanzionatorie, ma anche quella di proteggere l’unitarietà logica e giuridica della condotta tipica, secondo un modello di diritto penale sostanziale fondato su razionalità e proporzione.