Intercettazioni

Con la sentenza di seguito riportata, la Sesta sezione ha rigettato il ricorso presentato da un condannato avverso una declaratoria di inammissibilità di una istanza di revisione ex art. 630 e ss. c.p.p.
In particolare, il condannato aveva avanzato richiesta di revisione, eccependo (per la prima volta in quella sede) la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni eseguite durante le indagini, in quanto acquisite ed utilizzate in violazione dei criteri di interpretazione dell'art. 270 c.p.p., dettati dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza "Cavallo" del 2020.
La Corte ha rigettato il ricorso del condannato, affermando che la sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite costituisce un "fatto processuale nuovo", come tale espressione di una nuova opzione interpretativa capace di consentire una diversa valutazione delle prove, pacificamente irrilevante ai fini del giudizio di revisione giusta il divieto posto dall'art. 637 c.p.p., comma 3.
Cassazione penale sez. VI, 03/05/2022, (ud. 03/05/2022, dep. 17/05/2022), n.19429
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma dichiarava la inammissibilità dell'istanza di revisione presentata da S.A. contro la pronuncia irrevocabile del 3 febbraio 2020 con la quale la Corte di appello, riformando solo parzialmente la pronuncia di primo grado, aveva confermato l'affermazione di colpevolezza del prevenuto in relazione al reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio.
Rilevava la Corte territoriale come l'istanza di revisione fosse manifestamente infondata in quanto la difesa non aveva dedotto prove nuove idonee a dimostrare che il condannato doveva essere prosciolto, ma era tornato ad eccepire la inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni eseguite durante le indagini, in quanto asseritamente acquisite ed utilizzate in violazione dei criteri di interpretazione dell'art. 270 c.p.p., dettati dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza "Cavallo" del 2020: pronuncia che costituiva solo un "fatto processuale nuovo", come tale espressione di una nuova opzione interpretativa capace di consentire una diversa valutazione delle prove, pacificamente irrilevante ai fini del giudizio di revisione giusta il divieto posto dall'art. 637 c.p.p., comma 3.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso lo S., con atto sottoscritto dal suo difensore e procuratore speciale, il quale ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 630,631,634 e 271 c.p.p., e il vizio di motivazione, per apparenza, per avere la Corte distrettuale erroneamente dichiarato la inammissibilità della richiesta di revisione in una situazione che non era qualificabile propriamente come revisione per la sopravvenienza o la scoperta di una ulteriore prova, ma come "nuovo caso di revisione", destinato a consentire non una rivalutazione del materiale probatorio già acquisito bensì di far valere la illegalità dell'unica prova posta a fondamento della decisione di condanna: nuovo caso paragonabile a quello che nel 2011 aveva condotto la Corte costituzionale a dichiarare la illegittimità dell'art. 630 c.p.p., nella parte in cui non contemplava la possibilità di una riapertura del processo penale laddove necessaria per conformare la relativa decisione ad una sentenza definitiva della Corte Europea dei diritti dell'uomo.
3. Il procedimento è stato trattato nell'odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, i cui effetti sono stati prorogati dal D.L. 23 luglio 2021, n. 105, art. 7, convertito dalla L. 16 settembre 2021, n. 126, ed ancora dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, art. 16, convertito dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso nell'interesse di S.A. vada rigettato.
2. Sotto un primo punto di vista il motivo del ricorso formulato in termini di violazione di legge e di connesso vizio di motivazione appare generico, dal momento che non si confronta adeguatamente con il passaggio della motivazione della sentenza gravata nella quale è stato richiamato il divieto posto dall'art. 637 c.p.p., comma 3, secondo cui, nel giudizio di revisione, "Il giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio".
Nel caso di specie la Corte di appello di Roma, rilevando come la difesa del condannato avesse in sostanza sollecitato una rivalutazione del materiale intercettivo acquisito e già esaminato nei precedenti gradi di giudizio, ha buon governo del principio di diritto - che questo Collegio reputa di dover in questa sede riaffermare - secondo il quale, in tema di revisione, il disposto dell'art. 637 c.p.p., comma 3, implica che le nuove prove, valutate di per sé o "unite a quelle già valutate", ben possono portare ad una totale rielaborazione della verità processuale acquisita, a patto però che esse si collochino al di fuori del quadro probatorio già valutato nel giudizio definitivo, giacché, altrimenti esse, ponendosi all'interno di tale quadro, costituirebbero un mezzo per invalidare il giudizio di attendibilità già formulato sulle prove acquisite e, conseguentemente, si risolverebbero in un espediente diretto a trasgredire il suddetto divieto (Sez. 1, n. 945 del 24/02/1992, La Rocca, Rv. 191710).
3. Sotto altro e complementare punto di vista, le doglianze formulate dal ricorrente risultano prive di pregio, in quanto dirette a far valere una sanzione processuale, quella della inutilizzabilità patologica della prova, che andava eccepita o rilevata nel giudizio di cognizione, e che - al pari di quanto accade per le nullità assolute - resta definitivamente sanata dal passaggio in giudicato della sentenza: e ciò senza che rilevi la circostanza che la inutilizzabilità della prova sia stata dedotta sulla base di un orientamento giurisprudenziale innovativo formatosi in epoca successiva al momento della irrevocabilità della sentenza.
E' ben vero che l'ordinamento processuale prevede una serie di ipotesi - talune espressamente previste dal codice di rito (quali quelle disciplinate dagli artt. 670 e 673 c.p.p.), altre frutto della elaborazione giurisprudenziale - nelle quali si ammette una "cedevolezza" del giudicato nel caso in cui sia ravvisata una violazione di fondamentali parametri costituzionali: ma ciò è accaduto, ad esempio, nei casi di illegalità della pena per sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni afferenti al trattamento sanzionatorio, che differiscono nettamente dai casi di mere violazioni di norme di legge processuale che comportano esclusivamente la configurabilità di una illegittimità della decisione, denunciabile nelle forme e nei termini indicati dalla legge processuale.
4. E', altresì, infondata la censura difensiva con la quale è stata prospettata la possibilità di ampliare la portata applicativa dell'art. 630 c.p.p., facendovi rientrare anche l'ulteriore ipotesi della revisione della condanna in ragione di una sopravvenuta causa di inutilizzabilità della prova a carico posta a fondamento di quella decisione.
La questione, peraltro posta dal ricorrente in termini indeterminati, allude alla possibilità di immaginare un "percorso" giurisprudenziale analogo a quello che ha condotto alla modifica della disciplina della revisione attraverso l'introduzione, per effetto della sentenza manipolativa a contenuto additivo n. 113 del 2011 della Corte costituzionale, di una nuova ipotesi di revisione, c.d. ‘Europea. Si tratta, tuttavia, di una fattispecie processuale nettamente differente da quella oggi in esame, in quanto - come noto - la Consulta attivò quell'eccezionale "meccanismo" di adeguamento del sistema processuale penale italiano in ragione dell'esigenza garantire, attraverso il "filtro" dell'art. 117 Cost., una reale effettività all'obbligo dettato dall'art. 46 CEDU che impone agli organi dello Stato membro di conformar