Non è lieve l'evasione reiterata anche per ragioni familiari: confermata la custodia cautelare in carcere per inosservanza degli arresti domiciliari (Cass. pen. n. 19139/25)
- Avvocato Del Giudice
- 5 giorni fa
- Tempo di lettura: 2 min

1. Premessa
La pronuncia della Corte di Cassazione penale, Sez. II, 3 aprile 2025, n. 19139, offre l'occasione per tornare sul delicato equilibrio tra esigenze cautelari e tutela della libertà personale dell'imputato, specie nei casi in cui l'aggravamento della misura sia conseguenza della violazione degli arresti domiciliari.
Il caso analizzato mette in evidenza il rigore richiesto nella valutazione della "lieve entità" dell'evasione ex art. 385, comma 4, c.p., e le implicazioni derivanti dalla reiterazione della condotta.
2. Il fatto
La misura della custodia cautelare in carcere veniva disposta in luogo degli arresti domiciliari, originariamente concessi all'imputato, a seguito della violazione di quest'ultima misura. In particolare, il ricorrente si era allontanato dal domicilio pur permanendo nelle immediate adiacenze e giustificava tale condotta con la necessità di accudire il padre invalido e di adempiere a incombenze familiari.
Tuttavia, emergeva che l'imputato era già stato segnalato per violazioni della misura, in una circostanza precedente, e che era stato notato in compagnia di soggetti pregiudicati.
3. La decisione della Corte
Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha confermato la legittimità dell'aggravamento della misura cautelare ex art. 276, comma 1-ter, c.p.p. In particolare, ha escluso che potesse configurarsi una violazione di lieve entità, rilevando:
la reiterazione delle condotte di allontanamento dal domicilio;
la mancata autorizzazione del giudice al temporaneo spostamento;
la presenza dell'imputato con soggetti pregiudicati, in contrasto con le prescrizioni imposte;
l'assenza di qualsivoglia comunicazione o richiesta preventiva, nonostante la pretesa necessità familiare.
Secondo la Corte, in linea con la giurisprudenza consolidata, la lieve entità dell'evasione non può essere riconosciuta in presenza di elementi oggettivi che denotino un comportamento consapevolmente elusivo del controllo giudiziario. La reiterazione della condotta e il contesto relazionale in cui essa si inserisce escludono il carattere meramente episodico e giustificabile dell'infrazione.
4. Profili sistematici
La sentenza ribadisce l'indirizzo che valorizza, ai fini dell'aggravamento, non solo l'elemento oggettivo della trasgressione, ma anche il contesto soggettivo e comportamentale dell'indagato.
Non è sufficiente, ai fini dell'esclusione dell'aggravamento, che l'allontanamento sia stato contenuto nello spazio e nel tempo, se accompagnato da elementi di pericolosità sociale o da una chiara elusione delle prescrizioni imposte.
La giurisprudenza di legittimità, sin dalla nota Cass. pen., Sez. VI, n. 21241/2007, ha ritenuto che la valutazione sulla "lieve entità" dell'evasione non possa fondarsi unicamente su una misurazione cronologica o spaziale, ma richieda una verifica complessiva della condotta dell'indagato e della sua compatibilità con il vincolo cautelare.
5. Conclusioni
La pronuncia in esame ribadisce il rigore richiesto nella valutazione della compatibilità tra comportamenti trasgressivi e mantenimento di misure meno afflittive. La reiterazione della condotta, l'assenza di previa comunicazione, e la frequentazione di soggetti pregiudicati, rendono non plausibile l'invocazione della lieve entità dell'evasione e giustificano, anche sotto il profilo costituzionale, l'applicazione della custodia in carcere.
In definitiva, il principio affermato è chiaro: la tutela della libertà personale dell'imputato trova un limite nei comportamenti che minano la fiducia del giudice nella capacità dell'indagato di rispettare le prescrizioni imposte; e ciò anche quando sussistano ragioni familiari, che non possono surrogare il rispetto dell'ordinamento.